Ai REFERENDUM del 12-13 Giugno 2011 HO VOTATO SI alla Abrogazione : NUCLEARE, ACQUA 1, ACQUA 2, LEGITTIMO IMPEDIMENTO

No alla chiusura dell'ILVA Taranto,lo stabilimento è Ricchezza,finchè Vive possiamo disinquinare,altrimenti muore la Citta!. Pdf Ascolta http://consulenteambientale.eu

S. Messa Quotidiana Registrata a Cristo Re Martina F. Mese di Luglio 2011 Pubblicata anche su YOUTUBE http://www.youtube.com/user/dalessandrogiacomo Vedi e Ascolta cliccando sul giorno Ve01. Sa02. Do03. Lu04. Ma05. Me06. Gi07. Ve08. Sa09. Do10. Lu11. Ma12. Me13. Gi14. Ve15. Sa16. Do17. Lu18. Ma19. Me20. Gi21. Ve22. Sa23. Do24. Lu25. Ma26. Me27. Gi28. Ve29. Sa30. Do31. Giugno 2011 Me01. Gi02. Ve03. Sa04. Do05. Lu06. Ma07. Me08. Gv09. Ve10. Sa11. Do12. Lu13. Ma14. Me15. Gv16. Ve17. Sa18. Do19. Lu20. Ma21. Me22. Gv23. Ve24. Sa25. Do26. Lu27. Ma28. Me29. Gv30. Maggio 2011 Do01. Lu02. Ma03. Me04. Gv05. Ve06. Sa07. Do08. Lu09. Ma10. Me11. Gv12. Ve13. Sa14. Do15. Lu16. Ma17. Me18. Gv19. Ve20. Sa21. Do22. Lu23. Ma24. Me25. Gv26. Ve27. Sa28. Do29. Lu30. Ma31. Aprile 2011 Ve01. Sa02. Do03. Lu04. Ma05. Me06. Gi07. Ve08. Sa09. Do10. Lu11. Ma12. Me13. Gi14. Ve15. Sa16. Do17. Lu18. Ma19. Me20. Gi21. Ve22. Sa23. Do24. Lu25. Ma26. Do27. Lu28. Ma29. Me30. Marzo 2011 Ma01. Me02. Gv03. Ve04. Sa05. Do06. Lu07. Ma08. Me09. Gv10. Ve11. Sa12. Do13. Lu14. Ma15. Me16. Gv17. Ve18. Sa19. Do20. Lu21. Ma22. Me23. Gv24. Ve25. Sa26. Do27. Lu28. Ma29. Me30. Gi31. Febbraio 2011 .Ma01. .Me02. .Gi03. .Ve04. .Sa05. .Do06. .Lu07. .Ma08. .Me09. .Gi10. .Ve11. .Sa12. .Do13. .Lu14. .Ma15. .Me16. .Gi17. .Ve18. .Sa19. .DO20. .Lu21. .Ma22. .Me23. .Gi24. .Ve25. .Sa26. .Do27. .Lu28. Gennaio 2011 Sa01. Do02. Lu03. Ma04. Me05. Gv06. Ve07. Sa08. Do09. Lu10. Ma11. Me12. Gv13. Ve14. Sa15. Do16. Lu17. Ma18. Me19. Gi20. Ve21. Sa22. Do23. Lu24. Ma25. Me26. Gi27. Ve28. Sa29. Do30. Lu31. Dicembre 2010 Me 01. Gv02. Ve03. Sa04. Do05. Lu06. Ma07. Me08. Gv09. Ve10. Sa11. Do12. Lu13. Ma14. Me15. Gv16. Ve17. Sa18. Do19. Lu20. Ma21. Me22. Gv23. Ve24. Sa25. Do26. Lu27. Ma28. Me29. Gv30. Ve31. Novembre 2010 Lu 01. Ma02. Me03. Gv04. Ve05. Sa06. Do07. Lu08. Ma09. Me10. Gv11. Ve12. Sa13. Do14. Lu15. Ma16. Me17. Gv18. Ve19. Sa20. Do21. Lu22. Ma23. Me24. Gv25. Ve26. Sa27. Do28. Lu29. Ma30. Ottobre 2010 Ve01. Sa02. Do03. Lu04. Ma05. Me06. Gv07. Ve08. Sa09. Do10. Lu11. Ma12. Me13. Gv14. Ve15. Sa16. DO17. Lu18. Ma19. Me20. Gi21. Ve22. Sa23. Do24. Lu25. Ma26. Me27. Gv28. Ve29. Sa30. Do31. Settembre 2010 Me 01. Gi02. Ve03. Sa04. Do05. Lu06. Ma07. Me08. Gv09. Ve10. Sa11. Il Sito Ufficiale della Parrocchia Cristo Re Martina F. è http://www.parrocchie.it/martinafranca/cristore.it Il Canale YOUTUBE di CRISTO RE è http://www.youtube.com/results?search_query=cristoremartina&aq=f Vedi La PASSIONE http://www.youtube.com/watch?v=sjt8rPDLYlY

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Rassegna Stampa - L'Argomento di Oggi - dal 2010-06-27 ad oggi 2011-07-29 Sintesi (Più sotto trovate gli articoli)

PAZZIA DEL FEDERALISMO

2011-01-12 Tutto il Bellunese via dal Veneto, la Provincia dice sì al referendum

Il consiglio provinciale a maggioranza leghista vota a favore della consultazione chiesta da 17mila cittadini per l'annessione al Trentino Alto Adige. Il Carroccio si spacca Il voto del consiglio provinciale (Cappello)

2011-01-12 Comuni in fuga Ma quei primi 16 comuni in fuga sono ancora fermi

Nessuno ha cambiato regione. Il leader: "È Lamon l’unico che può farcela"

VENEZIA — Finora i Comuni che hanno tentato il salto di confine sono sedici e altri cinque, dopo gli ultimi tagli agli Enti locali, tra Verona, Treviso e Belluno, ha annunciato di voler percorrere la stessa strada.

VEDI ANCHE: I CONTI DEL FEDERALISMO NON TORNANO

ST

DG

Studio Tecnico

Dalessandro Giacomo

41° Anniversario - SUPPORTO ENGINEERING-ONLINE

2010-10-07 Decreto unico sul federalismo approvato dal governo. Tremonti: ora la delega sul fisco

Sondaggio Federalismo e pressione fiscale

http://www.ilsole24ore.com/art/economia/2010-10-07/tremonti-spiega-federalismo-fiscale-110302.shtml?sondaggi

Risultato per: Con il federalismo aumenterà la pressione fiscale?

Sì (81.94%) No (18.06%)

2010-09-20 Una quota Ires alle regioni che combattono l'evasione

La riuscita del federalismo fiscale passa anche dal contrasto all'evasione fiscale. Il governo ne è così convinto che sta pensando di inserire nel decreto attuativo sull'autonomia tributaria un premio per i governatori che daranno la caccia all'Irap non versata. Sotto forma di una compartecipazione al gettito Ires. L'annuncio

2010-09-14 Perché il coro Tremonti-Bossi adesso stona Come sarà il federalismo? "Sarà equo, solidale, l'unico modo per tenere unito il paese". La riforma fiscale? "Non è il mito della magica riduzione".

Il Mezzogiorno? "Prima ci vuole lo stato, poi il federalismo. Rifarei la Cassa per il Mezzogiorno".

Negli ultimi giorni, il ministro dell'Economia Giulio Tremonti ha (una volta di più) colpito in contropiede, spiazzando la facile lettura, a sinistra come a destra, del governo a trazione leghista, anzi ostaggio della Lega. E di Umberto Bossi che, archiviato con successo la partita federalista ("la va a ore"), è pronto a una nuova battaglia, quella del trasferimento di alcuni ministeri nelle città del Nord.

Ma, insomma, che succede? Il federalismo (la riforma entrerà a regime non prima del 2016) è comunque già cosa fatta, e per di più nella sua versione più "solidale" a tutela di un Mezzogiorno per il quale si rispolvera la Casmez nata giusto sessant'anni fa, il 10 agosto del 1950, riformata nel 1984 e chiusa (all'insegna del fallimento) nel 1992? Qualche conto sembrerebbe non tornare tra gli alleati di ferro Bossi e Tremonti, entrambi assistiti, per così dire, dalle abili mediazioni del collega ministro per la Semplificazione Roberto Calderoli.

2010-06-27 FEDERALISMO Dalle Dolomiti alle isole sarde, a Porta Portese l'elenco dei beni trasferibili agli enti locali

Nella lista compilata dall'Agenzia del Demanio figurano anche l'isola di Santo Stefano, nel cui carcere furono rinchiusi tra gli altri Pertini e Spinelli, e l'Idroscalo dove fu ucciso Pasolini

Dalle Dolomiti alle isole sarde, a Porta Portese l'elenco dei beni trasferibili agli enti locali

ROMA - "Pezzi" di Dolomiti, Porta Portese, gli "isolotti prossimi alla Maddalena", tutta l'isola di Santo Stefano. Queste alcune delle voci inserite dall'Agenzia del Demanio nell'elenco dei beni trasferibili agli enti locali, a cominciare dai Comuni, con il federalismo demaniale.

2010-07-27 FEDERALISMO Le Dolomiti, i fari, Palazzo Archinto Lo Stato cede il tesoro del Demanio

L'elenco in Rete. "Salvato" il cinema di Moretti

ROMA - Arriva sul sito online dell'Agenzia del Demanio l'elenco dei beni che potranno essere trasferiti agli enti locali in base al federalismo demaniale. Sono dodicimila "luoghi": caserme, ex poligoni di tiro, strade, scuole, magazzini, abitazioni agricole, fabbricati industriali, edifici parrocchiali, canali, terreni... Un valore globale che sale a 3,6 miliardi, 600 milioni in più rispetto al valore dell'elenco provvisorio diffuso a fine giugno. Un valore destinato a crescere perché sono per ora esclusi dall'elenco i beni di Roma, che saranno oggetto del decreto attuativo del federalismo su Roma Capitale, e sono per ora esclusi i beni delle Regioni a statuto speciale. Quindi, non entrano al momento nel meccanismo del federalismo demaniale beni come il cinema "Nuovo Sacher", da molti anni gestito nella capitale dal regista Nanni Moretti, o il Museo di Villa Giulia, ma anche gli isolotti prossimi alla Maddalena, presenti nella lista provvisoria divulgata il mese scorso.

Non sono contenuti nell'elenco neanche i beni storici-artistici che, in base alla riforma, andranno valorizzati con il coinvolgimento del ministero dei Beni culturali e sono esclusi anche i Parchi sui quali c'è la competenza del ministero per l'Ambiente.

Internet, l'informatore, ll Giornalista, la stampa, la TV, la Radio, devono innanzi tutto informare correttamente sul Pensiero dell'Intervistato, Avvenimento, Fatto, pena la decadenza dal Diritto e Libertà di Testimoniare.. Poi si deve esprimere separatamente e distintamente il proprio personale giudizio..

 

Il Mio Pensiero (Vedi il "Libro dei Miei Pensieri"html PDF ):

Pazzia del Federalismo

Ma quanto è vero che il federalismo è una vera pazzia.

Come si fa a pensare che i problemi si risolvono cambiando casagga.

Ovvero IL Bellunese rivendica il diritto di cambiare, da Veneti scegliere di poter diventare Trentini.

Ma che forse l'Italia si sta perdendo in un decentramento assurdo, che porta le Leggi Nazionali a decuplicarsi 21, volte facendole divenire regionali variandole con modifiche insulse, per poi redigere oltre 100 regolamenti provinciali, poi ancora 10000 comunali, e poi di quartiere …. all'infinito.

Sta diventando una Babele !

Prima c'è stata una rivolta di comuni Pugliesi che hanno cambiato provincia, da Bari sono diventati BAT, una nuova provincia che conta meno di nioente, mentre prima facevano porte di un'area Metropolitana.

C'è gente che vuole contare ad ogni costo, pur essendo misere cimici, e per farlo divide tutti e tutto per il proprio tornaconto personale.

Italia svegliati:

  • Manda a Ramengo quelli che vogliono complicare tutto
  • Rispolvera la Bandierà dell'UNITA', della Semplificazione Amministrative e Burocratica, semplifica il quadro Legislativo e Normativo alla Luce della Costituzione, delle Libertà Collettive dalle quali non si può prescindere
  • Consenti il massimo della Trasparenza Amministrativa
  • Distribuisci in ragione della equità, di criteri unici per tutti, controlla e punisci i malfatori, consenti la partecipazione, la gestione decentrata ma controllata degli impieghi delle risorse.

Cambiare casacca serve solo agli interessi di corruttori e corrotti.

ITALIA:

  • Rivendica invece Giustizia, Controlla i tuoi Amministratori, Elenca i tuoi Bisogni, Proponi delle Priorità, Presiedi al Dibattito sulle Scelte, Chiedi di essere informato, Pretendi Correttezza e Rispetto dell'Uomo, Umanità, Fratellanza, Solidarietà.
  • Aiuta tutti i Giovani nella Scuola perchè sono il tuo futuro, togli il numero chiuso per l'Università OnLine per realizzare sogni e restituire opportunità a cervelli altrimenti esclusi
  • Garantisci il Lavoro Onesto a giovani e anziani, per il Benessere di Tutti, consenti ai Pensionati di Trasferire Professionalità, Esperienza di Vita, Lavoro Solidale a Giovani ed Immigrati, Proteggi i Deboli
  • Porta Pace, Cultura, Lavoro nel Mondo, riceverai Sviluppo e Amicizia dei Popoli

Martina F. 2011-01-12

Per. Ind. Giacomo Dalessandro

Rassegna Stampa - L'Argomento di Oggi - dal 2010-06-27 ad oggi 2011-07-29

AVVENIRE

per l'articolo completo vai al sito internet

http://www.avvenire.it

2011-07-29

28 luglio 2011

IL CASO

"Ministeri al Nord illegittimi"

Scontro Quirinale-Lega

"Napolitano non si preoccupi, i ministeri li abbiamo fatti e li lasciamo là, siamo convinti che il decentramento non sia solo una possibilità ma una opportunità per il paese". Lo ha affermato il leader della Lega Umberto Bossi al termine del Cdm, in risposta al Quirinale, che mercoledì aveva espresso "preoccupazione" per l'apertura di alcune sedi staccate dei ministeri a Monza.

Ma poco dopo è arrivato il contrattacco del Colle, che in una lettera a Berlusconi ha sostenuto l'illegittimità costituzionale del "trasloco". Secondo Napolitano ci sarebbe un conflitto con l'art.114. Per di più, ha rilevato, il decreto riguardante le sedi distaccate non è stato nemmeno pubblicato sulla Gazzetta ufficiale. Ma soprattutto, ha chiarito il Colle, "è inimmaginabile una capitale diffusa: c'è Roma". E poi: "Io sono il garante dell'unità, non mi presto ad equivoci".

I Ministeri al nord, oltretutto, vanno contro la logica del taglio alle spese della politica. "L'apertura di sedi di mera rappresentanza" di ministeri "costituisce scelta organizzativa da valutarsi in una logica costi-benefici che, in ogni caso, dovrebbe improntarsi, nell'attuale situazione economico-finanziaria, al più rigido contenimento delle spese e alla massima efficienza funzionale".

BOSSI: IL RAPPORTO COL COLLE NON SI ROMPERA'

Il rapporto con il Quirinale non si romperà per la richiesta della Lega di decentrare alcuni ministeri al Nord. Ne è convinto il leader della Lega Umberto Bossi, che infatti dice: "non si romperà per quello". Ai giornalisti che sottolineano proprio la sintonia della Lega con il Colle, Bossi regala poi una battuta: il rapporto "si romperebbe se gli chiedessimo di dare indietro i mobili che si è preso nella Villa Reale di Monza".

"Non farlo", cioè non decentrare le sedi dei dicasteri, aggiunge il Senatur, "sarebbe come dire che in Inghilterra sono scemi, e invece vanno meglio di noi". "Noi - ribadisce lasciando Montecitorio - facciamo quello che fanno gli altri Paesi europei".

 

 

 

 

 

 

 

 

2011-07-28

28 luglio 2011

IL CASO

"Ministeri al Nord illegittimi"

Scontro Quirinale-Lega

"Napolitano non si preoccupi, i ministeri li abbiamo fatti e li lasciamo là, siamo convinti che il decentramento non sia solo una possibilità ma una opportunità per il paese". Lo ha affermato il leader della Lega Umberto Bossi al termine del Cdm, in risposta al Quirinale, che mercoledì aveva espresso "preoccupazione" per l'apertura di alcune sedi staccate dei ministeri a Monza.

Ma poco dopo è arrivato il contrattacco del Colle, che in una lettera a Berlusconi ha sostenuto l'illegittimità costituzionale del "trasloco". Secondo Napolitano ci sarebbe un conflitto con l'art.114. Per di più, ha rilevato, il decreto riguardante le sedi distaccate non è stato nemmeno pubblicato sulla Gazzetta ufficiale. Ma soprattutto, ha chiarito il Colle, "è inimmaginabile una capitale diffusa: c'è Roma". E poi: "Io sono il garante dell'unità, non mi presto ad equivoci".

I Ministeri al nord, oltretutto, vanno contro la logica del taglio alle spese della politica. "L'apertura di sedi di mera rappresentanza" di ministeri "costituisce scelta organizzativa da valutarsi in una logica costi-benefici che, in ogni caso, dovrebbe improntarsi, nell'attuale situazione economico-finanziaria, al più rigido contenimento delle spese e alla massima efficienza funzionale".

BOSSI: IL RAPPORTO COL COLLE NON SI ROMPERA'

Il rapporto con il Quirinale non si romperà per la richiesta della Lega di decentrare alcuni ministeri al Nord. Ne è convinto il leader della Lega Umberto Bossi, che infatti dice: "non si romperà per quello". Ai giornalisti che sottolineano proprio la sintonia della Lega con il Colle, Bossi regala poi una battuta: il rapporto "si romperebbe se gli chiedessimo di dare indietro i mobili che si è preso nella Villa Reale di Monza".

"Non farlo", cioè non decentrare le sedi dei dicasteri, aggiunge il Senatur, "sarebbe come dire che in Inghilterra sono scemi, e invece vanno meglio di noi". "Noi - ribadisce lasciando Montecitorio - facciamo quello che fanno gli altri Paesi europei".

 

 

28 luglio 2011

RIFORMA DELLA GIUSTIZIA

Fiducia sul "processo lungo"

È scontro al Senato

Il governo ha posto la fiducia al ddl cosiddetto "allunga processi" in discussione nell'Aula del Senato. È stato il ministro per i Rapporti con il Parlamento, Elio Vito, ad annunciare che il governo ha posto la fiducia sul disegno di legge. La seduta dell'Aula di Palazzo Madama è stata subito sospesa per consentire la riunione della conferenza dei capigruppo. E tra opposizione e maggioranza si è subito aperto lo scontro.

 

 

 

 

 

 

2011-03-03

3 marzo 2011

RIFORME

Federalismo, Regioni:

"Governo non rispetta patti"

"Al governo abbiamo detto che, dal momento che non ha onorato i contenuti dell'accordi siglato nel dicembre scorso, l'intesa sul federalismo regionale per noi non c'è". A dirlo è stato il presidente della Conferenza delle Regioni e delle Province autonome, Vasco Errani, al termine della conferenza Stato-Regioni.

"Il governo - ha aggiunto Errani - deve celermente far fronte agli impegni che si era assunto. La situazione è molto critica soprattutto in questo momento in cui siamo nel pieno delle decisioni che riguardano il federalismo. Noi non chiediamo altro che l'applicazione dell'accordo nella sua interezza".

Tra i numerosi impegni che l'accordo di dicembre prevedeva, c'era un punto importante che riguardava il finanziamento del trasporto pubblico locale.

CALDEROLI A REGIONI, RISPETTEREMO PATTI

"Il governo ha raggiunto un'intesa, con Regioni, Comuni e Province, sul decreto sul federalismo regionale e provinciale, a una serie di condizioni che il governo intende rispettare completamente. Pertanto il problema sollevato dal governatore Errani non si pone". Lo afferma il ministro per la Semplificazione normativa e coordinatore delle segreterie nazionali della Lega Nord, Roberto Calderoli.

 

2011-03-02

2 marzo 2011

RIFORME

Federalismo municipale

Arriva il sì della Camera

La Camera conferma la fiducia al governo approvando la risoluzione di maggioranza relativa al testo sul federalismo fiscale municipale. La risoluzione è passata con 314 sì e 291 no e 2 astenuti. Tutti i deputati della Lega hanno sventolato nell'Aula della Camera le bandiere delle regioni del Nord e con il sole delle Alpi, dopo che il vicepresidente Antonio Leone ha proclamato il risultato della votazione sulla fiducia sul federalismo municipale. Fra i leghisti c'era anche il presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi che si è unito all'applauso dei deputati del Carroccio. Vedendo la scena, Leone ha chiesto l'intervento dei commessi per rimuovere le bandiere sospendendo brevemente la seduta.

Il presidente del Consiglio Silvio Berlusconi ha messo nell'aula della Camera al suo taschino un fazzoletto verde della Lega dopo aver votato la fiducia sul federalismo municipale. Dopo aver espresso il voto, Berlusconi ha raggiunto i deputati del Carroccio che seguivano la votazione dai loro banchi: il ministro dell'Interno Roberto Maroni, gli ha passato una pochette verde che Berlusconi, sorridendo, ha messo nel taschino della giacca. Dopo si e' fermato a ridere e a scherzare con i deputati leghisti che hanno mostrato di apprezzarne le battute. Poco prima, un deputato della Lega aveva dato la pochette verde a Domenico Scilipoti del gruppo Iniziativa responsabile. Anche Scilipoti, come dopo avrebbe fatto il presidente del Consiglio, ha indossato il fazzoletto nel taschino della propria giacca

 

 

 

 

 

 

 

2011-03-01

1 marzo 2011

ROMA

Federalismo, il governo

porrà la fiducia

Il Governo porrà alla Camera la questione di fiducia sulla risoluzione di maggioranza relativa al testo sul federalismo fiscale municipale. Lo ha detto il ministro per i Rapporti con il Parlamento, Elio Vito, nella conferenza dei capigruppo di Montecitorio. Alla riunione hanno partecipato anche il leader della Lega Umberto Bossi e il ministro per la Semplificazione normativa Roberto Calderoli.

"'Il federalismo è fatto per unire, non per dividere". Lo ha ribadito il ministro della Semplificazione, Roberto Calderoli, parlando in Aula alla Camera nell'ambito delle comunicazioni del governo sul decreto attuativo del federalismo fiscale sul fisco municipale.

A meno di un mese dallo stop in bicamerale e da parte del Quirinale il decreto attuativo sul fisco comunale in settimana dovrebbe, infatti, diventare legge. Si tratta di un tassello fondamentale della riforma. Il primo che andrà a toccare alle fondamenta l'impianto fiscale dei territori. E avrà come risultato, secondo il premier Silvio Berlusconi, una minore evasione fiscale con "dichiarazioni dei redditi piu' congrue". Non e' d'accordo l'opposizione che da tempo chiede dati più concreti sull'impatto e i costi delle nuove norme che, paventa, potrebbero "'spaccare il Paese" e far aumentare le tasse.

Un punto, quest'ultimo, sul quale interviene anche il presidente della Camera Gianfranco Fini: "il federalismo fiscale non deve imporre ulteriori aggravi", dice. Fini insiste anche sulla necessita' di inserire il provvedimento in un quadro più ampio di riforme costituzionali che preveda anche la creazione di una Camera delle autonomie.

Questa mattina il federalismo comunale, che ha già avuto l'ok del Senato, sarà, dunque, in Aula alla Camera. Il ministro Roberto Calderoli, riferirà sul provvedimento sul quale dovrebbero venire presentate risoluzioni da parte di tutti i gruppi. La capigruppo ha stabilito che a partire dalle 18.30 ci siano le dichiarazioni di voto finale in diretta tv, ma è probabile che la votazione slitti a domani visto che il governo parrebbe intenzionato a porre la fiducia per evitare rischi, dati i numeri e i possibili mal di pancia dei deputati meridionali della maggioranza. ''Se saranno presentati documenti sui cui verra' chiesto il voto - faceva sapere nei giorni scorsi il ministro Calderoli - il governo porra' la fiducia''.

Una volta avuto l'ok di Montecitorio il testo sui comuni dovrebbe avere il via libera definitivo probabilmente gia' nel Consiglio dei ministri in calendario giovedi' prossimo 3 marzo per poi passare all'emanazione da parte del Quirinale. Incassato l'ok su questo testo, la Lega pensa già al prossimo decreto, quello sul fisco regionale in esame in commissione bicamerale. Giovedi' iniziera' l'esame del provvedimento.

La commissione dovrebbe approvarlo entro l'11 marzo ma non è escluso che venga chiesta una proroga, opzione possibile in base alla legge delega. Non sono previste al momento modifiche nella composizione della commissione, nonostante Pdl e Lega l'abbiano piu' volte messa in discussione e il gruppo di Iniziativa Responsabile chieda di avere una rappresentanza nell'organismo presieduto da La Loggia. Se nulla dovesse cambiare non e' da escludersi un nuovo pareggio cosi' come quello sul quale si fermo' il fisco municipale.

 

 

2011-02-19

18 febbraio 2011

150ESIMO UNITA' D'ITALIA

17 marzo, Napolitano:

"Anche il Papa parteciperà"

Anche Papa Benedetto XVI parteciperà, in modalità che ancora devono ancora essere messe a punto, alle

celebrazioni del 150° anniversario dell'Unità d'Italia, che culmineranno nella festa nazionale del 17 marzo. A riferirlo è il Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, uscendo da palazzo Borromeo, sede dell'ambasciata italiana presso la Santa Sede, al termine della cerimonia per l'anniversario della firma dei Patti lateranensi e della revisione del Concordato tra Stato e Chiesa.

"È stato molto importante - sottolinea il Capo dello Stato - l'impegno, ribadito anche dal segretario di Stato vaticano Bertone e dal presidente della Cei Bagnasco, per la partecipazione della Chiesa e anche, in qualche forma, del Pontefice, alla celebrazione del 150° anniversario dell'Unità d'Italia".

Il Presidente Napolitano risponde ai giornalisti che gli chiedono dello stato dei rapporti tra il nostro Paese e il Vaticano, assicurando che "c'è una clima di cordialità nelle relazioni tra l'Italia e la Santa Sede".

 

18 febbraio 2011

150ESIMO

Unità d'Italia, il 17 marzo sarà festa

Calderoli: decreto incostituzionale

Il Consiglio dei Ministri ha approvato il decreto che stabilisce la festa nazionale del 17 marzo per i 150 anni dell'unità d'Italia. Il ministro La Russa ha spiegato che il Consiglio dei Ministri ha approvato un decreto legge che stabilisce la festa nazionale del 17 marzo "a tutti gli effetti civili". La Russa afferma che "per la festa del 4 novembre non cambierà nulla".

Tre ministri, fra cui i leghista Calderoli e Bossi, non hanno aderito alla decisione del Cdm. Non c'è nessuna frattura con la Lega per le celebrazioni del 150* dell'Unità d'Italia ma "una diversità d'opinione" e "una valutazione diversa". Lo ha detto il ministro della Difesa, Ignazio La Russa, commentando al termine del Consiglio dei Ministri il voto contrario dei ministri della Lega alla festività del 17 marzo. "Erano presenti Calderoli e Bossi - ha spiegato - che in modo garbato hanno presentato una diversità di opinione. C'è una valutazione diversa ma non c'è niente di male quando il Cdm esprime un'opinione a larga maggioranza. Quando ho detto che i voti contrari erano tre ho interpretato anche il pensiero di Maroni"."Ho parlato al termine della riunione con loro - ha aggiunto La Russa - e discutevo che nei paesi dove più forte è il federalismo, più forte è l'identità nazionale e lospirito nazionale. Le due cose possono e devono andare di pari passo". Con la Lega, ha concluso, "non c'è nessuna frattura ma una diversità d'opinione. Noi non obbligheremo nessuno a festeggiare ma chiediamo a tutti rispetto".

In realtà lo sfogo di Calderoli è piuttosto pesante: il decreto è follia e incostituzionale, ha detto il ministro.

17 febbraio 2011

150 ANNI DELL'UNITA'

Cei: una Messa per l'Italia

nell'anniversario dell'unificazione

La Presidenza della Cei promuove nella mattinata di giovedì 17 marzo una celebrazione eucaristica in occasione del 150° anniversario dell'unità nazionale che si svolgerà a Roma, nella basilica di Santa Maria degli Angeli e sarà presieduta dal card. Angelo Bagnasco. Lo rende noto un comunicato della Cei che sottolinea come "attraverso la preghiera i vescovi italiani intendono rilanciare l'auspicio espresso da Benedetto XVI, in occasione della Settimana Sociale di Reggio Calabria: Possa emergere un comune sentire, frutto di un'interpretazione credente della situazione del Paese; una saggezza propositiva, che sia il risultato di un discernimento culturale ed etico, condizione costitutiva delle scelte politiche ed economiche. Da ciò dipende il rilancio del dinamismo civile, per il futuro che sia - per tutti - all'insegna del bene comune".

 

 

18 febbraio 2011

Per i cattolici tre riflessioni sulla nazione

Italia unita, festa di tutti

Laica e anche religiosa

Tra poco meno di un mese, il 17 marzo, in via eccezionale e soltanto per questo anno 2011 nel 150° dell’Unità d’Italia, sarà solennemente celebrata in tutto il Paese la festa nazionale. Un evento a ricordo del faticoso e travagliato compimento, sul piano politico, di quella profonda unità che la Penisola aveva di fatto sempre conosciuto e che anche gli stranieri che venivano da noi per ammirare le nostre bellezze naturali e il nostro immenso patrimonio artistico riconoscevano di fatto allorché davano luogo a quella vera e propria catena letteraria che furono i 'viaggi in Italia', con firme di grande prestigio, da Montaigne a Goethe a Stendhal (per limitarsi soltanto ai più celebri 'ritrattisti' di questa immensa galleria di resoconti e di memorie): nessuno, né allora né dopo, scrisse di 'viaggi a Milano' o di 'viaggi a Firenze', e così via...

Sarà, quella del 17 marzo, e giustamente, una festa civile; ma sarà anche – dovrebbe essere! – una 'festa religiosa', non tanto per celebrazioni patriottiche con bandiere, sfilate di reduci e fanfare che pure – nonostante la lunga conflittualità fra Chiesa e Stato – ebbero luogo nelle chiese o nelle loro vicinanze anche al tempo della contrapposizione frontale fra Santa Sede e dinastia sabauda; quanto, e soprattutto, per fare memoria degli antichi 'steccati' e per mettere in luce il loro definitivo superamento, grazie a una duplice maturazione: quella della coscienza civile e quella della stessa più avvertita coscienza ecclesiale. Per un caso fortuito (ma come non vedere in una simile coincidenza una sorta di 'provvidenzialità'?) questa eccezionale festa nazionale coincide, per la Chiesa, con la primissima fase della Quaresima. Mi sembra dunque bello che il 17 marzo una solenne liturgia, per iniziativa della Conferenza espiscopale italiana, si faccia anche momento di riflessione su quell’avvenimento che a molti appare lontano, e rischia per questo di essere una semplice occasione per l’esercizio delle consuete retoriche celebrative. E credo che sarebbe importante se nelle realtà ecclesiali locali si imitasse questo esempio.

Vi sarebbero, per i credenti, almeno tre punti meritevoli di attenta considerazione. In primo luogo, il pentimento , il riconoscimento, cioè – già fatto proprio da Paolo VI in un famoso discorso e varie volte rinnovato dai suoi successori – che qualche cosa mancò alla Chiesa dell’Ottocento in fatto di percezione del corso degli avvenimenti e della necessità di non arroccarsi in una difesa oltranzista di una pur nobile tradizione. In secondo luogo, il ringraziamento per un’unità spirituale e morale raggiunta alla fine anche grazie all’apporto e al sacrificio dei cattolici, e consacrata da una Costituzione – quella del 1948 – che onora il nostro Paese e alla quale i credenti hanno offerto un contributo determinante.

Infine, l’impegno di tutti i credenti al servizio di questa Nazione italiana che, nonostante le ombre che gravano su di essa e malgrado i venti di crisi che la scuotono, è ancora, nel mondo, un punto di riferimento per quanti credono nei più alti valori di una civiltà a misura d’uomo. Dire queste cose, anche dai pulpiti, significa 'fare politica' o, ancora peggio, diventare 'fazione'? Proprio no. La migliore tradizione cristiana – nella scia delle antiche preghiere, e degli antichi pianti, per 'Gerusalemme' – ha saputo sempre coniugare l’amore per le 'due città', quella storica e quella escatologica. Ecco perché il 17 marzo dovrebbe essere una festa per tutti e di tutti, anche per e dei cattolici.

Giorgio Campanini

 

 

 

 

 

 

 

2011-02-04

4 febbraio 2011

LA RISPOSTA DEL COLLE

Federalismo, Napolitano:

"Decreto irricevibile"

Il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, ha inviato una lettera al Presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi, in cui rileva "che non sussistono le condizioni per procedere alla richiesta emanazione" del decreto legislativo sul federalismo. Pertanto, il Capo dello Stato ha comunicato al Presidente del Consiglio di non poter ricevere, a garanzia della legittimità di un provvedimento di così grande rilevanza, il decreto approvato ieri dal Governo.

Il Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, recita il comunicato, "in relazione al preannunciato invio, ai fini della emanazione ai sensi dell'articolo 87 della Costituzione, del testo del decreto legislativo in materia di federalismo fiscale municipale, approvato definitivamente dal Consiglio dei Ministri nella seduta di ieri sera, come risulta dal relativo comunicato, ha inviato una lettera al Presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi". Nella lettera, prosegue il comunicato, si

"rileva che non sussistono le condizioni per procedere alla richiesta emanazione, non essendosi con tutta evidenza perfezionato il procedimento per l'esercizio della delega previsto dai commi 3 e 4 dall'art. 2 della legge n. 42 del 2009 che - viene sottolineato - sanciscono l'obbligo di rendere comunicazioni alle Camere prima di una possibile approvazione definitiva del decreto in difformità dagli orientamenti parlamentari. Pertanto - conclude il comunicato - il Capo dello Stato ha comunicato al Presidente del Consiglio di non poter ricevere, a garanzia della legittimità di un provvedimento di così grande rilevanza, il decreto approvato ieri dal Governo".

La Bicameralina era un semplice artifizio, non c'è stata alcuna forzatura sul federalismo. Lo ha spiegato Silvio Berlusconi, rispondendo alle critiche alla mossa di ieri notte, quando è stato approvato in un Consiglio dei ministri fuori programma il decreto sul federalismo fiscale municipale, respinto poche ore prima dalla Commissione bicamerale per l'attuazione del programma. Interpellato su possibili problemi con il Quirnale, ha risposto: "Non lo so, spero di no". lio

Quasta riforma "è una svolta storica". Lo ha sottolineato il ministro dell'Economia, Giulio Tremonti, presentando questa mattina in una conferenza stampa il decreto sul federalismo fiscale municipale. "Questi provvedimenti - ha spiegato Tremonti -sono basati su una legge delega che è stata votata nel maggio del 2009 dal Parlamento con un'amplissima maggioranza, con una maggioranza molto più ampia di quella di governo. Questa riforma basata su quella delega sta arrivando al termine e chiude un periodo che è iniziato da metà anni '70". In tutto questo periodo, ha aggiunto, l'Italia era l'unico Paese che "non aveva una vera finanza locale".

IL GOVERNO TIRA DRITTO

Corroborati dal voto alla Camera sul rinvio degli atti sul caso Ruby, maggioranza e governo decidono sul federalismo di procedere con il rullo compressore. Dopo il "pareggio" sul parere della Bicameralina, Berlusconi ha riunito il Consiglio dei ministri e, con la spinta di Umberto Bossi, il governo ha approvato egualmente il decreto sul federalismo municipale. Anche a costo di far gridare le opposizioni alla forzatura istituzionale. E anche a costo di dover fare i conti con la firma di Giorgio Napolitano, che potrebbe avere qualche perplessità sul fatto di apporre il suo sigillo a una riforma importante, che però non ha passato il vaglio del Parlamento.

E Napolitano avrebbe già espresso l’intenzione di valutare attentamente sia i contenuti del decreto, sia il rispetto rigoroso delle procedure. Che l’intera operazione porti la firma del leader leghista lo si capisce anche dalla dinamica degli avvenimenti: il comunicato stampa che annuncia, in tono trionfale, l’approvazione da parte del Consiglio dei ministri del decreto è stato diramato dalla segreteria del ministero delle Riforme e a nome di Umberto Bossi prima ancora che la riunione del Consiglio avesse fine. Il testo è questo: "Il decreto sul federalismo dei comuni è stato approvato definitivamente. Finalmente – ha proseguito Bossi – i Comuni avranno le risorse senza andarle a chiedere col cappello in mano. I soldi resteranno sul territorio dove sono stati prodotti". La chiusa è tutt’altro che istituzionale: "La Lega mantiene le promesse e porta a casa un risultato concreto nell’interesse dei cittadini". La Lega, dunque, non "il governo" o la "maggioranza" nel suo insieme.

Una ventina di minuti dopo, quasi a prevedere le riserve sulla prassi seguita, un comunicato del ministero dell’Economia confermava l’approvazione, facendo però notare che è stata recepito "in maniera assoluta il parere espresso dalla commissione Bilancio del Senato". Per ultima, la nota ufficiale di Palazzo Chigi. Certamente, nel governo e tra i più stretti collaboratori di Berlusconi, c’era qualcuno che sconsigliava lo strappo, suggerendo una via alternativa più attenta alle procedure: ovvero, il Consiglio dei ministri avrebbe licenziato un altro schema di decreto, da sottoporre – stavolta – non alla Bicameralina, con il rischio di una nuova impasse, ma all’aula. Certo, con il passaggio alla Camera e al Senato, ci sarebbe voluto del tempo. Un mese e mezzo. Troppo, ha fatto sapere Umberto Bossi. E il premier, che deve rompere l’assedio mediatico sul caso Ruby, non ci ha messo molto a farsi convincere. Del resto, la linea dura è stata ribadita ieri per tutta la giornata nei vertici e nei numerosi contatti tra Lega e Pdl, prima e dopo l’esito negativo nella bicamerale per l’attuazione del federalismo.

"Il patto con la Lega è saldo, abbiamo i numeri e il governo va avanti", è stato il commento del premier alla notizia negativa che arrivava da Palazzo San Macuto e che rischiava di riaccendere le inquietudini e le voglie elettorali di Bossi. Così il premier ha subito convocato a Palazzo Grazioli il vertice leghista, guidato da Bossi e Calderoli, il ministro dell’Economia Tremonti e il presidente della Bicamerale, La Loggia. In quella sede, un Bossi piuttosto preoccupato per lo stop al federalismo, ha chiesto "un segnale", per "uscire dalla palude, perché altrimenti la nostra gente non capisce". Ma i presenti lo hanno subito rassicurato. E, poche ore dopo, il Consiglio dei ministri ha approvato il decreto. Giovanni Grasso

 

 

4 febbraio 2011

LA CONTESTAZIONE

Le opposizioni insorgono:

"Camere espropriate"

Un inaudito schiaffo al Parlamento, una lesione senza precedenti delle prerogative delle commissioni parlamentari fissate per legge". È un fiume in piena il segretario del Pd Pier Luigi Bersani, quando a sera monta la polemica sulla decisione del Consiglio dei ministri di approvare il testo del federalismo fiscale come se niente fosse. Con toni aspri anche nelle parti più dialoganti dell’opposizione.

"Un vero atto di arroganza. Il governo Berlusconi-Bossi, dopo tanta propaganda, finisce per approvare con un colpo di mano il federalismo delle tasse", sbotta il leader. Insorge compatto il Pd. Di "rottura ingiustificabile" e "atto politico scandaloso" parlano il lettiano Francesco Boccia e Pierluigi Castagnetti. Certo non due pasdaran.

Così come dicono la loro i responsabili dei dipartimenti Economia ed Enti Locali del partito, Stefano Fassina e Davide Zoggia. "La prova di forza voluta dalla Lega e da Berlusconi non attenua la pesante sconfitta politica", dice il primo. Mentre il secondo parla di un’approvazione "semiclandestina" per accontentare l’elettorato nordista, che però presto si avvederà del "bluff". Un "esproprio eversivo" attacca il dipietrista Leoluca Orlando. Ma anche al centro si fanno sentire i "mal di pancia" per la ripresentazione immediata del decreto in sede di Consiglio dei ministri. Per Renzo Lusetti (Udc) "si vuole espropriare il Parlamento delle sue funzioni e non tenere conto del voto legittimo di un organo parlamentare". In una nota congiunta il presidente dei senatori, Gianpiero D’Alia, e il vicepresidente dei deputati, Gian Luca Galletti denunciano "un atto volgare e violento, adottato nella più assoluta illegalità costituzionale, che apre un ulteriore conflitto istituzionale".

Già in giornata numerosi gli interventi polemici sull’interpretazione da dare al voto della Bicamerale. Con l’opposizione che non ci sta a derubricare il voto in pari a un incidente di percorso. Le dà man forte Gianfranco Fini che, intervenendo a un convegno del Terzo settore a Palazzo Marino parla di "situazione senza precedenti". Non sarà asse Bersani-Fini in chiave anti-Cav. Ma la consonanza si registra. Con Bersani che chiede un passo indietro a Berlusconi e rassicura la Lega, con noi il federalismo si fa. Più politica l’esternazione del segretario del Pd: "Se Lega e governo vanno avanti - ha detto Bersani - si finisce nel fosso. Il punto di fondo è che in quel decreto il federalismo non c’è. Quello di oggi non è un incidente politico ma è un inganno che viene a maturazione". Più procedurale l’intervento del presidente della Camera: "La commissione ha sostanzialmente respinto lo schema di decreto legislativo". Perché "chi conosce il regolamento delle commissioni bicamerali sa bene che in caso di pareggio il provvedimento in esame si intende respinto. Non c’è parere sostitutivo e alternativo". A Fini ribatte pronto Gaetano Quagliariello, vice capogruppo al Senato del Pdl. La situazione "paradossale, e contraria ad ogni principio di democrazia parlamentare" deriva "unicamente dal fatto che la composizione della commissione bicamerale non è stata adeguata alla decisione di alcuni parlamentari eletti nelle liste del Pdl di dar vita ad un nuovo gruppo parlamentare e di collocarsi all’opposizione", dice rivolto a Fli.

Gianni Santamaria

 

 

4 febbraio 2011

Federalismo fiscale avanto di forza e tra dubbi

È la logica degli strappi

e non si va lontano

Umberto Bossi aveva avvertito che "se non c’è il "sì", salta tutto". La Commissione bicamerale sul federalismo ha chiuso la partita esprimendo un pareggio, che tecnicamente vale un "no" al decreto attuativo sulla finanza municipale. Ma il governo ha deciso di assegnarsi un tempo supplementare, varando ugualmente un testo che ha recepito "in maniera assoluta il parere espresso dalla commissione Bilancio del Senato". Un blitz rumoroso come uno strappo, che ha confermato che ormai di procede di prova di forza in prova di forza e che ha fatto saltare i nervi alle opposizioni. Si vedrà se salterà qualcos’altro. E come l’accaduto verrà valutato dall’arbitro che sta al Quirinale. Per il leader della Lega si tratta comunque di un boccone amaro, avventurosamente zuccherato in extremis. Una pesante ipoteca e la solita ombra d’origine gravano ancora sul cruciale processo di riorganizzazione dello Stato che non riesce a compiersi in modo lineare e condiviso.

Giorgio Napolitano aveva ricordato come il processo riformatore richieda passaggi successivi nei quali le diverse maggioranze che si avvicendano raccolgano il testimone di ciò che i predecessori sono riusciti a realizzare. In effetti, l’unica riforma approvata definitivamente è stata proprio quella del Titolo V della Costituzione – votata nel 2001, agli sgoccioli della XIII legislatura, con una ristrettissima maggioranza di centrosinistra – che rappresenta solo uno schema, peraltro foriero di una caterva di conflitti istituzionali se non viene articolata in modo da definire le competenze specifiche dei diversi livelli di governo. Quando però si è cercato di dare forma concreta a questa esigenza, prima con la cosiddetta devoluzione, poi con la riforma costituzionale organica approvata dal Parlamento ma bocciata dal referendum e ora con l’approccio fiscale, le tensioni politiche hanno sempre prevalso. Certificando ancora una volta l’impossibilità di svincolare dalle convenienze e dalle controversie sul governo questa come altre tematiche istituzionali.

Eppure La Lega, che nella precedente legislatura di centrodestra si era caratterizzata per la pretesa di autosufficienza proprio sul tema federalista, questa volta aveva adottato una tattica diametralmente opposta, cercando il consenso delle forze di opposizione, un rapporto costruttivo con le rappresentanze delle autonomie locali e regionali, riconoscendo le solide ragioni di chi chiedeva di federare pure la solidarietà. Anche per questo, per gli sforzi che erano stati profusi in tale direzione a costo di mettere in forse alcuni capisaldi del provvedimento a cominciare dalla garanzia di neutralità fiscale, lo smacco per la Lega resta comunque particolarmente grave. Sarebbe miope, però, limitarsi ad osservare le conseguenze politiche dello strappo che comunque è stato formalizzato sulla formazione federalista. Il problema generale che viene in primo piano è quello sul quale si era concentrata l’ultimo richiamo del presidente Napolitano: l’effetto disastroso per qualsiasi processo riformatore del livello insopportabile raggiunto dalla contrapposizione politica e istituzionale. Se sarà possibile, in questo Parlamento, ritrovare le condizioni di un confronto non solamente e reciprocamente distruttivo o se prevarrà la speranza (o l’illusione) che queste condizioni si potranno verificare solo dopo una verifica elettorale, comunque traumatica, è difficile prevedere.

Altre prove sono alle porte e il senso di responsabilità di cui tutti si vantano diventa invece merce piuttosto rara. Le riforme di cui ha bisogno l’Italia, sul terreno istituzionale ed economico, sono un dato di fatto, l’incapacità delle forze politiche di costruire un terreno di confronto fisiologico che ne permetta la realizzazione, anche. Non è, purtroppo una novità, ma nei tempi procellosi di questa fase di profonda crisi internazionale, non solo economica, questa contraddizione paralizzante rischia di far pagare prezzi assai pesanti.

Sergio Soave

 

 

 

 

 

 

2011-01-28

27 gennaio 2011

NUOVO TESTO

Federalismo, scomparsi i bonus

per le famiglie numerose

La cedolare secca sugli affitti cambia di nuovo: l'aliquota sui canoni liberi scende al 21 dal 23% e il proprietario non potrà cambiare il canone nemmeno per l'adeguamento all'inflazione. Lo si legge nel nuovo testo (il terzo) del decreto sul federalismo municipale che il governo ha depositato oggi in Parlamento per superare le critiche di opposizioni e sindaci, in vista del voto in commissione bicamerale del 3 febbraio prossimo.

Nel caso di canoni concordati l'aliquota scende al 19% dal 20 del precedente testo. Il nuovo decreto prevede anche che la cedolare, a cui si aderisce su base volontaria, non abbia effetto se il proprietario non ha "dato preventiva comunicazione" all'inquilino con una lettera raccomandata. Scompaiono invece le agevolazioni per le famiglie numerose chieste dal terzo polo (Fli, Udc, Mpa e Api) nel limite di 400 milioni di euro. I comuni avranno diritto a una quota del gettito raccolto con la cedolare secca pari al 21,7% nel 2011 e al 21,6% dal 2012.

SBLOCCO ADDIZIONALI IRPEF DA SUBITO MA CON LIMITI

Come atteso, i comuni incassano lo sblocco delle addizionali comunali sull'Irpef anche se con un alcune limitazioni. Il governo dovrà emanare infatti entro sessanta giorni dall'entrata in vigore del federalismo municipale un decreto per disciplinare "la graduale cessazione, anche parziale", del blocco. Tecnicamente, il decreto sarà emanato dal presidente del Consiglio su proposta del ministero dell'Economia e d'intesa con i comuni. Nel caso in cui il governo non dovesse approvare il decreto, i comuni che non hanno l'addizionale o ce l'hanno in misura inferiore allo 0,4% potranno aumentarla nei "primi due anni" di 0,2 punti percentuali. I comuni con popolazione superiore a 10.000 abitanti potranno anche stabilire addizionali Irpef differenziate "in relazione agli scaglioni di reddito corrispondenti a quelli stabiliti dalla legge statale". Cambia pure la tassa di soggiorno, che i comuni potranno istituire "in proporzione al prezzo" delle camere di hotel sino a 5 euro per notte. Scompare quindi la soglia minima di 50 centesimi.

Potranno istituire la tassa di soggiorno non solo i comuni capoluoghi di provincia ma anche le unioni di comuni e i comuni che rientrano negli elenchi regionali delle località turistiche o delle città d'arte.

ALIQUOTA IMU ALLO 0,76%

Altra novità del nuovo testo, i comuni potranno istituire imposte di scopo per finanziare opere pubbliche. Scompare dal 2012 nelle Regioni a statuto ordinario l'addizionale all'accisa sull'energia elettrica e viene corrispondentemente aumentata l'accisa erariale. I sindaci la spuntano anche su un altro elemento: il decreto fissa da subito allo 0,76% l'aliquota dell'imposta municipale propria, che dal 2014 accorperà per le seconde e terze case Ici e Irpef su redditi immobiliari.

Il governo potrà però modificare l'aliquota con decreto della presidenza del Consiglio "tenendo conto delle analisi effettuate dalla Commissione paritetica sul federalismo fiscale.

Resta la facoltà per i comuni di alzare o ridurre l'aliquota di 0,3 punti percentuali. Nel caso di immobili in affitto, l'aliquota è ridotta della metà e i comuni la potranno modificare di 0,2 punti verso l'alto o verso il basso.

L'UDC: IL GOVERNO MALTRATTA LE FAMIGLIE

Se il Governo pensa che togliendo i vantaggi a favore della famiglia rinuncia definitivamente a un accordo con l'Udc ha colto nel segno: noi continueremo a difendere quelle famiglie che con questo provvedimento l'Esecutivo ancora una volta dimentica e maltratta". Lo dichiarano Gian Luca Galletti, vice presidente dei deputati Udc, e Roberto Occhiuto (Udc), vice presidente della commissione Bilancio della Camera. "Il federalismo della Lega è quello delle tasse contro la famiglia - aggiungono gli esponenti centristi -. Finalmente il Carroccio getta la maschera e svela a chiare lettere che tipo di riforma ha in mente. Nella nuova bozza ci sono nuove tasse (l'imposta di soggiorno e la tassa di scopo) e viene aumentata l'addizionale Irpef comunale. Se è questo il federalismo che secondo la Lega dovrebbe passare alla storia, consiglierei al Governo di rifletterci meglio".

IL PD RESTA ORIENTATO A VOTARE NO

Il Pd resta orientato a votare no al decreto del federalismo fiscale riguardante il fisco municipale. Anche le novità illustrate in commissione dal ministro della Semplificazione, Roberto Calderoli, hanno spiegato in una conferenza stampa il relatore di minoranza Massimo Barbolini, il capogruppo Pd in commissione Walter Vitali, il vice presidente della commissione, Marco Causi e il responsabile economico del partito Stefano Fassina, seppure positive non solo tali da modificare un atteggiamento di contrarietà. "Siamo al tradimento del federalismo - ha detto Fassina - non c'è nessun aumento dell'autonomia impositiva e tutto è basato su una struttura di compartecipazioni ed è ovvio che con lo sblocco delle addizionali Irpef, l'imposta di scopo, quella di soggiorno, ci sarà un aumento di imposte molto significativo a livello locale. Raddoppierà l'Ici ad artigiani, commercianti e piccoli imprenditori. Tutto questo è sufficiente a motivare perchè votiamo contro questo provvedimento".

 

 

 

2011-01-21

21 gennaio 2011

IL PALAZZO E IL PAESE

Federalismo, governo

costretto al rinvio

Il federalismo municipale (forse) può aspettare. Tiene l’asse Berlusconi-Bossi, rafforzato nel vertice dell’altra notte a palazzo Grazioli con lo stato maggiore della Lega, assente (insolitamente) Giulio Tremonti. E tiene proprio in difesa della bandiera della Lega, che arriva in condizioni di inferiorità numerica nella Bicameralina, dove Pdl e Carroccio insieme contano solo14 voti su 30. Ma il muro delle opposizioni e dall’Anci ora fa prendere in considerazione la richiesta, che arriva a gran voce da tutti, di una proroga della delega. "Potremmo dare qualche giorno di proroga", concede a fine giornata Umberto Bossi. Allo stato infatti la delega del decreto legislativo sul federalismo municipale scade il 28, e mercoledì prossimo (26) l’apposita Commissione dovrebbe votare il testo definitivamente. "Vedremo" si era limitato a dire Roberto Calderoli, intestatario della mediazione. Ma anche fra i ministri del Pdl l’ipotesi di una proroga veniva ritenuta "possibile".

"Ieri abbiamo sancito che se non passa il federalismo, si va al voto. Berlusconi è d’accordo. Ma passa al 100 per cento", così Bossi aveva commentato l’esito del vertice dell’altra notte a palazzo Grazioli, dove era andato scortato da Maroni e Calderoli, dai capigruppo Bricolo e Reguzzoni e dai governatori Zaia e Cota, insieme a Rosy Mauro. Ma nel corso della giornata nella stessa Lega era iniziato a serpeggiare il dubbio se non fosse il caso di prendere tempo, per provare a scompaginare il fronte, compatto, di autonomie locali e opposizioni, auspicando che nel frattempo possa anche raffreddarsi il clima infuocato innescato dal caso-Ruby, che certo non aiuta. "Tutti insieme devono abbassare i toni, anche i magistrati", aveva auspicato Bossi. Un orientamento sul quale deve aver avuto un’influenza anche la mediazione del Quirinale, evocato non a caso con parole di grande apprezzamento dal senatur. Napolitano "è un uomo di grande buonsenso", aveva detto Bossi mantenendo l’asse ormai consolidato con il Colle, celebrazioni a parte.

Poi nuovo vertice serale a Plazzo Grazioli, con Bossi e Calderoli. E l’ipotesi di una proroga per il federalismo municipale (che scade, come detto, il 28 gennaio) avanza a grandi falcate: "Ne abbiamo discusso insieme e il ministro Calderoli si è riservato di dare una risposta dopo il consiglio dei ministri", conferma il presidente della Bicamerale per il federalismo Enrico La Loggia. Più complessa l’altra questione affacciata dalle opposizioni di una proroga della scadenza del decreto sul federalismo nella sua integralità, che scade a due anni dall’approvazione, ossia a maggio. Per questa seconda questione servono specifiche "previsioni normative", ha aggiunto La Loggia.

Calderoli, intanto, continua a fare il pompiere: "Ci può essere una stagione di riforme e di rilancio dell’economia", auspica il ministro della Semplificazione. Naturalmente avrà voce in capitolo, sulla decisione, oggi, anche il ministro dell’Economia, che non si pronuncia nel merito, ma intanto sottolinea l’assoluta necessità di non interrompere il dialogo con l’Anci. Il confronto col presidente Sergio Chiamparino "continua", sottolinea il ministro dell’Economia, giudicando la discussione con lui "assolutamente positiva". Che è un modo indiretto per dire a sua volta, che, se serve, per un supplemento di riflessione, ne può valere la pena.

Angelo Picariello

 

 

 

21 gennaio 2011

IL PALAZZO E IL PAESE

Comuni e opposizioni: così non va

Irricevibile. In una giornata lunghissima che potrebbe segnare i destini della legislatura, la proposta del governo sul federalismo fiscale viene bocciata su tutta la linea da Comuni e opposizioni. L’alleanza a tre tra Anci, Pd e terzo polo, con le Regioni alla finestra, spiazza l’esecutivo, anche se i segnali di malessere da parte degli enti locali erano noti da tempo. Se ne fa interprete, al termine dell’ufficio di presidenza dei sindaci, Sergio Chiamparino che a mezzogiorno attacca: "Il decreto sul fisco municipale lede l’autonomia dei Comuni".

Sullo sfondo, c’è una vecchia rivendicazione avanzata dai primi cittadini: serve maggior coinvolgimento nelle decisioni di finanza pubblica e invece "la fortissima accelerazione" imposta dalla Lega "estromette le autonomie locali e i Comuni dal confronto". Di più: sugli interventi di coesione sociale, "il decreto è incostituzionale". A nulla serve l’incontro pomeridiano tra Chiamparino e il ministro Calderoli, affinché il testo in discussione torni in sede di Conferenza unificata. Nel frattempo, però, sul cammino del provvedimento è già esploso un altro caso politico. "Il testo sul federalismo così com’è non ci piace – annuncia Mario Baldassarri, presidente Fli della commissione Finanze del Senato –. Presenteremo un emendamento al disegno di legge di conversione del decreto milleproroghe per prorogare i tempi della delega. Se ce lo bocceranno, voteremo no". "Dobbiamo pensare agli interessi dei Comuni e dei cittadini – ribadisce in serata Italo Bocchino – Se sarà posto il ricatto, approvare il decreto o elezioni, pazienza: andremo alle elezioni".

Dalle parole del capogruppo futurista alla Camera, emerge in modo netto l’alleanza tra sindaci e opposizione parlamentare. Tra le perplessità, c’è la ripartizione dei fondi e la compartecipazione al gettito dei tributi statali, col rischio condiviso dalle Regioni che l’apertura di più tavoli finisca per sottrarre risorse ai diversi livelli di governo. Se ne fa interprete il presidente della Regione Lazio, Renata Polverini, secondo cui "il testo del federalismo municipale originariamente era molto diverso da quello che è uscito in queste ore. Speriamo non accada la stessa cosa con il testo relativo al federalismo regionale".

Insomma, l’incertezza regna sovrana e ad approfittarne è anche il Pd che, insieme al terzo polo, chiede in Commissione Bicamerale una proroga dei tempi della legge 42, per consentire un esame più approfondito dei decreti attuativi del federalismo fiscale e del testo relativo al fisco municipale. "Un decreto già negativo ci è stato proposto in modo totalmente stravolto. O loro rinviano e ci rimettiamo a discutere o votiamo contro" chiarisce in serata Pier Luigi Bersani. E mentre il Tesoro tenta una difficile mediazione con Chiamparino e i sindaci, i centristi e il partito democratico promettono per oggi un pacchetto di modifiche a favore dei primi cittadini. L’alleanza contro il federalismo del centrodestra sembra essere soltanto agli albori.

Diego Motta

 

 

 

 

 

 

2010-07-01

30 Giugno 2010

RIFORME

Tremonti: "Il federalismo costa se non si fa"

"Il costo c'è se non si fa il federalismo, se si lascia fuori controllo la finanza pubblica". Lo ha sottolineato il ministro dell'Economia, Giulio Tremonti, nel corso della conferenza stampa al termine del Consiglio dei ministri che ha approvato la relazione sui costi del federalismo. "Se volete dividere - ha aggiunto Tremonti - non fate il federalismo fiscale, se volete evitare che si divida facciamo il federalismo fiscale".

"Abbiamo avviato la simulazione su Provincie e Comuni, sulle Regioni non siamo pronti a dire cosa dare di fiscalità propria, lo sapremo a luglio - ha aggiunto Tremonti -. Tra luglio e settembre avremo i

numeri di quelli che non saranno tagli ma risparmi", derivanti dal federalismo fiscale. Al momento, aggiunge Tremonti, "non siamo ancora in grado di dare il numero del risparmio". Dopo il risultato dei costi standard "daremo il numero".

Inoltre, il titolare del dicastero dell'Economia, ha ribadito che la prima casa non verrà tassata: il governo infatti intende dare in mano ai comuni le imposte sugli immobili ma l'intenzione è quella di far confluire in un'unica imposta le diverse tasse immobiliari che ci sono oggi. Tremonti ha poi puntualizzato che su questo saranno i comuni a decidere.

"Il federalismo fiscale è in grado di unire", ha poi ribadito il ministro per la Semplificazione nomativa Roberto Calderoli, affermando che si tratta dell'unico strumento per uscire da questa crisi. Nel corso della riunione, ha spiegato, "c'è stato un applauso corale al ministro Bossi e al ministro Tremonti, cosa che non accade quando porta provvedimenti di altra natura".

 

 

 

 

 

 

 

CORRIERE della SERA

per l'articolo completo vai al sito Internet

http://www.corriere.it

2011-07-29

Dopo le obiezioni del Quirinale

Ministeri al Nord, il Carroccio insiste

"Sono trasferibili anche per legge"

In Consiglio Federale citate norme in cui "si stabilisce che Roma è sede del governo ma non si parla di ministeri"

Inaugurazione degli uffici ministeriali a Monza (Ansa)

Inaugurazione degli uffici ministeriali a Monza (Ansa)

MILANO - Sui ministeri al Nord la Lega non molla. E malgrado le obiezioni del Quirinale, torna ad affrontare la questione anche nel corso del Consiglio Federale del partito. Nella riunione si è detto in sostanza che il trasferimento dei ministeri è già, di fatto, "previsto per legge". A questo proposito, raccontano diversi partecipanti, sono stati citati l'articolo 2, comma 4, del Decreto Ministeriale del 29 ottobre 2001 e il Regio Decreto numero 33 del 1871. In queste norme, "è stato sottolineato nel corso della riunione, si stabilirebbe che Roma è sede del governo, ma non si parla dei ministeri".

Redazione online

29 luglio 2011 20:43

 

 

 

 

 

 

2011-07-28

Il leader della Lega: "Li abbiamo fatti e ora li lasciamo là". Ma il premier frena

Ministeri a Monza, scontro Colle-Lega

"Incostituzionali". "Non si toccano"

E Berlusconi: bisogna tenere conto dei rilievi. Bossi aveva replicato ai dubbi del capo dello Stato:"Non si preoccupi"

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Le targhe che segnalano le sedi decentrate di alcuni ministeri alla Villa Reale di Monza (Imagoeconomica)

Le targhe che segnalano le sedi decentrate di alcuni ministeri alla Villa Reale di Monza (Imagoeconomica)

MILANO - Le sedi staccate dei ministeri inaugurate a Monza lo scorso weekend non si toccano. Lo ha detto ribadito in mattinata leader della Lega Nord, Umberto Bossi, che ha voluto rispondere indirettamente anche al presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, che nei giorni scorsi aveva espresso preoccupazione per un atto considerato non in linea con la Costituzione e con altre leggi dello Stato. Proprio oggi sono usciti i contenuti della lettera che Napolitano aveva inviato al premier esternandogli i propri dubbi in materia. E proprio Silvio Berlusconi in Consiglio dei ministri ha rivoltoun "pressante invito" all'intera squadra di governo "a tenere in debito conto le osservazioni formulate dal Presidente della Repubblica sulle recenti istituzioni di sedi periferiche di strutture ministeriali ed ha quindi chiesto a tutti i Ministri di tenere comportamenti conseguenti".

CONFLITTO CON LA COSTITUZIONE - Napolitano, in particolare, ha sollevato dubbi sulla costituzionalità di un provvedimento "non avente connotati di particolare rilievo istituzionale". Per il Colle, questa scelta "confliggerebbe con l'articolo 114 della Costituzione che dichiara Roma Capitale della Repubblica, nonché con quanto dispongono le leggi ordinarie attuative". C'è poi la questione dell'impiego di risorse pubbliche: "L'apertura di sedi di mera rappresentanza - ha sottolineato - costituisce scelta organizzativa da valutarsi in una logica costi-benefici che, in ogni caso, dovrebbe improntarsi, nell'attuale situazione economico-finanziaria, al più rigido contenimento delle spese e alla massima efficienza funzionale" (LEGGI il testo integrale della lettera di Napolitano a Berlusconi).

I DUBBI NELLA MAGGIORANZA - La decisione di aprire una sede di rappresentanza nella Villa Reale era stata duramente attaccata dall'opposizione, ma anche all'interno della maggioranza si erano registrate prese di posizione fortemente critiche nei confronti di una scelta non condivisa. I "pompieri" del Pdl e di Popolo e Territorio hanno cercato di spegnere il fuoco delle polemiche sottolineando che non si tratta di veri e propri spostamenti di ministeri ma di sedi distaccate utilizzate dai ministri quando si trovano al Nord (i ministeri in questione sono due a guida leghista, Riforme e Semplificazione, di cui sono titolari Bossi e Calderoli, e quello dell'Economia, retto da Giulio Tremonti). Ma la mossa non è piaciuta a molti esponenti autorevoli del Pdl, a partire dal sindaco di Roma, Giorgio Alemanno, che ancora oggi è tornato a tuonare contro Bossi parlando di "comportamento irresponsabile". E così pure Renata Polverini, presidente della Regione Lazio: "E' evidente che ha ragione Napolitano". E quello di Bossi "è un comportamento che non porta da nessuna parte, in senso positivo, questo Paese".

Bossi e Calderoli durante l'inaugurazione della nuova sede dei loro dicasteri (Imagoeconomica)

Bossi e Calderoli durante l'inaugurazione della nuova sede dei loro dicasteri (Imagoeconomica)

"LA' SONO, LA' RESTANO" - Umberto Bossi sembra però non preoccuparsi di proteste e malumori. E al capo dello Stato manda a dire a mezzo stampa: "Che non si preoccupi". "I ministeri li abbiamo fatti e li lasciamo là" ha sottolineato il ministro delle Riforme aggiungendo che "il decentramento non è solo una possibilità ma un'opportunità per il Paese". Il Senatur ha anche risposto con un "sì" a chi gli chiedeva se il premier oggi ha parlato della lettera del Capo dello Stato, durante il Consiglio dei ministri, "ma non c'è stato dibattito", ha aggiunto.

Redazione Online

28 luglio 2011 16:28

 

 

 

 

 

2011-04-05

potrebbero anche mantenere l'ordine pubblico su ordine del presidente regionale

La Lega: un esercito per ogni Regione

La Russa: "Difesa non si parcellizza"

Il Carroccio presenta una proposta di legge per istituire delle milizie sul modello della Guardia nazionale Usa

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Il leader della Lega Umberto Bossi (Ansa)

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MILANO - Sfumato il sogno delle guardie padane arriva l'idea dell'esercito per ogni regione. E' questo l'obiettivo che si propone di raggiungere la Lega se venisse approvata la proposta di legge presentata alla Camera che prevede di costituire degli eserciti regionali, sul modello della Guardia nazionale americana, che siano pronti a intervenire in caso di calamità naturali, di gravi attentati, di incidenti alle infrastrutture o ai siti produttivi e per mantenere l'ordine pubblico qualora il consiglio dei ministri o i governatori regionali lo deliberino.

LE MILIZIE - Il provvedimento, che porta la firma di tutti i componenti del gruppo del Carroccio (ad eccezione del capogruppo Marco Reguzzoni) prevede che le "milizie" siano composte, tra l'altro, da cittadini italiani volontari cessati dal servizio senza demerito con età inferiore ai 40 anni. Il reclutamento, secondo la Pdl della Lega, avverrebbe su base regionale e "stante il carattere di milizia che si vorrebbe attribuire al corpo, è previsto che i battaglioni abbiano prevalentemente il carattere di strutture-quadro espandibili attraverso la mobilitazione". I volontari dovrebbero prestare servizio un mese all'anno e sarebbero risarciti con una retribuzione dei parigrado dell'esercito.

LA RUSSA - Bocciata dal ministro La Russa l'idea degli eserciti regionalizzati: "In ogni paese, anche il più federalista del mondo, l'esercito non viene mai regionalizzato o parcellizzato. È una delle caratteristiche dello stato unitario, ma anche dei Paesi federali", ha detto il ministro della Difesa. "Non conosciamo la proposta di legge - ha affermato La Russa - non so esattamente chi l'ha presentata e mi riservo di valutarla quando torno in Italia".

IDV E PD - "Gli eserciti regionali sono l'ultima follia leghista, l'evoluzione delle ronde padane, l'eterna tentazione del Carroccio di creare uno stato nello Stato" afferma il presidente del gruppo Idv alla Camera Massimo Donadi. Stesso allarme rosso da parte del Pd: "Gli esponenti della Lega non paghi di aver diffuso nel Paese un senso di divisione e di distanza tra i territori che sta portando a pericolosi estremismi, non paghi di aver fatto da untori di egoismi e razzismi di ogni sorta, non paghi di aver confuso il federalismo con il separatismo, ora propongono gli eserciti regionali? Per mantenere l'ordine pubblico, per intervenire in caso di calamità naturali o di gravi attentati o di incidenti alle infrastrutture abbiamo le forze dell'ordine, abbiamo i vigili del fuoco, la protezione civile? Ma La Russa lo sa? E che ne pensa? Se non è l'ennesima boutade o un'ultima trovata pre-elettorale di un partito in difficoltà nel governo dell' immigrazione, l'allarme è davvero alto" spiega Rosa Villecco Calipari, vicepresidente dei deputati Pd.

BURLANDO - "È una proposta senza senso, che segnala il fallimento della politica della Lega sui temi dell'ordine pubblico, è l'ennesima trovata". Così il presidente della Regione Liguria, Claudio Burlando, definisce la proposta della Lega. "Emergenze come quella attuale dei profughi nordafricani - spiega Burlando - in Europa si sono avute in passato, con le guerre nei Balcani, nel Kosovo, in Albania. Ma non sono state affrontate così come fa il governo italiano". "Per esempio, noi abbiamo detto che faremo la nostra parte nell'accoglienza dei profughi. Abbiamo dichiarato: ci prenderemo quelli che ci date. Non ci hanno indicato neanche un nome. Andiamo a Roma, spendiamo pure dei soldi, e poi non si fa nulla. Il fatto è che, per l'ennesima volta, la destra gioca sulla contrapposizione interna, in termini propagandistici, senza affrontare il problema. Non c'è la minima coerenza -prosegue Burlando- a Mineo e a Manduria definiscono i profughi clandestini e li mettono nei Cie, a Ventimiglia no, nella speranza che siano i francesi a risolvere il problema. Non ci si comporta così".

Redazione online

04 aprile 2011

 

 

2011-03-19

Federalismo | Lunedì le correzioni al "decreto Calderoli".

Arriva il superbollo regionale sui Suv

Antonini: già quest'anno le addizionali Irpef potranno salire all'1,4%

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Arriva il superbollo regionale sui Suv

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CERNOBBIO - Un superbollo sui Suv e le automobili di grossa cilindrata, a discrezione delle Regioni. Il governo sarebbe pronto a fare un nuovo passo avanti nei confronti dei governatori, ma soprattutto del Partito democratico, per ottenere un via libera condiviso e bipartisan al decreto sul fisco regionale, il nuovo tassello del federalismo fiscale in discussione in Parlamento. La proposta dell'esecutivo deve ancora essere formalizzata, ma i sondaggi informali sono stati già avviati ed i primi riscontri sarebbero positivi. E potrebbe essere accompagnata da altre concessioni, che i tecnici del governo stanno studiando in queste ore, sempre con l'obiettivo di arrivare ad un'intesa.

Sarà forse anche per questo che il Partito democratico, dopo aver seccamente respinto la prima mediazione del ministro Roberto Calderoli, che già recepiva dieci delle dodici proposte del partito, sembra aver ammorbidito la sua posizione. "La porta sul federalismo non è chiusa, non è ancora detta l'ultima parola", ha affermato ieri il segretario del Partito, Pier Luigi Bersani, a margine del forum della Confcommercio a Cernobbio. Per poi ripetere nel corso del seminario che, sebbene non condivida l'impostazione di fondo del federalismo fiscale concepito dal governo, "sul fisco regionale avremo un atteggiamento realistico e costruttivo. Vedremo nel merito le cose e poi valuteremo".

I dettagli del superbollo devono essere ancora messi a punto, ma la sovrattassa, che sarebbe comunque facoltativa per le Regioni, colpirebbe le autovetture di potenza superiore ai 130 cavalli fiscali. E sarebbe ovviamente aggiuntiva al bollo auto che si paga oggi alle Regioni. Alle Regioni la sovrattassa sui fuoristrada e le auto di lusso aiuterebbe a compensare, anche se solo in parte, il taglio dei trasferimenti per 4 miliardi attuato l'anno scorso dal governo. Che, in aggiunta, è pronto a mettere sul piatto altri 420 milioni per coprire i costi del trasporto pubblico locale nel 2011. Queste risorse sono state già promesse ai governatori, ma nel nuovo testo del decreto sul fisco regionale che il ministro delle Riforme, Roberto Calderoli, dovrebbe presentare alla Bicamerale lunedì prossimo verrebbero individuate anche le coperture finanziarie per blindare l'intesa.

Certo, il superbollo è pur sempre un balzello, e anche se potenzialmente dovrebbe colpire i "ricchi", bisognerà vedere se convincerà fino in fondo il Pd, restio a dare appoggio ad un federalismo che nasce con un aumento delle tasse locali e, a dire di Bersani, "non si sa dove porterà". Lo sblocco già nel 2011 delle addizionali Irpef "bloccate dal governo Berlusconi nel 2008 - ribatte Luca Antonini, presidente della Commissione paritetica tra governo ed enti locali sul Federalismo - è inevitabile: il federalismo e l'autonomia impositiva delle Regioni non possono partire con le aliquote congelate". Manovrare quelle aliquote, sapendo che lo Stato non ripianerà più i debiti, sarà una responsabilità politica dei governatori. Lo stesso per i presidenti di Provincia e le tasse sull'Rc Auto: potranno portarle dal 12,5% fino al 16%, o ridurle al 9%. Potenzialmente sono 600 milioni di tasse in più per i cittadini, "ma poi gli amministratori locali - conclude Antonini - dovranno risponderne ai loro elettori, che finalmente sapranno quanto costano i servizi e quanti sono gli sprechi".

Mario Sensini

19 marzo 2011

 

2011-03-10

La norma dava contributi ai soldati delle regioni del Nord

Camera: maggioranza battuta sulla legge per gli Alpini. Lega infuriata

Pd: discriminante, solo uno spot per avere voti. Fli: "Si fanno un "Vietnam" da soli. Ed è solo l'inizio..."

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La caserma del 5° reggimento Alpini della brigata Julia a Vipiteno (Ansa)

La caserma del 5° reggimento Alpini della brigata Julia a Vipiteno (Ansa)

MILANO- La maggioranza è stata battuta Camera per nove voti. L'Assemblea ha infatti deciso di rinviare alla commissione Difesa la proposta di legge sugli incentivi per favorire il reclutamento di volontari nei reparti degli Alpini nelle regioni del Nord (più Abruzzo e provincia di Isernia). Ora gli Alpini sono composti per quasi il 70% da soldati provenienti dal meridione.

RIEQUILIBRIO - Per riequilibrare la composizione geografica delle truppe, un gruppo di parlamentari leghisti (più Edmondo Cirielli, salernitano del Pdl) aveva presentato una proposta di legge che prevede agevolazioni fiscali e assistenziali ai volontari in ferma prefissata e in rafferma che risiedono negli stessi territori dove prestano servizio. Gli incentivi comprendono anche una riserva di posti nei concorsi pubblici in relazione a impieghi nei campi della sicurezza e protezione civile. Il brevetto militare alpino poi varrà come titolo preferenziale.

COMMENTI - "Chi non ha voluto discutere il provvedimento sugli alpini abbia almeno la decenza di non presentarsi più di fronte ai militari. Il voto mancato di oggi è un tradimento nei confronti delle migliaia di ragazzi che svolgono il loro dovere con abnegazione e altissimo senso di solidarietà", ha detto il deputato leghista Davide Caparini. "Valorizzare la specificità dell'identità degli Alpini significa dare una risposta concreta anche ai tanti meridionali che oggi sono costretti a prestare servizio per necessità e non per vocazione". "Rispedire in Commissione la proposta di legge è una scelta di responsabilità. Noi non siamo contrari a incentivi per i militari, ma non è accettabile che i partiti politici, come la Lega, utilizzino le forze armate al solo fine di aumentare i loro consensi a discapito della storia e dell'onorabilità dei nostri soldati", replica Gianfranco Paglia, maggiore della Folgore e deputato di Futuro e libertà. "Noi siamo pronti a fare un intervento serio a sostegno degli Alpini e di tutte le forze armate, ma la maggioranza ha scelto la strada dello spot che per noi è inaccettabile", ha dichiarato Ettore Rosato, deputato Pd della commissione Difesa. "Il voto di oggi ha dimostrato che la maggioranza in aula è in grado di esserci solo per i voti di fiducia e per i provvedimenti che riguardano i processi di Berlusconi", ha aggiunto il capogruppo Pd Dario Franceschini. "Oggi c'è stato il primo caso di "Vietnam parlamentare", ma è la maggioranza che se lo fa da sola con le assenze dei suoi deputati. E siamo solo all'inizio", lascia presagire sviluppi il vice capogruppo di Fli alla Camera, Carmelo Briguglio. Ai banchi del governo c'erano a votare solo i ministri Matteoli e Vito e i sottosegretari Cossiga e Martini.

Redazione online

09 marzo 2011(ultima modifica: 10 marzo 2011)

 

 

2011-03-03

SALTA L'INTESA DI DICEMBRE

Federalismo, altolà delle Regioni

Errani: "L'esecutivo non ha onorato impegni presi". Calderoli: "Il governo rispetterà gli impegni"

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Vasco Errani (Eidon)

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ROMA - "Al governo abbiamo detto che, dal momento che non ha onorato i contenuti dell'accordi siglato nel dicembre scorso, l'intesa sul federalismo regionale per noi non c'è". A dirlo è stato il presidente della Conferenza delle Regioni e delle Province autonome, Vasco Errani, al termine della conferenza Stato-Regioni. "Le Regioni vanno a questo incontro con il ministro dell'Interno, Roberto Maroni, con la piena disponibilità a costruire un quadro concertato di azioni che impegni tutta la Repubblica italiana" ha detto Errani, al termine della conferenza Stato-Regioni e poco prima dell'inizio dell'incontro con Maroni sull'emergenza Libia. "Ascolteremo cosa il ministro avrà da dirci - ha concluso Errani - e poi faremo le nostre valutazioni".

CALDEROLI: "IL GOVERNO RISPETTA GLI IMPEGNI" - Ma, secondo il ministro per la Semplificazione normativa, Roberto Calderoli, "il problema sollevato da Errani non si pone: il governo ha raggiunto un'intesa, con Regioni, Comuni e Province, sul decreto sul federalismo regionale e provinciale, ad una serie di condizioni che il governo intende rispettare completamente".

SITUAZIONE MOLTO CRITICA - L'accordo con il governo siglato a dicembre, che ha portato le regioni a dare l'intesa sul decreto di attuazione del federalismo che le riguarda, deve essere concretizzato "rapidissimamente". Si tratta "di un punto molto importante. La situazione è molto critica". Vasco Errani, torna sull'accordo siglato il 16 dicembre scorso con il ministro della Semplificazione, Calderoli, per il finanziamento del trasporto pubblico locale e per i tagli previsti dalla manovra. A margine della Stato-regioni, ai giornalisti Errani spiega: "Visto che il governo non ha ancora onorato l'accordo di dicembre, che comprendeva anche il federalismo regionale, per noi quell'accordo non c'è. Ciò significa che il governo deve rapidissimamente deve far fronte agli impegni che abbiamo condiviso".

NUCLEARE - Le autonomie hanno anche espresso il loro parere sul decreto relativo ai criteri per la localizzazione degli impianti nucleari. "La maggioranza delle regioni ha espresso un parere negativo. Solo 4 regioni ossia Piemonte, Lombardia, Campania e Veneto - ha detto Errani - hanno espresso un parere favorevole mentre le altre hanno espresso un parere contrario".

CALDEROLI: "IL GOVERNO RISPETTERA' GLI IMPEGNI" - "Il governo ha raggiunto un'intesa, con Regioni, Comuni e Province, sul decreto sul federalismo regionale e provinciale, ad una serie di condizioni che il governo intende rispettare completamente. Pertanto il problema sollevato dal governatore Errani non si pone". il ministro per la Semplificazione normativa, Roberto Calderoli.

TG REGIONALI - "Abbiamo rappresentato alla commissione di Vigilanza Rai - ha aggiunto poi Errani - la necessità di sensibilizzare i vertici Rai rispetto alla prospettata cancellazione della edizione serale dei telegiornali regionali", ha dichiarato Vasco Errani. "Su questo tema abbiamo riscontrato interesse e sensibilità da parte di tutti i commissari. Si tratta di garantire il diritto all'informazione e in questo momento in cui si discute sulle necessità di un processo federalista si dovrebbe prevedere valorizzare e ampliare i notiziari regionali".

Redazione online

03 marzo 2011

 

 

 

 

 

2011-03-02

Berlusconi in aula con il fazzoletto verde della Lega nel taschino della giacca

La Camera vota il federalismo comunale

Approvata la risoluzione con 314 sì, 291 no e 2 astenuti. Berlusconi: sono tranquillo, possiamo arrivare a 322 voti

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Berlusconi con il fazzoletto verde

ROMA- La Camera conferma la fiducia al governo approvando la risoluzione di maggioranza relativa al testo sul federalismo fiscale municipale. La risoluzione è passata con 314 sì e 291 no e 2 astenuti.

Silvio Berlusconi era in aula alla Camera con il fazzoletto verde della Lega nel taschino della giacca. Subito dopo il voto di fiducia, racconta Giacomo Stucchi, "Maroni mi ha preso il fazzoletto e l'ha messo nel taschino di Berlusconi". Il quale ha ostentato serenità e soddisfazione per il risultato ottenuto, anche se 314 non rappresenta la maggioranza assoluta dell'Aula: "Sono tranquillo, sapevamo che c'erano alcuni malati e due in missione - ha detto il premier -. Altrimenti saremmo a quota 322". Anche se in realtà i voti mancanti all'appello sono stati solo 5 (un leghista non ha votato, due pidiellini erano assenti e due in missione) e quindi anche se fossero stati tutti presenti la maggioranza sarebbe stata di 319 voti e non 322.

Bandiere in Aula Bandiere in Aula Bandiere in Aula Bandiere in Aula Bandiere in Aula Bandiere in Aula Bandiere in Aula Bandiere in Aula

IL VOTO - Ad astenersi sono stati i due deputati delle Minoranze linguistiche, Brugger e Zeller. I deputati in missione erano sette, di cui due del Pdl (i presidenti di commissione Gianfranco Conte e Paolo Russo), Salvatore Lombardo e Carmelo Lo Monte dell'Mpa (che pure aveva svolto la dichiarazione di voto per il suo partito), la Liberaldemocratica Daniela Melchiorre, Luca Volontè dell'Udc e Mario Brandolini del Pd. A non partecipare al voto sono stati in 15. Per la maggioranza erano assenti Giancarlo Abelli e Giuseppe Palumbo del Pdl, Daniele Molgora della Lega, Antonio Gaglione e Calogero Mannino del gruppo Misto. Quanto all'opposizione, non hanno risposto alla chiama Andrea Ronchi e Giulia Cosenza di Fli, Roberto Commercio e Ferdinando Latteri dell'Mpa, Sergio Piffari di Idv, Marco Fedi e Maria Paola Merloni del Pd e Anna Teresa Formisano e Luca Volontè dell'Udc. Alla chiama non ha risposto neppure il liberaldemocratico Italo Tanoni. L'unico gruppo presente con il 100% dei suoi deputati è stato Iniziativa Responsabile.

Umberto Bossi con il ministro Roberto Calderoli, il capogruppo Marco Reguzzoni e il sottosegretario Francesca Martini (Ansa)

Umberto Bossi con il ministro Roberto Calderoli, il capogruppo Marco Reguzzoni e il sottosegretario Francesca Martini (Ansa)

BOSSI: "BUONA LEGGE" - Raggiante, come prevedibile, il leader della Lega, Umberto Bossi, che ha definito il voto di Montecitorio "un giro di mattoni in più, siamo quasi al tetto. Ora abbiamo iniziato anche il federalismo regionale". "La perfezione non esiste", ma quella sul fisco municipale "è una buona legge" aveva detto lasciando l'Aula della Camera dopo aver votato la fiducia al governo sul decreto legislativo. Dopo la fiducia della Camera sul federalismo municipale è più probabile che si finisca la legislatura? "Noi vogliamo completare il federalismo, poi vediamo. Restiamo con in piedi per terra", risponde Bossi. Che è sibillino anche nel rispondere a chi gli chiede se l'asse con Berlusconi tenga: "Per adesso tiene". Poi il leader della Lega precisa: "Berlusconi è stato l'unico a darci i voti per il federalismo. Gli altri mi hanno detto 'Fai saltare il miliardario e domani ti votiamo il federalismò, ma Berlusconi i voti in Bicamerale me li dava subito. Non ci possono chiedere di mettere a repentaglio un risultato acquisito". E sull'atteggiamento dell'opposizione aggiunge: "Se uno accetta di far pace vota a favore, poi può essere che si aprono degli spazi...".

Redazione Online

02 marzo 2011

 

 

 

 

 

 

 

2011-02-19

E sulle mobilitazioni nel Nord Africa: "Non ho sentito Gheddafi, non lo disturbo"

"Giusto festeggiare l'Unità d'Italia"

Berlusconi prende posizione sulla ricorrenza del 17 marzo, dopo le polemiche interne alla maggioranza

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Il presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi (Lapresse)

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ROMA - All'indomani della decisione del Consiglio dei ministri di stabilire, ufficialmente, che il prossimo 17 marzo sarà festa nazionale, in occasione del 150esimo anniversario dell'Unità d'Italia, prende la parola sull'argomento anche il capo del governo. E lo fa spiegando che a suo parere è giusta la decisione presa dall'esecutivo, da cui hanno preso le distanze solo i tre esponenti della Lega: Umberto Bossi, Roberto Calderoli e Roberto Maroni (quest'ultimo non partecipando). "Credo di sì, credo valga la pena di festeggiare" ha detto Silvio Berlusconi lasciando Palazzo Grazioli e rispondendo velocemente ai cronisti che lo sollecitavano in merito.

"GHEDDAFI? NON L'HO SENTITO" - Il Cavaliere ha anche affrontato il tema delle mobilitazioni in Nord Africa e a chi gli chiedeva se avesse avuto modo di parlare con il leader libico Gheddafi, con cui ha un rapporto di grande intesa, ha spiegato: "No, non lo ho sentito. La situazione è in evoluzione e quindi non mi permetto di disturbare nessuno". Berlusconi ha in ogni caso precisato che il governo è preoccupato in generale "per tutto quello che sta succedendo in tutta l'area".

"BEN ALI? NON CREDO SIA MORTO" - Il capo del governo italiano dice poi di non credere alle notizie sulla morte dell'ex presidente tunisino Ben Ali. "Si è saputo qualcosa di sicuro su Ben Ali o no?", chiede ai cronisti. I giornalisti gli dicono che secondo fonti francesi non ancora confermati Ben Ali sarebbe morto. E lui replica: "Non credo. Le notizie di ieri, da quella fonte lì, non mi sono state confermate da giù"..

Redazione Online

19 febbraio 2011

 

 

 

 

 

 

 

PArtecipa anche la Chiesa: Napolitano: "In qualche forma ci sarà anche il papa"

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Decisione in Consiglio dei ministri, ma tre rappresentanti leghisti si dissociano. Calderoli: pazzia incostituzionale

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ROMA - Il Consiglio dei ministri ha deciso: il 17 marzo sarà festa nazionale per celebrare la ricorrenza dei 150 anni dall'Unità d'Italia. E ci sarà anche il Papa. "C'è l'impegno, ribadito anche dai cardinali Bertone e Bagnasco per la partecipazione della Chiesa e in qualche forma anche del Pontefice alle celebrazioni: un fatto molto importante", ha reso noto il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano. Secondo quanto apprende l'Ansa, si tratterebbe di un messaggio di Benedetto XVI. Fonti vaticane fanno sapere che non c'è ancora nulla di stabilito. Il messaggio potrebbe essere letto dal cardinale Bagnasco durante la Messa annunciata per il giorno delle celebrazioni.

4 NOVEMBRE SOPPRESSO PER UN ANNO - Una decisione, quella del governo, che, per venire incontro alle proteste arrivate soprattutto dai rappresentanti degli industriali, prevede che "al fine di evitare nuovi e maggiori oneri a carico della finanza pubblica e delle imprese private, per il solo anno 2011 gli effetti economici e gli istituti giuridici e contrattuali previsti per la festività soppressa del 4 novembre non si applicano a tale ricorrenza ma, in sostituzione, alla festa nazionale per il 150mo anniversario dell'Unità d'Italia". Il 4 novembre, dunque, non verrà pagato come festività soppressa.

Umberto Bossi con Roberto Calderoli (Emblema)

Umberto Bossi con Roberto Calderoli (Emblema)

CALDEROLI: FOLLIA - Il governo si è però spaccato sulla decisione: "Non hanno aderito tre ministri" ha detto Ignazio La Russa, ministro della Difesa. Si tratterebbe dei tre rappresentanti leghisti Bossi e Calderoli, mentre Maroni è uscito prima della votazione. Secondo quanto è stato possibile ricostruire, anche il ministro Gelmini ha espresso riserve - se non una vera e propria contrarietà - rispetto al decreto, ma alla fine ha votato a favore. Anche il ministro Sacconi, che nei giorni scorsi si era fatto carico delle perplessità del mondo produttivo e che era fautore della ricerca di una soluzione di compromesso, ha votato a favore. La discussione, sempre secondo quanto è stato possibile ricostruire, è stata accesa: i più strenui sostenitori dell'istituzione della festa sarebbero stati i ministri La Russa e Meloni.

LA LEGA - Roberto Calderoli ha sparato ad alzo zero subito dopo il Cdm: "Fare un decreto legge per istituire la festività del 17 marzo, un decreto legge privo di copertura (traslare come copertura gli effetti del 4 di novembre, infatti, rappresenta soltanto un pannicello caldo e non a caso mancava la relazione tecnica obbligatoria prevista dalla legge di contabilità…), in un Paese che ha il primo debito pubblico europeo e il terzo a livello mondiale e in più farlo in un momento di crisi economica internazionale è pura follia. Ed è anche incostituzionale". Poi ha proseguito con il suo attacco alla decisione: "Come ho già detto sono e resto contrario alla decisione di non far lavorare il Paese il 17 di marzo, sia per il costo diretto che è insito in una festività con effetti civili che per quello indiretto, che proverrà dallo stimolo di allungare la festività in un ponte da giovedì fino a domenica. Se vogliamo rilanciare davvero il Pil di questo Paese, con il decreto legge di oggi abbiamo fatto l'esatto contrario", conclude.

LA RUSSA - "Non c'è nessuna frattura o rottura con la Lega, ma solo una diversità di opinioni. Chiediamo a tutti rispetto, ma non obbligheremo nessuno a festeggiare", ha detto il ministro della Difesa Ignazio La Russa in conferenza stampa al termine del consiglio dei ministri. "Ho parlato con Bossi, dopo il cdm - ha aggiunto La Russa - e gli ho detto che dove il federalismo è più forte, più forte è la spinta nazionale. Le due cose possono e devono andare di pari passo: così come sono un convinto assertore del federalismo solidale, non capisco che ostacoli culturali possano esserci a far procedere di pari passo federalismo e identità nazionale".

LE REPLICHE DEL PDL - "C'è molta soddisfazione per gli effetti positivi che la festa del 17 marzo porterà al settore del Turismo" ha detto Michela Vittoria Brambilla. "Ci sono diverse festività che cadono nel week end e nel lunedì quindi questa festa sarà un'occasione per viaggi in Italia e compenserà l'assenza di altri ponti". E per il ministro della Pubblica amministrazione, Renato Brunetta, celebrare il 17 marzo è "neutrale da un punto di vista economico", anche perché il 2011 è "un anno positivo dal punto di vista dei giorni lavorati". Secondo il ministro della Gioventù, Giorgia Meloni, in Consiglio dei ministri si è "cercata la convergenza e trovata una soluzione che potesse unire e non dividere e, soprattutto, senza rischiare di configurare il 17 marzo come una celebrazione di serie B. Il 17 marzo è la data più unificante che abbiamo e sarebbe stato sbagliato non usare crismi che si utilizzano normalmente per le grandi celebrazioni". Poi sia Meloni che La Russa hanno ringraziato Roberto Benigni per il suo intervento sull'Inno di Mameli dal palco di Sanremo. "Penso che valga la pena, per quello che molti milioni di italiani hanno visto, ringraziarlo per la passione con cui ha raccontato l'Unità d'Italia. Speriamo che ci dia la disponibilità a diffondere la sua rappresentazione tra i ragazzi" ha detto la Meloni.

BERSANI - "È una vergogna avere un governo che riesce a spaccarsi su cose di questo genere": questo il commento del segretario del Pd, Pier Luigi Bersani, alla spaccatura al Consiglio dei ministri sulla festa nazionale del 17 marzo. "È un calcio agli stinchi del Paese - ha detto - una testimonianza in più che in questo momento non abbiamo un presidente del Consiglio in grado di dare una rotta".

Redazione online

18 febbraio 2011

 

 

 

 

 

 

 

 

2011-02-17

I virtuosi in dissesto Gli enti locali

Tasse e Federalismo Tariffe più Care

Per recuperare gettito le bollette aumentano il doppio dell’inflazione

I virtuosi in dissesto Gli enti locali

Tasse e Federalismo Tariffe più Care

Per recuperare gettito le bollette aumentano il doppio dell’inflazione

ROMA - In Italia capita anche questo. Succede che due Comuni praticamente falliti finiscano nell'elenco delle amministrazioni più virtuose, quelle premiate dallo Stato con la possibilità di spendere più soldi rispetto ai limiti ferocemente imposti dal Patto di Stabilità. Possibile che nella lista ci sia anche Catania? La città dove il neosindaco Raffaele Stancanelli, appena eletto a metà 2008, denunciò con le mani tra i capelli un miliardo di debiti nascosti nelle pieghe del bilancio? Dove il suo predecessore era inseguito da torme di creditori di tutte le specie, dai librai cittadini alle ballerine brasiliane? Dove le strade erano al buio perché non erano state pagate le bollette dell'Enel? E dove, per assurdo, il bilancio di quel 2008 appariva talmente in ordine da far guadagnare a Catania un premio da 983.411 euro? Premio, per inciso, negato a città mai censurate per cattiva amministrazione, come Sondrio, Belluno, Asti...

Catania come Taranto. Comune dichiarato ufficialmente in dissesto finanziario e sommerso da un debito pazzesco di 616 milioni di euro, dove succedeva davvero di tutto. Perfino che 23 dipendenti, dopo essersi aumentati lo stipendio da soli rubando alle casse municipali 5 milioni, restassero miracolosamente al loro posto. Una città talmente sprofondata nel buco nero dei debiti, che i liquidatori ci hanno messo tre anni per ricostruire la contabilità e pagare i creditori. Con i denari dei contribuenti, naturalmente. Gli stessi quattrini che due anni dopo hanno permesso alla città di incassare un bel "premio" da 1.378.069 euro.

Difficile spiegare tutto questo. Una sola cosa è certa: l'elezione diretta di sindaci e governatori e la riforma del Titolo V della Costituzione, voluta nel 2001 dal centrosinistra, hanno dato agli amministratori locali maggiori poteri, ma non maggiori doveri. Da allora ad oggi metà della spesa pubblica è passata dal centro alla periferia, ma il compito di tassare i contribuenti è rimasto allo Stato, perché Regioni, Comuni e Province sono responsabili solo del 18% delle entrate. La finanza locale, già caotica, è diventata ancora più disordinata. E indebitata, perché mentre montava il caos normativo e istituzionale, da Roma, inseguendo il risanamento dei conti pubblici, hanno cominciato a tagliare i trasferimenti di bilancio.

Fatto sta che oggi gli italiani si trovano appesantiti, solo a livello locale, da 45 fra tasse, tributi, canoni, addizionali, compartecipazioni, con la pressione fiscale complessiva che è schizzata nel 2009 al 43,5%, al terzo posto fra i Paesi dell'Ocse. Nonostante le promesse di riduzione e semplificazione che ci sentiamo ripetere da almeno dieci anni. Per raggranellare denaro i sindaci hanno dato sfogo alla fantasia. Alcuni hanno anche rispolverato la "tassa sull'ombra" del 1972, che colpisce "la proiezione sul suolo pubblico di balconi, tende e pensiline".

Con le casse sempre più vuote, ma nessuna voglia di incidere sulle spese improduttive, gli enti locali hanno di fatto scaricato sui cittadini i sacrifici imposti dal governo centrale. Aggirando ad esempio il blocco delle addizionali comunali sull'Irpef, in vigore dal 2008, pompando le tariffe. Anche i governi, poi, ci hanno messo del loro. Per esempio con l'abolizione dell'Ici sulla prima casa, l'unica tassa "federalista" vigente in Italia, sacrificata sull'altare dell'ultima campagna elettorale. E pazienza se, come rivelava uno studio dell'Ifel, l'istituto di ricerca dell'Anci, tra il 2004 e il 2009 le tariffe comunali sono cresciute a una media del 3,5% annuo. Il doppio dell'inflazione, con punte stratosferiche per i rifiuti (+29% tra il 2004 e il 2009, e continuano ad aumentare) e i servizi idrici, le cui tariffe crescono in media del 5% l'anno. Dopo l'immondizia e l'acqua, l'ondata dei rincari nel 2010 e in questo primo scorcio del 2011 si è abbattuta su asili nido, mense scolastiche, piscine e impianti sportivi, musei, servizi cimiteriali, trasporto locale. E nel Milleproroghe, appena approvato dal Senato, c'è una nuova sorpresa: tutti i Comuni, anche quelli che non si trovano in emergenza rifiuti, potranno aumentare le tariffe fino a coprire l'intero costo del servizio. Incrociamo le dita.

Il caso dell'Ama, che oltre ad essere l'azienda municipalizzata per l'ambiente del Comune di Roma è anche uno straordinario collettore di voti, forse vale per tutti come cattivo esempio di amministrazione. Il bilancio del 2008 si è chiuso con una perdita monstre di 257 milioni di euro. E il 2009 sarebbe stato archiviato con un altro buco di 70 milioni, senza il contributo di 30 milioni erogato dal Comune e l'aumento delle tariffe per ben 40,8 milioni di euro. E tutto questo mentre i crediti verso gli utenti morosi aumentavano, in dodici mesi, di 108 milioni, raggiungendo la cifra astronomica di 623 milioni di euro. La circostanza non ha comunque impedito all'azienda di assumere nuove legioni di dipendenti: 91 nel 2008, 489 nel 2009, 766 nel 2010. Impiegati, netturbini, perfino 164 spalatori di foglie ingaggiati in un colpo solo. Poi, naturalmente, anche parenti e amici dei politici.

Per rendersi conto del disordine che regna negli enti locali del nostro Paese, del resto, è sufficiente dare uno sguardo a una tabella elaborata dal senatore del Pd, Marco Stradiotto, componente della Bicamerale sul federalismo, sui dati del ministero dell'Interno. Si scopre, per esempio, che su ogni cittadino di Cosenza grava un costo del personale comunale di 506 euro l'anno: quasi il doppio rispetto a una città poco più grande come Cesena (271 euro), e addirittura il 117% in più nei confronti di Catanzaro (233). Per non parlare delle differenze macroscopiche che ci sono fra Regione e Regione. La Sicilia, con metà dei residenti della Lombardia, sopporta una spesa per il personale regionale nove volte superiore (un miliardo 782 milioni contro 202 milioni). E investe nelle infrastrutture ferroviarie 13,9 milioni l'anno, 57 volte meno della Lombardia (786 milioni). Differenze eclatanti, che danno anche la dimensione dell'assistenzialismo in salsa locale.

Il bello è che cominciano a saltare fuori solo adesso. Dopo che i tecnici della Commissione mista tra governo ed enti locali per l'attuazione del federalismo, guidata da Luca Antonini, sono quasi impazziti per riportare su base omogenea i bilanci dei Comuni, dove molte spese sono nascoste dall'esternalizzazione dei servizi, e delle Regioni, scritti in quindici modi diversi. In attesa di quello fiscale, in Italia regna da sempre il federalismo contabile, nel senso che ognuno si fa il bilancio a modo suo. E a nulla sono valsi, finora, i tentativi di mettere un po' d'ordine.

Vi siete mai chiesti perché da qualche tempo in qua se un'amministrazione di destra sostituisce una di sinistra, o viceversa, la prima cosa che fa è mettere i libri contabili in mano a un ispettore del Tesoro? Certamente per scaricarsi delle responsabilità dei predecessori. Ma anche perché i bilanci sono così complicati e poco trasparenti che dentro ci si può nascondere di tutto. Dalla due diligence eseguita dalla Ragioneria generale dello Stato sui conti della Campania, richiesta dall'attuale governatore Stefano Caldoro, sono saltati fuori "bilanci di previsione fortemente sovradimensionati rispetto al reale andamento degli impegni, e pagamenti ancora più incoerenti". Per dire poi come sia possibile piegare i bilanci a ogni esigenza, la Regione, allora guidata da Antonio Bassolino, ha pagato spese che non potevano essere coperte facendosi prestare i soldi dalle banche. Come la manutenzione dei boschi (210 milioni), oppure il servizio di "monitoraggio" (21 milioni) del patrimonio forestale alla Sma Campania, società partecipata dalla Regione che aveva assunto 568 lavoratori socialmente utili. Le cose non vanno meglio con i bilanci dei Comuni. Nell'estate del 2010 la Corte dei conti ha trovato in quello di Foggia cose turche. Non esisteva un inventario dei beni comunali, ma in compenso c'era un contenzioso civile devastante, con decreti ingiuntivi per 30 milioni. Nel bilancio erano contabilizzate come residui "attivi" somme impossibili da incassare. Insomma, una baraonda totale.

I decreti attuativi sul federalismo fiscale ora promettono di metterci una pezza, imponendo l'omogeneità dei bilanci. Ma non a tutti, perché per le Regioni a statuto speciale le regole sono dettate dagli Statuti, che hanno rilevanza costituzionale. Dietro l'angolo si profilano altre insidie, ma non si può che partire da qua. Facendo ordine nel caos dei numeri, mettendo al bando con la trasparenza i giochi di prestigio degli amministratori furbacchioni. Poi toccherà ai cosiddetti "fabbisogni standard", che dovrebbero far superare il principio della "spesa storica", grazie al quale vengono premiate le amministrazioni più spendaccione. Di che cosa si tratta? Si stabilisce sulla base di parametri economici e territoriali qual è il costo efficiente di un servizio: la polizia locale, l'asilo nido, l'impianto sportivo... Chi vuole spendere di più si arrangi. Dallo Stato non arriverà un euro in più: o si risparmia altrove, o bisognerà aumentare le tasse, e poi rendere conto, ai propri elettori. Ma questo, come vedremo nelle prossime puntate, non è affatto "federalismo". Anche Luca Antonini parla di "razionalizzazione della spesa pubblica". La devolution è un'altra cosa. Anche se ci ostiniamo a chiamarla così.

Mario Sensini e Sergio Rizzo

17 febbraio 2011

 

 

2011-02-15

Il leader del Pd "ospite" sulla Padania. BONDI: "OFFERTA STRUMENTALE"

Federalismo, Bersani stuzzica la Lega

"Facciamo un patto senza Berlusconi"

"Guardiamo oltre il premier: questa riforma è troppo importante perché sia vittima dello scenario politico"

Il leader del Pd "ospite" sulla Padania. BONDI: "OFFERTA STRUMENTALE"

Federalismo, Bersani stuzzica la Lega

"Facciamo un patto senza Berlusconi"

"Guardiamo oltre il premier: questa riforma è troppo importante perché sia vittima dello scenario politico"

Pier Luigi Bersani

Pier Luigi Bersani

MILANO - Un patto per il federalismo tra il Pd e la Lega, ma "guardando oltre Berlusconi". Dalle colonne della Padania, il leader del Pd Pier Luigi Bersani tenta Umberto Bossi. "Impegno me e il mio partito - spiega - a portare avanti il processo del federalismo dialogando con la Lega. Quali che siano gli sviluppi politici. Guardiamo oltre Berlusconi ma salviamo la prospettiva del cambiamento". Una mano tesa alla quale il Pdl guarda con grande perplessità. Sandro Bondi non ha peli sulla lingua: la proposta di Bersani "è strumentale", secondo il coordinatore del partito del premier che accusa i democratici di sposare "di volta in volta, a seconda delle proprie convenienze politiche contingenti, tesi opposte: un giorno la Lega è l'espressione più volgare della politica, il giorno dopo è tornata ad essere la costola della sinistra o perlomeno l'unica forza autenticamente popolare, insieme al Pd, con cui dialogare".

"RIFORMA EPOCALE" - Nell'intervista concessa al quotidiano del Carroccio, il segretario dei democratici definisce il federalismo "una riforma storica, epocale per la democrazia italiana". "Credo da sempre - ci tiene a sottolineare Bersani - che, pur da posizioni diverse ed anche alternative, ci siano due vere forze autonomiste nel Paese: il Pd e la Lega. Noi rivendichiamo e vogliamo coltivare, rinnovandola, questa nostra antica tradizione". Il numero uno del Partito democratico ammette di considerare con "grandissima preoccupazione" il fatto che la Lega, "vedendo accorciarsi i tempi della legislatura, possa accontentarsi di un federalismo di bandiera". Non solo. Per Bersani, Berlusconi è "culturalmente e politicamente del tutto disinteressato al federalismo" e dunque può approfittarne "per pretendere in cambio il processo breve, così come ha ottenuto il voto sulle "leggi sulla cricca" e dunque "passare a nuttata"". Alla luce di tali considerazioni, la proposta del segretario del Pd alla Lega è chiara: "Si può essere alternativi su temi cruciali ma noi e voi siamo in grado di dialogare. Siamo popolari, Berlusconi è solo populista. Il patto che propongo è questo: tra forze popolari anche alternative vi siano temi su cui ragionare insieme".

Redazione online

15 febbraio 2011

 

 

2011-02-04

obbligo di comunicazioni alle Camere prima di approvazione definitiva

Federalismo: Napolitano, "Decreto irricevibile, non ci sono le condizioni"

Berlusconi poco prima da Bruxelles: "Spero non ci siano problemi con il presidente sulla firma"

obbligo di comunicazioni alle Camere prima di approvazione definitiva

Federalismo: Napolitano, "Decreto irricevibile, non ci sono le condizioni"

Berlusconi poco prima da Bruxelles: "Spero non ci siano problemi con il presidente sulla firma"

MILANO - Il presidente della Repubblica rispedisce al mittente il testo del decreto sul federalismo fiscale municipale, adottatto giovedì sera dal governo nonostante lo stop ottenuto poche ore prima alla commissione della Camera. Secondo Giorgio Napolitano, nella lettera inviata al presidente del Consiglio, spiega che non ci sono le condizioni per l'emanazione del decreto legislativo e afferma di "non poter ricevere, a garanzia della legittimità di un provvedimento di così grande rilevanza, il decreto approvato ieri dal governo", rende noto il Quirinale.

LA NOTA - "Il capo dello Stato ha comunicato al presidente del Consiglio di non poter ricevere, a garanzia della legittimità di un provvedimento di così grande rilevanza, il decreto approvato ieri dal governo. Il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, in relazione al preannunciato invio, ai fini della emanazione ai sensi dell'articolo 87 della Costituzione, del testo del decreto legislativo in materia di federalismo fiscale municipale, approvato definitivamente dal Consiglio dei ministri nella seduta di ieri sera, come risulta dal relativo comunicato, ha inviato una lettera al presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi, in cui rileva che non sussistono le condizioni per procedere alla richiesta emanazione, non essendosi con tutta evidenza perfezionato il procedimento per l'esercizio della delega previsto dai commi 3 e 4 dall'art. 2 della legge n. 42 del 2009 che sanciscono l'obbligo di rendere comunicazioni alle Camere prima di una possibile approvazione definitiva del decreto in difformità dagli orientamenti parlamentari".

La conferenza stampa di Tremonti e Calderoli

BOSSI TELEFONA - Umberto Bossi telefona a Giorgio Napolitano e assicura che il governo svolgerà una relazione alle Camere sul decreto, come chiesto dal Quirinale nella nota in cui spiega di non poter ricevere il provvedimento. "Bossi", si legge in una nota, della Lega Nord, "ha preso il duplice impegno di andare a trovare la prossima settimana il capo dello Stato al Quirinale e, come preannunciato dal ministro Calderoli, si recherà nelle aule parlamentari a dare comunicazioni sul decreto sul federalismo fiscale municipale".

BERLUSCONI - In mattinata parlando a Bruxelles, dove si è recato per partecipare al vertice europeo, Berlusconi aveva detto di sperare che non ci fossero problemi con Napolitano per l'approvazione del decreto. "Siamo sfortunati", aveva aggiunto il premier. "Abbiamo ancora un'opposizione non socialdemocratica che vota sempre contro, che dice sempre no a tutte le proposte della maggioranza e va contro gli interessi del Paese", ha detto Berlusconi. "Questo elemento è una delle cose che vedono il nostro Paese non in linea con le altre democrazie".

La vittoria di Berlusconi: la Camera crede alla storia della nipote di Mubarak

di PierluigiBattista

RUBY - Il voto di giovedì sera alla Camera sul rinvio alla procura di Milano della richiesta di perquisizione di una proprietà del premier, richiesta legata al caso Ruby, "conferma che abbiamo una maggioranza per potere lavorare e bene su molti temi anche per riforme importanti per il Paese", aveva inoltre detto Berlusconi. "Abbiamo una maggioranza coesa, che è in accordo su molti temi e credo che salirà a 320 deputati (dai 316 di giovedì, ndr)". Il premier ha sottolineato che da quando nella maggioranza è uscita la componente finiana di Futuro e libertà è "più facile lavorare". "Ormai siamo in una repubblica giudiziaria commissariata dalle procure. Assistiamo a questa vergogna, un attacco nel privato", ha aggiunto il premier parlando del caso Ruby.

CONSENSO - Berlusconi ha aggiunto di essere il leader europeo più apprezzato con il 51% di consensi da parte dei propri concittadini e il "Pdl è in crescita oltre il 30%". Secondo un sondaggio di Mannheimer pubblicato dal Corriere della Sera lo scorso 30 gennaio, invece, solo il 27,5% degli italiani dichiara di avere "molta" o "moltissima" fiducia in Berlusconi.

Redazione online

04 febbraio 2011

 

 

 

denuncia contro ignoti per eventuale diffusione immagini

Caso Ruby e foto di Berlusconi nudo

I legali: "Se esistono, sono taroccate"

La procura sta valutando se dividere in due l'inchiesta,

in particolare per il reato di prostituzione minorile

denuncia contro ignoti per eventuale diffusione immagini

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in particolare per il reato di prostituzione minorile

Karima "Ruby" El Mahroug (Ansa)

Karima "Ruby" El Mahroug (Ansa)

MILANO - Fonti giudiziarie, dopo che che giovedì la procura di Milano aveva definito "irrilevanti" le foto trovate nelle perquisizioni legate al caso Ruby, hanno smentito all'agenzia Ansa che agli atti dell'inchiesta esistano fotografie che ritraggono Silvio Berlusconi nudo in compagnia di alcune ragazze ospiti ad Arcore. Delle fotografie ha scritto venerdì Il Fatto quotidiano, aggiungendo che le immagini stanno circolando e si sarebbe aperta un'asta per accaparrarsele. In una nota gli avvocati di Berlusconi, i parlamentari del Pdl Niccolò Ghedini e Piero Longo, rendono noto di aver presentato una denuncia contro ignoti nell'eventualità che vengano diffuse foto compromettenti e che sarebbero "palesemente false".

I DUBBI DEI PM - I pm milanesi stanno comunque ancora valutando se dividere in due l'inchiesta sul caso Ruby, in particolare per quanto riguarda il reato di prostituzione minorile, per il quale il codice prevede la citazione diretta a giudizio e non la richiesta di rito immediato come invece accade per la concussione. La decisione dovrebbe essere presa all'inizio della settimana prossima. Sembra escluso, però, che la procura rinunci del tutto al rito immediato per entrambi i reati contestati e scelga di procedere per via ordinaria attraverso l'udienza preliminare.

La vittoria di Berlusconi: la Camera crede alla storia della nipote di Mubarak

di PierluigiBattista

FASSINO - Sulla vicenda Ruby è intervenuto anche Piero Fassino. "Non è buona cosa che la maggioranza ostacoli quello che dovrebbe essere naturale e cioè il consenso agli accertamenti della magistratura", ha detto il candidato del Pd a sindaco di Torino commentando il voto di giovedì alla Camera. "La cosa migliore è che la giustizia faccia il suo corso e la magistratura riesca a fare tutti gli accertamenti".

TG4 - I comitati di redazione (Cdr) di Mediaset "auspicano che sia chiarita al più presto la vicenda giudiziaria che ha coinvolto il direttore del Tg4, Emilio Fede", interessato nell'inchiesta Ruby. "Chiarimento", aggiungono i Cdr, "che deve svolgersi nelle sedi opportune, evitando di usare il Tg4 come strumento di difesa personale e garantendo la credibilità e la completezza dell'informazione sulla stessa inchiesta".

Redazione online

04 febbraio 2011

 

 

 

 

 

 

 

Pd: "Atto scandaloso contro le scelte del Parlamento"

Altolà al federalismo, respinto il testo

Il governo approva un nuovo decreto

Da Cdm ok alla versione approvata al Senato sulle modifiche frutto dell'intesa con i Comuni

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Umberto Bossi

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MILANO - È finito con un pareggio (15 a 15) il voto della Bicamerale sul federalismo municipale. Con il pareggio viene respinto il parere di maggioranza sul decreto legislativo. Per ovviare a questo stop, in serata il Consiglio dei ministri ha approvato un nuovo decreto legislativo sul fisco comunale nella versione su cui la commissione Bilancio del Senato ha espresso parere favorevole, cioè con tutte le modifiche frutto dell'intesa con l'Anci (Associazione dei Comuni). Il decreto per entrare in vigore deve però essere firmato dal presidente della Repubblica e pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale.

PD: "ATTO SCANDALOSO" - "È un atto politico scandaloso, non si è mai visto un Consiglio dei ministri convocato d'urgenza per esprimersi contro una scelta del Parlamento", ha commentato Pierluigi Castagnetti, capogruppo del Pd alla Camera. Aggiunge la vice presidente della Camera, Rosy Bindi: "Il governo approva un provvedimento viziato nella procedura, dato che non ha tenuto conto dei pareri del Parlamento. La Corte costituzionale può ritenerlo incostituzionale". "Il governo Berlusconi-Bossi finisce per approvare con un colpo di mano il federalismo delle tasse", ha aggiunto il segretario del Pd, Pier Luigi Bersani, secondo il quale si tratta di "un inaudito schiaffo al Parlamento, una lesione senza precedenti delle prerogative delle commissioni parlamentari fissate per legge, un vero atto di arroganza".

IDV: "EVERSIVO" - "È un vero e proprio esproprio eversivo contro il parere del Parlamento. A questo punto Lega e Pdl dicano se vogliono chiudere le Camere. Non è mai accaduto che un governo non tenesse conto della bocciatura di un provvedimento in Parlamento", afferma in una nota il portavoce dell'Italia dei valori, Leoluca Orlando.

UDC: "VOLGARE E VIOLENTO" - Per l'Udc l'atto del governo è "volgare e violento, adottato nella più assoluta illegalità costituzionale, che apre un ulteriore conflitto istituzionale, questa volta tra governo e Parlamento. A questo punto la Commissione bicamerale è inutile e il suo presidente La Loggia dovrebbe dimettersi"".

PAREGGIO - Di fronte all'ipotesi di un pareggio Umberto Bossi era stato chiaro: se non ci sarà "una maggioranza politica il rischio delle elezioni è concreto". Ma dopo un vertice pomeridiano con Berlusconi e ancora di più dopo il voto in serata sul caso Ruby, il leader leghista si è sentito rassicurato: il patto con la Lega è saldo, il governo ha la maggioranza e va avanti. "Non penso ci sarà un ritorno immediato alle urne", ha detto il Senatur. Silvio Berlusconi dal canto suo aveva già spiegato che "in caso di pareggio il governo procederà lo stesso, visto che la legge lo consente". In un comunicato serale, la Lega dice che nei prossimi giorni chiederà ai presidenti di Camera e Senato di rivedere la composizione della bicamerale per il federalismo perché "non rispetta la consistenza numerica dei gruppi in Parlamento".

BERSANI - Dopo lo stop in commissione, il Pd si era detto pronto a discutere di federalismo, a patto però che il premier si dimetta. "Adesso ci si fermi", aveva detto Bersani. "Per sbloccare la situazione, Berlusconi deve fare un passo indietro. Se Berlusconi se ne va, ne possiamo parlare con condizioni politiche nuove a cominciare dalle proposte che abbiamo avanzato", ha aggiunto Bersani. "Il punto di fondo è che in quel decreto di federalismo non ce n'è. Chiunque conosca la materia vede che in quel testo ci sono solo tasse, non federalismo".

REAZIONI - Sul piede di guerra l'Idv: "Il voto certifica l'inesistenza di una maggioranza in Parlamento. Bisogna restituire la parola ai cittadini e tornare alle urne", ha detto Antonio Di Pietro che ha aggiunto: "In un Paese normale quando una proposta di legge non viene approvata, non viene né promulgata né emanata. Invece in Italia assistiamo anche a questo abuso che non è un semplice atto, ma un golpe". Per Francesco Pionati, portavoce dei Responsabili, invece si tratta di "una tempesta in un bicchiere d'acqua gonfiata dalla propaganda del centrosinistra". "Le forze del centralismo hanno paura e si sono messe insieme per fermare la volontà del popolo", ha commentato preoccupato il governatore leghista del Veneto, Luca Zaia.

FINI - Sul voto era intervenuto con un netto giudizio anche il presidente della Camera e leader di Futuro e libertà, Gianfranco Fini. "Chi conosce il regolamento, sa che un pareggio significa respinto e non c'è un parere alternativo. In commissione c'è stata un bocciatura nel merito e non un voto politico", ha detto il capo di Montecitorio, indicando che è l'impianto del federalismo così proposto a essere stato bocciato. Sul medesimo tono il capogruppo di Fli, Italo Bocchino: "È stato un pareggio numerico, ma una sconfitta politica".

INCONTRO BOSSI-FINI - Il Carroccio aveva trattato sino a pochi minuti prima del voto in commisione pur di scongiurare il pareggio. Di buon mattino, lontano da sguardi indiscreti, Bossi aveva anche incontrato Fini. Secondo fonti di Futuro e libertà, Fini avrebbe detto a Bossi che con questo governo e con questa maggioranza il federalismo non si farà. E Bossi avrebbe proposto a Fini un patto sulle riforme in cambio di un via libera al federalismo, chiedendo in particolare il voto favorevole in commissione. Fini si sarebbe detto pronto a discuterne, ma non con questo governo e soprattutto non con questo premier.

Redazione online

03 febbraio 2011(ultima modifica: 04 febbraio 2011)

 

 

Prove di resistenza

Prove di resistenza

La trincea del centrodestra regge, almeno per adesso. Silvio Berlusconi ha strappato alle opposizioni un altro deputato emerso dal limbo. Eppure, sembra tuttora accerchiata da quanti sono convinti che sia un momento di pericolosa fragilità per il premier. Questa sensazione è stata cancellata solo parzialmente dal voto col quale ieri sera la Camera ha rispedito alla Procura di Milano gli atti dell’inchiesta sulla vita privata del premier, ritenendola incompetente con 315 sì (316 se avesse votato anche Berlusconi), 298 no e un astenuto; e dalla riproposizione immediata del decreto sul federalismo non approvato in precedenza in commissione.

Strategia della sopravvivenza e precarietà continuano dunque a convivere. Il risultato è la sfasatura fra un governo che si puntella numericamente e gli avversari che lo danno per moribondo: la fotografia di una legislatura condannata a rimanere in bilico. Ormai è chiaro che le opposizioni contano sugli sviluppi delle indagini giudiziarie per dare la spallata finale a Palazzo Chigi. E confidano che prima o poi un Umberto Bossi stranamente oscillante fra minacce e remissività possa abbandonare Berlusconi. L’esempio del voto sul federalismo è lampante. È stato affossato in commissione, perché lasciarlo passare avrebbe significato fornire ossigeno al premier.

Il messaggio del centrosinistra e del Polo della Nazione alla Lega è chiaro: lascia Berlusconi e sarà tutto più facile. È l’unico punto sul quale forze diverse, su alcuni temi perfino agli antipodi, sembrano d’accordo: con questo presidente del Consiglio, qualunque argomento caro al Carroccio avrà vita dura fino al boicottaggio. Eppure, la cautela di Bossi anche dopo il responso frustrante di ieri mattina fa capire che i calcoli sul dopo-Berlusconi danno per scontate troppe cose. Per il Carroccio la battuta d’arresto è evidente. Si materializza l’incubo di una riforma federalista a maggioranza, esposta a rappresaglie avversarie. E la base leghista è in rivolta.

in rivolta. Ma Bossi aveva intuito la difficoltà dal mattino presto, dopo avere incontrato un Gianfranco Fini sempre più uomo di partito e sempre meno presidente della Camera. E continua a scegliere l’asse con un premier in affanno a quello con un’opposizione agguerrita e insieme patologicamente debole e confusa. Sarà anche vero che ormai il centrodestra sta sublimando le tecniche di sopravvivenza; che Berlusconi imita con talento il "tirare a campare" di andreottiana memoria. Il problema è che non si vede ancora l’alternativa alla crisi strisciante non solo di un governo ma di una fase politica.

Quando spunterà, la transizione sarà rapida. Ma non si vede ancora, al punto che il centrodestra scommette su elezioni sempre più remote. È una previsione alimentata dai numeri del ventre molle e opaco del Parlamento, non dalla politica; e accompagnata dal sospetto che le scommesse ufficiali possano nasconderne altre, clandestine e opposte.

Massimo Franco

04 febbraio 2011

 

 

 

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La partita finale per evitare le elezioni

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GLI SCENARI

La partita finale per evitare le elezioni

La partita finale per evitare le elezioniIl governo regge ancora. Ma spuntano voci di un patto premier-Bossi sul voto a maggio

Berlusconi e Bossi (Ansa)

Berlusconi e Bossi (Ansa)

ROMA — Rivelazione o disinformazione? Strategia o tatticismo? Insomma cosa c’è di vero nella confidenza fatta dal leghista Maroni al democratico Castagnetti, che ieri sera ha raccontato il contenuto del colloquio ad alcuni colleghi di partito? "Guardate che Berlusconi e Bossi si sono messi d’accordo per andare alle elezioni a maggio" , così ha esordito Castagnetti. Che per superare lo scetticismo e le perplessità di quanti lo stavano ad ascoltare ha citato la sua fonte: "Me l’ha detto il ministro dell’Interno" .

Silenzio gelido. "Se vi dico che me l’ha detto Maroni, potete crederci. Vogliono andare al voto in primavera. Il loro problema è trovare il modo per provocare la crisi e arrivare alle urne" . Questa storia per molti versi non torna, e tuttavia descrive il clima del Palazzo, dove tutti sono in attesa di un evento, di qualcosa che spezzi i fragili equilibri politici di una legislatura data già tante volte morta. Ancora l’altra sera sembrava dovesse celebrarsi il de profundis, dato che sulla riforma cara alla Lega la maggioranza non aveva i numeri nella Bicameralina per il federalismo fiscale. E quando ieri in commissione Bossi ha dovuto subire l’onta del pareggio, a un passo dal baratro ha chiesto e ottenuto da Berlusconi la prova fedeltà: "A me delle questioni interpretative frega niente, qui c’è una questione politica. E questo è il momento di vedere se abbiamo le palle" . Il Senatur non ha dovuto spiegare quale fosse la subordinata, il Cavaliere si è detto subito d’accordo nel forzare procedure e tempi per varare il decreto attuativo con un Consiglio dei ministri straordinario. E poco importa se Gianni Letta avesse chiesto tempo per negoziare con il Quirinale: "Non si rallenta, si va avanti" , ha tagliato corto il premier. In ballo c’era l’alleanza con la Lega e la legislatura, e sebbene i primi contatti con il Colle non promettessero nulla di buono, Berlusconi contava sul fatto che Napolitano— piuttosto di firmare il decreto di scioglimento delle Camere — avrebbe accettato di firmare il decreto sul federalismo. Magari facendolo precedere da un tira e molla, "ma vedrete che non ci dirà di no. Anche perché non deve promulgarlo, deve solo emanarlo".

Sta nelle pieghe delle forme giuridiche la sostanza politica. Così Berlusconi sembra smentire la voglia di urne, nonostante siano gli stessi suoi alleati a dubitarne: "Non ti dico che non dici la verità, presidente. Ti dico che non ti credo" , ha detto giorni fa al Cavaliere il segretario del Pri, Nucara. Eppure anche le opposizioni dopo il voto con cui l’Aula di Montecitorio ha rimandato alla Procura di Milano gli atti dell’inchiesta sul caso Ruby, ritengono che le elezioni — se non scongiurate — si siano quantomeno allontanate. "Tireranno a campare" , ha commentato Casini. "Significa che avremo il tempo per costruire il nuovo polo" , ha aggiunto Rutelli. Per quanto possa apparire paradossale, proprio nel momento di maggiore difficoltà, Berlusconi vede infatti allargarsi alla Camera la propria maggioranza, e in Consiglio dei ministri in molti si sono felicitati con il premier, secondo il quale "a Montecitorio siamo già 320" . Sotto questo aspetto, insomma, per il Cavaliere il peggio è ormai alle spalle: la tenuta in Parlamento pare assicurata dai nuovi arrivi. "E più avanti si andrà — pronostica Frattini— più deputati verranno con noi" . Nell’area del terzo polo si avvertono in effetti sinistri scricchiolii, ed è lì che Berlusconi può ancora attrarre a sé qualche deputato. Ma allora cos’è che rende instabile un quadro politico che pare stabilizzarsi? Perché l’ipotesi di una crisi a breve continua ad aleggiare nel Palazzo? Con una battuta il democratico Fioroni lascia intuire quale possa essere il punto di rottura: "A me non piacciono le spallate" .

È chiara l’allusione a una possibile "spallata" giudiziaria che cambierebbe radicalmente la situazione. Non a caso un dirigente del Pdl che ha partecipato al vertice di ieri tra Berlusconi e Bossi, sostiene che il premier è determinato a governare, e tuttavia un conto è lo stato delle cose oggi, "altra cosa la valutazione della contingenza politica" . La "contingenza politica" è un’eventuale onda d’urto giudiziaria. Resta da capire se l’appello per un nuovo clima nel rapporto tra istituzioni, lanciato da Napolitano, sarà una rete sufficientemente forte per reggere. Perché forse è vero che il Cavaliere vuole andare avanti, ma sente il "rumore dei nemici" che lo minacciano, con Ruby e anche con il pentito Spatuzza. Le elezioni a maggio sono escluse. Forse...

Francesco Verderami

04 febbraio 2011

 

 

 

 

 

2011-01-21

bossi sul piede di guerra: "Senza la riforma usi va alle urne"

Federalismo, il voto slitta di 7 giorni

La decisione del governo dopo il no di Anci e Terzo Polo, che criticano il decreto sul fisco municipale

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Il ministro delle Riforme, Umberto Bossi (Ansa)

Il ministro delle Riforme, Umberto Bossi (Ansa)

MILANO - Tutto rinviato di una settimana. Il Consiglio dei ministri ha deciso infatti di far slittare di sette giorni i termini per il voto del parere sul decreto attuativo del federalismo fiscale sul fisco comunale che doveva essere esaminato nella commissione bicamerale entro il 28 gennaio. Il rinvio di una settimana, spiegano fonti del governo è stato proposto dal ministro della Semplificazione Roberto Calderoli. Il governo, in questo modo, ha concesso una settimana in più alla commissione per discutere ed approvare il testo, il cui via libera in questo modo slitterà da mercoledì prossimo a quello successivo. Le stesse fonti sottolineano come si tratti di un "passaggio politico" che non comporta "nessuna proroga della delega". "Con il ministro Tremonti e con La Loggia abbiamo concordato una serie di risposte positive a dei quesiti posti dall'Anci, ritengo che si sia ricomposta la posizione del governo rispetto alla stessa Anci e che c'è una sostanziale condivisione delle richieste" ha spiegato il ministro per la Semplificazione legislativa Roberto Calderoli, nel corso di una conferenza stampa a Palazzo Chigi.

LA BOCCIATURA DEI COMUNI - La decisione del governo arriva all'indomani delle critiche dei Comuni sul testo. Il provvedimento sul fisco municipale, è il parere espresso dal presidente dell'Anci, Sergio Chiamparino, contiene al suo interno "molte incertezze su numerosi punti fondamentali per la vita dei Comuni italiani. Così non va assolutamente e preghiamo il governo di apportare gli opportuni chiarimenti quanto prima". Per Chiamparino "il provvedimento licenziato dal ministro Calderoli e ora all'attenzione della commissione Bicamerale per il federalismo è dominato da confusione e incertezza, che probabilmente sono il prodotto dell'attuale fase politica che governo e Parlamento stanno vivendo". Il federalismo è, almeno per il momento, il cemento che continua a tenere insieme la maggioranza e a sancirlo è stato il vertice di mercoledì sera a Palazzo Grazioli tra Berlusconi e lo stato maggiore leghista andato avanti fino a notte fonda. "Ieri abbiamo sancito che se non si passa il federalismo, si va al voto - ha fatto sapere oggi Umberto Bossi, sintetizzando l'esito della riunione -. Berlusconi è d'accordo. Ma passa al 100%".

IL RUOLO DEL COLLE - "Abbiamo sancito che se non si fa il federalismo si va a votare. Questo è l'accordo stretto ieri" ha precisato il Senatùr. Ma Bossi è convinto che non succederà: "La riforma passerà al 100%. Chi è che vuole andare a votare?". E su questo Bossi elogia il Presidente della Repubblica: "C'è anche il Capo dello Stato che dice cose dui buonsenso. È un uomo di grande buonsenso". Per Bossi dunque adesso "aspettiamo la commissione" che esamina il federalismo, "non possiamo stare qui a fare niente". E dopo, come detto ieri da Calderoli, "ci può essere una stagione di riforme e di rilancio dell'economia". E alla domanda se tra le riforme ci possa essere anche quella della giustizia, il leader leghista ha replicato: "Non parliamo di singole cose".

"COSI' NON VA" - Non sono però solo i sindaci a storcere il naso di fronte alla bozza Calderoli. Il Pd, per esempio, ha già espresso la propria decisa contrarietà. E anche il Terzo Polo chiede una proroga della delega sul federalismo fiscale. La richiesta viene da Baldassarri di Fli, Galletti dell'Udc e Lanzillotta dell'Api: "Non siamo contrari alla riforma ma il testo del municipale così com'è non va". "Il testo sul federalismo così com'è non ci piace - ha puntualizzato Mario Baldassarri - pertanto domani presenteremo un emendamento al disegno di legge di conversione del decreto 'milleproroghè per prorogare i tempi della delega. Se ce lo bocceranno noi voteremo no".

Sergio Chiamparino, sindaco di Torino e presidente dell'Associazione dei Comuni italiani (Emblema)

Sergio Chiamparino, sindaco di Torino e presidente dell'Associazione dei Comuni italiani (Emblema)

PRONTI AL CONFRONTO - Quanto agli enti locali, il leader dell'Anci si è detto comunque disponibile all'apertura di una fase di interlocuzione in conferenza unificata. Se però - ha avvertito - il governo dovesse dire no a questa ipotesi, preferendo il solo iter parlamentare, "allora l'Anci non si schiererebbe per evitare inaccettabili torsioni politiche".

LE RICHIESTE DEI SINDACI - L'Anci ha votato all'unanimità un documento in cui elenca le proprie richieste: sbloccare subito le addizionali Irpef; prevedere che l'incremento dei tributi resti ai Comuni; estendere la possibilità di introdurre un contributo di soggiorno a tutti i Comuni ("così non ha senso perchè chi ha più bisogno dell'imposta di soggiorno sono i Comuni piccoli che hanno molti turisti", ha spiegato Chiamparino); decidere con i Comuni le aliquote di compartecipazione a tributi immobiliari, Irpef e cedolare secca; definire un quadro dettagliato del Fondo perequativo; definire rapidamente la disciplina di Tarsu/Tia; sostenere le unioni e fusioni di Comuni. Sulla nuova Imu, che Chiamparino ha definito "un restyling dell'Ici" e che rappresenterà i due terzi della base imponibile dei Comuni, il presidente dell'Anci ha sottolineato che "la definizione dell'aliquota demandata di anno in anno alla Finanziaria introduce un elemento di subalternità inaccettabile: in questo modo ci si obbliga a vivere alla giornata, anzi all'annata".

I DUBBI DI CONFCOMMERCIO - Anche Confcommercio ha espresso dubbi sui contenuti del provvedimento e, in particolare, sul via libera alla tassa di soggiorno fino a 5 euro/die prevista nel testo. "Da tempo, nel nostro Paese si va ripetendo, ed apparentemente con larghissimo consenso, che il turismo è davvero la grande risorsa dell'Italia - ha sottolineato il presidente, Carlo Sangalli -. Consideriamo, dunque, davvero un errore da "matita blu" l'idea che il federalismo municipale nasca all'insegna del ritorno alla tassa di soggiorno perchè i Comuni potranno così pur realizzare nuove entrate ma, di certo, la tassa di soggiorno colpirà fortemente la competitività del turismo italiano, che avrebbe invece la necessità di essere sostenuta con scelte di tutt'altro segno, a partire dalla riduzione dell'Iva e dell'Irap".

Redazione online

20 gennaio 2011(ultima modifica: 21 gennaio 2011)

 

400 milioni per le famiglie con figli a carico, quadruplicate le sanzioni sulle case fantasma

Federalismo, ai Comuni il 2% dell'Irpef

Compartecipazione per gli enti locali alle imposte sui redditi. Via lbera alle tasse di soggiorno fino a 5 euro

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Federalismo, ai Comuni il 2% dell'Irpef

Compartecipazione per gli enti locali alle imposte sui redditi. Via lbera alle tasse di soggiorno fino a 5 euro

ROMA - Compartecipazione dei Comuni all'Irpef al 2%, tassa di soggiorno, fondo per le famiglie con figli a carico. Sono alcune delle voci più significative inserite nella bozza di nuovo decreto sul fisco municipale messa a punto dal ministro Roberto Calderoli

COMPARTECIPAZIONE IRPEF - Una delle previsioni riguarda la compartecipazione degli introiti delle imposte sui redditi. Il 2% verrà girato ai Comuni. Il ministro Roberto Calderoli aveva ipotizzato un'aliquota del 2,5%, ma nella versione questa è stata abbassata di mezzo punto.

FONDO PER LE FAMIGLIE - Arriva poi un fondo di 400 milioni per agevolare le famiglie con figli a carico che vivono in una casa in affitto. È quanto prevede una delle modifiche prevista nella bozza di nuovo decreto sul fisco municipale messa a punto dal ministro Roberto Calderoli e che dovrebbe essere recepito nel parere del relatore del provvedimento Enrico La Loggia. Dal 2011, si legge nel testo, una quota del gettito della cedolare "è iscritta nell'anno successivo in un apposito fondo e destinata ad interventi in favore delle famiglie dei conduttori di unità immobiliari adibite ad abitazione principale, con particolare riguardo al numero di figli a carico".

LA TASSA DI SOGGIORNO - Quanto alla tassa di soggiorno, è previsto che possa essere istituita una quota tra 0,5 e 5 euro a notte a seconda della classificazione della struttura ricettiva. "I comuni capoluogo di provincia - si legge nel testo - possono istituire con deliberazione del consiglio comunale, una imposta di soggiorno a carico di coloro che alloggiano nelle strutture ricettive situate sul proprio territorio, da applicare secondo criteri di gradualita0 in proporzione alla loro classificazione da 0,5 a 5 euro per notte di soggiorno. Il relativo gettito è destinato a finanziare interventi in materia di turismo".

GLI "IMMOBILI FANTASMA" - Tra gli altri provvedimenti, è previsto il quuadruplicamento delle sanzioni previste per chi dopo il 31 marzo non si mette in regola con la sanatoria prevista per gli immobili fantasma. Il 75% degli introiti delle sanzioni "è dovuto al Comune sul quale è ubicato l'immobile interessato".

19 gennaio 2011

2011-01-20

I sindaci criticano il testo del decreto sul fisco municipale

I Comuni bocciano il federalismo

Bossi: "O passa oppure si va al voto"

Chiamparino: "Così non va assolutamente". Il Senatùr: "Se bocciato si torna alle urne, Berlusconi è d'accordo"

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ROMA - Il testo del decreto sul fisco municipale contiene al suo interno "molte incertezze su numerosi punti fondamentali per la vita dei Comuni italiani. Così non va assolutamente e preghiamo il governo di apportare gli opportuni chiarimenti quanto prima": è il parere espresso oggi dal presidente dell'Anci, Sergio Chiamparino, secondo il quale "il provvedimento licenziato dal ministro Calderoli e ora all'attenzione della commissione Bicamerale per il federalismo è dominato da confusione e incertezza, che probabilmente sono il prodotto dell'attuale fase politica che governo e Parlamento stanno vivendo". Ma il federalismo è anche, almeno per il momento, il cemento che continua a tenere insieme la maggioranza e a sancirlo è stato il vertice di mercoledì sera a Palazzo Grazioli tra Berlusconi e lo stato maggiore leghista andato avanti fino a notte fonda. "Ieri abbiamo sancito che se non si passa il federalismo, si va al voto - ha fatto sapere oggi Umberto Bossi, sintetizzando l'esito della riunione -. Berlusconi è d'accordo. Ma passa al 100%".

IL RUOLO DEL COLLE - "Abbiamo sancito che se non si fa il federalismo si va a votare. Questo è l'accordo stretto ieri" ha precisato il Senatùr. Ma Bossi è convinto che non succederà: "La riforma passerà al 100%. Chi è che vuole andare a votare?". E su questo Bossi elogia il Presidente della Repubblica: "C'è anche il Capo dello Stato che dice cose dui buonsenso. È un uomo di grande buonsenso". Per Bossi dunque adesso "aspettiamo la commissione" che esamina il federalismo, "non possiamo stare qui a fare niente". E dopo, come detto ieri da Calderoli, "ci può essere una stagione di riforme e di rilancio dell'economia". E alla domanda se tra le riforme ci possa essere anche quella della giustizia, il leader leghista ha replicato: "Non parliamo di singole cose".

"COSI' NON VA" - Non sono però solo i sindaci a storcere il naso di fronte alla bozza Calderoli. Il Terzo Polo, ad esempio, chiede una proroga della delega sul federalismo fiscale. La richiesta viene da Baldassarri di Fli, Galletti dell'Udc e Lanzillotta dell'Api: "Non siamo contrari alla riforma ma il testo del municipale così com'è non va".

Sergio Chiamparino, sindaco di Torino e presidente dell'Associazione dei Comuni italiani (Emblema)

Sergio Chiamparino, sindaco di Torino e presidente dell'Associazione dei Comuni italiani (Emblema)

PRONTI AL CONFRONTO - Quanto agli enti locali, il leader dell'Anci si è detto comunque disponibile all'apertura di una fase di interlocuzione in conferenza unificata. Se però - ha avvertito - il governo dovesse dire no a questa ipotesi, preferendo il solo iter parlamentare, "allora l'Anci non si schiererebbe per evitare inaccettabili torsioni politiche".

FACCIA A FACCIA CON CALDEROLI - Oggi nel primo pomeriggio Chiamparino incontrerà Calderoli e il presidente della Bicamerale per il Federalismo fiscale, Enrico La Loggia, per esporgli il punto di vista dell'Anci.

LE RICHIESTE DEI SINDACI - L'Anci ha votato all'unanimità un documento in cui elenca le proprie richieste: sbloccare subito le addizionali Irpef; prevedere che l'incremento dei tributi resti ai Comuni; estendere la possibilità di introdurre un contributo di soggiorno a tutti i Comuni ("così non ha senso perchè chi ha più bisogno dell'imposta di soggiorno sono i Comuni piccoli che hanno molti turisti", ha spiegato Chiamparino); decidere con i Comuni le aliquote di compartecipazione a tributi immobiliari, Irpef e cedolare secca; definire un quadro dettagliato del Fondo perequativo; definire rapidamente la disciplina di Tarsu/Tia; sostenere le unioni e fusioni di Comuni. Sulla nuova Imu, che Chiamparino ha definito "un restyling dell'Ici" e che rappresenterà i due terzi della base imponibile dei Comuni, il presidente dell'Anci ha sottolineato che "la definizione dell'aliquota demandata di anno in anno alla Finanziaria introduce un elemento di subalternità inaccettabile: in questo modo ci si obbliga a vivere alla giornata, anzi all'annata".

I DUBBI DI CONFCOMMERCIO - Anche Confcommercio ha espresso dubbi sui contenuti del provvedimento e, in particolare, sul via libera alla tassa di soggiorno fino a 5 euro/die prevista nel testo. "Da tempo, nel nostro Paese si va ripetendo, ed apparentemente con larghissimo consenso, che il turismo è davvero la grande risorsa dell'Italia - ha sottolineato il presidente, Carlo Sangalli -. Consideriamo, dunque, davvero un errore da "matita blu" l'idea che il federalismo municipale nasca all'insegna del ritorno alla tassa di soggiorno perchè i Comuni potranno così pur realizzare nuove entrate ma, di certo, la tassa di soggiorno colpirà fortemente la competitività del turismo italiano, che avrebbe invece la necessità di essere sostenuta con scelte di tutt'altro segno, a partire dalla riduzione dell'Iva e dell'Irap".

Redazione online

20 gennaio 2011

 

 

 

400 milioni per le famiglie con figli a carico, quadruplicate le sanzioni sulle case fantasma

Federalismo, ai Comuni il 2% dell'Irpef

Compartecipazione per gli enti locali alle imposte sui redditi. Via lbera alle tasse di soggiorno fino a 5 euro

400 milioni per le famiglie con figli a carico, quadruplicate le sanzioni sulle case fantasma

Federalismo, ai Comuni il 2% dell'Irpef

Compartecipazione per gli enti locali alle imposte sui redditi. Via lbera alle tasse di soggiorno fino a 5 euro

ROMA - Compartecipazione dei Comuni all'Irpef al 2%, tassa di soggiorno, fondo per le famiglie con figli a carico. Sono alcune delle voci più significative inserite nella bozza di nuovo decreto sul fisco municipale messa a punto dal ministro Roberto Calderoli

COMPARTECIPAZIONE IRPEF - Una delle previsioni riguarda la compartecipazione degli introiti delle imposte sui redditi. Il 2% verrà girato ai Comuni. Il ministro Roberto Calderoli aveva ipotizzato un'aliquota del 2,5%, ma nella versione questa è stata abbassata di mezzo punto.

FONDO PER LE FAMIGLIE - Arriva poi un fondo di 400 milioni per agevolare le famiglie con figli a carico che vivono in una casa in affitto. È quanto prevede una delle modifiche prevista nella bozza di nuovo decreto sul fisco municipale messa a punto dal ministro Roberto Calderoli e che dovrebbe essere recepito nel parere del relatore del provvedimento Enrico La Loggia. Dal 2011, si legge nel testo, una quota del gettito della cedolare "è iscritta nell'anno successivo in un apposito fondo e destinata ad interventi in favore delle famiglie dei conduttori di unità immobiliari adibite ad abitazione principale, con particolare riguardo al numero di figli a carico".

LA TASSA DI SOGGIORNO - Quanto alla tassa di soggiorno, è previsto che possa essere istituita una quota tra 0,5 e 5 euro a notte a seconda della classificazione della struttura ricettiva. "I comuni capoluogo di provincia - si legge nel testo - possono istituire con deliberazione del consiglio comunale, una imposta di soggiorno a carico di coloro che alloggiano nelle strutture ricettive situate sul proprio territorio, da applicare secondo criteri di gradualita0 in proporzione alla loro classificazione da 0,5 a 5 euro per notte di soggiorno. Il relativo gettito è destinato a finanziare interventi in materia di turismo".

GLI "IMMOBILI FANTASMA" - Tra gli altri provvedimenti, è previsto il quuadruplicamento delle sanzioni previste per chi dopo il 31 marzo non si mette in regola con la sanatoria prevista per gli immobili fantasma. Il 75% degli introiti delle sanzioni "è dovuto al Comune sul quale è ubicato l'immobile interessato".

19 gennaio 2011

 

 

 

 

2011-01-12

IL CASO

Tutto il Bellunese via dal Veneto,

la Provincia dice sì al referendum

Il consiglio provinciale a maggioranza leghista vota a favore della consultazione chiesta da 17mila cittadini per l'annessione al Trentino Alto Adige. Il Carroccio si spacca

Il voto del consiglio provinciale (Cappello)

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Referendum sul passaggio al Trentino Superata quota diecimila firme

BELLUNO – Referendum per l’aggregazione del Bellunese al Trentino Alto Adige, semaforo verde della giunta provinciale per l’avvio dell’iter. Dopo una lunga discussione, la partita per la proposta referendaria portata in consiglio dal comitato promotore, forte di 17mila firma, si è chiusa con 21 voti a favore (di cui uno "tecnico", del leghista Cesare Rizzi) e due no sempre dal Carroccio, quelli di Renza Buzzo Piazzetta e di Gino Mondin. La spaccatura interna al partito non sorprende: le affermazioni del governatore Luca Zaia di qualche giorno fa ("Non bisogna incentivare guerre tra poveri: tutto il Veneto merita federalismo e autonomia. Non mi schiero né pro né contro") sembravano presagire posizioni diverse nel Carroccio. Altre formazioni politiche, (Pdl, Pd, Idv, Lista Reolon) si sono schierate compatte, come annunciato nei giorni scorsi, per il sì.

Il referendum sarà il primo esperimento di applicazione dell’articolo 132 secondo comma della Costituzione per un’intera provincia (mira infatti al distacco del Bellunese dal Veneto per l’aggregazione al Trentino Alto Adige). Dopo la fase consultiva, è previsto un percorso parlamentare, dall’esito tutt’altro che scontato secondo gli stessi promotori.

ZAIA: LA STRADA E' IL FEDERALISMO - È il federalismo, per il presidente del Veneto Luca Zaia, la strada maestra da imboccare per superare "disagi" come quelli che portano alla richiesta di referendum per il passaggio della provincia di Belluno al Trentino Alto Adige. "Capisco il disagio da cui proviene questa decisione - ha detto Zaia riguardo al via libera alla consultazione dato dal consiglio provinciale bellunese -. Lo viviamo tutti i giorni sulle zone di confine. Ma è un disagio che ormai riguarda tutta la regione che tutta insieme deve avviare un deciso percorso verso l’autonomia. E la strada maestra per tutti è quella già imboccata del federalismo".

Marco De' Francesco

11 gennaio 2011(ultima modifica: 12 gennaio 2011)

 

 

 

Comuni in fuga

Ma quei primi 16 comuni

in fuga sono ancora fermi

Nessuno ha cambiato regione. Il leader: "È Lamon l’unico che può farcela"

VENEZIA — Finora i Comuni che hanno tentato il salto di confine sono sedici e altri cinque, dopo gli ultimi tagli agli Enti locali, tra Verona, Treviso e Belluno, ha annunciato di voler percorrere la stessa strada. Ma finora, a sei anni dal referendum di Lamon, il piccolo centro del Feltrino che diede il via alla valanga secessionista, nessuno è riuscito a lasciare il Veneto. Alla politica, messa sotto pressione dalla protesta referendaria, alla richiesta di maggiore attenzione per le aree di confine, è stato sufficiente parcheggiare su un binario morto in parlamento le proposte di legge per il passaggio di Regione dei Comuni referendari, per far scomparire il problema. Un precedente che pesa come un macigno sulla nuova iniziativa. All’inizio fu Lamon, il 30 ottobre 2005: il sì al passaggio in Trentino passa col 93% dei voti. Poi toccò, sempre nel Bellunese, a Sovramonte, a Cortina, Livinallongo e Colle Santa Lucia, e a Sappada, che chiede di andarsene in Friuli. Sognata anche da Cinto Caomaggiore, nel Veneziano.

Il sì al passaggio in Trentino è travolgente anche negli otto Comuni dell’Altopiano di Asiago: dice sì il 94% dei votanti, nel referendum unico del maggio 2007; e per il Trentino si schiera anche l’altro Comune vicentino di Pedemonte. Ma da allora nulla. Per ciascuno dei Comuni la legge che deve approvare il passaggio di Regione è stata presentata. Ma tutte attendono ancora di iniziare il loro iter nella commissione Affari costituzionali di uno dei due rami del parlamento. L’unica che un po’ di strada l’ha fatta è Lamon, anche se il percorso, per una legge costituzionale in doppia lettura è lunghissima: "Siamo riusciti a recuperare e a far confermare il sì della Commissione affari costituzionali della Camera dato nell’estate 2008 prima della caduta del governo Prodi. Ora stiamo spingendo per calendarizzare la discussione in aula: sto insistendo con Donadi, con D u s s i n , con il Pd", ricorda il leader dei referendari, Renzo Poletti. Che censura il referendum provinciale: "La Regione dolomitica? Frottole. Chi ha proposto questo questo referendum alla fine ne pagherà il conto".

Federico Nicoletti

12 gennaio 2011

 

 

 

IL COMMENTO

Secessione a intermittenza

Era il 29 novembre 2006, in consiglio regionale si discuteva, in un clima di tensione mai visto, del passaggio per volontà popolare del comune di Lamon, apripista di tutti i secessionismi, dal Veneto al Trentino. L’allora governatore Giancarlo Galan, ferocemente contrario al punto da mettere sul piatto le sue dimissioni, parlava così: "Credo che sia mio dovere preciso difendere l’integrità della regione che amministro. E credo che sia anche un dovere di voi consiglieri, opposizione o maggioranza non fa differenza". Franco Manzato, capogruppo leghista e primo sostenitore del diritto all’"autodeterminazione" dei lamonesi, gli rispondeva con queste parole: "Se lei, presidente, è abbastanza matto per andare a casa, io sono abbastanza matto per mandarcela". Come sappiamo, non andò a casa proprio nessuno: per evitare guai, il consiglio regionale insabbiò la pratica Lamon e non diede mai il suo parere sul distacco del comune bellunese. Ma questo breve riassunto è illuminante rispetto a un certo autonomismo a corrente alternata predicato dalla Lega Nord, il movimento politico che, negli anni passati, più di ogni altro si era speso a sostegno delle istanze provenienti dai comuni di confine, fino ad appoggiare apertamente le ragioni di quanti chiedevano (e chiedono tuttora, senza peraltro ottenere risposta) di cambiare regione. Ora che un’intera provincia, la Belluno a guida leghista, propone un referendum per staccarsi dal Veneto (sempre a guida leghista), il Carroccio prima frena ("No a guerre tra poveri") e poi si lacera, al momento del voto, tra indipendentisti e sostenitori della ragion di Stato. Onore alla coerenza del presidente bellunese, Gianpaolo Bottacin, e degli altri che hanno votato a favore del referendum, ma per il resto viene proprio da scrivere: chi di secessione ferisce...

Alessandro Zuin

12 gennaio 2011

 

 

 

2010-12-27

UNo studio del Pd sui dati della Commissione per l'attuazione del provvedimento

Federalismo fiscale: ci perde il Sud (Sardegna esclusa), guadagna il Nord

Le città più penalizzate sono L'Aquila e Napoli (-60%). Milano +34%, Parma +105%, ma Genova -22, Torino -9%

UNo studio del Pd sui dati della Commissione per l'attuazione del provvedimento

Federalismo fiscale: ci perde il Sud (Sardegna esclusa), guadagna il Nord

Le città più penalizzate sono L'Aquila e Napoli (-60%). Milano +34%, Parma +105%, ma Genova -22, Torino -9%

(Fotogramma)

(Fotogramma)

MILANO - I capoluoghi di provincia perderanno oltre 445 milioni di euro in totale con il federalismo fiscale, ma con forti disparità tra Sud e Nord, con il primo penalizzato (Sardegna esclusa) e la regioni settentrionali che beneficeranno di nuove risorse, pur con qualche eccezione. E le città che vedranno la maggiore diminuzione di risorse saranno Napoli e L'Aquila.

DATI - Sono i dati che emergono da uno studio del Partito democratico realizzato dal senatore Marco Stradiotto sui dati della Commissione tecnica paritetica per l’attuazione del federalismo fiscale (Copaff). La perdita di risorse per i servizi essenziali per i 92 capoluoghi di provincia presi in esame, nel passaggio dai trasferimenti statali all'autonomia impositiva prevista dalla riforma, è pari complessivamente a 445.455.041 euro. È il risultato del confronto tra i trasferimenti relativi al 2010 e il totale del gettito dalle imposte devolute in base al decreto attuativo sul fisco comunale (tassa di registro e tasse ipotecarie, l'Irpef sul reddito da fabbricati e il presunto introito che dovrebbe venire dalla cedolare secca sugli affitti). Dei Comuni presi in esame, 52 otterrebbero benefici mentre 40 ne verrebbero penalizzati.

L'AQUILA E NAPOLI - In particolare, il Comune dell'Aquila perderà 26.294.732 euro pari al 66% delle risorse, quello di Napoli non avrà 392.969.715 euro, pari al 61% dei trasferimenti. Napoli ora è il Comune che riceve i trasferimenti statali più alti: 668 euro per abitante di fronte a una media di 387. I cittadini aquilani dal 2014 pagheranno, infatti 188 euro di Imu (Imposta municipale unica), mentre attualmente per ognuno di loro vengono dati al Comune 548 euro. Tutto il Sud sarà penalizzato: Messina perderà il 59%, Potenza -56%, Palermo e Cosenza il 55%, Taranto il 50%, Roma il 10%.

CHI GUADAGNA - Il capoluogo di provincia che avrà più da guadagnarci è Olbia, pieno di seconde case abitate pochi mesi all'anno (spesso solo uno). Il Comune sardo vedrà i propri introiti balzare del 180%. Chi guadagna è complessivamente il Nord: Imperia (patria dell'ex ministro Scajola) segna +122%, Parma +105%, Padova +76%, Siena +68% e Treviso +58%. Milano avrà il 34% di risorse in più, Bologna il 40%, mentre tra i capoluoghi del Nord perderanno Torino (-9%) e Genova (-22%).

Redazione online

26 dicembre 2010(ultima modifica: 27 dicembre 2010)

 

 

2010-12-26

UNo studio del Pd sui dati della Commissione per l'attuazione del provvedimento

Federalismo fiscale: ci perde il Sud (Sardegna esclusa), guadagna il Nord

Le città più penalizzate sono L'Aquila e Napoli (-60%). Milano +34%, Parma +105%, ma Genova -22, Torino -9%

UNo studio del Pd sui dati della Commissione per l'attuazione del provvedimento

Federalismo fiscale: ci perde il Sud (Sardegna esclusa), guadagna il Nord

Le città più penalizzate sono L'Aquila e Napoli (-60%). Milano +34%, Parma +105%, ma Genova -22, Torino -9%

(Fotogramma)

(Fotogramma)

MILANO - I capoluoghi di provincia perderanno oltre 445 milioni di euro in totale con il federalismo fiscale, ma con forti disparità tra Sud e Nord, con il primo penalizzato (Sardegna esclusa) e la regioni settentrionali che beneficeranno di nuove risorse, pur con qualche eccezione. E le città che vedranno la maggiore diminuzione di risorse saranno Napoli e L'Aquila.

DATI - Sono i dati che emergono da uno studio del Partito democratico realizzato dal senatore Marco Stradiotto sui dati della Commissione tecnica paritetica per l’attuazione del federalismo fiscale (Copaff). La perdita di risorse per i servizi essenziali per i 92 capoluoghi di provincia presi in esame, nel passaggio dai trasferimenti statali all'autonomia impositiva prevista dalla riforma, è pari complessivamente a 445.455.041 euro. È il risultato del confronto tra i trasferimenti relativi al 2010 e il totale del gettito dalle imposte devolute in base al decreto attuativo sul fisco comunale (tassa di registro e tasse ipotecarie, l'Irpef sul reddito da fabbricati e il presunto introito che dovrebbe venire dalla cedolare secca sugli affitti). Dei Comuni presi in esame, 52 otterrebbero benefici mentre 40 ne verrebbero penalizzati.

L'AQUILA E NAPOLI - In particolare, il Comune dell'Aquila perderà 26.294.732 euro pari al 66% delle risorse, quello di Napoli non avrà 392.969.715 euro, pari al 61% dei trasferimenti. Napoli ora è il Comune che riceve i trasferimenti statali più alti: 668 euro per abitante di fronte a una media di 387. I cittadini aquilani dal 2014 pagheranno, infatti 188 euro di Imu (Imposta municipale unica), mentre attualmente per ognuno di loro vengono dati al Comune 548 euro. Tutto il Sud sarà penalizzato: Messina perderà il 59%, Potenza -56%, Palermo e Cosenza il 55%, Taranto il 50%, Roma il 10%.

CHI GUADAGNA - Il capoluogo di provincia che avrà più da guadagnarci è Olbia, pieno di seconde case abitate pochi mesi all'anno (spesso solo uno). Il Comune sardo vedrà i propri introiti balzare del 180%. Chi guadagna è complessivamente il Nord: Imperia (patria dell'ex ministro Scajola) segna +122%, Parma +105%, Padova +76%, Siena +68% e Treviso +58%. Milano avrà il 34% di risorse in più, Bologna il 40%, mentre tra i capoluoghi del Nord perderanno Torino (-9%) e Genova (-22%).

Redazione online

26 dicembre 2010

 

 

2010-12-18

NATALE FEDERALE

Ministeri sparsi e Italia sottosopra

Il biglietto di auguri di Calderoli

Il "Buone feste" del ministro. E parte la polemica

NATALE FEDERALE

Ministeri sparsi e Italia sottosopra

Il biglietto di auguri di Calderoli

Il "Buone feste" del ministro. E parte la polemica

Roberto Calderoli (Ansa)

Roberto Calderoli (Ansa)

MILANO - Una cartina stilizzata dell'Italia rovesciata, con il Mezzogiorno in alto e il Settentrione in basso. Sulle singole regioni, una palla natalizia con la scritta dei vari ministeri: Difesa in Sicilia, Interno in Calabria, Turismo in Sardegna, Ambiente in Campania. I dicasteri del Centro-Nord, invece, sono indicati dal Sole delle Alpi , il simbolo della Lega (anche qui a forma di palla di Natale): Istruzione, Sviluppo, Economia e Consob. E' il biglietto di auguri mandato in giro dal ministro per la Semplificazione Roberto Calderoli, reso polemicamente noto dal deputato del Pd Jean Leonard Touadì. Il biglietto, spiega l'esponente del Partito Democratico, è corredato dalla scritta "Via da Roma i ministeri. Stiamo ribaltando il Paese" e dall'invocazione a Gesù Bambino: "Per Natale vorrei in regalo l'approvazione del federalismo fiscale e per l'anno nuovo vorrei vedere tanti ministeri in Padania. Grazie".

"CHE VERGOGNA" - "Chissà - sottolinea Touadì - se questo biglietto di augurio-auspicio per il 2011, per cui si chiama in causa addirittura Gesù Bambino, spedito dal ministro della Repubblica che risponde al nome di Roberto Calderoli, è arrivato anche a Gianni Alemanno e Renata Polverini. Magari comincerebbero a preparare un nuovo banchetto di pace in piazza Montecitorio sotto le feste. Che vergogna!".

POLVERINI - "Io non l'ho avuto, mi auguro che non sia vero. Abbiamo sempre difeso le istituzioni presenti nella Capitale e continueremo a farlo, Consob compresa". Lo ha detto il presidente della Regione Lazio Renata Polverini, a margine dell'iniziativa "È Natale per tutti" al Policlinico Gemelli, commentando il biglietto di auguri che auspica lo spostamento di ministeri ed enti al Nord che il ministro per la Semplificazione normativa Roberto Calderoli avrebbe inviato.

Redazione online

18 dicembre 2010

 

 

2010-12-17

Cota: "epocale". Errani: "SIAMO SOLO A inizio PERCORSO"

Federalismo, accordo governo-Regioni

Dopo due mesi di rinvii, raggiunta l'intesa sul decreto attuativo che riguarda fisco regionale e costi sulla sanità

Cota: "epocale". Errani: "SIAMO SOLO A inizio PERCORSO"

Federalismo, accordo governo-Regioni

Dopo due mesi di rinvii, raggiunta l'intesa sul decreto attuativo che riguarda fisco regionale e costi sulla sanità

Il governatore del Piemonte Roberto Cota (Emblema)

Il governatore del Piemonte Roberto Cota (Emblema)

MILANO - Dopo due mesi di rinvii, Regioni e governo hanno raggiunto, in Conferenza Unificata, l'intesa sul decreto sul federalismo fiscale regionale che contiene anche i costi standard sulla sanità. Entusiasta Roberto Cota, per cui l'intesa è "un fatto epocale". "È molto positivo - ha spiegato il governatore leghista del Piemonte - il fatto che tutte le Regioni abbiano dato parere favorevole. Questo federalismo cambia fondamentalmente le cose, le Regioni conquistano la propria autonomia, fondamentale per gestire le proprie politiche. Cessa così il ricorso alla finanza derivata". Più cauto il presidente della Conferenza delle Regioni, Vasco Errani. "Siamo solo all'inizio del percorso - ha spiegato - abbiamo evitato una situazione gravissima, in particolare sul trasporto pubblico locale. La strada sarà impegnativa - ha proseguito - e richiederà risposte concrete e puntuali". "Dopo mesi di trattative - ha commentato il governatore della Lombardia, Roberto Formigoni - abbiamo finalmente superato il grave empasse che si era aperto fin dal mese di giugno tra lo Stato e le Regioni, causato dalla manovra finanziaria nazionale. Abbiamo fatto bene a tenere duro a non deflettere mai dalla difesa delle nostre ragioni e anche dalla volontà di dialogo e di raggiungere un accordo con il governo".

TRASPORTO PUBBLICO E TAGLI AI PRECARI - Proprio in merito al trasporto pubblico locale, errani ha spiegato che le Regioni hanno ottenuto che le risorse liberate dal patto di stabilità siano spendibili per il 2011 mentre dal 2012 il governo si è impegnato a fiscalizzare il trasporto. Allo stesso modo il governo si è impegnato, dal 2012, a rivedere i 4 miliardi e mezzo di tagli che erano stati previsti dalla manovra di luglio. Quanto al taglio del 50% della spesa per i precari previsto dalla manovra estiva, il presidente dell'Emilia-Romagna ha chiarito che "non riguarda il personale sanitario". Nell'accordo raggiunto il governo, ha confermato che "le vigenti disposizioni limitative delle assunzioni non si applicano agli enti del servizio sanitario nazionale che non sono interessate dai piani di rientro".

Redazione online

16 dicembre 2010

 

 

 

2010-11-30

Prevista anche l'ineleggibilità per 10 anni degli amministratori che hanno dissestato l'ente

Federalismo, la bozza del decreto

"Governatore 'in rosso' rischia posto"

È una delle anticipazioni del testo che ha avuto

il via libera preliminare del Consiglio dei ministri

Prevista anche l'ineleggibilità per 10 anni degli amministratori che hanno dissestato l'ente

Federalismo, la bozza del decreto

"Governatore 'in rosso' rischia posto"

È una delle anticipazioni del testo che ha avuto

il via libera preliminare del Consiglio dei ministri

MILANO - Rischia la rimozione il governatore che manda la propria regione in "rosso". E si vede tagliato il 30% del rimborso delle spese elettorali della lista che lo ha sostenuto. Lo prevede la bozza del decreto attuativo del federalismo fiscale sui premi e le sanzioni agli enti locali che ha avuto in giornata il via libera preliminare, salvo intese, del Consiglio dei ministri. Nel testo è prevista anche l'ineleggibilità per 10 anni dei sindaci e dei presidenti di Provincia che mandano in dissesto l'ente da loro amministrato.

50% MAGGIORI ENTRATE DA NERO - "Per potenziare l'azione di contrasto all'evasione fiscale, la partecipazione delle Regioni e delle Province all'accertamento fiscale - recita ancora la bozza - è incentivata mediante il riconoscimento di una quota pari al 50 per cento delle maggiori somme relative a tributi statali riscosse a titolo definitivo, a seguito dell'intervento della regione o della provincia che abbia contribuito all'accertamento stesso". Quanto ai Comuni è già previsto nel decreto sul fisco municipale che una quota delle maggiori entrate da lotta all'evasione fiscale vadano ai municipi che contribuiscono.

INVENTARIO DI FINE MANDATO - Tra le altre novità previste nella bozza, l'inventario di fine mandato per i governatori sottoposti a piani di rientro finanziari, ma che può essere messo a punto anche dagli altri presidenti di regione. "Al fine di garantire il coordinamento della finanza pubblica, il rispetto dell'unità economica della Repubblica, il principio di trasparenza delle decisioni di entrata e di spesa - si legge infatti nel testo - le Regioni che nella legislatura in corso alla data di entrata in vigore del presente decreto o in una successiva sono assoggettate a un piano di rientro della spesa sanitaria, sono tenute a redigere un inventario di fine legislatura. Lo stesso inventario di fine legislatura può essere istituito anche dalle altre Regioni". L'inventario di fine mandato deve contenere una descrizione dettagliata delle principali attività normative e amministrative svolte durante la legislatura. Tra l'altro, in particolare, "azioni intraprese per contenere la spesa sanitaria e stato del percorso di convergenza ai costi standard; situazione economica e finanziaria del settore sanitario, quantificazione certificata della misura del relativo indebitamento regionale; stato certificato del bilancio regionale per la parte relativa alla spesa sanitaria".

"BUFFONATA - Immediate le critiche dell'opposizione al testo. "La bozza sul federalismo approvata in Cdm è una buffonata, che contiene ampi margini di incostituzionalità, pensata per essere bocciata e soprattutto per colpire i comuni del sud" ha detto Davide Zoggia, responsabile enti locali del Pd. "Il governo dovrebbe pensare a misure serie quali ad esempio la revisione del patto di stabilità interno e non a perdere tempo con cialtronate di questo genere. Se dovesse valere la regola dello stop per gli amministratori che vanno in rosso - ironizza Zoggia- allora dovrebbe esserci la sospensione a divinis per Berlusconi e Tremonti autori dei peggiori buchi economici della storia economica del nostro paese. E` l`indegna fine di una delle peggiori legislature di sempre"

Redazione online

30 novembre 2010

 

 

2010-09-18

"DIVISE PADANE"

Protezione civile senza tricolore

È bufera, il Pdl contro la Lega

Attacco da Cortina. "Disprezzo per l’Italia". La replica: "Via solo dalle magliette"

La polo della Protezione civile senza tricolore

La polo della Protezione civile senza tricolore

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L'assessore: solo un piccolo restyling. Il monito da Roma: tricolore unico collante

CORTINA D’AMPEZZO (Belluno) – Giù le mani dal tricolore. In tanti si aspettavano uno scatto d'orgoglio, tra le cime di Cortina, che il Pdl alzasse la voce e uscisse dall'ombra ingombrante del governatore onnipresente, Luca Zaia. Non ci sono voluti nemmeno tre minuti. Saliti sul palco della kermesse che fu di corrente (Sacconi-Sernagiotto) e da quest'anno riunisce all'Audi Palace l'intero partito, il capogruppo in consiglio regionale Dario Bond e il suo vice Piergiorgio Cortelazzo puntano il dito proprio contro il presidente ed il suo assessore alla Protezione civile, Daniele Stival, leghista pure lui, colpevoli di voler togliere la bandiera italiana dalle divise dei volontari: "E' un atto di disprezzo nei confronti del Paese e dell'unità nazionale". Qualcuno se n'era accorto già durante il raduno nazionale dei vigili del fuoco, che pure s'è tenuto nella cornice delle Dolomiti la scorsa settimana: alcuni uomini della Protezione civile chiamati a dare una mano ai pompieri indossavano sì la polo d'ordinanza, ma senza scudetto tricolore.

E poi c'è quel carteggio, di cui si vocifera nei corridoi di palazzo Balbi, tra l’assessore Stival e il responsabile veneto della Protezione civile, Graziana De Sabata, in cui si annuncia la nuova estetica padana. Di più, pare addirittura che siano già state confezionate 16 mila magliette, senza bandiera. Stival conferma ("E' vero, potevo decidere come meglio credevo e così ho fatto") ma smorza i toni: "Il tricolore resta sulle tute, sui giacconi e sulle altre divise regolate dalla legge. Scompare solo dalle polo estive, che ciascuna Regione è libera di scegliere. Non vedo il dramma". La bandiera italiana, che prima faceva bella mostra di sé sui colletti, è stata sostituita dalla riga arancione come il logo della Protezione civile. Sulla manica c’è lo scudetto della Regione con il leone di San Marco. Rigurgiti di anti italianità leghista? "Ma no, che c'entra. Potevo scegliere e a me piacciono di più così", fa spallucce Stival. Non è una faccenda da poco, invece, per i colonnelli del Pdl, che ieri hanno sparato ad alzo zero: "Questa è la nostra linea del Piave – hanno detto Bond e Cortelazzo - perché sui valori dell'unità nazionale non si transige. La Protezione civile del Veneto è istituita per la prevenzione e il soccorso in tutta Italia e in tutto il mondo e non può essere trattata come una istituzione di parte".

Un'accusa non nuova, quella al Carroccio, di considerare i volontari come una longa manus fosforescente del partito. A Treviso, ad esempio, da anni avanguardia delle manovre dei padani in Veneto e non solo, la Protezione civile vanta da tempo tra le sue fila numerosi esponenti della Lega, in passato anche con ruoli di primo piano. Una consuetudine che ha contribuito a cementare il consenso per il movimento sul territorio e che in qualche caso ha finito per provocare più di un imbarazzo. Evidentemente il Pdl vuole evitare che la storia di ripeta su scala regionale. "L'unità della Protezione civile non può essere messa in discussione in nessun modo perché tocca i valori profondi di solidarietà del popolo veneto e la generosità e il cuore di oltre 16 mila volontari – continuano Bond e Cortelazzo - L'unità e il significato della Protezione civile è nei valori e nella struttura operativa nazionale alla stessa stregua del corpo nazionale dei Vigili del Fuoco, delle forze di Polizia o del Corpo forestale dello Stato. Pensare di disarticolare o spezzare il sistema della Protezione civile nazionale significa sfregiare lo spirito di solidarietà che unisce i volontari italiani tra loro e il volontariato di tutto il mondo".

Marco Bonet

18 settembre 2010

 

 

 

Le sentenze - Da Madoff a Weiss

Otto secoli di cella: l'America

che non fa sconti

Negli Usa le leggi vengono applicate con severità: tutti i reati sono puniti con pene detentive molto severe

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NEW YORK - In America il supertruffatore Bernard Madoff che sta scontando una condanna a 150 anni, non è il recordman delle sentenze esemplari: due anni fa, in Texas, Norman Schmidt è stato condannato a 330 anni di carcere per una frode finanziaria, mentre in Florida una truffa da 450 milioni di dollari particolarmente sofisticata che ha fatto fallire un'assicurazione lasciando 25 mila persone senza un dollaro di risparmio previdenziale, è costata a Sholam Weiss la condanna a rimanere in carcere fino al 2754. Il giudice che nel 2000 gli ha comminato 845 anni di carcere ha scritto che uno così va "definitivamente rimosso dalla società".

Negli Stati Uniti, Paese che tende ad applicare le sue leggi con severità, tutti i reati sono puniti con pene detentive molto severe. Vale per la criminalità comune, per la corruzione in politica (molti i membri del Congresso, i governatori degli Stati e i sindaci dietro le sbarre), e anche per i crimini dei "colletti bianchi". Per questi ultimi la severità c'è sempre stata, ma le condanne sono state inasprite dieci anni fa, con lo scoppio della bolla della "net economy" e il "crac" di giganti come Enron, Tyco e Worldcom. Ancora alla fine degli anni '80 protagonisti di crimini finanziari come Michael Milken, l'inventore dei "junk bond" e Ivan Boesky, lo "squalo" che ispirerà a Oliver Stone il personaggio di Gordon Gekko, interpretato da Michael Douglas nel film "Wall Street", se la cavarono relativamente a buon mercato: condannato a dieci anni per aver commesso 98 reati (dall'"insider trading" alla frode), Milken, collaborando con la Giustizia, finì per scontarne solo due. Anche Boesky, giocando sugli sconti di pena e pagando una multa di 100 milioni di dollari, se la cavò con un paio d'anni dietro le sbarre.

A metà degli anni '90, però, il governo federale decise di stringere i freni: con gran parte delle pensioni e anche molte coperture sanitarie dipendenti dalla gestione del risparmio, era vitale togliere spazio agli sciacalli, colpendoli duramente. Le pene furono inasprite e divennero cumulabili in caso di reati plurimi, vennero rese proporzionali al danno economico, mentre fu ridotto il margine discrezionale dei giudici per la concessione di sconti. Risultato: quando nel 2000 scoppiò la "bolla tecnologica", alcuni dei finanzieri più in vista del decennio ruggente della "net economy" finirono in galera con pene detentive lunghissime. Ebbers di WorldCom fu condannato a 25 anni come Kozlowski di Tyco, mentre John Rigas di Adelphia ne prese 15. Il "crac" Refco costò a Phillip Bennett una condanna a 16 anni mentre nel caso più celebre, quello della Enron, l'ex presidente Jeffrey Skilling sta scontando una condanna a 24 anni. Il direttore finanziario del gigante texano ormai fallito, Andrew Fastow, ha, invece, avuto solo sei anni di prigione, grazie alla sua collaborazione coi magistrati. Testimonianze usate dagli inquirenti per "incastrare" l'amministratore delegato Ken Lay, grande benefattore e amico personale dell'allora presidente George Bush. Condannato nel 2006 a una pena variabile tra 25 e 30 anni, Lay morì, apparentemente per un attacco cardiaco, prima di entrare in carcere.

Massimo Gaggi

18 settembre 2010

 

 

 

 

 

 

 

2010-07-27

FEDERALISMO

Le Dolomiti, i fari, Palazzo Archinto

Lo Stato cede il tesoro del Demanio

L'elenco in Rete. "Salvato" il cinema di Moretti

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ROMA - Arriva sul sito online dell'Agenzia del Demanio l'elenco dei beni che potranno essere trasferiti agli enti locali in base al federalismo demaniale. Sono dodicimila "luoghi": caserme, ex poligoni di tiro, strade, scuole, magazzini, abitazioni agricole, fabbricati industriali, edifici parrocchiali, canali, terreni... Un valore globale che sale a 3,6 miliardi, 600 milioni in più rispetto al valore dell'elenco provvisorio diffuso a fine giugno. Un valore destinato a crescere perché sono per ora esclusi dall'elenco i beni di Roma, che saranno oggetto del decreto attuativo del federalismo su Roma Capitale, e sono per ora esclusi i beni delle Regioni a statuto speciale. Quindi, non entrano al momento nel meccanismo del federalismo demaniale beni come il cinema "Nuovo Sacher", da molti anni gestito nella capitale dal regista Nanni Moretti, o il Museo di Villa Giulia, ma anche gli isolotti prossimi alla Maddalena, presenti nella lista provvisoria divulgata il mese scorso.

Non sono contenuti nell'elenco neanche i beni storici-artistici che, in base alla riforma, andranno valorizzati con il coinvolgimento del ministero dei Beni culturali e sono esclusi anche i Parchi sui quali c'è la competenza del ministero per l'Ambiente.

L'elenco, nonostante le assenze, resta ricco: tra i beni trasferibili ci sono Palazzo Archinto a Milano, alcune zone del Colle di Superga a Torino e poi le Dolomiti, delle quali potranno essere ceduti vasti appezzamenti, dalle Tofane al Monte Cristallo alla Croda Rossa. Gli enti locali potranno ottenere anche i fari, come lo "Spignon" di Venezia o quello di Mattinata sul Gargano.

Con la pubblicazione gli enti locali inizieranno a farsi un'idea del patrimonio del quale potranno entrare in possesso e che potranno vendere per migliorare i loro conti. I dodicimila beni sono sul sito web dell'Agenzia del Demanio, diretta da Maurizio Prato, provincia per provincia, divisi per categorie. L'Agenzia continuerà il suo lavoro di aggiornamento e limatura dell'elenco con nuove liste ogni quindici giorni. La lista definitiva entrerà invece nei decreti della presidenza del Consiglio, emanati a fine anno. Da quel momento Comuni, Province e Regioni avranno 60 giorni di tempo per fare richiesta di un bene con l'obiettivo della sua "valorizzazione" ed eventuale vendita.

Paolo Franco, il senatore della Lega Nord che, assieme a tutto il gruppo del Carroccio in Senato, sollecitò l'Agenzia a pubblicare sul sito l'elenco dei beni, ha detto: "Finalmente gli enti locali potranno visionare il patrimonio immobiliare che poi passerà sotto la loro competenza".

In base all'elenco pubblicato ieri è la Lombardia la Regione più dotata di beni trasferibili agli enti locali. La regione governata da Roberto Formigoni può contare su un portafoglio di circa mille beni per un valore di quasi settecento milioni. Ultime in classifica le Marche, con trecento beni per un valore complessivo di sessanta milioni. Il Lazio, esclusa Roma, può contare su quasi mille e cinquecento beni per un valore di oltre trecentotrenta milioni. Per alcune regioni il valore e il numero dei beni è accorpato: Abruzzo-Molise e Toscana-Umbria. Si tratta, in ogni caso, di un valore "inventariale", che non è sempre aggiornato agli attuali valori di mercato, perché questa operazione sarà effettuata nel momento in cui il bene viene richiesto.

A. Gar.

27 luglio 2010

 

 

 

 

2010-07-04

 

Conti pubblici - Le misure

Pensioni e federalismo, il Tesoro blinda la manovra

Diventerà legge l’adeguamento automatico dell’età pensionabile. Il contropiede sui governatori

Conti pubblici - Le misure

Pensioni e federalismo, il Tesoro blinda la manovra

Diventerà legge l’adeguamento automatico dell’età pensionabile. Il contropiede sui governatori

ROMA — Articolo 12-ter. La nuova gamba spuntata alla manovra per la correzione del deficit sta lì dentro. In quell’emendamento presentato dal relatore del decreto, Antonio Azzollini, dopo averlo concordato con il ministero dell’Economia. L’adeguamento automatico dell’età di pensione alle speranze di vita. Fatto per legge e non più affidato ad un semplice Regolamento, che pure il governo si era premurato di approvare il giorno dopo il varo della manovra per dare ancor più sostanza agli impegni del governo sul risanamento. Meglio andare sul sicuro, deve aver pensato Giulio Tremonti. Un Regolamento, benché attuativo di una legge precedente, si può sempre cancellare, sostituire, modificare, contestare. Il Consiglio di Stato, ad esempio, lo stava soppesando da qualche giorno. Così, per non correre il minimo rischio, è arrivato il blitz.

Mentre tutti si scagliavano sull’articolo 12-bis contenuto nello stesso emendamento, secondo il quale dal 2016 non sarebbero stati più sufficienti i 40 anni di contributi per la pensione, poi declassato a "refuso " e ritirato dal relatore, l’articolo 12-ter è sfilato via senza problemi e clamori. Una volta che il decreto sarà approvato dal Senato, e subito dopo dalla Camera, l’adeguamento dell’età di pensione alle speranze di vita, da verificare ogni tre anni, sarà scritto nero su bianco in una legge. Per la felicità dell’Unione Europea, dei mercati, e forse anche dei politici che verranno dopo, perché secondo il ministro dell’Economia, già convinto che l’Italia avesse la miglior legge d’Europa sulle pensioni, il sistema previdenziale è blindato a vita. Oltre ai tagli alla spesa degli enti locali e a quelli della pubblica amministrazione con il blocco del rinovo contrattuale del pubblico impiego, si aggiunge un altro puntello alla manovra anti-crisi, che il ministro dell’Economia è convinto di portare a casa intatta.

Dei 2.500 emendamenti presentati dalla maggioranza e dall’opposizione, finora, in Commissione, non ne è passato neanche uno. Il margine per le modifiche, ha ripetuto il ministro dell’Economia nei due incontri avuti con la maggioranza in Senato, è ridotto al minimo. Per essere sicuro di incassare il risultato, a Tremonti servono però ancora un paio di verifiche. Con la maggioranza di centro-destra e soprattutto con il Presidente del Consiglio. Silvio Berlusconi ha annunciato che da domani prenderà lui in mano la situazione, anche la manovra per la correzione dei conti. Il ministro dell’Economia sembra tranquillo. Finora, nelle occasioni pubbliche, il premier ha difeso senza troppe esitazioni la sua linea. Tuttavia il clima, durante l’assenza di Berlusconi, si è scaldato. I governatori delle Regioni continuano a protestare per i tagli, e Tremonti li attacca a testa bassa sugli sprechi. Loro lamentano il taglio dei trasferimenti che cancellano il federalismo fiscale e lui, con un altro emendamento passato sotto silenzio, sposta i tagli dai "trasferimenti" alle "risorse a qualunque titolo spettanti alle Regioni". Che ora meditano di rivolgersi a Gianfranco Fini, l’ultima porta rimasta a cui bussare. Una partita durissima, senza esclusione di colpi. Da domani nelle mani di Silvio Berlusconi.

M. Sen.

04 luglio 2010

 

 

 

 

2010-07-02

 

le indiscrezioni: "C'è una riflessione in atto, qualcosa potrebbe succedere"

Caso Brancher, nel Pdl sale la tensione

Dibattito all'interno del partito: c'è chi chiede un passo indietro al neoministro

le indiscrezioni: "C'è una riflessione in atto, qualcosa potrebbe succedere"

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Aldo Brancher (Ansa)

Aldo Brancher (Ansa)

MILANO - Il caso Brancher continua a monopolizzare il dibattito all'interno della maggioranza. Nel Pdl in particolare è in corso una riflessione sul ruolo di Aldo Brancher nel governo. È quanto si apprende da fonti parlamentari di via dell'Umiltà. L'obiettivo è evitare il voto di sfiducia richiesto da Pd e Idv e in calendario l'8 luglio alla Camera.

PASSO INDIETRO - Ed è per questo motivo che il partito potrebbe chiedere al neoministro del Decentramento di fare un passo indietro. Oppure potrebbe essere lo stesso Brancher a decidere in tal senso. L'ufficiale di collegamento con la Lega oggi è stato a palazzo Grazioli e dovrebbe vedere il presidente del Consiglio anche nel week end. "C'è una riflessione in atto, qualcosa potrebbe succedere. Non è stata presa ancora nessuna decisione", sottolineano le stesse fonti.

Redazione online

02 luglio 2010

 

 

 

2010-06-28

Enti locali - I beni

Isole e Dolomiti, la lista delle polemiche

Al demanio locale anche le montagne. Il Pd: è estremismo

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Isole e Dolomiti, la lista delle polemiche

Al demanio locale anche le montagne. Il Pd: è estremismo

ROMA — Si avvicina l’ora X per sapere quali saranno i beni del Demanio che potranno essere trasferiti agli enti locali in base al federalismo demaniale. A fine luglio l’Agenzia del demanio diretta da Maurizio Prato fornirà un elenco dettagliato e ufficiale che apparirà sul suo sito. Intanto, da ieri è disponibile una lista provvisoria che i governatori delle Regioni o i sindaci potranno cominciare a studiare per vedere se vi sono beni interessanti. Quelli finora "inventariati " valgono oltre 3 miliardi di euro, costituiti da 9 mila immobili, chilometri di spiagge, centinaia di miniere, fiumi e laghi (in questo caso solo in concessione). I pezzi più pregiati sono quelli storici come la Cittadella di Alessandria, il Palazzo dei Normanni a Palermo, la Rocca di Scandiano, il Castello di Vigevano. Da ieri si sono aggiunte altre perle come pezzi delle Dolomiti (Tofane, Monte Cristallo, la Croda del Becco a Cortina), alcuni vecchi immobili di Porta Portese, famosa ormai nel mondo per il celebre mercatino romano, la facoltà di Ingegneria della Sapienza e persino il Nuovo Cinema Sacher di Nanni Moretti, stimato 4 milioni e mezzo di euro.

La tabella di marcia per lo storico passaggio, anticamera per una valorizzazione o addirittura la cessione a privati (in questo caso il ricavato andrà in gran parte alla riduzione del debito locale e per il 25% residuo per quello pubblico), si sta accorciando. Entro il 20 di agosto le amministrazioni centrali dovranno indicare i beni in uso che intendono conservare. Passati altri tre mesi — cioè entro il 20 di novembre—il governo pubblicherà l’elenco dei beni effettivamente cedibili agli enti locali. A questo punto Regioni e Comuni avranno a disposizione due mesi per fare richiesta spiegando però che cosa intendono fare. Se tutto va bene dopo altri 60 giorni arriveranno i decreti per il passaggio di proprietà: l’operazione dovrebbe dunque terminare entro fine marzo del prossimo anno.

Nella lista messa a punto dall’Agenzia ci sono anche montagne e laghi, ex caserme come quella di Santo Stefano vicino a Ventotene e veri e propri gioielli dal valore incalcolabile come il Museo di Villa Giulia a Roma, l’ex Forte Sant’Erasmo a Venezia, il faro di Ponza. Sempre a Roma spiccano l’ex Forte Ardeatino, l’area della Villa Gregoriana a Tivoli e l’intera area dell’Idroscalo di Ostia (valore stimato quasi 7 milioni di euro) dove Pier Paolo Pasolini trovò la morte. Nel ricco e affascinante capitolo dei fari arrivano quelli di Ponza, di Mattinata sul Gargano, di Spignon a Venezia oltre a quello di Punta Palascia a Otranto. Tra le isole che possono essere devolute quella di Santo Stefano vicino a Ventotene, terreni nell’isola dell’Unione di Chioggia e in quella di Sant’Angelo delle Polveri a Venezia e un complesso di aree dell'isola di Palmaria vicino a Portovenere.

Non sono mancate le polemiche. Se il governatore del Veneto, il leghista Luca Zaia ha valutato il federalismo demaniale "una cosa giusta", l’opposizione ha avuto molto da ridire. Per il portavoce dei Verdi Angelo Bonelli "dietro questa alienazione di beni si nasconde la più grande operazione edilizia ed immobiliare della storia della Repubblica italiana". Il deputato del Partito democratico Francesco Boccia osserva che il "federalismo non deve diventare un suk, ma una nuova stagione di doveri" e annuncia che nei prossimi giorni il Pd tornerà alla carica per introdurre "forme di compensazione dei territori meno fortunati".

Roberto Bagnoli

28 giugno 2010

 

 

REPUBBLICA

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2011-07-29

IL CASO

Lega: ministeri trasferibili per legge

Calderoli: "Governo più vicino ai cittadini"

Al consiglio federale della Lega citate norme che sottolineano come Roma sia sede del governo "ma non si parla dei ministeri". Il ministro per la Semplificazione normativa parla al quotidiano 'la Padania' degli "effetti benefici". Ma il sindaco di Roma Gianni Alemanno ribatte: "Questa idiozia non passerà"

Lega: ministeri trasferibili per legge Calderoli: "Governo più vicino ai cittadini" Roberto Calderoli

MILANO - La Lega replica a Napolitano. E insiste sui ministeri al Nord. Se ne è parlato nel Consiglio federale del Carroccio che si è tenuto in serata a Milano. E si è detto che il loro trasferimento è già, di fatto, "previsto per legge". A questo proposito, raccontano diversi partecipanti alla riunione, sono stati citati l'articolo 2, comma 4, del decreto Ministeriale del 29 ottobre 2001 e il Regio decreto numero 33 del 1871. In queste norme, "è stato sottolineato nel corso della riunione, si stabilirebbe che Roma è sede del governo, ma non si parla dei ministeri".

In un intervento sulla Padania, il ministro per la Semplificazione normativa, Roberto Calderoli, ha poi spiegato le ragioni e le necessità che hanno portato alle "sedi periferiche di rappresentanza operativa" del governo, "ferma restando Roma Capitale". Perché, ha spiegato, così il governo è sempre più vicino ai cittadini. La sua è una risposta ai rilievi mossi dal Capo dello Stato 1, Giorgio Napolitano, e mette in luce da un lato la conformità delle leggi che hanno portato a tale decisione, dall'altro gli effetti benefici dell'operazione. "L'istituzione di sedi periferiche - si legge nell'anticipazione del quotidiano lumbard - intende rispondere all'esigenza di assicurare una più significativa presenza sul territorio degli uffici del

governo, attraverso moduli organizzativi per lo più dedicati all'interlocuzione fra i cittadini e le amministrazioni".

L'articolo 2, comma 4, del decreto Ministeriale del 29 ottobre 2001, 'Organizzazione interna del Dipartimento per le riforme istituzionali e la devoluzione della Presidenza del Consiglio dei Ministri', pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 273 del 23 novembre 2001 recita che "Il Ministro può avvalersi di sedi periferiche per lo svolgimento delle competenze del Dipartimento".

"Le funzionalità aggiuntive delle nuove sedi periferiche - scrive ancora il ministro per la Semplificazione normativa, sottolineando che "comunque non ci saranno costi aggiuntivi" - saranno di diverso tipo, si pensi in particolare all'esigenza di dare voce ai vari soggetti della società civile, ma anche all'esigenza di rilanciare il nostro Paese in un rapporto più diretto con le realtà economiche e produttive, in un'ottica di rilancio del Paese".

E intanto dal consiglio federale leghista che si è svolto oggi in via Bellerio e fuoriuscito un richiamo a "rispettare la linea del segretario federale" destinato a tutti gli esponenti del partito, anche a livello locale, e un invito ai parlamentari a rispettare le indicazioni di voto del segretario federale e del gruppo. A quanto si è appreso è stata anche illustrata la bozza di una lettera con cui la Lega illustra le ragioni del decentramento dei ministeri a Monza dopo il richiamo del presidente Napolitano 2 sulla questione.

Il Federale si è anche occupato della questione del ticket sanità, dando mandato a Bossi di trovare soluzioni per poter evitare ai cittadini il pagamento. La gran parte del lavoro del Federale ha riguardato una serie di questioni organizzative, compresa la festa della Lega a settembre sul Po, e provvedimenti nei confronti di tesserati, come quello che ha riguardato al sospensione di Mario Borghezio e l'espulsione del senatore veneto Filippi.

Il sindaco di Roma però non è d'accordo e incalza: "La risposta, ancora una volta, deve essere la stessa. Questa idiozia non passerà", afferma in una nota Gianni Alemanno replicando alla Lega sulla vicenda dei ministeri al nord. "E' incredibile che questa vicenda continui a essere alimentata dalla Lega di Bossi. La Lega ha collezionato una serie incredibile di figuracce da quando ha intrapreso questa strada. Non c'è alcun consenso neanche al nord su questa proposta, eppure - conclude - si continua a insistere con una ottusità incredibile".

(29 luglio 2011)

 

 

 

 

 

 

 

 

2011-07-28

LA POLEMICA

Ministeri, tensione tra Colle e Lega

"Fuori dalla Costituzione". "Andiamo avanti"

Durissimo il presidente della Repubblica: "Apertura senza nemmeno un decreto in Gazzetta Ufficiale. Impensabile una capitale diffusa, c'è Roma". Il leader leghista: "La Carta non dice che non si possono spostare. Milano è la capitale...". Alemanno: "Senatur irresponsabile". Berlusconi in Cdm: "Tenere conto delle parole del Quirinale"

Ministeri, tensione tra Colle e Lega "Fuori dalla Costituzione". "Andiamo avanti" Bossi all'inaugurazione della sede dei ministeri a Monza

ROMA - Sui ministeri al Nord è scontro aperto tra Quirinale e Lega. Al punto che oggi Giorgio Napolitano ha inviato al governo contestando l'apertura delle sedi distaccate dei dicasteri, che il Carroccio esibisce come un fiore all'occhiello.

"Una apertura che confligge con la Carta costituzionale - dice il presidente - e il Quirinale che è garante dell'Unità" deve intervenire. Oltretutto Napolitano sottolinea che l'inaugurazione è stata fatta "senza nemmeno che vi fosse un decreto pubblicato in Gazzetta Ufficiale", dunque senza che esista una legge operante. E aggiunge: "Non è pensabile una capitale diffusa, c'è Roma".

 

IL TESTO DELLA LETTERA

1

"La pur condivisibile intenzione di avvicinare l'amministrazione pubblica ai cittadini non può spingersi al punto di immaginare una 'capitale diffusa' o 'reticolare' disseminata sul territorio nazionale, in completa obliterazione della menzionata natura di capitale della città di Roma, sede del governo della repubblica" scrive Napolitano. Che si rivolge a Berlusconi: "Ho ritenuto doveroso prospettarle queste riflessioni di carattere istituzionale al fine di evitare equivoci e atti specifici che chiamano in causa la mia responsabilità quale rappresentante dell'unità nazionale e garante di princìpi e precetti sanciti dalla Costituzione".

Bossi, prima frena ("i rapporti con Napolitano non si romperanno per questo") poi accelera: "Napolitano non si preoccupi, le sedi restano lì. La Costituzione non parla di dove devono stare. Noi vogliamo spostare i ministeri come fanno negli altri paesi". Una risposta che spazza via tutte le mediazioni che Berlusconi aveva avviato - anche attraverso Letta - per trovare una soluzione al conflitto aperto con il Colle. Mentre Silvio Berlusconi, in apertura del Consiglio dei ministri, rivolge un invito "pressante" affinché i ministri tengano "in debito conto" le osservazioni di Napolitano.

Il leader leghista non si ferma, ed entra direttamente in campo sul caso giudiziario aperto intorno a Tremonti, dando anche un appoggio al ministro dell'Economia nel contrasto che lo vede protagonista con la presidenza del Consiglio: "Tremonti? La storia della casa è solo una buccia di banana, dice. Il ministro non rischia".

Le reazioni. "La risposta di Umberto Bossi al presidente Napolitano è un comportamento irresponsabile" dichiara il sindaco di Roma, Gianni Alemanno. "Vogliamo presentare una mozione di sfiducia formale nei confronti dell'intero esecutivo, ma per farlo occorrono almeno sessantatre firme, dunque facciamo appello alle altre forze politiche e ai deputati che ancora hanno una dignità affinchè si uniscano alla nostra battaglia a salvaguardia della democrazia e delle istituzioni" dice Antonio Di Pietro. Anche il governatore del Lazio, Renata Polverini si schiera con Napolitano: "Ha ragione, i ministeri sono governo".

"Non si possono aprire sedi del governo a piacimento dei singoli ministri, non si può esporre in una sede istituzionale la foto di un leader politico accanto al tricolore. Le istituzioni sono di tutti i cittadini, non di chi temporaneamente occupa responsabilità di governo" sottolinea l'ex segretario del Pd, Walter Veltroni. Secondo Gianfranco Fini "Bossi sta giocando una partita tutta diversa da quella di Berlusconi". La Lega, però, insiste. Con Bossi che ironizza: "Vado a casa, vado a Milano, che è la Capitale...". Mentre l'europarlamentare leghista Matteo Salvini, ad Affaritaliani.It, taglia corto: "Napolitano difende il vecchio".

(28 luglio 2011)

 

 

 

IL TESTO DELLA LETTERA DEL PRESIDENTE NAPOLITANO:

Lettera del Presidente della Repubblica al Presidente del Consiglio sul tema del decentramento delle sedi dei Ministeri sul territorio

N o t a

Si rende noto il testo integrale della lettera che il Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, ha inviato al Presidente del Consiglio dei Ministri, Silvio Berlusconi, sul tema del decentramento delle sedi dei Ministeri sul territorio:

"Mi risulta che il Ministro delle riforme per il federalismo e il Ministro per la semplificazione normativa, con decreti in data 7 giugno 2011 - peraltro non pubblicati sulla Gazzetta Ufficiale - hanno provveduto a istituire proprie "sedi distaccate di rappresentanza operativa"; ho appreso altresì che analoghe iniziative verrebbero assunte a breve anche dal Ministro del turismo e dal Ministro dell'economia e delle finanze (quest'ultimo titolare di un importante Dicastero, anziché Ministro senza portafoglio come gli altri tre).

Come ho già avuto occasione di sottolineare al Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio dott. Letta, la dislocazione di sedi ministeriali in ambiti del territorio diversi dalla città di Roma deve tener conto delle disposizioni contenute nel regio decreto n. 33 del 1871, ancora pienamente vigente, che nell'istituire, all'articolo 1, Roma quale capitale d'Italia ha altresì previsto che in essa abbiano sede il Governo ed i Ministeri.

E' altresì noto che la scelta di Roma capitale è stata costituzionalizzata con la riforma del titolo V della nostra Carta che, con la nuova formulazione dell'articolo 114, terzo comma, ha da una parte introdotto un bilanciamento con le più ampie funzioni attribuite agli enti territoriali e dall'altra ha posto un vincolo che coinvolge tutti gli organi costituzionali, compresi ovviamente il Governo e la Presidenza del Consiglio: vincolo ribadito dalla legge n. 42 del 2009, che all'art. 24 prevede un primo ordinamento transitorio per Roma capitale diretto "a garantire il miglior assetto delle funzioni che Roma è chiamata a svolgere quale sede degli Organi Costituzionali".

Infine, recentemente e sia pure in un contesto non univoco, nel corso dell'esame parlamentare del d.l. n. 70 del 2011, sono stati discussi e votati diversi ordini del giorno finalizzati ad escludere ipotesi di delocalizzazione dei Ministeri pur nell'accoglimento, senza voto, di un o.d.g. (Cicchitto ed altri) di contenuto autorizzatorio.

Quanto al contenuto dei citati decreti istitutivi devo rilevare che i Ministri emananti, Ministri senza portafoglio, hanno provveduto autonomamente ad istituire sedi distaccate, rispettivamente, di un Dipartimento e di una Struttura di missione, che costituiscono parte dell'ordinamento della Presidenza del Consiglio.

Poiché ai fini di una eventuale sua elasticità, il decreto legislativo n. 303 del 1999, all'articolo 7, attribuisce al Presidente del Consiglio la facoltà di adottare con DPCM le misure per il miglior esercizio delle sue funzioni istituzionali, ritengo che l'autorizzazione ad una eventuale diversa allocazione di sedi o strutture operative, e non già di semplice rappresentanza, dovrebbe più correttamente trovare collocazione normativa in un atto avente tale rango, da sottoporre alla registrazione della Corte dei Conti per i non irrilevanti profili finanziari, come affermato dalla sentenza della Corte Costituzionale n. 221 del 2002.

Peraltro l'apertura di sedi di mera rappresentanza costituisce scelta organizzativa da valutarsi in una logica costi-benefici che, in ogni caso, dovrebbe improntarsi, nell'attuale situazione economico-finanziaria, al più rigido contenimento delle spese e alla massima efficienza funzionale.

Tutt'altra fattispecie, prevista dalla stessa Costituzione e da numerose leggi attuative, è quella della esistenza, storicamente consolidata, di uffici periferici (come ad esempio i Provveditorati agli studi e le Sovraintendenze ai beni culturali e ambientali), che non può quindi confondersi in alcun modo con lo spostamento di sede dei Ministeri; spostamento non legittimato né dalla Costituzione che individua in Roma la capitale della Repubblica, né dalle leggi ordinarie, quale ad esempio l'articolo 17, comma 4-bis, della legge n. 400 del 1988, che consente di intervenire con regolamento ministeriale solo sull'individuazione degli uffici centrali e periferici e non sullo spostamento di sede dei Ministeri. Inoltre, il rapporto tra tali uffici periferici e gli enti locali va assicurato sull'intero territorio nazionale nell'ambito dei già delineati uffici territoriali di Governo.

Va peraltro rilevato che a fronte della scelta, non avente connotati di particolare rilievo istituzionale, di aprire meri uffici di rappresentanza, non giova alla chiarezza una recente nota della Presidenza del Consiglio, che inquadra tale iniziativa nell'ambito di "intese già raggiunte sugli uffici decentrati e di rappresentanza di alcuni ministeri sia al Nord che al Sud, come già in essere per molti altri ministeri", così preludendo ad ulteriori dispersioni degli assetti organizzativi dei Ministeri tanto da consentire la prefigurazione, da parte di esponenti dello stesso Governo, di casuali localizzazioni in vari siti regionali o municipali delle amministrazioni centrali.

E' necessario ribadire che tale evoluzione confliggerebbe con l'articolo 114 della Costituzione che dichiara Roma Capitale della Repubblica, nonché con quanto dispongono le leggi ordinarie attuative già precedentemente citate.

La pur condivisibile intenzione di avvicinare l'amministrazione pubblica ai cittadini, pertanto, non può spingersi al punto di immaginare una "capitale diffusa" o " reticolare" disseminata sul territorio nazionale, in completa obliterazione della menzionata natura di Capitale della città di Roma, sede del Governo della Repubblica.

Ho ritenuto doveroso, onorevole Presidente, prospettarle queste riflessioni di carattere istituzionale al fine di evitare equivoci e atti specifici che chiamano in causa la mia responsabilità quale rappresentante dell'unità nazionale e garante di princìpi e precetti sanciti dalla Costituzione".

Roma, 28 luglio 2011

 

 

 

2011-07-26

IL CASO

Napolitano scrive a Berlusconi

"Preoccupato per ministeri a Nord"

Il capo dello Stato ha inviato una lettera al presidente del Consiglio con "rilievi e motivi di preoccupazione sul tema, oggetto di ampio dibattito, del decentramento delle sedi dei ministeri sul territorio"

Napolitano scrive a Berlusconi "Preoccupato per ministeri a Nord"

ROMA - "Il Presidente della Repubblica ha oggi inviato al presidente del Consiglio una lettera contenente rilievi e motivi di preoccupazione sul tema, oggetto di ampio dibattito, del decentramento delle sedi dei Ministeri sul territorio". È quanto si legge in una nota del Quirinale.

Le reazioni. L'intervento di Napolitano ha riscosso apprezzamento da più parti all'interno del panorama politico. "Il Presidente Napolitano con i suoi rilievi e la sua preoccupazione esprime lo sdegno dell'intera Nazione per l'autentica pagliacciata dell'apertura delle sedi ministeriali a Monza 1", è stato il commento del vicepresidente del Fli, Italo Bocchino. "Mentre si chiedono sacrifici agli italiani - aggiunge - la politica dovrebbe dare l'esempio riducendo ministeri, poltrone e costi e la decisione di aprire nuove sedi a cui seguiranno altri doppioni in giro per l'Italia umilia quegli italiani chiamati a tirare la cinghia per pagare sprechi inutili".

Una buffonata che va fermata è, per Anna Finocchiaro, presidente dei senatori del Pd, quella proposta dalla Lega: "Come sempre il Presidente della Repubblica interpreta al meglio, in modo puntuale, il sentire comune dei cittadini italiani, stanchi di un governo ostaggio delle pericolose pagliacciate e della propaganda leghista".

Le parole del capo dello Stato, per il leader dell'Udc, Pier Ferdinando Casini, interpretano "un'esigenza di serietà avvertita in tutta la nazione". Apprezzamento alle parole di Napolitano è stato espresso dal presidente nazionale dei Verdi, Angelo Bonelli, che si augura che "il governo metta una volta per tutte la parola fine su questa vicenda ai limiti del grottesco".

"Il Presidente della Repubblica assolve alla sua funzione di garante dell'unità e dell'ordinamento. Chi disattende il giuramento fatto sulla Costituzione, invece, è il governo che si diverte a giocare con le sedi dei dicasteri, in aperta violazione della legalità costituzionale e in contrasto con l'idea vera di federalismo, che consiste nel decentramento delle competenze. Altra cosa è il costoso spostamento di sedi e strutture fatte esclusivamente per soddisfare selvaggi conati secessionisti", ha detto il portavoce dell'Italia dei Valori, Leoluca Orlando. ''Condivido la preoccupazione del presidente Napolitano - ha commentato il sindaco di Roma, Gianni Alemanno -. Dopo molti segnali confusi - aggiunge Alemanno - era inevitabile che il Presidente della Repubblica facesse sentire la sua voce a difesa delle prerogative costituzionali di Roma Capitale. Mi auguro che il presidente Berlusconi tragga da questa lettera del capo dello Stato la spinta politica per confermare in maniera chiara e definitiva il pieno sostegno del Governo di centrodestra a Roma Capitale.

(26 luglio 2011)

 

 

 

L'INCHIESTA

Milanese: "Persecuzione contro di me

Tremonti pagava l'affitto in contanti"

Memoriale del deputato Pdl consegnato alla giunta della Camera. L'ex braccio destro del ministro dell'Economia si difende dalle accuse di aver orchestrato nomine in cambio di denaro e attacca i pm: "Le procure sono un colabrodo"

Milanese: "Persecuzione contro di me Tremonti pagava l'affitto in contanti"

ROMA - Marco Milanese 1 non si considera il "deus ex machina" delle nomine e degli intrighi di palazzo. Di più: nelle sue cassette di sicurezza non ci sarebbero gli 11 milioni di euro. Si tratta, dice, di notizie che fanno parte di una "strategia ben studiata". Lo sostiene lo stesso deputato del Pdl, storico consigliere di Tremonti nonché ex ufficiale della Guardia di Finanza, nella memoria difensiva consegnata alla giunta per le autorizzazioni della Camera.

Si giustifica anche sulla questione della casa romana di Tremonti 2. Secondo i pm il deputato di origini irpine pagava l'affitto per una residenza in cui non viveva ma dove andava a trovare il ministro, che ne è stato a lungo inquilino. Non solo: nello stesso appartamento per la Procura, sarebbero stati eseguiti lavori di ristrutturazione per circa 200mila euro che però il Milanese non ha mai pagato alla società che se n'è occupata. Milanese ha sostenuto che Tremonti dava a lui i soldi in contanti per l'affitto e che lui li versava direttamente. E continua a sostenerlo anche nel memoriale.

I lavori di ristrutturazione dell'immobile invece, stando all'accusa, sarebbero stati eseguiti gratuitamente dall'impresa Proietti in cambio di appalti dalla Sogei 3. Ma, dice Milanese, "si è taciuto che il Proietti è l'impresa di fiducia, da sempre, del Pio Sodalizio dei Piceni (proprietario dell'immobile, ndr.) e che i rapporti dello stesso con la Sogei risalgono addirittura al 2001". Ed inoltre, "i lavori effettuati sono di soli 50mila euro".

"Si è assistito ad una campagna stampa - scrive l'ex consigliere di Tremonti - che nei miei confronti è stata particolarmente feroce, messa in atto in modo tale che si traesse il convincimento che anche semplici vicende personali ed economiche, comuni a molte persone, siano state per me invece il frutto di corruzione o finalizzate esse stesse all'illecito".

E così facendo "si è finito per dare per scontato, addirittura, che all'interno delle mie cassette di sicurezza si trovino 11 milioni di euro, o chissà quale altro tesoro 4, e che io potessi essere il deus ex machina di tutte le nomine 5, anche di quelle di primo livello: e voi sapete - scrive Milanese - che così non è". Secondo il deputato, si tratta di una "ben studiata strategia finalizzata da un lato a gettare discredito sulla persona e dunque sulla mia 'preziosa' attendibilità di testimone" e dall'altro "a condizionarvi attraverso la stampa e non attraverso la lettura degli atti".

Ma il suo memoriale è un fiume in piena. Alcune procure italiane sono "un colabrodo di notiziae criminis. Emblematico - afferma Milanese - è il fatto che gli ultimi atti trasmessi alla Camera, pur rimasti chiusi nella busta di invio e custoditi in cassaforte fino a lunedì 25 (luglio, ndr.), siano finiti nelle agenzie di stampa del 23 e nei giornali del 24. Così come erano a conoscenza del fatto, pubblicato il 23, che sarei indagato a Roma per i presunti rapporti con Sogei".

In questo quadro, prosegue, "mi torna in mente il fatto che l'accusa mossa nei miei confronti è proprio quella di rivelazione di segreti e mi rammarico del fatto che ancora nessuno si voglia rendere conto che le Procure della Repubblica, almeno alcune, sono un colabrodo di iniziative investigative e di atti processuali riservati, da molti anni, facendo finire sulla stampa le riprese visive di interrogatori di un indagato".

L'avvocato Bruno Larosa, difensore Milanese, chiarisce però immediatamente che il suo cliente non si considera un perseguitato dalla magistratura. "L'onorevole Milanese - dice l'avvocato Larosa - non ha mai affermato di essere un perseguitato, ma che dagli atti emerge un chiaro fumus persecutionis nei suoi riguardi: che è cosa ben diversa da una volontaria e sistematica attività persecutoria compiuta dai magistrati".

Intanto i magistrati napoletani che indagano sulla cosiddetta P4, Francesco Curcio ed Henry Jonh Woodcock, hanno convocato Milanese per domani. Lo rivela lo stesso deputato del Pdl.

(26 luglio 2011)

 

 

 

 

 

 

2011-04-05

IL CASO

La Lega: "Subito gli eserciti regionali"

La Russa: "La difesa non si divide"

La proposta di legge del Carroccio prevede battaglioni di volontari, mille uomini per Regione, addestrati da Esercito e Carabinieri, pronti a intervenire in caso di calamità ma anche a mobilitarsi per l'ordine pubblico su richiesta dei governatori o del Consiglio dei ministri. Pd: "Pericoloso". Idv: "Ultima follia leghista"

La Lega: "Subito gli eserciti regionali" La Russa: "La difesa non si divide"

ROMA - Andata male con la corsia preferenziale riservata agli alpini del Nord 1, la Lega ci riprova puntando addirittura più in alto, alla creazione di eserciti regionali. Perché è questo obiettivo, corpi militari sul modello della Guardia nazionale americana, a cui mira una proposta di legge presentata il 15 marzo e annunciata oggi alla Camera, primo firmatario il deputato leghista Franco Gidoni. Eserciti regionali pronti a intervenire in caso di calamità naturali, di gravi attentati, di incidenti alle infrastrutture o ai siti produttivi. Ma anche a mantenere l'ordine pubblico qualora il Consiglio dei ministri o i governatori regionali lo deliberino.

L'opposizione insorge e, chiamato in causa, il ministro della Difesa, Ignazio La Russa, liquida così la proposta leghista: "In ogni Paese, anche il più federalista del mondo, l'esercito non viene mai regionalizzato o parcellizzato. E' una delle caratteristiche dello stato unitario. I compiti che normalmente si attribuiscono allo Stato centrale, come si chiama negli Stati federali, comprendono sempre la Difesa". Il ministro, parlando dagli Emirati Arabi, di ritorno dall'Afghanistan dove oggi è stato in visita ai militari italiani, aggiunge di non conoscere la proposta. "Siamo qui ad Abu Dhabi, non so esattamente chi l'ha presentata, non ne conosco il tenore. Mi riservo di valutarla quando torno in Italia".

Il provvedimento,

che porta la firma di quasi tutti i componenti del gruppo del Carroccio, ma non del capogruppo Marco Reguzzoni, prevede che le "milizie" siano composte da cittadini italiani volontari, ex militari cessati dal servizio senza demerito di età inferiore ai 40 anni. Il reclutamento dovrebbe avvenire su base regionale. E quelli che il Carroccio già definisce "battaglioni regionali" dovrebbero avere prevalentemente il carattere di 'strutture-quadro', che potrebbero poi aumentare di numero in caso di mobilitazione. I soldati regionali, che dovrebbero superare esami psico-attitudinali, avrebbero l'obbligo di prestare servizio un mese all'anno, anche per garantire la formazione permanente del personale. La loro retribuzione sarebbe identica alla paga giornaliera che si riceve nell'esercito e ci sarebbe l'aspettativa non retribuita per motivi di lavoro, sia nel settore pubblico sia in quello privato.

Toccherebbe all'esercito e ai carabinieri addestrare il nuovo 'Corpo Regionale' che non dovrebbe disporre di più di 20 mila uomini raggruppati in 20 battaglioni regionali (con il nome della regione di riferimento) sotto il comando di altrettanti tenenti colonnelli distaccati dall'esercito e dall'Arma. Ogni battaglione quindi sarebbe composto da mille uomini e donne. Le uniformi sarebbero identiche a quelle dell'esercito, ma con un distintivo in più, 'ad hoc' per ogni regione. Girerebbero armati (armamento leggero) come i carabinieri.

Per quanto riguarda la carriera, il governo dovrebbe assicurare una corrispondenza con i gradi dell'esercito anche se con alcuni distinguo. Si preclude però il passaggio di questi 'miliziani' regionali alle forze armate o ai carabinieri. Il Generale comandante del Corpo dipenderebbe dal Capo di Stato Maggiore della Difesa per quanto riguarda i compiti deliberati direttamente dal Consiglio dei Ministri, mentre i tenenti colonnelli che guiderebbero i singoli battaglioni regionali risponderebbero direttamente ai presidenti delle Regioni in cui sarebbero di stanza per fronteggiare le emergenze locali. Il Corpo dei volontari militari non potrebbe essere impiegato fuori dall'Italia.

"Nella Repubblica - si legge nella relazione del provvedimento - manca uno strumento agile e flessibile che possa essere impiegato a richiesta degli esecutivi regionali per far fronte alle situazioni che esigono l'attivazione del sistema di Protezione civile". "L'importazione nel nostro ordinamento dell'Istituto della Guardia Nazionale - aggiungono i deputati della Lega - permetterebbe di assicurare il soddisfacimento di queste esigenze liberando i reparti operativi delle Forze Armate da compiti di presidio del territorio dei quali sono talvolta impropriamente gravati e predisponendo uno strumento utilizzabile all'occorrenza quando il moltiplicarsi degli interventi all'estero riduca, ad esempio, le risorse organiche disponibili in patria".

Il capogruppo Pd nella commissione Difesa della Camera, Antonio Rugghia, definisce "pericolosa" la proposta di legge della Lega. "Sta forse puntando alla secessione militare?" commenta, aggiungendo: "Sembra voler mettere in discussione l'unità stessa del Paese e creare venti piccoli eserciti da brandire contro i propri vicini. Se non fosse stata presentata da un gruppo così folto di deputati l'avrei definita una pagliacciata, ma la presenza di autorevoli esponenti del Carroccio la rende seriamente preoccupante".

Una presa di distanza da parte dei vertici della Lega è quanto invece si aspetta Francesco Boccia, coordinatore delle commissioni economiche del gruppo del Pd alla Camera: "Bossi e Calderoli prendano le distanze o mettano tutto sul tavolo: tempo fa hanno voluto giocare a fare le ronde, facendo perdere tempo al Parlamento. Se vogliono insistere così lo dicano, perché salta tutto, anche il tavolo del federalismo"

Adolfo Urso di Fli bolla la proposta di legge leghista come una "sciocchezza propagandistica, paragonabile a quella delle ronde cittadine". "Spero che il Pdl e il ministro della Difesa rigettino questa proposta subito e senza infingimenti" dichiara ancora Urso, secondo cui semmai "avremmo bisogno di un vero esercito europeo, con una chiara e comune politica di difesa, invece di evocare le divise dei campanili".

Duro anche il segretario dell'Udc, Lorenzo Cesa: "Dopo la pagliacciata delle ronde, fallite miseramente perché respinte dalla stessa società civile, prepariamoci all'ennesimo interminabile e inutile dibattito sugli eserciti regionali, l'ultima grottesca provocazione della Lega che non troverà mai attuazione. Invece di perdere tempo con queste 'boutade', il Carroccio pensi a governare e a sostenere seriamente le Forze dell'Ordine, che per colpa degli ingenti tagli del governo non hanno le risorse e i mezzi necessari per difendere i cittadini".

Per Pino Pisicchio di Alleanza per l'Italia, la Lega "gioca a risiko con gli eserciti regionali per nascondere il fallimento delle politiche sull'immigrazione". "Il problema serio della sicurezza in Italia - prosegue Pisicchio - è trovare i finanziamenti per l'attività quotidiana delle forze dell'ordine che, grazie ai tagli selvaggi del governo, non possono nemmeno fare il pieno di benzina alle macchine di servizio. E la Lega cosa fa? Si inventa le milizie regionali: la dimostrazione dello stato di caos che ormai investe la maggioranza".

Per Massimo Donadi di Idv, si tratta dell'"ultima follia leghista". "Gli eserciti regionali sono l'evoluzione delle ronde padane - commenta il presidente del gruppo Idv alla Camera - l'eterna tentazione del Carroccio di creare uno stato nello Stato". Per Donadi è "una pericolosa panzana per fare campagna elettorale in vista delle prossime amministrative" e "Berlusconi e i vertici del Pdl hanno il dovere di intervenire per stoppare un progetto che ha l'unico obiettivo di mettere a rischio l'unità dello Stato".

La Lega è costretta a "proposte folli ed eversive" per "sviare l'attenzione del proprio elettorato dalle vicende giudiziarie di Berlusconi e dai pasticci che la maggioranza sta facendo per assicurare l'impunità del presidente del Consiglio". E' il giudizio del presidente nazionale dei Verdi, Angelo Bonelli, che aggiunge: "Ormai il Carroccio è costretto a spararle grossissime perché il governo di cui fa parte non solo non governa, ma non dà alcuna risposta alla drammatica situazione in cui si trova l'italia"

Pareri soprattutto negativi anche da parte degli enti locali. Per il governatore del Lazio, Renata Polverini, si tratta di "un altro momento di estrema fantasia della Lega". No, "nel merito e nel metodo" anche dal presidente della Regione Basilicata, Vito De Filippo, che afferma: "Parlare di un esercito con compiti a cavallo tra protezione civile e ordine pubblico con in campo una strana 'milizia' vuol dire giocare sull'equivoco e alimentare sentimenti negativi che non consolidano il federalismo e distruggono il Paese". Catiuscia Marini, presidente della Regione Umbria, premette che è "solita commentare cose serie e questa non lo è", poi aggiunge "che di fronte a tali iniziative sento il dovere di dire che intendo difendere con fermezza il ruolo delle forze armate, al cui capo c'è il presidente della Repubblica, che rappresenta l'unità nazionale". Di "proposta senza senso" e di "ennesima trovata" parla anche il presidente della Regione Liguria, Claudio Burlando.

Fuori dal coro il leghista Daniele Stival, assessore veneto alla protezione civile. "Credo che la proposta della Lega di istituire 'eserciti regionali' sia 'l'ideale prosieguo di quanto prevedeva il disegno di legge sulla devoluzione, in cui si era prevista appunto l'istituzione di una polizia locale".

(04 aprile 2011)

 

 

 

 

2011-03-20

IL CASO

Federalismo, stangata subito

sbloccate le addizionali regionali

Costi da 230 euro. Nuove tasse sul rumore e sui Suv. Manovra anticipata: chi ha un reddito oltre 28 mila euro pagherà 862 euro in più nel 2015 di ROBERTO PETRINI

Federalismo, stangata subito sbloccate le addizionali regionali

ROMA - Si appesantisce la stangata che il federalismo porterà nelle tasche degli italiani. Il nuovo testo sul fisco regionale e provinciale, contenuto nel parere del relatore di maggioranza al provvedimento, Massimo Corsaro (Pdl), scongela anche l'ultimo ostacolo rimasto sulla strada dell'aumento delle addizionali regionali: i governatori avranno mani libere fin da quest'anno. In sostanza quelle Regioni che non hanno sfruttato la possibilità di portare l'aliquota al tetto massimo dell'1,4 per cento adesso potranno farlo liberamente avendo a disposizione un anticipo di un anno rispetto alla precedente stesura del provvedimento che apriva le porte agli aumenti solo dal 2012.

Come è noto la corsa dei rincari non si fermerà qui: il decreto conferma la scalettatura delle possibilità di aumento delle aliquote che stabilisce il tetto del 2 per cento nel 2014 e del 3 per cento nel 2015. Secondo uno studio della Uil, se tutte le Regioni si avvalessero della possibilità di portare l'aliquota al 3 per cento nel 2015, l'aggravio sarebbe di 226 euro pro-capite (82,8 per cento) con punte che possono arriaver, per le fasce sopra i 28 mila euro, a 862 euro.

Lo scongelamento delle aliquote regionali fa il paio con quello delle addizionali comunali, contenuto nel contrastato decreto sul federalismo municipale: in base a questo testo già da quest'anno sono possibili gli aumenti delle addizionali comunali in quei municipi sotto lo 0,4 per cento (0,2 nel 2011 e 0,2 nel 2012). In totale, se tutti i Comuni facessero

scattare i rincari, per il contribuente medio ci sarebbe un esborso di 94 euro (+63,9 per cento).

A difesa dei suoi provvedimenti ieri il ministro dell'Economia Giulio Tremonti ha tenuto a sottolineare il senso dell'intera operazione. "Non è un esercizio finanziario ma politico e di democrazia", ha detto il ministro a Cernobbio ed ha aggiunto che il federalismo "non si fa solo sulle entrate ma anche sulle uscite" e ci "mette in linea con la morale pubblica".

La partita delle tasse tuttavia non è finita. Il nuovo testo del decreto prevede che le Regioni potranno disporre anche delle imposte sulle "emissioni sonore degli aeromobili", la cosidetta "tassa sul rumore". Arriva anche la possibilità per le Province (così come previsto per i Comuni) di introdurre una tassa di scopo per la costruzione di opere pubbliche.

Tra i tributi propri delle Regioni rispunta anche la maxi tassa sui Suv che potrebbe essere applicata riscuotendo 8 euro su ogni kw eccedente i 130: sarà destinata a finanziare il trasporto pubblico locale. La misura potrebbe essere presentata lunedì nel nuovo testo che il ministro Roberto Calderoli si appresta a portare in Commissione e potrebbe essere già oggetto di valutazione nella Conferenza delle Regioni e delle Province autonome che si riunirà il giorno successivo.

Il via libera al federalismo rimane infatti, per le Regioni, condzionato ai finanziamenti per il trasporto pubblico locale: se non verranno ripristinati i 420 milioni tagliati alle Regioni per il 2011, è possibile che queste trasformino il parere sul federalismo in "contrario".

(20 marzo 2011)

 

2011-03-19

IL CASO

Federalismo, denuncia della Cgil

"Su le tasse per 16 milioni di cittadini"

Studio del sindacato di Susanna Camusso sugli effetti della riforma voluta dalla Lega. 3mila 500 Comuni approfitteranno della possibilità di aumentare le addizionali Irpef anche per rientrare dai tagli subiti in Finanziaria

Federalismo, denuncia della Cgil "Su le tasse per 16 milioni di cittadini" Susanna Camusso

ROMA - "Aumento delle tasse in vista per oltre 16 milioni di cittadini. E ad essere colpiti saranno, ancora una volta, i lavoratori dipendenti e i pensionati dei circa 3.500 Comuni che dovranno, soffocati dai tagli, aumentare le addizionali Irpef, così come previsto dal federalismo municipale". A lanciare l'allarme è la Cgil, alla luce di uno studio condotto dal proprio Dipartimento politiche economiche sugli effetti legati all'entrata in vigore del decreto sul federalismo fiscale municipale, per promuovere le ragioni dello sciopero generale del 6 maggio incentrato sui temi del fisco e del lavoro.

Il provvedimento, approvato con voto di fiducia, spiega ancora la nota della Cgil, "prevede infatti la possibilità per i Comuni di aumentare le addizionali Irpef, ovvero l'imposta sul reddito delle persone fisiche. Una possibilità però, come prevede il decreto, non concessa a tutti i Comuni ma solo a quelli che attualmente applicano un'aliquota addizionale inferiore allo 0,4%. A questi infatti il decreto sul federalismo municipale dà una possibilità di incremento annuo dello 0,2% (potenzialmente per due anni fino allo 0,4%, che sembra rappresentare il tetto del massimo aumento possibile). Una eventualità concessa ai soli Comuni che non hanno sforato già tale tetto perché in tanti hanno già deliberato addizionali superiori allo 0,4% (fino allo 0,9%, come per il comune di roma) e quindi non hanno la possibilità di incremento nè tantomeno l'obbligo di riduzione". Questo

nei fatti si tradurrà, prevede la Cgil, "in un ovvio consolidamento delle addizionali comunali in ogni comune d'italia senza nessuna prospettiva di risparmio fiscale per i cittadini e, soprattutto, in modo del tutto disparato e diseguale".

In questo senso, "tra aumenti e mancate riduzioni, si tratta di una misura che interessa tutti i Comuni". Dati i tagli realizzati dal governo, anche con l'ultima manovra estiva (pari a 1,5 miliardi di euro nel 2011 e 2,5 miliardi nel 2012 solo per i municipi), la Cgil sostiene che "i Comuni si avvarranno di questa facoltà per recuperare almeno parte di queste minori entrate". In particolare, quelli che probabilmente aumenteranno le addizionali sono circa 3.500: il 44% del totale dei comuni italiani, che vede coinvolti oltre 16 milioni di cittadini.

(12 marzo 2011)

 

 

2011-03-03

RIFORME

Federalismo, dal governo ok al ddl

Scoppia il caso Regioni: "Accordo saltato"

Il Consiglio dei ministri ha approvato il decreto legislativo sul fisco municipale, su cui ieri il governo ha incassato la fiducia della Camera. Calderoli: "Andiamo avanti, non ci sono problemi". Ma Errani: "Il governo non ha onorato gli impegni"

Federalismo, dal governo ok al ddl Scoppia il caso Regioni: "Accordo saltato"

ROMA - Il Consiglio dei ministri ha approvato il decreto legislativo sul fisco municipale, su cui ieri il governo ha incassato la fiducia della Camera. 1 Lo ha annunciato il ministro dell'Interno Roberto Maroni, sottolineando che è stata approvata "anche la proroga di quattro mesi" dei tempi della delega. Ma, nello stesso tempo, arriva lo scontro con le Regioni, dopo l'intesa sul decreto di attuazione del federalismo che le riguarda: "Al governo abbiamo detto che, dal momento che non ha onorato i contenuti dell'accordi l'intesa per noi non c'è " dice il presidente della Conferenza, Vasco Errani. Che avverte: "L'accordo deve essere concretizzato "rapidissimamente".

Replica secco Calderoli: "Il governo ha raggiunto un'intesa, con Regioni, Comuni e Province, sul decreto sul federalismo regionale e provinciale, ad una serie di condizioni che il governo intende rispettare completamente. Pertanto il problema sollevato dal governatore Errani non si pone".

SCHEDA: I PUNTI DEL FEDERALISMO 2

Soddisfatto il ministro per la semplificazione normativa e coordinatore delle segreterie nazionali della lega nord, Roberto Calderoli: "Ci stiamo avvicinando al tetto della casa del federalismo". Prossimi passi il federalismo regionale e provinciale.

"Oggi inizieranno le audizioni e la discussione in commissione bicamerale. Auspico una collaborazione e un concorso da parte di tutti, perchè le riforme sono indispensabili per il Paese e sono fatte nell'interesse di tutti" dice il ministro leghista.

Polemica l'Udc che, per bocca di Pier Ferdinando Casini, giudica il federalismo "uno spot per la Lega che aumenterà le tasse per tutti gli italiani". Per il presidente nazionale dell'Anci e sindaco di Torino, Sergio Chiamparino "laproroga di 4 mesi è un segno della fatica con cui la maggioranza gestisce un processo complesso.

(03 marzo 2011)

 

2011-03-02

LA RIFORMA

Federalismo, sì della Camera alla fiducia

E la Lega sventola in aula le bandiere

314 favorevoli, 291 contrari e 2 astenuti. Il ministro per la Semplificazione, Calderoli annuncia: "Chiederò nel prossimo Cdm l'ampliamento di quattro mesi dei termini di scadenza". Anche Berlusconi col fazzoletto verde

Federalismo, sì della Camera alla fiducia E la Lega sventola in aula le bandiere Silvio Berlusconi

ROMA - La fiducia sul federalismo municipale è passata alla Camera con 314 sì e 291 no e 2 astenuti. Umberto Bossi, applaudito dai deputati della Lega, però avverte: "Ora arriva la parte più difficile, quella del federalismo regionale e provinciale". Il Senatur ha mostrato ottimismo: "Un altro giro di mattoni in più. Siamo quasi al tetto. Abbiamo iniziato adesso anche il federalismo regionale", ha aggiunto. Sulla tenuta della maggioranza, il ministro delle Riforme e leader del Carroccio ha confermato: "Per adesso tiene. Berlusconi è l'unico che ci ha dato i voti". "Ci avevano detto 'fai saltare il miliardario e domani approviamo il federalismo', ma Berlusconi è l'unico che ci ha dato i voti subito. In Bicamerale ci ha dato 12 voti. Non ci possono chiedere di mettere a repentaglio un risultato acquisito". I deputati leghisti hanno sventolato in aula le bandiere verdi, suscitando le reazioni dell'opposizione e costringendo il presidente di turno a sospendere per qualche minuto la seduta.

FOTO: LE BANDIERE IN AULA 1

VIDEO: VOTO E SEDUTA SOSPESA 2

SCHEDA: I PUNTI DEL FEDERALISMO 3

Berlusconi ha votato la fiducia suggellando il suo sì al provvedimento tanto caro alla Lega con indosso un fazzoletto verde, nel taschino della giacca, alla maniera dei deputati del Carroccio. Il presidente del Consiglio ha espresso tranquillità anche sul fatto che i voti favorevoli sono stati inferiori alle previsioni della maggioranza: ai giornalisti che gli facevano notare che c'era stato qualche voto in meno rispetto all'ultimo voto di fiducia, il premier non si è scomposto. "C'è stato qualche assente ma sono tranquillo, tranquillissimo - ha risposto - sapevamo che c'erano alcuni malati e due in missione. Altrimenti saremmo 322".

Proroga alla delega. Dopo un incontro con una delegazione del gruppo dei Popolari d'Italia, il ministro Calderoli ha assunto l'impegno di proporre al Consiglio dei ministri di domani "un'iniziativa legislativa finalizzata alla proroga di quattro mesi del termine di scadenza della delega prevista dalla Legge 42" sul federalismo fiscale prevista attualmente per il 21 maggio, "fermo restando il rispetto dei tempi stabiliti per l'esame dei decreti legislativi già deliberati dal Consiglio dei ministri".

I contrari. Il no alla fiducia è stato espresso dal Futuro e libertà per bocca del capogruppo alla Camera, Benedetto Della Vedova. "Non è una buona riforma, non è condivisa, è frettolosa" e determina un "aumento della spesa al nord e aumento delle tasse al sud". Fli, ricorda, aveva detto "sì alla legge delega sul federalismo fiscale ma il decreto attuativo è sbagliato, frettoloso e dannoso per i contribuenti". E la fiducia posta dal governo è "incomprensibile" a meno che "il problema non sia compattare la maggioranza, che è dei numeri ma non politica su un provvedimento delicato". E per questo "votiamo no".

Anche l'Udc ha votato contro, così come aveva annunciato il leader del partito, Pier Ferdinando Casini: "Ci sono ragioni politiche e di merito che di inducono a dire no ancora una volta. Non possiamo fidarci della Lega, almeno finché non ci troveremo su alcune cose elementari, del tipo Roma non è Roma ladrona ma la nostra capitale". "Se si vuole un federalismo che unisce, perché esaltare gli egoismi? - si chiede il leader dell'Udc - il federalismo fiscale in questo provvedimento non esiste, è solo uno spot, aumenterà le tasse a tutti i cittadini italiani. Non si vuole fare un vero federalismo ma si vuole approvare uno spot della Lega".

"Se il federalismo fiscale lo si fa e lo si fa per bene, lo votiamo. Se, invece, si fa un pasticcio, noi votiamo contro. Questo decreto, al di là delle vostre favole, è un pasticcio. Per questo votiamo contro il provvedimento e contro la fiducia". Lo aveva annunciato Pierluigi Bersani, leader del Partito democratico. Che poi ha avvertito, rivolgendosi al governo: "Voi mettete le mani nelle tasche dei cittadini per procura. Io vi parlo diritto: cara Lega, non venite a dire che reggete Berlusconi per fare il federalismo. Noi vi garantiamo che il processo federalista va avanti" anche senza di lui. Bersani ha duramente attaccato la Lega: "Se volete reggere il moccolo all'imperatore, al miliardario, non mettete la scusa del federalismo che non c'entra niente".

(02 marzo 2011)

 

 

SCHEDA

Redditi, Irpef, scadenze

i punti del federalismo municipale

Con la fiducia di oggi 1 alla Camera, il decreto sul fisco municipale è ad un passo dalla sua definitiva approvazione, e le novità per i contribuenti saranno immediate. Già domani il Consiglio dei ministri varerà definitivamente il Dlgs, dopo di che il testo sarà sottoposto alla firma del capo dello stato Giorgio Napolitano per la sua promulgazione: una volta pubblicato in Gazzetta ufficiale, saranno dunque operative le misure del decreto. Ma se la riforma entrerà a regime solo nel 2014, alcune disposizioni avranno immediata efficacia, addirittura retroattiva per le addizionali Irpef.

Redditi 2010. Lo sblocco delle addizionali irpef da parte dei comuni potrà essere retroattivo, a valere quindi sui redditi del 2010, se la decisione del comune di aumentare l'addizionale sarà pubblicata sull'apposito sito internet entro il 31 marzo 2011. L'aumento potrà essere al massimo dello 0,2% annuo, e solo per quei comuni che ora sono sotto la soglia dello 0,4%, che non potrà comunque essere superata.

Redditi 2011. La cedolare secca sugli affitti varrà sui redditi da locazione, per i soli immobili affittati a uso abitativo, a partire dal 1 gennaio 2011. Al posto dell'attuale tassazione irpef progressiva e dell'imposta di registro, arriva un prelievo fisso del 21% (che scende al 19% per i canoni agevolati). Resta però un'opzione del proprietario:

chi lo riterrà conveniente potrà restare col regime irpef, ma chi opterà per la cedolare non potrà più aumentare l'affitto. E' l'unico vantaggio per gli inquilini, visto che è saltato il fondo per gli sgravi.

2011. Tassa di soggiorno e tassa di scopo. Anche queste due nuove imposte potranno arrivare già quest'anno. Per la tassa di soggiorno i comuni dovranno aspettare l'emanazione di un regolamento, da adottare entro 60 giorni. Ma in caso di mancata emanazione, potranno comunque procedere e i capoluoghi di provincia, i comuni turistici e le città d'arte potranno chiedere ai turisti fino ad un massimo di 5 euro per notte di soggiorno. Per la tassa di scopo invece, che servirà per finanziare specifiche opere pubbliche, i comuni dovranno attendere un decreto del presidente del consiglio da adottare comunque entro il 31 ottobre 2011.

2011-2013. Già da quest'anno e fino al termine della fase transitoria fissata per il 2013, ai comuni andrà il gettito dell'Irpef fondiaria, dell'imposta di bollo e registro sulle locazioni, il 30% del gettito sui trasferimenti immobiliari; e poi quota parte del gettito della cedolare secca (il 21,7% quest'anno, il 21,6 dal 2012). E sempre dal 2011 i comuni potranno contare su una compartecipazione all'Iva, equivalente alla compartecipazione all'irpef del 2%.

2014. E' la data della definitiva entrata in vigore della riforma. Tra tre anni l'Ici sulle seconde case andrà in pensione per essere sostituita dall'imposta municipale propria (Imu), con aliquota al 7,6 per mille. Come l'Ici, si pagherà solo sulle seconde case e sugli immobili commerciali. E come l'Ici, saranno esentati gli immobili della chiesa, anche scuole, hotel e cliniche. Sempre tra tre anni arriverà anche l'Imu secondaria che sostituirà la tassa e il canone per l'occupazione di spazi ed aree pubbliche, l'imposta comunale sulla pubblicità e le affissioni, il canone per l'installazione dei mezzi pubbblicitari.

(02 marzo 2011)

 

 

2011-02-26

IL DECRETO

Milleproroghe approvato nel caos

scontro in aula, il Pdl attacca Fini

Dopo il voto di fiducia con 309 voti a favore e 287 contrari, la maggioranza approva il maxiemendamento (300 voti a favore, 277 contrari) nel corso di una seduta infuocata. Cicchitto al presidente della Camera: "Con lei situazione insostenibile". Ora il testo passa al Senato

Milleproroghe approvato nel caos scontro in aula, il Pdl attacca Fini

ROMA - La Camera dà il via libera al Milleproroghe con 300 voti favorevoli e 277 contrari. Il provvedimento passa ora all'esame del Senato dove domani è prevista l'approvazione in via definitiva. L'Aula della Camera aveva approvato in mattinata la fiducia sul maxiemendamento al dl Milleproroghe. A favore hanno votato 309 deputati, 287 contro. Alle 14 sono iniziate quindi le dichiarazioni di voto sul provvedimento.

La seduta alla Camera è stata però infuocata, fino all'attacco diretto del Pdl a Gianfranco Fini: "Caro presidente, con la sua presidenza della Camera siamo in una situazione istituzionalmente insostenibile. C'è un contrasto tra la sua figura e quella di leader di partito", ha detto il capogruppo del Pdl, Fabrizio Cicchitto rivolto a Fini che presiedeva il dibattito sul Milleproroghe. "Ne convengo - ha replicato Fini - la situazione è istituzionalmente insostenibile".

Il voto sulla fiducia. La maggioranza richiesta era di 299, i votanti sono stati 596. I 309 voti che hanno approvato la fiducia sono inferiori alla metà più uno dei 630 deputati, che rappresenta la soglia minima per la maggioranza. Sono stati 34 i deputati assenti a vario titolo. Singolare il caso del leader di Idv, Antonio Di Pietro, che non ha fatto a tempo a votare ed ha protestato per la velocità della votazione stessa. Gli ha replicato il presidente di turno, Rocco Buttiglione (Udc), ricordando che aveva invitato i ritardatari e comunque chi volesse votare a

farlo prima della dichiarazione di chiusura del voto.

Tensione in Aula. La tensione è cresciuta durante le dichiarazioni di voto finali. Nel momento in cui Antonio Di Pietro ha preso la parola, il rappresentante del governo, il ministro Renato Brunetta, ha lasciato la seduta. A quel punto, il presidente della Camera ha bloccato l'intervento del leader dell'Idv: "Non può proseguire - ha detto Fini - la seduta è sospesa fino a quando il governo non sarà presente in Aula". Uscito Brunetta, infatti, non c'era più alcun rappresentante del governo, essendo il sottosegertario Laura Ravetto in quel momento impegnata in una riunione del comitato ristretto per le politiche comunitarie. Alla ripresa dei lavori, rientrata la Ravetto in aula, Fini l'ha redarguita, invitandola a sedersi: "E la prego di riferire al ministro dei Rapporti con il Parlamento - ha aggiunto Fini - che è senza precedenti quello che sta accadendo oggi".

Successivamente, Di Pietro ha alzato i toni paragonando il governo italiano a "quello che sta a Tripoli". Nuovo intervento del presidente Fini che lo bacchetta: "Non può essere consentito in quest'Aula di paragonare un governo democraticamente eletto, per quanto possa essere avversato, a una feroce e spietata dittatura come quella di Gheddafi. In giornate come queste, credo che utilizzare termini corrispondenti alla realtà sia un dovere per tutti".

Milleproroghe 'ippopotamo'. Nel Decreto e nel maxiemendamento c'è di tutto: tassa di un euro sui biglietti del cinema, fondi al 5 per mille, foglio rosa per i motorini, slittamento delle multe per le quote latte (ma con meno fondi). Una delle ultime correzioni riguarda il divieto di incroci tv-stampa, abolito dal primo aprile salvo che non venga reiterato a parte con decreto della presidenza del consiglio. Nonostante i "tagli" della Camera seguiti ai rilievi del presidente della repubblica, il Milleproroghe uscirà dal Parlamento comunque abbastanza "ippopotamo", come l'ha definito lo stesso Silvio Berlusconi. Tra le cancellazioni annunciate dal ministro dell'Economia, Giulio Tremonti, ci sono la norma che bloccava le demolizioni di case abusive in Campania e quella che consentiva di aumentare il numero di assessori a Roma e Milano.

MILLEPROROGHE, LE NOVITA' 1

Approvato dalla Camera, a partire dalle 18 il testo sarà già sul tavolo delle commissioni Affari costituzionali e Bilancio del Senato per consentire l'approdo e l'approvazione definitiva domani da parte del Senato.

(25 febbraio 2011)

 

 

 

 

2011-02-22

IL CASO

Ddl intercettazioni, il no della Corte dei Conti

"Sono essenziali per combattere la corruzione"

La magistratura contabile boccia le iniziative del governo: dalla Cirielli al processo breve. Disco rosso anche per il federalismo. La Lega: "Strumento utile ma vanno riformate"

Ddl intercettazioni, il no della Corte dei Conti "Sono essenziali per combattere la corruzione" Mario Ristuccia

ROMA - La Corte dei Conti boccia, una dopo l'altra, le iniziative del governo in materia di giustizia. A partire dal ddl intercettazioni "che non combatte la corruzione". Ed gli ascolti sono uno strumento "molto importante" per contrastare il fenomeno. Lo afferma il procuratore generale della magistratura contabile Mario Ristuccia nella sua relazione in occasione dell'apertura dell'anno giudiziario 2011. Una relazione che punta il dito anche sui rischi del federalismo e sull'espansione della corruzione nella pubblica amministrazione.

Intercettazioni. "Non appaiono indirizzati a una vera e propria lotta alla corruzione - afferma - il disegno di legge governativo sulle intercettazioni che, costituiscono uno dei più importanti strumenti investigativi utilizzabili allo scopo e neppur l'aver dimezzato con la cd legge Cirielli del 2005 i termini di prescrizione per il reato di corruzione ridotti da 15 a 7 anni e mezzo, con il risultato che molti dei relativi processi si estingueranno poco prima della sentenza finale, sebbene preceduta da una o due sentenze di condanna e con conseguenze ostative per l'esercizio dell'azione contabile sul danno all'immagine".

Processo breve. "Il disegno di legge in materia di durata dei processi non sia un ulteriore ostacolo alla lotta contro la corruzione". E' questo l'auspicio del pg che sottolinea come "da rispettosi osservanti delle norme varate dal parlamento", i magistrati contabili restano "perplessi di fronte

a recenti leggi che consentono una profonda alterazione di principi di certezza del diritto".

Federalismo. Il federalismo potrebbe aumentare la corruzione, afferma Ristuccia. "Ci si interroga in termini dubitativi se, in tema di federalismo fiscale, il decentramento della spesa pubblica possa contribuire a ridurre la corruzione" rendendo "più diretta la relazione tra decisioni prese e risultati conseguiti" oppure se, sottolinea il presidente "possa avere l'effetto contrario ed aumentare la corruzione quando la vicinanza a interessi e lobbies locali favorisca uno scambio di favori illeciti in danno della comunità amministrata".

Corruzione. La corruzione e le frodi sono "patologie" che "continuano ad affliggere la pubblica amministrazione". Un fenomeno che riguarda soprattutto aiuti e contributo nazionali e dell'Ue. "I dati al riguardo non consentono ottimismi", spiega il procuratore secondo cui la situazione di "cattiva amministrazione, nonostante i progressi conseguiti in termini di efficienza, a partire dalla legge Brunetta, continua a caratterizzare in negativo l'immagine complessiva dell'apparato amministrativo". Inoltre, prosegue Ristuccia, una "diminuzione delle denunce che potrebbe dare conto fi una certa assuefazione al fenomeno verso una vera e propria 'cultura della corruzione'".

Le cifre. Nel 2010 i reati corrutivi sono aumentati del 30% rispetto all'anno precedente. In termini complessivi sono stati denunciati 237 casi di corruzione, 137 di concussione e 1090 di abuso d'ufficio, che rispetto a quelli denunciati nel 2009 indicano un incremento del 30,22% dei reati corruttivi, mentre si riscontra un decremento rispettivamente del 14,91% e del 4,89% per i reati concessivi e d'abuso d'ufficio. Le forze di polizia hanno denunciato complessivamente 708 persone per corruzione, 183 per concussione e 2290 per abuso d'ufficio. Cifre che rappresentano un calo,rispetto al 2009, dell'1,39%, dell'18,67% e del 19,99%.

Le reazioni. Cauta la reazione della Lega. "Le intercettazioni sono utili ma vanno regolamentate" dice il capogruppo della Lega Nord, Marco Reguzzoni. Dura invece la posizione dell'Idv: "Ha ragione la Corte dei Conti: le intercettazioni sono uno strumento indispensabile per le indagini. Solo una maggioranza di pazzi o di conniventi con la criminalità può pensare di limitarle..." taglia corto il capogruppo dell'Idv alla Camera Massimo Donadi. 'Sulle intercettazioni non c'è nessuna

possibilità di collaborazione con il governo, vorrei dire perfino a prescindere dal merito" dice Massimo D'Alema.

(22 febbraio 2011)

 

 

 

 

 

IL CASO

Pirellone, diktat del presidente leghista

"Uffici del consiglio aperti il 17 marzo"

La comunicazione di Boni è arrivata proprio mentre l'aula discuteva sulle iniziative per ricordare

i 150 anni dell'Unità d'Italia. Il Pd ha preannunciato un ordine del giorno contro il provvedimento

di ANDREA MONTANARI

Pirellone, diktat del presidente leghista "Uffici del consiglio aperti il 17 marzo" Il presidente leghista Davide Boni

 

L'ordine di servizio è stato comunicato a sorpresa mentre in aula, al Pirellone, il consiglio regionale discuteva sui festeggiamenti per il 150esimo anniversario dell'Unità d'Italia. "Su indicazione del presidente Davide Boni, si comunica che gli uffici del consiglio regionale resteranno aperti nella giornata del 17 marzo con modalità e operatività che saranno comunicati successivamente". Firmato: la segreteria generale.

Il leghista Boni non era in aula (si trova in ferie) e non c'era nemmeno il suo compagno di partito Renzo Bossi, meglio noto come 'il Trota', figlio di Umberto. Due consiglieri del Carroccio si sono presentati indossando la felpa con la scritta 'Lombardia' (FOTO): si tratta di Jari Colla e Massimiliano Romeo. Consueto tricolore nel taschino della giacca, invece, per i consiglieri Idv. Il capogruppo del Pd, Luca Gaffuri, ha già annunciato la presentazione di un ordine del giorno contro il provvedimento di Boni.

La decisione ha anche provocato la reazione dei due vicepresidenti, visto anche che la decisione non è stata presa dall'Ufficio di presidenza (che nemmeno sarebbe stato informato). Franco Nicoli Cristiani (Pdl), che era di turno al momento dell'annuncio, ha preso la parola per dissentire, guadagnandosi un applauso trasversale: questa decisione "va contro la legge nazionale - ha detto - Noi festeggeremo, credo sia stato un eccesso di zelo da parte della segreteria generale".

"Boni - ha invece sostenuto l'altro vicepresidente, Filippo Penati (Pd) - pochi giorni fa aveva addirittura proposto di chiudere non solo il 17, ma anche il 18 per consentire di fare il ponte: qualcuno della Lega deve avergli fatto una lavata di capo". Penati a questo punto propone di "tenere aperto il consiglio non per la burocrazia, ma per onorare la festività con una seduta aperta a tutti i cittadini".

(22 febbraio 2011)

 

 

 

 

2011-02-19

UNITA' D'ITALIA

Festa del 17 marzo, si spacca il governo

La Lega non firma: "Follia incostituzionale"

Il Consiglio dei ministri istituisce il giorno festivo per i 150 anni dell'unificazione nazionale, ma i ministri del Carroccio si tirano fuori: Maroni assente, Bossi e Calderoli non votano. La Russa: Non c'è rottura, solo diversità di opinione. Ma l'opposizione attacca: "Vergogna, balletto indecente". Bersani: "Calcio al Paese". Anche il Papa parteciperà alle celebrazioni

Festa del 17 marzo, si spacca il governo La Lega non firma: "Follia incostituzionale" Umberto Bossi e (in alto) Ignazio La Russa

ROMA - Dopo le polemiche delle ultime settimane 1, il Consiglio dei ministri ha deciso: il 17 marzo sarà festa nazionale. Decisione non indolore, visto che i tre ministri leghisti non hanno aderito. E al termine della riunione Roberto Calderoli è molto netto: "Fare un decreto legge per istituire la festività del 17 marzo, un decreto legge privo di copertura (traslare come copertura gli effetti del 4 di novembre, infatti, rappresenta soltanto un pannicello caldo e non a caso mancava la relazione tecnica obbligatoria prevista dalla legge di contabilità), in un Paese che ha il primo debito pubblico europeo e il terzo a livello mondiale e in più farlo in un momento di crisi economica internazionale è pura follia. Ed è anche incostituzionale". L'opposizione attacca: è una vergogna, dice Pierluigi Bersani, segretario del Pd. La divisione sulla celebrazione dell'Unità d'Italia è uno spettacolo indecente per l'Udc, mentre l'Italia dei Valori sottolinea, dietro le polemiche, la voglia di secessione della Lega.

Maroni assente, Bossi e Calderoli contrari. Umberto Bossi, Roberto Maroni e Roberto Calderoli da tempo contestano la scelta di festeggiare con l'astensione dal lavoro e dalle scuole il 17 marzo. Ma con la Lega non c'è nessuna rottura, si affretta a chiarire Ignazio La Russa in conferenza stampa al termine del Consiglio dei ministri, solo

"diversità di opinioni". Il varo del decreto è stato una decisione giusta, per il titolare della Difesa, "di cui siamo soddisfatti, senza trionfalismi di nessun genere". E avverte: chiediamo a tutti rispetto "ma non obbligheremo nessuno a festeggiare", aggiunge. Maroni aveva già lasciato la sala del Consiglio dei ministri quando si è proceduto alla votazione, mentre Bossi e Calderoli, presenti, non hanno votato. "Se pur in modo garbato, hanno espresso una diversità di opinione", spiega La Russa.

La questione della copertura finanziaria è stata superata con il trasferimento "degli effetti economici e degli istituti giuridici e contrattuali dalla festa del 4 novembre al 17 marzo. Questo varrà solo per il 2011", aggiunge il ministro. D'altra parte "sarebbe stato quasi comico che la festa dei lavoratori si festeggiasse stando a casa e invece quella di tutti si festeggiasse andando a lavorare. Non sarà così".

E sulla riserva della Lega commenta: "Non c'è nulla di male se nel Cdm, che si è espresso a larga maggioranza, si esprime una diversità di opinione. Ho discusso con Bossi in modo tranquillo e gli ho fatto notare che dove c'è il federalismo lo spirito nazionale è più forte. Credo che le due cose possano andare di pari passo". E forse, "quando il federalismo sarà compiuto, gli amici che oggi hanno votato contro potranno aderire".

Meloni: "E' la data più unificante che abbiamo. Benigni straordinario". Grande soddisfazione esprime il ministro della Gioventù, Giorgia Meloni: il 17 marzo "è la data più unificante che abbiamo", afferma, "il momento più unificante che c'è in Italia e sarebbe stato sbagliato non usare crismi che si utilizzano normalmente per le grandi celebrazioni", ha detto il ministro, sostenendo che "starà a noi, ora riempire quella giornata con tante e tali iniziative che sarà impossibile per ciascun italiano non incapparne in una". E, insieme a La Russa, ringrazia Benigni per la sua "straordinaria" rappresentazione 2 dell'Inno di Mameli ieri a Sanremo e per la passione messa nel rappresentare l'unità d'Italia.

Perfino il ministro del Turismo Michela Vittoria Brambilla cambia idea: "Fosse per me, si lavorerebbe: siamo in un periodo di crisi", aveva detto ieri a Milano. Oggi a Roma, accanto a La Russa, invece ha dichiarato: "Quest'anno però ci sono pochi ponti, almeno per il turismo il 17 marzo è un'occasione".

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Opposizione all'attacco: "Follia, balletto indecente". La riserva della Lega, che ha determinato la spaccatura del governo sul voto, suscita una marea di reazioni. Dal Pd, Bersani accusa l'esecutivo di follia: "Abbiamo un'immagine nel mondo davvero disastrosa e neppure riusciamo a far comprendere l'idea che stiamo per festeggiare il nostro compleanno. Bisogna uscire al più presto da questa situazione", dice il segretario del Partito democratico, per cui la spaccatura di oggi è un "calcio negli stinchi al Paese". Ma l'Italia non è allo sbando, il governo è allo sbando, Berlusconi è allo sbando. Ed è ora di cominciare a dirlo al mondo, dice Bersani.

Dal governo spaccato un balletto indecente, attacca l'Italia dei Valori: "Le celebrazioni per i 150 anni dell'unità d'Italia sono state calpestate e svilite da questo governo, apparso sempre più in difficoltà di fronte ai diktat leghisti", commenta Leoluca Orlando.

Votando contro la festa dell'Unità d'Italia la Lega umilia non solo il governo, ma anche gli italiani, per Francesco Rutelli, leader dell'Api. Uno spettacolo indecente, per Renzo Lusetti, dell'Udc, mentre il segretario Lorenzo Cesa trova "scandaloso che il governo italiano non riesca a trovarsi d'accordo nemmeno sui festeggiamenti per i 150 anni dell'Unità d'Italia".

E' una "brutta pagina per la storia del nostro paese e per il governo", commenta la segreteria politica di Futuro e Libertà, mentre la fondazione Fare Futuro lancia una proposta: "Facciamo una cosa: portiamo una bandiera con noi, il 17 marzo. Mettiamola alla finestra, sventoliamola per le strade. Inondiamo il paese di bianco, di rosso e di verde. Per dire che questo orrore storico e politico che si è consumato oggi, non può e non deve appartenerci. E che non passerà inosservato".

Libertà e Giustizia grida il proprio turbamento tornando a chiedere le dimissioni di Silvio Berlusconi, invitando tutti a esporre la bandiera italiana. "Solo un profondo turbamento - si legge in una nota - può accompagnare lo spettacolo immondo di un governo spaccato sull'unità del Paese che dovrebbe governare e concorde invece contro l'autonomia della magistratura. Pochi minuti per assestare l'ennesimo colpo ai valori della nostra Costituzione. Ma il nostro turbamento è anche la denuncia del disonore che Silvio Berlusconi ha riversato sull'Italia".

"Anche il Papa alle celebrazioni". "C'è l'impegno, ribadito oggi anche dai cardinali Bertone e Bagnasco per la partecipazione della Chiesa e in qualche forma anche del Pontefice alle celebrazioni per i 15O/mo dell'Unità d'Italia. Un fatto molto importante". Lo dice il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano lasciando stasera il ricevimento per l'anniversario dei patti Lateranensi 4 a Palazzo Borromeo

(18 febbraio 2011)

 

 

2011-02-15

IL CASO

Federalismo, Bersani corteggia la Lega

"Via Berlusconi, fate con noi la riforma"

Intervista al segretario del Pd in prima pagina sulla Padania: "Propongo un patto tra forze popolari. Se cade il governo, impegno me e il mio partito a portare avanti la prospettiva autonomista". Messaggio a Maroni: "Sugli sbarchi dal Nordafrica ha ragione. So che non siete razzisti"

Federalismo, Bersani corteggia la Lega "Via Berlusconi, fate con noi la riforma" La prima pagina della Padania con l'intervista a Bersani

ROMA - "Impegno me e il mio partito a portare avanti il processo federalista dialogando con la Lega". Il segretario del Pd, Pier Luigi Bersani, sceglie la prima pagina della Padania, organo ufficiale della Lega Nord, per tentare la spallata decisiva alla maggioranza di centrodestra e al governo Berlusconi. Il leader democratico coglie l'insofferenza leghista per il pantano in cui si è infilata la legislatura e di cui rischia di fare le spese la riforma simbolo del Carroccio. E lancia, forte e chiara, la sua proposta: "Pur con posizioni diverse e anche alternative, ci sono due vere forze autonomiste nel nostro Paese: il Pd e la Lega", afferma Bersani. Che propone un vero e proprio "patto tra forze popolari" per cambiare l'Italia.

Non usa giri di parole, il segretario Pd: è il Carroccio, argomenta, "a tenere attaccata oggi la spina del governo Berlusconi". Un accanimento terapeutico che, come Bossi e lo stato maggiore leghista hanno più volte ribadito, ha come unico scopo quello di portare a casa il federalismo. Ma "in queste condizioni, rischiamo di fare una cattiva riforma", avverte Bersani. Per questo, afferma, è il momento di "guardare oltre Berlusconi e nel contempo preservare la prospettiva autonomista".

La Lega dunque, è il patto proposto da Bersani, faccia cadere Berlusconi: "Perché non si può sacrificare tutto, ossia la riforma chiave, in nome di Ruby". Poi, tutto può accadere, e i democratici garantiscono

ampia disponibilità alle richieste leghiste. "Va anche bene che il Governo rimanga nell'ambito del centrodestra", dice Bersani. "Assicureremo un'opposizione propositiva. Ripeto, garantisco personalmente per me e per il mio partito: il processo federalista deve andare avanti e giungere a compimento".

Ma il segretario del Pd si spinge oltre, con toni che, da parte di un leader del centrosinistra, non si ascoltavano da quando D'Alema definì la Lega "costola della sinistra": riferendosi all'ondata di sbarchi dal Nordafrica, Bersani dichiara di appoggiare la richiesta del ministro dell'Interno Maroni "di maggiore condivisione europea di fronte all'emergenza in Nord Africa". E, con un affermazione destinata a far discutere, dichiara: "So che la Lega non è razzista".

Ce n'è abbastanza per sollevare un polverone tanto nell'opposizione, quanto nella maggioranza. Sulla prima pagina della Padania, l'intervista di Bersani appare in un grande riquadro dominato dal volto di Umberto Bossi e dalla frase: "Questa è la settimana decisiva". Parole che suonano come un ultimo avvertimento a Berlusconi e al suo esecutivo.

(15 febbraio 2011)

 

 

 

 

 

 

 

 

 

2011-02-11

UNITA' D'ITALIA

Napolitano richiama Durnwalder

"Rappresenti tutti gli altoatesini"

Il capo dello Stato scrive al presidente della provincia autonoma di Bolzano che ha scelto di non partecipare alle celebrazioni perché si sente parte di una "minoranza austriaca". Impegno delle parti sociali, con l'eccezione della Cgil, per il 17 marzo al lavoro. Calderoli: "Incostituzionale la festa"

Napolitano richiama Durnwalder "Rappresenti tutti gli altoatesini" Il Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano

ROMA - "Sorpresa e rammarico". Le ha espresse il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, in una lettera inviata al presidente della Provincia Autonoma di Bolzano Luis Durnwalder per la decisione di non aderire alle celebrazioni del 150 dell'Unità d'Italia. Il capo dello Stato, si legge in una nota del Quirinale, ha "rilevato" che Durnwalder non può parlare a nome di una "pretesa 'minoranza austriaca'" e ha sottolineato la propria "fiducia che l'intera popolazione" della provincia si riconosca nelle celebrazioni.

Nella lettera il Presidente scrive che Durnwalder dimentica "di rappresentare anche le popolazioni di lingua italiana e ladina, e soprattutto che la stessa popolazione di lingua tedesca è italiana e tale si sente nella sua larga maggioranza".

Durnwalder: "Non sarò ai festeggiamenti". Al Presidente della Repubblica, Luis Durnwalder risponde annunciando la sua assenza alle celebrazioni. "Il gruppo linguistico tedesco non ha nulla da festeggiare", dice il governatore altoatesino, "Nel 1861 l'Alto Adige non faceva parte dell' Italia e nel 1919 non ci è stato chiesto se volevamo fare parte dello Stato italiano. Per questo non parteciperò ai festeggiamenti". E conclude: "Gli assessori italiani sono liberi di festeggiare l'unità d'Italia, ma non in rappresentanza della Provincia autonoma".

Spiega l'esponente altoatesino: "Scriverò al presidente Napolitano

per illustrare i motivi per i quali non parteciperò alle celebrazioni. I sudtirolesi hanno sofferto molto tra gli anni Venti e gli anni Cinquanta, non vedo veramente giustificazioni per festeggiare questa ricorrenza". Il governatore dice di aver ricevuto molte lettere di cittadini che condividono la sua scelta. "Di certo - prosegue - molti altoatesini di lingua tedesca e ladina non accetterebbero una mia partecipazione. Sono anche convinto che gran parte della popolazione di lingua italiana capisca la mia decisione". Durnwalder sottolinea che "gli assessori italiani sono certamente liberi di festeggiare l'unità d'Italia. Non delegherò al mio vice la rappresentanza della Provincia autonoma, perchè a questo punto ci potrei anche andare io stesso". E conclude con un invito alla pacificazione: "Ho il massimo rispetto verso i sentimenti di chi vuole festeggiare, ma chiedo la stessa comprensione per chi non la pensa allo stesso modo. Non voglio riaprire vecchie ferite, lasciamo invece che tutti i gruppi abbiano la possibilità di partecipare o meno, rispettando le diverse sensibilità".

Risvolti sul turismo. In seguito alla polemica Napolitano-Durwalder, sono decine le mail arrivate all’Azienda di soggiorno di Bolzano e all’assessore provinciale al turismo Hans Berger, che di mestiere fa l'albergatore, contro la decisione della giunta provinciale di disertare le celebrazioni. Il timore tra gli operatori turistici della zona è che dopo le proteste possano arrivare le disdette 1 e che clienti affezionati alle montagne dell’Alto Adige quest’estate scelgano un’altra meta.

"Impegno" delle parti sociali, Cgil esclusa, a lavorare. L'anniversario continua quindi ad essere motivo di polemica.Confindustria, la cui presidente Emma Marcegaglia si è detta contraria al giorno di festa, Rete imprese Italia, Confapi, Confcooperative, Cisl, Uil e Ugl hanno assunto oggi un "impegno formale" affinché le celebrazioni dell'Unità d'Italia previste per il 17 marzo si svolgano sui luoghi di lavoro. E' una nota unitaria, che non reca la firma della Cgil, ad annunciare l'accordo intercorso tra le parti sociali. "I firmatari del presente comunicato assumono oggi l'impegno a dare il massimo contributo affinché la ricorrenza del 17 marzo sia vissuta con autentico e orgoglioso senso di partecipazione. A tal fine verrà messa in atto ogni forma di collaborazione con le pubbliche istituzioni per organizzare nei luoghi di lavoro momenti di celebrazione e di aggregazione attorno alla bandiera nazionale e ai fondamentali valori che essa rappresenta", si legge nella nota.

Calderoli: "Tutti al lavoro, o è incostituzionale". Il ministro leghista per la Semplificazione insiste a dire che il 17 marzo bisognerebbe lavorare. Per sostenere la sua tesi, Roberto Calderoli rileva che la legge istitutiva della festa manca della copertura finanziaria, secondo quanto emerge dal parere della commissione Bilancio di Montecitorio e dalla relazione della Ragioneria generale dello Stato, ed è quindi "evidente che o il 17 di marzo andiamo tutti a lavorare oppure la legge in oggetto è priva di copertura ed è quindi incostituzionale ex articolo 81 della Costituzione".

(11 febbraio 2011)

 

 

 

 

 

 

2011-02-04

LA POLEMICA

Federalismo, Napolitano stoppa il dl

"Irricevibile, prima passi alle Camere"

Il presidente della Repubblica rinvia al governo il controverso provvedimento. "Prima di approvarlo in difformità dagli orientamenti parlamentari doveva dare comunicazione alle Camere"

ROMA - "Irricevibile", così il presidente della Repubblica ha bocciato il decreto sul federalismo approvato ieri in fretta e furia dal consiglio dei Ministri dopo la bocciatura nella commissione Bicamerale. "Non ci sono le condizioni per varare il decreto". "Non sussistono - è scritto in una nota del Quirinale - le condizioni per procedere alla richiesta emanazione, non essendosi con tutta evidenza perfezionato il procedimento per l'esercizio della delega previsto dai commi 3 e 4 dall'art. 2 della legge n. 42 del 2009 che sanciscono l'obbligo di rendere comunicazioni alle Camere prima di una possibile approvazione definitiva del decreto in difformità dagli orientamenti parlamentari". Pertanto, riferisce ancora il Quirinale, "il capo dello Stato ha comunicato al presidente del Consiglio di non poter ricevere, a garanzia della legittimità di un provvedimento di così grande rilevanza, il decreto approvato ieri dal governo".

(04 febbraio 2011)

 

 

 

FEDERALISMO

Berlusconi di nuovo all'attacco

"L'Italia commissariata dalle Procure"

Il premier: "Federalismo? La bicamerale era solo un artifizio, spero che non ci siano problemi con Napolitano". "L'opposizione è contraria agli interessi del Paese". "La maggioranza sta per allargarsi". "Ruby? Mai avuto colloqui diretti". E rilancia il nome di Forza Italia. Bossi: "Andiamo avanti"

Berlusconi di nuovo all'attacco "L'Italia commissariata dalle Procure"

ROMA - "L'Italia è una repubblica giudiziaria commissariata dalle Procure". Silvio Berlusconi abbandona rapidamente la linea del "dialogo" e torna ai consueti affondi aggressivi contro toghe e opposzione. Lo fa a proposito del caso Ruby, parlando con i giornalisti al suo arrivo a Bruxelles per il vertice Ue. Dopo le toghe tocca all'opposizione, "contraria agli interessi del Paese". Non mancano i sondaggi: "Pdl oltre il 30%", il mio gradimento è al 51%: sono il leader europeo più apprezzato dai suoi concittadini".

Ieri sera, invece, il premier aveva cenato con i deputati che hanno formato il gruppo dei cosidetti "responsabili", definendo la commissione bicamerale 1 "un semplice artifizio", e negando "forzature sul federalismo". "Abbiamo la maggioranza sia alla Camera che al Senato, la Commissione bicamerale è un artificio" aveva aggiunto il Cavaliere, sostenendo che da parte del Quirinale non dovrebbero esserci problemi a firmare il decreto legislativo. Tesi ribadita anche oggi a Bruxelles: "Contrasti con Napolitano 2? Spero di no".

"Maggioranza più larga". "Presto arriveranno altri quattro parlamentari a rafforzare i 'Responsabili', due dall'opposizione

e due dai liberaldemocratici". Così il premier, che ha poi annunciato ai suoi alleati di voler rompere ogni rapporto con l'Udc anche sul territorio. E oggi da Bruxelles conferma: " La maggioranza si situerà oltre 320 voti. Credo che potremo lavorare bene su molti temi anche per riforme importanti per il Paese. Senza Fli è più facile farlo".

Caso Ruby: "Facciamo cappotto...". "Se continua così, la prossima volta facciamo cappotto...". il presidente del Consiglio ha gioito per il voto positivo per l'esecutivo ottenuto alla Camera sulla richiesta per il caso Ruby. E, nel merito, avrebbe assicurato di non aver mai avuto colloqui diretti con la ragazza: "E' solo una ragazza che mi è stata segnalata, nulla di più". Colloqui e incontri diretti che invece sarebbero testimoniati dai tabulati dell'inchiesta di Milano. "Il fatto è - ha concluso - che sono uno generoso, se qualcuno mi dice che non può comprare una macchina io la regalo. Di solito regalo mini Cooper...".

Torna Forza Italia? Il nuovo partito di Silvio Berlusconi si dovrebbe chiamare Forza Italia. Secondo quanto viene riferito dalla cena è stato lo stesso Cavaliere a dirlo, sottolineando che ora si tratta di "convincere gli ex An".

La Lega: "Andiamo avanti".Il federalismo? "Ora è fatto". Lo ha detto il ministro delle Riforme, Umberto Bossi, all'uscita dal gruppo della Lega della Camera. Alla domanda se a questo punto le elezioni anticipate siano scongiurate, il leader della Lega ha risposto: "Direi proprio di sì".

(04 febbraio 2011)

 

 

A SCHEDA

Federalismo, le novità e le polemiche

Dall'Imu alla compartecipazione all'Iva

La bozza è stata profondamente modificata negli ultimi giorni in seguito alle aperture del governo alle richieste dell'Anci. Ma rimangono aperte le contestazioni sulla 'minipatrimoniale', sul balzello destinato ai turisti, sulla normativa relativa agli affitti di ROSARIA AMATO

Federalismo, le novità e le polemiche Dall'Imu alla compartecipazione all'Iva I ministri Bossi, Tremonti e Calderoli

ROMA - Tassa di soggiorno estesa a tutti i Comuni con vocazione turistica, aliquota dell'Imu fissata già nel decreto e non anno per anno con la legge di stabilità, compartecipazione dei Comuni all'Iva dal 2014, ma sblocco immediato delle addizionali Irpef fino allo 0,4%, eliminazione del fondo da 400 milioni destinato al sostegno delle famiglie in affitto con redditi bassi e reintroduzione della tassa di scopo per progetti mirati. Sono queste le principali modifiche apportate dal ministro Calderoli in seguito ai colloqui con l'Anci, l'associazione dei Comuni italiani. L'ultima modifica, che ha visto cambiare in corsa il testo il 2 sera, nella speranza di ottenere il voto del senatore Mario Baldassarri (Fli), ha cambiato la compartecipazione all'Irpef, prevista originariamente nel testo del governo, in compartecipazione all'Iva da parte dei Comuni. Bocciata invece l'altra modifica proposta da Baldassarri, che prevedeva l'istituzione di un fondo di almeno un miliardo per le famiglie in affitto da inserire nella legge di stabilità.

Chiusa la partita con l'Anci (e vanificatasi la speranza di avere il voto di Fli, compatto con il Terzo Polo), ne rimangono molte altre aperte, e non solo con l'opposizione, ma anche con le associazioni imprenditoriali e i sindacati. In particolare il dibattito degli ultimi giorni si è concentrato sulla cosiddetta 'minipatrimoniale' costituita di fatto dall'introduzione dell'Imu (imposta municipale unica). La bozza del decreto fissa infatti l’aliquota dell'Imu al 7,6 per mille anche

per gli immobili strumentali delle imprese, che finora sono stati tassati con l'Ici, la cui aliquota può variare tra il 4 e il 7 per mille (l'aliquota media sul territorio nazionale è del 6,4 per mille). Pertanto l'aumento medio dell'Imu sull'Ici attuale ammonterebbe al 18,75%. Non solo: secondo l'analisi del Pd e dell'Idv, l'aliquota effettiva dell'Imu non potrà essere inferiore all'8,5 per mille, altrimenti non sarà possibile coprire il taglio dei trasferimenti agli enti locali da parte dello Stato.

Un'altra partita aperta è costituita dalla tassa di soggiorno: i Comuni la vogliono con forza, anzi l'Anci si è battuta per ottenerne l'estensione anche alle località turistiche, mentre nella versione originaria si limitava ai comuni capoluogo di provincia. Ma le associazioni degli albergatori, la Confesercenti, gli operatori turistici sostengono che si tradurrà in un forte deterrente per i turisti, e quindi eroderà non poco i guadagni del settore. Contestata, infine, l'abolizione del bonus affitti per le famiglie, deciso, in apparenza, per crude ragioni politiche: la norma era sostenuta dall'Udc, che però ha annunciato con largo anticipo il suo no alla normativa. E quindi, è rapidamente sparita dalla bozza messa a punto da Calderoli.

L'IMU. L'Imposta municipale unica (Imu) sostituirà a partire dal 2014 alcune imposte locali con un gettito stimato - sulla base di dati 2008-2009 - complessivamente di 11 miliardi e 570 milioni. Per l'Imu si ipotizza un'aliquota attorno al 7,6 per mille, più alta di quella prevista ora per l'Ici (ma non ci sarà più l'Irpef sulla seconda casa). I Comuni avevano obiettato che era assurdo stabilire l'aliquota anno per anno (come previsto dalla prima versione del decreto), perché questo li avrebbe costretti ad aspettare la legge di stabilità per fare il bilancio. L'aliquota, nella nuova versione, viene fissata annualmente allo 0,76%, ma potrà essere modificata con decreto della presidenza del Consiglio su proposta del Tesoro e d'intesa con la Conferenza unificata in base alle analisi che farà la Copaff (Commissione tecnica paritetica per l'attuazione del federalismo fiscale).

Imposta di soggiorno. L'imposta di soggiorno è un'altra delle novità legate al federalismo fiscale: sarà pagata in percentuale sul costo di una notte in albergo, con un tetto di 5 euro (salta invece, rispetto alla versione precedente, il minimo di 0,5 centesimi). Il ministro Calderoli ha accettato la richiesta dell'Anci secondo cui l'imposta, limitata nella prima versione del decreto ai capoluogo di provincia, viene invece estesa a tutti i Comuni "turistici". Gli introiti vanno a manutenzione, fruizione e recupero dei beni culturali e ambientali locali e ai relativi servizi pubblici locali. Sono possibili esenzioni o riduzioni per particolari fattispecie o determinati periodi di tempo.

Cedolare secca. Cambia ancora la cedolare secca sugli affitti, che sostituisce l'imposta sul reddito delle persone fisiche e delle relative addizionali, le imposte di registro e di bollo sul contratto di locazione e quelle di bollo che riguardano la risoluzione e le proroghe del contratto di locazione. Nel testo modificato l'aliquota per il canone concordato è fissata al 19%, quella sul canone libero al 21%. Nella precedente versione le due aliquote erano del 20 e del 23%. La cedolare - ha calcolato la Ragioneria - dovrebbe dare un gettito compreso tra i 3,4 miliardi del primo anno e i 4,2 miliardi del terzo anno, quando sarà a regime. Chi opterà per la cedolare secca, si legge nel nuovo testo del decreto, non potrà "chiedere l'aggiornamento del canone, anche se previsto nel contratto a qualsiasi titolo, inclusa la variazione accertata dall'Istat".

Sblocco delle addizionali dal 2011. Via libera allo sblocco delle addizionali Irpef già da quest'anno: i sindaci l'avevano chiesto con insistenza, vista l'urgenza di far quadrare i bilanci senza aspettare l'entrata a regime della riforma, nel 2014, con una compartecipazione all'Irpef del 2%. I Comuni possano sbloccare le addizionali Irpef arrivando a un tetto massimo dello 0,4%, e purché abbiano un'aliquota inferiore allo 0,4%. In ogni caso, si prevede nel testo, "l'addizionale non può essere istituita o aumentata in misura superiore allo 0,2% annuo". In particolare, i Comuni avranno tempo fino al 31 marzo anche per aumentare l'addizionale retroattivamente, a valere sull'anno 2010. Inoltre, dal 2014 i centri con più di 10mila abitanti potranno introdurre gli scaglioni di reddito sulla loro addizionale.

Compartecipazione all'Iva. E' l'ultima modifica in ordine di tempo introdotta al decreto. Prevede una compartecipazione all'Iva dei Comuni, ancora da determinare in percentuale. Infatti l'aliquota e le modalità di attuazione della compartecipazione verranno fissati con decreto dalla presidenza del Consiglio dei ministri.

Salta bonus affitti per le famiglie. Salta dal testo del decreto il fondo da 400 milioni di euro destinato alla famiglie in affitto con figli a carico. La norma era stata definita "mini quoziente familiare" per venire incontro alle richieste dell'Udc. E' stato probabilmente il 'nò anticipato dal Terzo Polo alla riforma a spingere il ministro Calderoli all'eliminazione della disposizione.

Imposta trasferimento proprietà. Cambierà l'imposta sui trasferimenti di proprietà che passerà dal 4 al 2% per la prima casa e dal 10 all'8% per la seconda.

Clausola d'invarianza. I Comuni chiedono che il gettito dei tributi devoluti sia almeno pari ai trasferimenti soppressi nel 2011 e nel 2012. La verifica spetta alla Copaff.

Tassa di scopo. Con il decreto modificato torna anche la tassa di scopo prevista dalla Finanziaria 2007. Darà ai Comuni la possibilità di finanziarie specifiche opere pubbliche chiedendo il "contributo" dei cittadini.

Tributi soppressi. Scompaiono dal 2014, anno dell'entrata a regime della riforma, diversi tributi regionali. Si tratta di quello relativo all'abilitazione dell'esercizio professionale, imposta sulle concessioni statali dei beni demaniali marittimi, per le concessioni statali per occupazione e uso di beni del patrimonio indisponibile, la tassa per l'occupazione di spazi pubblici regionali, concessioni regionali e addizionale regionale sull'acqua.

(03 febbraio 2011)

 

 

CONSUMI

Istat, nel paniere entrano iPad e fast food etnico

A gennaio inflazione al 2,1%, ai massimi dal 2008

Entrano anche il salmone affumicato e l'ingresso ai parchi nazionali e ai giardini zoologici e botanici; esce la posizione 'noleggio Dvd'. A far lievitare i prezzi al consumo soprattutto i prodotti energetici e gli alimentari non lavorati

Istat, nel paniere entrano iPad e fast food etnico A gennaio inflazione al 2,1%, ai massimi dal 2008 L'I-pad entra nel paniere Istat

ROMA - A gennaio 2011 l'inflazione è balzata al 2,1% su base annua, dall'1,9% di dicembre 2010. Si tratta del dato più alto dal dicembre del 2008. Lo comunica l'Istat nelle stime provvisorie, aggiungendo che base mensile il tasso è stato pari al +0,4%. Come ogni anno, viene rinnovato il paniere Istat per la rilevazione dei prezzi al consumo: quest'anno entrano l'iPad, il salmone affumicato e il fast food etnico. Esce invece il noleggio di dvd. Più nel dettaglio, il paniere 2011 è composto da 1.377 prodotti, che si riaggregano in 591 posizioni rappresentative; su queste vengono calcolati mensilmente i relativi indici dei prezzi al consumo. Rispetto al 2010 entrano nel paniere le nuove posizioni: tablet Pc, ingresso ai parchi nazionali, ai giardini zoologici e botanici, servizi di trasporto extraurbano multimodale integrato, fast food etnico, salmone affumicato. Esce la posizione noleggio dvd.

Il nuovo paniere. Tra le posizioni, già contenute nell'indice precedente, che vengono diffuse per effetto della nuova classificazione ci sono i servizi di telefonia mobile (traffico voce ed sms) e i servizi internet da rete mobile. Queste variazioni, spiega l'Istat, "riflettono i cambiamenti dei consumi delle famiglie in relazione sia all'evoluzione dei comportamenti (è il caso ad esempio dell'introduzione del Fast food etnico) sia alle dinamiche dell'offerta, in particolare quella legata alle nuove tecnologie (è il caso ad esempio dell'ingresso del tablet pc e dell'eliminazione del

noleggio dvd)".

A livello territoriale, invece, sono 85 i comuni capoluogo di provincia che concorrono al calcolo degli indici (erano 83 nel 2010). Il comune di L'Aquila riprende l'attività di rilevazione, dopo due anni di interruzione a causa degli effetti del terremoto del 2009. Entra Messina e riprende la partecipazione Salerno. La copertura in termini di popolazione provinciale è pari all'86,7%.

Inflazione gennaio. L'accelerazione dell'inflazione registrata a gennaio risente delle tensioni sui prezzi dei beni, ed in particolare dei beni energetici non regolamentati, e degli alimentari non lavorati, i cui effetti risultano soltanto parzialmente attenuati dal lieve rallentamento della crescita su base annua dei prezzi dei servizi. Sulla base delle stime preliminari, l'indice armonizzato dei prezzi al consumo (IPCA) diminuisce dell'1,2% rispetto al mese precedente e aumenta del 2,4% rispetto allo stesso mese dell'anno precedente.

Per quanto riguarda i beni energetici non regolamentati, a gennaio 2011 il prezzo della benzina è aumentato dell'11,3% (+9,9% a dicembre) su base annua e del 3,5% su base mensile. Il prezzo del gasolio per mezzi di trasporto è salito del 15,7% (+14,5% a dicembre) in termini tendenziali e del 4% sul piano congiunturale. Riguardo al Gpl, l'indice ha registrato un aumento del 26,5% (+21,3% a dicembre) su base annua e dell'8% su base mensile. Quanto al gasolio da riscaldamento a gennaio ha segnato un del 14,9% a livello tendenziale e del 3,3% sul piano congiunturale.

(04 febbraio 2011)

 

 

 

 

 

FEDERALISMO

Berlusconi di nuovo all'attacco

"L'Italia commissariata dalle Procure"

Il premier: "Federalismo? La bicamerale era solo un artifizio, spero che non ci siano problemi con Napolitano". "L'opposizione è contraria agli interessi del Paese". "La maggioranza sta per allargarsi". "Ruby? Mai avuto colloqui diretti". E rilancia il nome di Forza Italia

Berlusconi di nuovo all'attacco "L'Italia commissariata dalle Procure"

ROMA - "L'Italia è una repubblica giudiziaria commissariata dalle Procure". Silvio Berlusconi abbandona rapidamente la linea del "dialogo" e torna ai consueti affondi aggressivi contro toghe e opposzione. Lo fa a proposito del caso Ruby, parlando con i giornalisti al suo arrivo a Bruxelles per il vertice Ue. Dopo le toghe tocca all'opposzione, "contraria agli interessi del Paese".

Ieri sera, invece, il premier aveva cenato con i deputati che hanno formato il Gruppo dei cosidetti "responsabili", definendo la commissione bicamerale 1 "un semplice artifizio", e negando "forzature sul federalismo". "Abbiamo la maggioranza sia alla Camera che al Senato, la Commissione bicamerale è un artificio", ha aggiunto il cavaliere, sostenendo che da parte del Quirinale non dovrebbero esserci problemi a firmare il decreto legislativo. Tesi ribadita anche oggi a Bruxelles: "Spero non ci siano probelmi con il Colle".

"Maggioranza più larga". "Presto arriveranno altri quattro parlamentari a rafforzare i 'Responsabili', due dall'opposizione e due dai liberaldemocratici". Così il premier, che ha poi annuncaito ai suoi alleati di voler rompere ogni rapporto con l'Udc anche sul territorio.

Caso Ruby: "Facciamo cappotto...". "Se continua così,

la prossima volta facciamo cappotto...". il presidente del Consiglio ha gioito per il voto positivo per l'esecutivo ottenuto alla Camera sulla richiesta per il caso Ruby. E, nel merito, avrebbe assicurato di non aver mai avuto colloqui diretti con la ragazza: "E' solo una ragazza che mi è stata segnalata, nulla di più". Colloqui e incontri diretti che invece sarebbero testimoniati dai tabulati dell'inchiesta di Milano. "Il fatto è - ha concluso - che sono uno generoso, se qualcuno mi dice che non può comprare una macchina io la regalo. Di solito regalo mini Cooper...".

Torna Forza Italia? Il nuovo partito di Silvio Berlusconi si dovrebbe chiamare Forza Italia. Secondo quanto viene riferito dalla cena è stato lo stesso Cavaliere a dirlo, sottolineando che ora si tratta di "convincere gli ex An".

(04 febbraio 2011)

 

 

GOVERNO

Federalismo, ok per decreto

ignorato lo stop della bicamerale

Il dl sul fisco municipale ottiene 15 voti a favore e 15 contrari. Ma un cdm straordinario vara comunque il provvedimento. Bossi: "Per ora niente elezioni". Bersani: "Schiaffo al Parlamento". Fini: "Situazione senza precedenti". Scontro maggioranza opposizione sulla composizione della commissione

Federalismo, ok per decreto ignorato lo stop della bicamerale Umberto Bossi

ROMA - Finisce 15 pari la votazione nella cosiddetta "bicameralina" sul federalismo municipale. Nonostante i tentativi del governo, che ha cercato di scongiurare fino all'ultimo momento questo risultato modificando il testo più volte, il risultato finale è che il parere formulato dal relatore è sostanzialmente respinto. Il governo, però, non se ne cura. Convoca in serata un consiglio dei ministri straordinario e approva il provvedimento. "Finalmente i comuni avranno le risorse senza andarle a chiedere col cappello in mano. I soldi resteranno sul territorio dove sono stati prodotti" esulta Umberto Bossi. Mentre fonti del governo fanno sapere che il decreto approvato è quello con tutte le modifiche frutto del confronto in bicamerale e dell'intesa con l'Anci. Ora il decreto dovrà passare al vaglio del Quirinale.

"Una svolta storica": così il premier avrebbe definito la riforma secondo chi era presente al Consiglio dei ministri. Berlusconi avrebbe anche posto subito i prossimi obiettivi: allargare la maggioranza e rafforzare la squadra di governo e, al più presto, la nomina di nuovi sottosegretari.

Furiosa la reazione dell'opposizione. "Un inaudito schiaffo al Parlamento, una lesione senza precedenti delle prerogative delle commissioni parlamentari fissate per legge. Un vero atto di arroganza. Il governo Berlusconi-Bossi, dopo tanta propaganda, finisce per approvare con un colpo di mano il federalismo delle tasse" attacca il segretario del Pd, Pierluigi

Bersani. "E'un vero e proprio esproprio eversivo contro il parere del Parlamento" afferma in una nota il portavoce dell'Italia dei Valori, Leoluca Orlando. In precedenza si era fatto sentire anche Gianfranco Fini: "E' una situazione senza precedenti. Chi conosce le regole della Bicamerale sa che in caso di pareggio il provvedimento si intende respinto".

Il voto nella bicameralina. Per evitare il pareggio la Lega aveva fatto un ulteriore tentativo di salvare il decreto chiedendo di procedere per parti separate, ma il tentativo è stato bocciato dalle opposizioni. Per evitare il blitz, infatti, Giuliano Barbolini (Pd) e Felice Belisario (Idv) hanno ritirato le loro relazioni e quindi la Lega ha ritirato la propria proposta. La vittoria a maggioranza, però, era legata all'atteggiamento di un senatore di Fli, Mario Baldassarri. Il quale, iniziata la riunione, ha gelato la maggioranza, sillabando: "La mia valutazione del provvedimento non può essere positiva".

Le reazioni. Le interpretazioni sul valore del pronunciamento della commissione sono divergenti. "E' solo un parere consultivo, il governo può tranquillamente andare avanti con il decreto sul federalismo", sostiene il vicepresidente della Camera Antonio Leone (Pdl). "Niente elezioni, andiamo avanti con il decreto" ha rincarato il presidente della Bicamerale Enrico La Loggia, sostenendo che il voto in Bicamerale sancisce che "è come se il parere della bicamerale non fosse stato espresso: come prevede la legge si può fare benissimo il decreto, anche nella versione modificata sulla quale c'è il parere favorevole della commissione Bilancio del Senato". Ed ancora: "Troppi del Terzo polo, la commissione va rivista". Richiesta alla quale si accoda la Lega che chiede a Fini e Schifani di intervenire. Il giudizio del Pd è critico a 360 gradi. "Non ci sono le condizioni nè giuridiche, nè politiche per andare avanti. Berlusconi e Bossi prendano atto della situazione" afferma Bersani. "Il voto di oggi certifica l'inesistenza di una maggioranza in Parlamento. Bisogna restituire la parola ai cittadini e tornare alle urne" dice Antonio Di Pietro. Per il Terzo polo la "vittoriosa macchina" del federalismo leghista si è inceppata

(03 febbraio 2011)

 

FEDERALISMO

Lo sconcerto del Quirinale

già smentite le aperture al dialogo

I dubbi del Colle sul testo approvato da Palazzo Chigi e le pressioni della Lega. Il Cavaliere teme di incrinare il rapporto con Napolitano. "Qualcuno mi dice che questo decreto non si può fare. Meglio riportare tutto in aula"

di FRANCESCO BEI

Lo sconcerto del Quirinale già smentite le aperture al dialogo Giorgio Napolitano

ROMA - Il patto tra Berlusconi e Bossi, siglato due sera fa nella cena a palazzo Grazioli, ha tenuto: il decreto sul federalismo è stato approvato, a dispetto del Parlamento, e il Carroccio per ora non staccherà il respiratore al governo. Ma il prezzo di quella che un ministro, a tarda sera, ammette essere "una forzatura pazzesca" è il rapporto tra il Quirinale e palazzo Chigi.

"Silvio, il decreto va approvato questa sera stessa", ha ingiunto Bossi al Cavaliere dopo aver incassato il no della Bicameralina: "Non possiamo aspettare un altro mese, domani al Nord la gente ci insegue con i forconi". Raccontano che Berlusconi abbia provato a resistere, che abbia puntato i piedi spalleggiato da Gianni Letta. "Umberto - gli ha replicato il premier - mi dicono che non si può fare. Napolitano ce lo può respingere. Meglio riprovarci tra un po', magari portando tutto in aula, dove i voti ce li abbiamo". Ma il capo della Lega è stato categorico: "Va approvato stasera, altrimenti per noi salta tutto". Tanto che i leghisti già facevano filtrare ai giornalisti la notizia della convocazione del Consiglio dei ministri, mentre lo stesso entourage di palazzo Chigi ne era all'oscuro.

Una fitta diplomazia si è quindi messa in moto per capire quali fossero le intenzioni del capo dello Stato. Calderoli ha chiamato il Colle, lo stesso Letta è intervenuto. Ma da Napolitano non poteva arrivare né un via libera preventivo, né tanto meno

l'annuncio di uno stop. Insomma, ognuno si assuma le sue responsabilità, è stata la risposta consegnata agli emissari della maggioranza. E tuttavia il presidente della Repubblica ha caldamente invitato il governo a non far finta di nulla, a tener conto del voto del Parlamento. Ora dunque che succede? Nel governo ostentano sicurezza. "Dal punto di vista regolamentare - spiega un ministro dopo aver ascoltato le relazioni di Calderoli e Tremonti in Cdm - quello espresso dalla Bicameralina è un "non parere", ovvero è come se il Parlamento non si fosse pronunciato. E, visto che i termini scadevano oggi, il governo ha varato lo stesso il decreto uniformandosi alla voto espresso dalla commissione Bilancio del Senato. Tutto lineare". Il Quirinale non la pensa così.

In attesa che lo staff giuridico del capo dello Stato esamini il decreto e la nota di accompagnamento (giacché l'emanazione del Dlgs non viene considerata al Colle un atto dovuto come pensano invece a palazzo Chigi) Napolitano non ha nascosto la sua irritazione per la procedura. Alla vigilia del voto il capo dello Stato aveva infatti scongiurato le forze politiche dall'evitare una "spirale ormai insostenibile di contrapposizioni, arroccamenti e prove di forza". Un invito, fanno notare al Colle, prontamente recepito dal premier con una nota di plauso. E allora? Alla prima prova utile, i fatti hanno contraddetto le intenzioni. Adesso Napolitano si prenderà ventiquattr'ore per decidere nel merito, valutando anche il parere dei costituzionalisti. Mentre sarà oggi il ministro Tremonti a difendere il federalismo municipale con una conferenza stampa.

Nel patto onorato dal Cavaliere sul federalismo c'è anche la garanzia che non si andrà al voto anticipato. "Se i leghisti avessero davvero voluto le elezioni - confida Massimo Corsaro, reduce dal summit a palazzo Grazioli con Bossi - oggi avrebbero avuto l'occasione giusta. Non l'hanno fatto e non è un caso. Il patto con Berlusconi regge". Berlusconi l'ha detto anche ieri sera aprendo il Consiglio dei ministri: "Oggi con il federalismo festeggiamo un grande traguardo. La maggioranza alla Camera c'è, ormai siamo a 316 e possiamo ancora allargarci: andiamo avanti fino alla fine della legislatura". Nelle conversazioni con i leghisti, il premier si è lasciato andare a giudizi molto duri su Gianfranco Fini. In una telefonata fatta ieri mattina con Mario Baldassarri, membro di Fli nella Bicameralina, Berlusconi era convinto infatti di aver strappato almeno la promessa di un'astensione. "Poi è intervenuto Fini con le sue minacce e Baldassarri è stato costretto a votare contro. È inaudito che un presidente della Camera - si è sfogato il premier - usi la sua carica in questo modo".

(04 febbraio 2011)

 

 

FEDERALISMO

Sul web la rabbia leghista

"Ci sentiamo presi in giro"

di MARCO PASQUA

Sul web la rabbia leghista "Ci sentiamo presi in giro"

MILANO - Si sentono presi in giro, da Berlusconi, e persino dal loro Senatur. Per questo vogliono subito le elezioni, anche se in tanti tornano a parlare di secessione. Da quella "Roma ladrona" che, oggi, li ha traditi. Il voto della Bicamerale sul federalismo municipale viene vissuto come un affronto dal popolo leghista, che ora riversa la sua rabbia sulle bacheche di Facebook dei consiglieri regionali, europarlamentari e deputati. C'è chi cerca di contenere gli sfoghi, come fa Matteo Salvini, europarlamentare, che prima scrive "Roma, vadaviaiciapp", e poi aggiunge, rivolto alla base: "nervi saldi, tanto alla fine vinciamo noi". In pochi, però, sembrano dargli credito.

"L'unico modo per vincere è andarsene da Roma - gli risponde Gianluca - e batterci per l'indipendenza. Ormai è chiaro che nessuna alleanza con nessun partito itagliota potrà mai darci una briciola. Avremo sempre e solo delusioni e schiaffi da quest'Italia". Adele suggerisce una linea che in tanti dimostrano di condividere: "Lega da sola senza Berlusconi o altre alleanze se no non vinceremo mai". Un auspicio che compare spesso nei commenti dei leghisti, sempre più infuriati col premier: "Noi votiamo Lega e voi calate le braghe davanti al Silvio, uomo senza decenza senza dignità. Non ho votato la Lega tutti questi anni per fargli fare le orge", scrive Amos, mentre Massimo dice: "Ritorniamo sulla strada della secessione, cominciando con un bello

sciopero fiscale". "Siamo alle comiche finali: il 'boss' Berlusconi convoca Bossi mentre quel coso di nome Verdini dichiara che il governo va avanti", è la sintesi di Lorena delle ultime ore sul vertice romano tra i due leader, mentre un altro utente promette: "Se rimanete a Roma perderete anche il mio di voto, che dopo quasi 25 anni di lealtà è molto più grave che perdere la faccia".

Davide Caparini, deputato della Lega, pubblica il link ad un articolo in cui si anticipa il pareggio della Bicamerale. E' l'occasione, per i suoi amici virtuali, per rinfacciare a Berlusconi la vicenda del Rubygate, che, in queste settimane era stata ingoiata in nome della tanto promessa riforma federalista. "Basta abbassare la testa - scrive a Caparini l'utente Lorella - Berlusconi ci ha fottuti tutti con le sue putt... meglio soli che male accompagnati. Ringraziamolo per folleggiare con minorenni, grazie a tutto questo polverone il Federalismo oggi diventerà un miraggio". Per Giancarlo non resta da fare altro che "staccare la spina". Quando ancora non si è votato in Bicamerale, Massimiliano Romeo, consigliere regionale della Lega in Lombardia avvisa: "Federalismo o salta tutto". Lo corregge, alcune ore dopo, un utente: "E' già saltato purtroppo. 15 a 15". Anche Davide Boni, presidente del Consiglio regionale della Lombardia, cerca di far mandar giù l'amara pasticca ai militanti leghisti, promettendo che "la riforma federalista proseguirà".

Operazione che, a giudicare dalle risposte, non gli riesce: "Prima hanno minacciato il ritorno alle urne nel caso in cui non fosse passato il federalismo in commissione bicamerale, e poi si sono rimangiati il tutto. Schiavi di Berlusconi. Ecco quello che sono", attacca Danilo. Nereide si rivolge direttamente a Boni: "Boni siamo tutti un po' stufi di questo tira e molla, e lo si capisce anche da chi ha commentato. Stiamo perdendo credibilità e risulta sempre più difficile per chi sta in mezzo alla gente far capire che stiamo a Roma per il nostro progetto. Io non so se credere che stiamo raccogliendo consensi. Il mio quotidiano mi dice il contrario".

Renato confessa di aver abbandonato il partito di Bossi: "Io ho sempre votato Lega, ma è già da qualche tornata di elezioni che non voto più... inutile, tempo sprecato cari amici, anche i nostri esponenti della Lega stanno troppo bene dove sono". Per cercare di placare gli animi interviene in prima persona Boni, ammettendo di essere "stanco": "Il leader è Bossi, o ci siamo dimenticati che Lui ci ha portato fino a qui, ci dirà il Capo cosa fare. La Lega è Bossi e Bossi è la Lega. Lo so sono stanco anche io... ma aspetto il Capo". Un teorema che, a quanto pare, non serve a richiamare all'ordine i militanti: "Sì, Bossi è arrivato fin qui. Ma da quanti anni? E da quanti anni le promesse rimangono tali?" e ancora "io non ho ne capi e né padroni. E visto che Bossi è il capo, si cominci a rendere conto che gli elettori (operai, agricoltori) sono stanchi delle prese in giro". Anche Fabrizio Cecchetti, consigliere regionale in Lombardia della Lega, cerca di rasserenare gli amici: "Ragazzi calma e sangue freddo. Il pareggio in Bicamerale non implica lo stop o la cancellazione del decreto che potrà essere approvato direttamente dal Parlamento". Ma la rabbia esplode: "Il sangue ribolle! Lo sanno che molti di noi invocano la secessione? Glielo ricordiamo? O gli facciamo una bella sorpresa?", avverte Mauro. "A questo punto ha ancora senso stare a Roma con certi pagliacci italiani? - si chiede Vincenzo - Secondo me è arrivato il momento che tutta la Lega si impegni solo ed esclusivamente delle regioni del Nord, conquistandole (da soli) e facendo le riforme necessarie, a livello regionale. La Lega non può star dietro a certa feccia politica. Padania Libera!".

Emergono anche tanti dubbi sulle posizioni di Bossi: "Non ho capito perché ha detto che se non passava in bicamerale avrebbe fatto cadere il governo, è stato un assist a Di Pietro e PD". Sulla bacheca di Jari Colla, membro del Consiglio Nazionale della Lega Nord, c'è chi implora le elezioni, senza nessuna alleanza con Berlusconi: "Dimmi se si va a votare staccati da Berlusconi! Dimmi di sì". Daniele Belotti, assessore al Territorio in Lombardia, sceglie di non rispondere a chi gli chiede, poche ore fa: "Basta ora? Scendiamo in piazza? Secessione subito. Hanno rotto i co.."

(03 febbraio 2011)

 

 

IL COMMENTO

La Lega democristiana

di MASSIMO GIANNINI "Federalismo o morte", grida da mesi Umberto Bossi, brandendo la spada di Alberto da Giussano. Ma adesso che il federalismo muore, il leader della Lega rincula, ripiega. E balbetta, come l'arcitaliano di Mino Maccari: "O Roma o Orte". Nel gorgo in cui sta affondando il Cavaliere, dunque, sembra risucchiato anche il Senatur. Non solo il Carroccio non rompe, dopo il "pareggio" in Parlamento sul decreto federalista. Ma prova a tirare a campare, al fianco di un premier sempre più disperato. E così, a sua volta, accetta il rischio di tirare le cuoia.

La giornata di ieri segna un altro passo verso il baratro. C'è un baratro nel quale precipitano le regole democratiche. Sulla drammatica scena del crepuscolo berlusconiano accade un'altra cosa mai vista. Un decreto, respinto da una Commissione bicamerale, viene riapprovato nella stessa formulazione dal Consiglio dei ministri. Il potere esecutivo, con un suo atto d'imperio, annulla il potere legislativo. Siamo all'ennesima "lesione" ordinamentale, voluta da un centrodestra che supplisce alla debolezza aritmetica con la scelleratezza politica. Davvero una "situazione senza precedenti", per usare le parole di Gianfranco Fini.

C'è un baratro che si avvicina per la maggioranza. Il "15 a 15" registrato nella "Bicameralina" è solo in apparenza un pareggio, ma in realtà è una sconfitta. È una sconfitta tecnica, perché quel testo, benché riscritto da Tremonti e Calderoli, non soddisfa né

le opposizioni né i sindaci. Dall'Imu alle addizionali Irpef, dalle tasse di scopo a quelle di soggiorno: la presunta "riforma federale" nasconde in realtà una stangata epocale. E nell'attesa messianica del secondo decreto, quello sul federalismo regionale, non si sa nulla del fondo di perequazione e dei costi standard delle prestazioni.

La sconfitta è anche politica. La maggioranza può anche considerare una rivincita il voto successivo dell'aula di Montecitorio sul rinvio alla procura di Milano degli atti relativi allo scandalo Ruby. Ma c'è poco da festeggiare. L'operazione di allargamento non ha prodotto risultati. Lo dice la matematica. Il 14 dicembre la fiducia al governo è passata con 314 voti. Il 19 gennaio la relazione di Alfano sulla giustizia è passata con 303 voti. Il 26 gennaio la mozione di sfiducia a Bondi è stata respinta con 314 voti. Ieri il no ai pm è passato con 315 voti. Nonostante la vergognosa compra-vendita tra lombardisti pentiti e futuristi delusi, la macchina da guerra Pdl-Lega non sfonda.

Con questi numeri non si governa. Si può superare per miracolo la prova di una fiducia, con un governo "militarizzato" e presente in aula con tutti i suoi effettivi. Ma basta un voto qualsiasi, per esempio sul decreto legge mille-proroghe presto all'esame di Montecitorio, e si perde. Si può galleggiare per qualche settimana o qualche mese. Ma con la certezza di andare a fondo, prima o poi. Il voto della Commissione bicamerale lo dimostra: la maggioranza forzaleghista non ha i numeri per far passare il decreto federalista. Se non al prezzo di un clamoroso colpo di mano, di un doloroso strappo ai principi della Costituzione e ai regolamenti parlamentari.

Ma c'è un baratro nel quale si sta ormai lasciando cadere soprattutto la Lega. Solo ieri notte Bossi usciva dal lungo vertice a Palazzo Grazioli rilanciando il suo grido di battaglia: se non passa il decreto sul federalismo si va a votare. È stato il "mantra" ripetuto ossessivamente, fin dal giorno della rottura di Futuro e Libertà. È stato il patto che ha legato le sorti del Senatur a quelle del Cavaliere: la partecipazione al governo in cambio dell'attuazione del federalismo. Non c'è il primo se non c'è il secondo: questo è il senso della strategia leghista di questi mesi. Ora questa strategia sembra sbiadita, confusa, tradita. Il federalismo non c'è, ma Bossi abbozza e dice "si va avanti".

In questo suo atteggiamento indulgente e "resistente" deve esserci sicuramente una profonda riconoscenza umana e personale nei confronti di Berlusconi. Ma persino la politica, alla fine, esige una sua coerenza. Il Carroccio sta pagando un costo sempre più alto, per puntellare un presidente del Consiglio sempre più debole. Lo certificano i sondaggi, che da tre settimane non fotografano più una Lega con il vento nelle vele. A parlare con i sindaci, ad ascoltare Radio Padania e a leggere la Padania, si percepisce uno smarrimento crescente. I militanti manifestano una forte insofferenza per gli scandali privati del Cavaliere. Ma avrebbero tollerato, di fronte alla contropartita pubblica del federalismo. Se adesso anche questa viene a mancare, al Carroccio non resta nulla da spartire in questa ennesima avventura a fianco del Sultano di Arcore.

Bossi, pur nel travaglio della malattia che lo colpito e fiaccato, non ha mai perso il profilo da combattente indomito e "rivoluzionario". Ha sempre incarnato il mito del capo di un movimento pre-politico, nato per il cambiamento e per l'affrancamento dal Palazzo. Da ieri quel profilo è intaccato, e quel mito violato. Il Senatur tratta e ritratta, subisce e patisce. Come un doroteo qualsiasi. Può accettare un simile snaturamento del suo partito, senza incassare neanche il dividendo pattuito e senza cominciare a guardare ad un orizzonte politico più ampio? Può sventolare ancora il suo logoro vessillo federalista, senza poterlo concretamente piantare in una Padania non più immaginaria, ma finalmente reale? Fino a che punto può seguirlo il suo "popolo", che sognava la terra promessa e si ritrova nella palude berlusconiana? Sono domande che un "animale politico" come lui non può eludere ancora a lungo. A meno che Bossi il Padano, per eterna fedeltà all'amico Silvio, non abbia deciso di "morire democristiano".

(04 febbraio 2011)

 

 

4

feb

2011

Forza Italia, secondo tempo

Dalla cena del premier coi responsabili apprendiamo che il nuovo nome del Pdl dovrebbe essere Forza Italia.

Un salto mortale – all’indietro – di quasi vent’anni, con buona pace degli ex An che così accetterebbero nei fatti essere stati semplicemente "annessi" al partito berlusconiano.

E’ l’ultimo segnale di una strategia pensata a tavolino. Prima i videomessaggi, esattamente come allora. Poi la promessa fanfarona di dare la scossa all’economia, come furono un tempo il milione di posti di lavoro o il "meno tasse per tutti". Infine, e così il cerchio si chiude, lo stesso nome uscito dal cilindro della discesa in campo.

Il nuovo predellino del premier, insomma, è provare a convincere gli italiani che dal 1994 ad oggi è passato solo un giorno. Con tanto di Apicella pronto a intonare un ruffiano "Scurdammocce ‘o passato".

Il possente meccanismo della propaganda è in moto, e non si fermerà fino a quando l’Italia non tornerà al voto. Eppure basterebbe pensarci sopra un attimo, tra un Tg1 e l’altro, per capire che la fiction del ritorno al futuro è un clamoroso autogol. La prova plastica del fallimento del Cavaliere.

Ora, per correre ai ripari, bisogna cambiare tutto perché nulla cambi. Perfino darsi un nome nuovo, uguale identico a quello di prima.

 

 

BUSSOLE

Di Ivo Diamante

Lo Stato del pareggio

Lo Stato del pareggio Da sinistra, Bossi, Tremonti e Calderoli

Il voto della Commissione Bicamerale sul federalismo municipale è esemplare. Raffigura, meglio di molte altre immagini e analisi, lo Stato della politica. Della nostra democrazia. Del nostro Stato. Il "pareggio", infatti, non significa equilibrio. Al contrario. Il Parlamento, in questo caso, appare davvero rappresentativo di quel che avviene nella società e sul territorio. Di ciò che siamo davvero: un Paese diviso. E sospeso: incapace di seguire un percorso chiaro e con-diviso.

Il pareggio, infatti, è frutto di una frattura politica profonda tra una maggioranza presunta e un'opposizione, a sua volta, incapace di "imporsi". Ma in grado, comunque, di "opporre" il suo voto, o meglio, il suo "veto" di fronte a questioni determinanti, dal punto di vista simbolico, prima ancora che pratico. Visto che, sinceramente, è difficile definire cosa sarebbe uscito, cosa uscirebbe da questo provvedimento (se comunque proseguisse fino in fondo il suo iter). Passato attraverso mille incontri, mille negoziati, mille modifiche e mille emendamenti. Depurato, precisato e complicato da "milleproproghe". È difficile sapere cosa ne uscirebbe - ne uscirà - davvero.

Di certo, ha un significato - appunto - simbolico importante. Il Federalismo - senza altri aggettivi. È la bandiera brandita dalla Lega. Per indicare la direzione e la missione politica che persegue. Per dimostrare a tutti

- e agli elettori padani prima di tutti gli altri - che la Lega c'è. E, a differenza di altri, degli stessi alleati, dello stesso Premier, non si limita a dire, ma fa. Oltre alle parole: i fatti. Anche se, per ora e per molto tempo ancora, si tratterebbe comunque e ancora di "parole". Visto che sarebbe stato - sarà - efficace e operativo solo fra alcuni anni. Il pareggio, però, rende vane anche le parole. E ribadisce "fatti" molto evidenti. Il primo, ripeto ancora una volta: siamo un Paese diviso, governato (?) da una maggioranza che non è in grado di decidere e, comunque, di imporre le proprie scelte. Perché, in fondo, anch'essa, nel Paese, è divisa. Se la Lega è il Nord, il PdL è il Centro-Sud.

In secondo luogo, il pareggio significa che nessuno ha vinto e nessuno ha perso. Semmai, che hanno perso tutti. Anzitutto e soprattutto, il PdL e Berlusconi, che si confermano in-decisi a tutto. La Lega, che, in Parlamento, non è in grado di portare a termine neppure un simulacro di federalismo. Ma anche l'opposizione di Centro e di Centrosinistra, unita, comunque, nell'opporsi. Ma non quando si tratta di "imporsi", intorno a un progetto (un soggetto, un leader) comune. Così, questo Paese diviso, si specchia e si riproduce in un Parlamento diviso: come la politica, la società, il territorio. È lo Stato del Pareggio. Dove tutte le sfide che contano finiscono in parità. Cioè, con un nulla di fatto. Oggi, in Commissione Bilaterale: quindici a quindici. Ma, in effetti, si tratta di zero a zero. Sommati, i due punteggi e i due progetti si elidono reciprocamente. Con un solo risultato.

Zero.

(03 febbraio 2011)

 

 

2011-02-03

FEDERALISMO

In Bicamerale finisce in parità

respinto il parere sul decreto

Il decreto sul federalismo municipale ottiene 15 voti a favore e 15 contrari. Il Pdl: "Noi andiamo avanti comunque". Bossi: "Niente elezioni". Il Pd: "Bocciatura doppia, il governo ne tragga le conseguenze". Fini: "Situazione senza precedenti"

In Bicamerale finisce in parità respinto il parere sul decreto Umberto Bossi

ROMA - Finisce 15 pari la votazione nella cosiddetta "bicameralina" sul federalismo municipale. Nonostante i tentativi del governo, che ha cercato di scongiurare fino all'ultimo momento questo risultato modificando il testo più volte, il risultato finale è che il parere formulato dal relatore è sostanzialmente respinto. Il governo, però, fa sapere di non voler arretrare, allontanando le elezioni anticipatre. Almeno è questo che Berlusconi avrebbe detto a Bossi nel vertice dopo il voto. Ma Gianfranco Fini attacca: "E' una situazione senza precedenti. Chi conosce le regole della Bicamerale sa che in caso di pareggio il provvedimento si intende respinto".

L'iter. Un ultimo tentativo di salvare il decreto lo aveva fatto a pochi minuti dal voto la Lega, chiedendo di procedere per parti separate, ma il tentativo è stato bocciato dalle opposizioni. Per evitare il blitz, infatti, Giuliano Barbolini (Pd) e Felice Belisario (Idv) hanno ritirato le loro relazioni e quindi la Lega ha ritirato la propria proposta. La vittoria a maggioranza, però, era legata all'atteggiamento di un senatore di Fli, Mario Baldassarri. Il quale, iniziata la riunione, ha gelato la maggioranza, sillabando: "La mia valutazione del provvedimento non può essere positiva".

Le reazioni. Le interpretazioni sul valore del pronunciamento della commissione sono divergenti. "E' solo un parere consultivo, il governo può tranquillamente andare avanti con

il decreto sul federalismo", sostiene il vicepresidente della Camera Antonio Leone (Pdl). "Niente elezioni, andiamo avanti con il decreto" ha rincarato il presidente della Bicamerale Enrico La Loggia, sostenendo che il voto in Bicamerale sancisce che "è come se il parere della bicamerale non fosse stato espresso: come prevede la legge si può fare benissimo il decreto, anche nella versione modificata sulla quale c'è il parere favorevole della commissione Bilancio del Senato". Ed ancora: "Troppi del Terzo polo, la commissione va rivista". Infine l'annuncio che martedì sarà convocato l'ufficio di presidenza e si comincerà ad esaminare il decreto legislativo sul federalismo regionale.

Critico il giudizio del Pd."Un vero federalismo è necessario e possibile. Quello che è stato respinto era un pasticcio. Adesso, ci si fermi. Non ci sono le condizioni nè giuridiche, nè politiche per andare avanti. Berlusconi e Bossi prendano atto della situazione" afferma Pier Luigi Bersani. "Il voto di oggi certifica l'inesistenza di una maggioranza in Parlamento. Bisogna restituire la parola ai cittadini e tornare alle urne" dice Antonio Di Pietro. Per il Terzo polo la "vittoriosa macchina" del federalismo leghista si è inceppata. Il governo si "deve fermare" perché è a un bivio: il parere al federalismo municipale è "respinto" quindi o emana il vecchio testo del 4 agosto o ricomincia l'iter da capo.

Per D'Elia dell'Udc "secondo il regolamento della Commissione una proposta che ottiene 15 voti a favore e 15 contro e' respinta. Lo schema di decreto può quindi essere approvato dal Consiglio dei ministri solo nella sua stesura originaria, e non con modifiche, peraltro bocciate dalla Commissione. Quanto al parere della commissione Bilancio del Senato, si tratta di un parere non reso, perchè riguardante un atto non approvato dalla commissione Bicamerale".

L'affondo di Fini. "Il risultato di oggi - spiega il presidente della Camera - non è la conseguenza delle singole appartenenze politiche ma di una valutazione del merito del provvedimento perchè forze politiche di opposizione che sempre hanno sostenuto una trasformazione in senso federale dello stato poi si sono trovate nella condizione obbligata di esprimere un diniego".

Vertice Pdl Lega. "No comment" dopo il voto invece da parte del ministro dell'Economia Giulio Tremonti. Subito dopo il pronunciamento il responsabile di Via XX Settembre si è recato a un vertice di maggioranza a Palazzo Grazioli insieme a Silvio Berlusconi e allo stato maggiore della Lega. Al termine del summit Denis Verdini, coordinatore del Pdl, annuncia: "Il governo va avanti". E anche Umberto Bossi esclude il voto: "Non si va alle elezioni". "E' stato respinto un parere, non il provvedimento" rincara il ministro per la Semplificazione, Roberto Calderoli

Eppure la giornata si era aperta con una buona notizia per la coalizione di governo: al Senato la Commissione Bilancio aveva approvato con 14 voti favorevoli e 11 contrari un parere favorevole con osservazioni sullo schema di decreto legislativo per il federalismo municipale. La senatrice Thaler Ausserhofer (Svp) aveva votato a favore con la maggioranza, il senatore Candido De Angelis (Fli) contro.

Al di là delle schermaglie polemiche, il voto sembra avere un significato molto chiaro. Secondo l'articolo 7 del regolamento della Commissione, il decreto si intende respinto, almeno in commissione: "Le deliberazioni della commissioni sono adottate a maggioranza dei presenti, considerando presenti coloro che esprimono voto favorevole o contrario. In caso di parità di voti, la proposta si intende respinta".

(03 febbraio 2011)

 

 

 

LA SCHEDA

Federalismo, le novità e le polemiche

Dall'Imu alla compartecipazione all'Iva

La bozza è stata profondamente modificata negli ultimi giorni in seguito alle aperture del governo alle richieste dell'Anci. Ma rimangono aperte le contestazioni sulla 'minipatrimoniale', sul balzello destinato ai turisti, sulla normativa relativa agli affitti di ROSARIA AMATO

Federalismo, le novità e le polemiche Dall'Imu alla compartecipazione all'Iva I ministri Bossi, Tremonti e Calderoli

ROMA - Tassa di soggiorno estesa a tutti i Comuni con vocazione turistica, aliquota dell'Imu fissata già nel decreto e non anno per anno con la legge di stabilità, compartecipazione dei Comuni all'Iva dal 2014, ma sblocco immediato delle addizionali Irpef fino allo 0,4%, eliminazione del fondo da 400 milioni destinato al sostegno delle famiglie in affitto con redditi bassi e reintroduzione della tassa di scopo per progetti mirati. Sono queste le principali modifiche apportate dal ministro Calderoli in seguito ai colloqui con l'Anci, l'associazione dei Comuni italiani. L'ultima modifica, che ha visto cambiare in corsa il testo il 2 sera, nella speranza di ottenere il voto del senatore Mario Baldassarri (Fli), ha cambiato la compartecipazione all'Irpef, prevista originariamente nel testo del governo, in compartecipazione all'Iva da parte dei Comuni. Bocciata invece l'altra modifica proposta da Baldassarri, che prevedeva l'istituzione di un fondo di almeno un miliardo per le famiglie in affitto da inserire nella legge di stabilità.

Chiusa la partita con l'Anci (e vanificatasi la speranza di avere il voto di Fli, compatto con il Terzo Polo), ne rimangono molte altre aperte, e non solo con l'opposizione, ma anche con le associazioni imprenditoriali e i sindacati. In particolare il dibattito degli ultimi giorni si è concentrato sulla cosiddetta 'minipatrimoniale' costituita di fatto dall'introduzione dell'Imu (imposta municipale unica). La bozza del decreto fissa infatti l’aliquota dell'Imu al 7,6 per mille anche

per gli immobili strumentali delle imprese, che finora sono stati tassati con l'Ici, la cui aliquota può variare tra il 4 e il 7 per mille (l'aliquota media sul territorio nazionale è del 6,4 per mille). Pertanto l'aumento medio dell'Imu sull'Ici attuale ammonterebbe al 18,75%. Non solo: secondo l'analisi del Pd e dell'Idv, l'aliquota effettiva dell'Imu non potrà essere inferiore all'8,5 per mille, altrimenti non sarà possibile coprire il taglio dei trasferimenti agli enti locali da parte dello Stato.

Un'altra partita aperta è costituita dalla tassa di soggiorno: i Comuni la vogliono con forza, anzi l'Anci si è battuta per ottenerne l'estensione anche alle località turistiche, mentre nella versione originaria si limitava ai comuni capoluogo di provincia. Ma le associazioni degli albergatori, la Confesercenti, gli operatori turistici sostengono che si tradurrà in un forte deterrente per i turisti, e quindi eroderà non poco i guadagni del settore. Contestata, infine, l'abolizione del bonus affitti per le famiglie, deciso, in apparenza, per crude ragioni politiche: la norma era sostenuta dall'Udc, che però ha annunciato con largo anticipo il suo no alla normativa. E quindi, è rapidamente sparita dalla bozza messa a punto da Calderoli.

L'IMU. L'Imposta municipale unica (Imu) sostituirà a partire dal 2014 alcune imposte locali con un gettito stimato - sulla base di dati 2008-2009 - complessivamente di 11 miliardi e 570 milioni. Per l'Imu si ipotizza un'aliquota attorno al 7,6 per mille, più alta di quella prevista ora per l'Ici (ma non ci sarà più l'Irpef sulla seconda casa). I Comuni avevano obiettato che era assurdo stabilire l'aliquota anno per anno (come previsto dalla prima versione del decreto), perché questo li avrebbe costretti ad aspettare la legge di stabilità per fare il bilancio. L'aliquota, nella nuova versione, viene fissata annualmente allo 0,76%, ma potrà essere modificata con decreto della presidenza del Consiglio su proposta del Tesoro e d'intesa con la Conferenza unificata in base alle analisi che farà la Copaff (Commissione tecnica paritetica per l'attuazione del federalismo fiscale).

Imposta di soggiorno. L'imposta di soggiorno è un'altra delle novità legate al federalismo fiscale: sarà pagata in percentuale sul costo di una notte in albergo, con un tetto di 5 euro (salta invece, rispetto alla versione precedente, il minimo di 0,5 centesimi). Il ministro Calderoli ha accettato la richiesta dell'Anci secondo cui l'imposta, limitata nella prima versione del decreto ai capoluogo di provincia, viene invece estesa a tutti i Comuni "turistici". Gli introiti vanno a manutenzione, fruizione e recupero dei beni culturali e ambientali locali e ai relativi servizi pubblici locali. Sono possibili esenzioni o riduzioni per particolari fattispecie o determinati periodi di tempo.

Cedolare secca. Cambia ancora la cedolare secca sugli affitti, che sostituisce l'imposta sul reddito delle persone fisiche e delle relative addizionali, le imposte di registro e di bollo sul contratto di locazione e quelle di bollo che riguardano la risoluzione e le proroghe del contratto di locazione. Nel testo modificato l'aliquota per il canone concordato è fissata al 19%, quella sul canone libero al 21%. Nella precedente versione le due aliquote erano del 20 e del 23%. La cedolare - ha calcolato la Ragioneria - dovrebbe dare un gettito compreso tra i 3,4 miliardi del primo anno e i 4,2 miliardi del terzo anno, quando sarà a regime. Chi opterà per la cedolare secca, si legge nel nuovo testo del decreto, non potrà "chiedere l'aggiornamento del canone, anche se previsto nel contratto a qualsiasi titolo, inclusa la variazione accertata dall'Istat".

Sblocco delle addizionali dal 2011. Via libera allo sblocco delle addizionali Irpef già da quest'anno: i sindaci l'avevano chiesto con insistenza, vista l'urgenza di far quadrare i bilanci senza aspettare l'entrata a regime della riforma, nel 2014, con una compartecipazione all'Irpef del 2%. I Comuni possano sbloccare le addizionali Irpef arrivando a un tetto massimo dello 0,4%, e purché abbiano un'aliquota inferiore allo 0,4%. In ogni caso, si prevede nel testo, "l'addizionale non può essere istituita o aumentata in misura superiore allo 0,2% annuo". In particolare, i Comuni avranno tempo fino al 31 marzo anche per aumentare l'addizionale retroattivamente, a valere sull'anno 2010. Inoltre, dal 2014 i centri con più di 10mila abitanti potranno introdurre gli scaglioni di reddito sulla loro addizionale.

Compartecipazione all'Iva. E' l'ultima modifica in ordine di tempo introdotta al decreto. Prevede una compartecipazione all'Iva dei Comuni, ancora da determinare in percentuale. Infatti l'aliquota e le modalità di attuazione della compartecipazione verranno fissati con decreto dalla presidenza del Consiglio dei ministri.

Salta bonus affitti per le famiglie. Salta dal testo del decreto il fondo da 400 milioni di euro destinato alla famiglie in affitto con figli a carico. La norma era stata definita "mini quoziente familiare" per venire incontro alle richieste dell'Udc. E' stato probabilmente il 'nò anticipato dal Terzo Polo alla riforma a spingere il ministro Calderoli all'eliminazione della disposizione.

Imposta trasferimento proprietà. Cambierà l'imposta sui trasferimenti di proprietà che passerà dal 4 al 2% per la prima casa e dal 10 all'8% per la seconda.

Clausola d'invarianza. I Comuni chiedono che il gettito dei tributi devoluti sia almeno pari ai trasferimenti soppressi nel 2011 e nel 2012. La verifica spetta alla Copaff.

Tassa di scopo. Con il decreto modificato torna anche la tassa di scopo prevista dalla Finanziaria 2007. Darà ai Comuni la possibilità di finanziarie specifiche opere pubbliche chiedendo il "contributo" dei cittadini.

Tributi soppressi. Scompaiono dal 2014, anno dell'entrata a regime della riforma, diversi tributi regionali. Si tratta di quello relativo all'abilitazione dell'esercizio professionale, imposta sulle concessioni statali dei beni demaniali marittimi, per le concessioni statali per occupazione e uso di beni del patrimonio indisponibile, la tassa per l'occupazione di spazi pubblici regionali, concessioni regionali e addizionale regionale sull'acqua.

(03 febbraio 2011)

 

 

 

 

2011-01-28

LA RIFORMA

Federalismo, cedolare al 21% ed al 19%

Salta il bonus affitti a favore delle famiglie

Dopo l'incontro Calderoli-Anci, il ministro presenta le modifiche al decreto: tassa di soggiorno estesa a tutti i Comuni "turistici", possibile effetto retroattivo per il 2010 delle addizionali Irpef stabilite entro marzo, aliquota dell'Imu (al 7,6 per mille) fissata una volta per tutte

Federalismo, cedolare al 21% ed al 19% Salta il bonus affitti a favore delle famiglie

ROMA - Tassa di soggiorno estesa a tutti i Comuni con vocazione turistica, aliquota dell'Imu fissata già nel decreto e non anno per anno con la legge di stabilità, compartecipazione del 2% dei Comuni all'Irpef dal 2014, ma sblocco immediato delle addizionali fino allo 0,4%, eliminazione del fondo da 400 milioni destinato al sostegno delle famiglie in affitto con redditi bassi e reintroduzione della tassa di scopo per progetti mirati.

Sono queste le modifiche all'ultima versione del decreto sul fisco municipale messa a punto dal ministro Roberto Calderoli dopo il confronto con l'Anci e che approdano oggi Bicamerale per il federalismo. "Ai Comuni abbiamo dato tutto quello che hanno chiesto", ha detto ieri il leader della Lega, Umberto Bossi, ma anche oggi dall'Anci sono state avanzate perplessità, soprattutto in relazione alla questione degli affitti.

"Se la decisione sulle aliquote della cedolare secca dovesse essere definitiva ci troveremmo ancora una volta di fronte a una misura inadeguata in riferimento all'urgenza di predisporre quegli incentivi, più volte richiesti, in favore del canale concordato, quello che consente in molte città ad alta tensione abitativa la possibilità per molte famiglie di pagare un canone sostenibile", ha detto in un nota il delegato Anci per le politiche abitative Claudio Fantoni. Più in generale, il presidente dell'Anci, Sergio Chiamparino, si dichiara soddisfatto per le modifiche apportate al provvedimento: "Se come sembra, larga parte

dei nostri ulteriori emendamenti presentati ieri sono stati accolti, questo non può che essere visto con soddisfazione dall'Anci e ne do atto al governo". Per il sindaco di Roma, Gianni Alemanno, "la nuova proposta sul federalismo del ministro Calderoli si muove sulla strada giusta". Ecco, comunque, le principali modifiche apportate.

L'IMU. L'Imposta municipale unica (Imu) sostituirà a partire dal 2014 alcune imposte locali con un gettito stimato - sulla base di dati 2008-2009 - complessivamente di 11 miliardi e 570 milioni. Per l'Imu si ipotizza un'aliquota attorno al 7,6 per mille, più alta di quella prevista ora per l'Ici (ma non ci sarà più l'Irpef sulla seconda casa). I Comuni avevano obiettato che era assurdo stabilire l'aliquota anno per anno (come previsto dalla prima versione del decreto), perché questo li avrebbe costretti ad aspettare la legge di stabilità per fare il bilancio. L'aliquota, nella nuova versione, viene fissata annualmente allo 0,76%, ma potrà essere modificata con decreto della presidenza del Consiglio su proposta del Tesoro e d'intesa con la Conferenza unificata in base alle analisi che farà la Copaff (Commissione tecnica paritetica per l'attuazione del federalismo fiscale).

Imposta di soggiorno. L'imposta di soggiorno è un'altra delle novità legate al federalismo fiscale: sarà pagata in percentuale sul costo di una notte in albergo, con un tetto di 5 euro (salta invece, rispetto alla versione precedente, il minimo di 0,5 centesimi). Il ministro Calderoli ha accettato la richiesta dell'Anci secondo cui l'imposta, limitata nella prima versione del decreto ai capoluogo di provincia, viene invece estesa a tutti i Comuni "turistici". Gli introiti vanno a manutenzione, fruizione e recupero dei beni culturali e ambientali locali e ai relativi servizi pubblici locali. Sono possibili esenzioni o riduzioni per particolari fattispecie o determinati periodi di tempo. L'imposta è fortemente avversata da albergatori e associazioni 1 del commercio.

Cedolare secca. Cambia ancora la cedolare secca sugli affitti, che sostituisce l'imposta sul reddito delle persone fisiche e delle relative addizionali, le imposte di registro e di bollo sul contratto di locazione e quelle di bollo che riguardano la risoluzione e le proroghe del contratto di locazione. Nel testo modificato l'aliquota per il canone concordato è fissata al 19%, quella sul canone libero al 21%. Nella precedente versione le due aliquote erano del 20 e del 23%. La cedolare - ha calcolato la Ragioneria - dovrebbe dare un gettito compreso tra i 3,4 miliardi del primo anno e i 4,2 miliardi del terzo anno, quando sarà a regime. Chi opterà per la cedolare secca, si legge nel nuovo testo del decreto, non potrà "chiedere l'aggiornamento del canone, anche se previsto nel contratto a qualsiasi titolo, inclusa la variazione accertata dall'Istat".

Sblocco delle addizionali dal 2011. Via libera allo sblocco delle addizionali Irpef già da quest'anno: i sindaci l'avevano chiesto con insistenza, vista l'urgenza di far quadrare i bilanci senza aspettare l'entrata a regime della riforma, nel 2014, con una compartecipazione all'Irpef del 2%. I Comuni possano sbloccare le addizionali Irpef arrivando a un tetto massimo dello 0,4%, e purché abbiano un'aliquota inferiore allo 0,4%. In ogni caso, si prevede nel testo, "l'addizionale non può essere istituita o aumentata in misura superiore allo 0,2% annuo". In particolare, i Comuni avranno tempo fino al 31 marzo anche per aumentare l'addizionale retroattivamente, a valere sull'anno 2010. Inoltre, dal 2014 i centri con più di 10mila abitanti potranno introdurre gli scaglioni di reddito sulla loro addizionale.

Salta bonus affitti per le famiglie. Salta dal testo del decreto il fondo da 400 milioni di euro destinato alla famiglie in affitto con figli a carico. La norma era stata definita "mini quoziente familiare" per venire incontro alle richieste dell'Udc. E' stato probabilmente il 'no' anticipato dal Terzo Polo alla riforma a spingere il ministro Calderoli all'eliminazione della disposizione.

Imposta trasferimento proprietà. Cambierà l'imposta sui trasferimenti di proprietà che passerà dal 4 al 2% per la prima casa e dal 10 all'8% per la seconda.

Clausola d'invarianza. I Comuni chiedono che il gettito dei tributi devoluti sia almeno pari ai trasferimenti soppressi nel 2011 e nel 2012. La verifica spetta alla Copaff.

Tassa di scopo. Con il decreto modificato torna anche la tassa di scopo prevista dalla Finanziaria 2007. Darà ai Comuni la possibilità di finanziarie specifiche opere pubbliche chiedendo il "contributo" dei cittadini.

(rosaria amato)

(27 gennaio 2011)

 

 

 

RIFORME

Federalismo, il no di Pd e Terzo Polo

E La Loggia si appella alle opposizioni

Gli "innesti" di Calderoli non convincono Pd e centristi. Lanzillotta: "Le nostre richieste non sono state accolte". Napoli (Pdl): "Solo critiche strumentali". Il voto previsto per giovedì 3 febbraio

Federalismo, il no di Pd e Terzo Polo E La Loggia si appella alle opposizioni Roberto Calderoli

ROMA - Fa discutere il nuovo testo sul federalismo municipale 1 presentato dal ministro Roberto Calderoli in commissione bicamerale. Gli "innesti" sono numerosi ma, mentre i Comuni sembrano gradire, l'opposizione non nasconde le critiche. "Volendo sintetizzare la nuova bozza sul federalismo si potrebbe dire più tasse per tutti - afferma Linda Lanzillotta di Alleanza per l'Italia -. I punti che avevamo sollevato non sono stati accolti e soprattutto non aumenta l'autonomia e la responsabilità dei comuni. Solo tasse, tasse, tasse". Concorda Gian Luca Galletti dell'Udc: "Se Calderoli voleva chiudere alla possibilità di un accordo con noi, non poteva fare di meglio che cancellare la detrazione per le famiglie in affitto".

Anche il Pd è in trincea: "Siamo al tradimento del federalismo, non c'è nessun aumento dell'autonomia impositiva dei comuni e ci saranno tre imposte in più. Votiamo contro". Il giudizio secco è di Stefano Fassina, responsabile economia del partito, nel corso di una conferenza stampa alla camera per commentare le modifiche al testo. "C'è la tassa di scopo, quella di soggiorno e lo sblocco dell'addizionale Irpef, tre tasse in più". Ai lavoratori autonomi dice: "la vostra Ici raddoppierà". Fassina attacca anche il Tesoro: "Pongo il problema dell'affidabilità della relazione tecnica della Ragioneria generale

dello Stato. C'è una sovrastima dell'emersione dal nero con la cedolare secca, ci sono previsioni di gettito aleatorie e si rischia un buco di finanza pubblica". La relazione tecnica, insomma, "non è credibile".

Ma per il Pdl Il no di Pd e Terzo Polo avrebbe "soltanto un significato politico: è un no strumentale, rispetto al quale si distingue in positivo l'Italia dei Valori ancora incerta sul voto da dare in Commissione". Soddisfatto, invece, il sindaco di Roma: "Pur senza accettare tutte le richieste presentate dall'Anci, la nuova proposta sul federalismo del ministro Calderoli si muove sulla strada giusta e avvia in termini positivi un percorso che deve progressivamente dare l'autonomia finanziaria ai Comuni italiani" dice Gianni Alemanno.

Nonostante lo stop dell'opposizione dal presidente della Bicamerale per l'Attuazione del federalismo fiscale, Enrico La Loggia (Pdl) arriva un invito a "valutare in buona fede e nel merito" le novità, in maniera tale che su un provvedimento "di rilevante importanza" per tutti i cittadini italiani si possa registrare "la più ampia convergenza" delle forze politiche e parlamentari. Il termine per la presentazione degli emendamenti dovrebbe essere fissato alle 16 di domani. Il voto finale, invece, è previsto per giovedì prossimo, 3 febbraio.

(27 gennaio 2011)

 

 

 

2011-01-23

RIFORME

Settimana decisiva per il federalismo

Lunedì Calderoli incontra l'Anci

In attesa del 2 febbraio, data in cui scadrà lo slittamento concesso dal governo, il ministro per la Semplificazione normativa vedrà l'associazione dei comuni. Il Pd: "Caro Bossi, ti stanno portando via la riforma"

Settimana decisiva per il federalismo Lunedì Calderoli incontra l'Anci Bossi e Calderoli

ROMA - Si stringono i tempi per le trattative sullo schema di decreto legislativo per il federalismo municipale. In attesa del 2 febbraio, data in cui scadrà lo slittamento concesso dal governo, lunedì alle 12 il ministro per la Semplificazione normativa, Roberto Calderoli, incontrerà l'Anci. Ci sarà il presidente dell'Associazione nazionale Comuni italiani Sergio Chiamparino, mentre sarà assente il ministro dell'Economia Giulio Tremonti. Sempre lunedì scadranno i termini per la presentazione degli emendamenti alla proposta di parere di maggioranza presentata dal presidente della commissione bicamerale Enrico La Loggia, che è anche relatore del provvedimento.

La scelta di far slittare di una settimana il varo del provvedimento è stata fatta nel consiglio dei ministri, riunitosi ieri mattina. Una scelta legata alle osservazioni critiche dell'Anci 1.

Per l'associazione dei Comuni la disciplina transitoria prevista nel provvedimento "non contiene quelle risposte in materia di autonomia che potevamo consentire di recuperare, anche se parzialmente, i tagli alle risorse prodotti nel 2010". In particolare lo sblocco dell'addizionale Irpef (per il quale il governo ha previsto un decreto ad hoc), il contributo di soggiorno e la devoluzione dell'incremento di gettito dei tributi immobiliari attribuiti ai Comuni.

L'Anci chiede, tra le altre cose, di sbloccare

da subito il potere di modificare o introdurre l'aliquota dell'addizionale comunale all'Irpef, di prevedere che l'incremento di gettito dei tributi devoluti resti nei Comuni in cui è prodotto e la possibilità di applicare immediatamente il contributo di soggiorno a tutti i Comuni e riportarlo ai valori già individuati nella legislazione vigente. Chiede, inoltre, di stabilire modalità che consentano di decidere insieme le aliquote di compartecipazione ai tributi immobiliari, all'Iperf e alla cedolare secca.

Note critiche arrivano anche dal Pd. Per Beppe Fioroni "il federalismo così come è non va bene e non basta. Ha poca sussidarietà, meno in termini di solidarietà, e men che meno in termini di fraternità". Mentre, in una lettera aperta pubblicata questa mattina sul sito di Trecentosessanta (l'associazione che fa capo a Enrico Letta), il senatore Marco Stradiotto e il deputato Francesco Boccia, entrambi componenti della commissione bicamerale per l'attuazione del federalismo fiscale, mandano un messaggio a Bossi: "Ormai è chiaro a tutti che questo questo non è federalismo. È un ibrido che rischia di trasformarsi in un pasticcio che non determinerà né autonomia né equità. Caro Bossi, glielo stanno portando via".

(22 gennaio 2011)

 

 

 

RIFORME

Federalismo, il decreto slitta di 7 giorni

Pd e Terzo Polo: "Non basta, serve più tempo"

Il consiglio dei ministri ha deciso il rinvio della delega al federalismo fiscale da parte della bicameralina. Calderoli: "Ma questa settimana deve essere sfruttata per approfondimento e non per un differimento termini della delega". Il presidente dell'Anci Sergio Chiamparino: "Servono risposte concrete". Le opposizioni chiedono una proroga di sei mesi: Bossi risponde con una pernacchia

Federalismo, il decreto slitta di 7 giorni Pd e Terzo Polo: "Non basta, serve più tempo" Bossi e Calderoli

ROMA - Si fa sempre più tortuosa la strada del federalismo. Il consiglio dei ministri ha deciso il rinvio di una settimana per l'esame e il voto dei pareri sulla delega al federalismo fiscale da parte della 'bicameralina' per il federalismo. Il rinvio di una settimana è stato proposto dal ministro della Semplificazione Roberto Calderoli che spiega: "Vogliamo proseguire il dialogo". Il governo, in questo modo, ha concesso una settimana in più alla commissione per discutere ed approvare il testo, il cui via libera in questo modo slitterà da mercoledì prossimo a quello successivo. "E' andata bene, c'è solo qualche giorno in più per leggere gli emendamenti", sottolinea il ministro delle Riforme, Umberto Bossi. Che però torna a minacciare le urne: "Se ci sono i voti bene, altrimenti si va a votare". Le opposizioni, intanto, non ci stanno. Il Terzo Polo dice che una settimana di tempo non basta affatto, e anzi chiede una proporoga di sei mesi. Analoga posizione dei democratici: "Rinvio di una settimana è una presa in giro". Ma la reazione di Bossi a questa richiesta è l'ennesima pernacchia.

La Lega. "Il governo ha la volontà di spaccare anche il capello se necessario ma chiederemo all'ufficio di presidenza della bicamerale che sia fissato un orario per la seduta del mercoledì successivo in modo che ci sia la certezza dei tempi", spiega Calderoli. Si chiederà anche "il mantenimento dei tempi di

presentazione emendamenti perché questa settimana deve essere sfruttata per approfondimento e non per un differimento termini" della delega.

"Con il ministro Tremonti e con La Loggia abbiamo concordato una serie di risposte positive a dei quesiti posti dall'Anci 1, ritengo che si sia ricomposta la posizione del governo rispetto alla stessa Anci e che c'è una sostanziale condivisione delle richieste" dice ancora Calderoli. Che, riguardo alla proroga di sei mesi per la legge delega che scade il 21 maggio, chiesta dall'opposizione, rimanda la decisione al Parlamento: "E' una valutazione che spetta all'Aula, il governo non può esprimersi su questo".

Schifani favorevole a un rinvio. "Se serve più tempo, ben venga più tempo, purchè su una svolta così importante le forze politiche siano d'accordo. Una larga ed estesa maggioranza è sinonimo di qualità legislativa". Così il presidente del Senato, Renato Schifani, conversando con i giornalisti a Palazzo Giustiniani, dà il suo consenso alla linea di un rinvio sull'approvazione del federalismo se è finalizzato ad una approvazione più ponderata.

L'Anci. Ma la scelta del governo non convince i Comuni. "A noi interessano risposte positive sui temi che abbiamo proposto, se una settimana in più serve per approfondire e dare risposte in quel senso, ben venga. - dice il sindaco di Torino e presidente dell'Anci, Sergio Chiamparino - Comunque anche di fronte alle posizioni che sono emerse in Commissione bicamerale, il rinvio mi sembra saggio, ma non so se sufficiente. Ma questo non sono in grado di valutarlo ora, valuteremo i testi che ci verranno proposti". Esprime una contrarietà più netta il vicepresidente dell'Anci, Roberto Reggi, sindaco di Piacenza: "Se i cambiamenti promessi non consentiranno di recuperare almeno una parte dei due miliardi di euro sottratti ai Comuni, saremo costretti a dire che si è trattato soltanto di un'operazione di facciata".

Le opposizioni. In trincea il Pd e il Terzo Polo di Fini e Casini. "Una proroga di pochi giorni non è adeguata alla complessità dei problemi relativi al federalismo municipale" commenta Linda Lanzillotta. "Presenteremo un emendamento al milleproroghe - ribadisce Mario Baldassarri di Fli - per chiedere una proroga di 5-6 mesi sulla delega". Richiesta che provoca l'ennesima pernacchia di Bossi.

"Avevamo ragione noi. - osserva Davide Zoggia, responsabile enti locali del Pd - Prendiamo atto che c'è stata una decisione sulla proroga ma dobbiamo essere oggettivi e dire la verità: la proposta di rinvio di una settimana è solo una presa in giro. I problemi posti dal Pd sugli ultimi due decreti legislativi di attuazione sul federalismo sono reali e profondi. E' materialmente impossibile procedere alle modifiche da noi avanzate al pari di quelle sostenute dalle altre forze politiche e dai sindaci in pochi giorni. I testi devono essere riscritti prendendo il tempo che sarà necessario e tenendo conto degli importanti rilievi emersi in questi mesi".

I tempi e la procedura. Sullo schema di decreto legislativo per il federalismo municipale il governo ha deciso il rinvio di una settimana, ma si tratta di una concessione politica. La legge delega prevede infatti scadenze precise: se entro il 28 gennaio la Commissione bicamerale per il federalismo non darà il proprio parere, il governo potrà comunque adottare il decreto. Se la Commissione esprimerà un parere, a cui il governo non intenda conformarsi, l'esecutivo potrà ritrasmettere il testo del decreto alle Camere, che avranno ulteriori 30 giorni di tempo per esprimersi. La legge delega scade il 21 maggio 2011, con possibilità di proroga fino al 21 agosto 2011. Dopo il federalismo municipale, la Commissione bicamerale per il federalismo esaminerà lo schema di decreto legislativo su regioni e sanità. Il parere dovrà essere dato entro il 31 marzo. Successivamente verranno esaminati altri 3 schemi di decreti legislativi, attualmente all'esame della Conferenza unificata. I decreti delegati che verranno pubblicati sulla Gazzetta Ufficiale potranno essere corretti e integrati entro due anni dalla loro entrata in vigore.

(21 gennaio 2011)

2011-01-20

FEDERALISMO

Anci: "Il decreto non va bene"

Il Pd annuncia il voto contrario

Il giorno dopo la presentazione del testo definitivo del testo da parte del ministro Roberto Calderoli, il presidente dell'associazione, Sergio Chiamparino parla di eccessive incertezze: "Prolungare il confronto". Duro il giudizio dei democratici: "E' peggiorato"

Anci: "Il decreto non va bene" Il Pd annuncia il voto contrario Il presidente dell'Anci, Sergio Chiamparino

ROMA - Dopo il vertice 1 della notte scorsa a Palazzo Grazioli fra Silvio Berlusconi e la Lega Nord, al termine del quale il leader del Carroccio ha assicurato il sostegno al premier, travolto dallo scandalo Ruby, a patto che venga dato il via libera ai decreti attuativi del federalismo, arriva il 'no' dei Comuni al testo del decreto sulla fiscalità municipale. Troppe le 'incertezze' nel testo del decreto sulla fiscalità municipale che, unite all'incertezza della situazione politica costituiscono una somma tale per cui ''non è possibile siglare con un'intesa politica l'apertura di fiducia'' fatta a giugno al governo, ha detto il presidente dell'Anci, Sergio Chiamparino, all'indomani della presentazione del testo definitivo del decreto da parte del ministro Roberto Calderoli.

Chiamparino chiede, quindi, al governo "di prolungare la fase di interlocuzione ripercorrendo i passaggi istituzionali, per arrivare a un'intesa comune in sede propria. L'Anci non ha responsabilità di governo, quello che offre - ha concluso il presidente dell'Associazione - è un percorso istituzionale; non possiamo fare la stampella né per la crisi né per le elezioni anticipate".

"Così non va". L'Uffico di presidenza dell'Anci ha approvato all'unanimità un documento con il quale vengono evidenziate le criticità del decreto.

In particolare, Chiamparino ha sottolineato che ''la tassa di soggiorno così com'è strutturata non va bene perché sono i piccoli comuni ad averne più bisogno per i servizi. In queste condizioni - ha aggiunto il sindaco di Torino - non ha senso e poi va sottolineato che comunque dal 2011 non c'é''. Negativo è il giudizio dei Comuni sulla compartecipazione alla nuova tassa Imu ''perché non solo ci obbliga a vivere alla giornata creando di fatto una subalternità dei Comuni al governo centrale e poi perché per certi versi rappresenta un restyling dell'Ici''. Chiamparino ha inoltre sollecitato il governo ad una rapida definizione della disciplina della Tarsu-Tia ''salvaguardando il ruolo e le funzioni dei Comuni in tema di gestione dei rifiuti''. Secondo l'Ufficio di presidenza dell'Anci va fatta luce in particolare sul fondo perequativo ''con riferimento alle modalità di finanziamento dello stesso''.

Nessuna bocciatura. Chiamparino ha però spiegato che ''l'Anci non si schiera perché non ci sono le condizioni politiche per dire sì o no e quindi questa non può essere letta né come una bocciatura, né come una promozione. Le incertezze della fase politica sono grandi e se vengono sommate a quelle del testo non ci mettono in condizione di dare un giudizio positivo''. Allo stesso tempo, però, Chiamparino ha detto che se il governo ''vuole andare avanti deve proseguire la fase di interlocuzione e deve convocare una conferenza unificata straordinaria''.

Il Pd rompe gli indugi. A schierarsi è invece il partito di Chiamparino, il Pd, che in vista del voto sul federalismo in Commissione bicamerale ha infine deciso che, se il testo resta così, voterà no al decreto. "La nuova formulazione del decreto è peggiore della precedente, di fatto un tradimento dello spirito del federalismo" è, a quanto si apprende, la valutazione fatta in una riunione, ieri sera, tra il segretario Pier Luigi Bersani, i parlamentari competenti, il presidente della Conferenza delle Regioni Vasco Errani e quello dell'Anci Sergio Chiamparino.

(20 gennaio 2011)

 

 

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GOVERNO

Bossi-Berlusconi, vertice fino a notte

"Avanti, ma serve il federalismo"

Il leader della Lega avverte: "La riforma passa al 100%, chi è che vuole votare?". Ma al premier interessa soprattutto mettere mano alla giustizia

Bossi-Berlusconi, vertice fino a notte "Avanti, ma serve il federalismo"

ROMA - Tiene l'asse tra Silvio Berlusconi e Umberto Bossi, ma il Carroccio pone come condizione per far proseguire la legislatura ed evitare il voto anticipato il via libera ai decreti attuativi del federalismo. "Ieri abbiamo sancito che se non si passa il federalismo, si va al voto. Berlusconi è d'accordo. Ma passa al 100%". Così il leader della Lega Nord, sintetizza l'esito della riunione di ieri notte con il presidente del Consiglio. Da una parte il Cavaliere, insieme al Guardasigilli Angelino Alfano, al sottosegretario Gianni Letta e dall'avvocato-deputato Niccolò Ghedini. Dall'altro il Senatur con i ministri Roberto Calderoli e Roberto Maroni, i presidenti di Veneto e Piemonte Luca Zaia e Roberto Cota, i capigruppo Marco Reguzzoni e Federico Bricolo e Rosy Mauro, vice presidente del Senato. Assente Giulio Tremonti, solitamente presente durante i vertici fra Pdl e Lega.

Nessuno lo conferma ufficialmente, ma fonti parlamentari del Pdl riferiscono che il ministro dell'Economia non era invitato. Prova - secondo le stesse fonti - della 'distanza' fra il premier e il titolare di vie XX settembre.

Nel corso dell'incontro, riferiscono alcuni presenti, Berlusconi ha ripercorso le argomentazioni svolte nell'ultimo video-messaggio ai Promotori della Libertà, compresi i passaggi sul 'caso Ruby', come conferma la presenza di Ghedini. Il premier, oltre a ripercorrere tutte quelle che considera incongruenze dell'inchiesta, ha nuovamente attaccato i magistrati di sinistra, ribadendo che l'unico intento di questa

indagine è quello di eliminarlo.

Sul piano politico, il Cavaliere ha confermato di voler procedere con la riforma della giustizia per porre un freno alla 'magistratura politicizzata'. Ma soprattutto ha rassicurato gli alleati sui numeri in Parlamento, citando come prova i venti deputati di vantaggio registrati sul voto sulla relazione sullo stato della giustizia. Ma Bossi ha chiesto garanzie sul federalismo, ribadendo la "necessità assoluta che i decreti attuativi passino. Berlusconi si è detto sicuro che i numeri ci saranno, nonostante il caso Ruby abbia spinto il Terzo Polo a riconsiderare l'ipotesi del voto anticipato. Cosa che ha reso più complessa la mediazione avviata da Calderoli per ottenere il sì di finiani e centristi al federalismo.

Il premier, però, ha chiesto garanzie a Bossi sul dopo federalismo. Ottenendole. Tanto che, se passasse la riforma cara al Carroccio, Pdl e Lega intendono aprire una fase costituente - come ha spiegato Calderoli - con 6 o 7 importanti riforme "condivise" che saranno annunciate dal presidente del Consiglio, previa discussione con i vertici della Lega e nell'Ufficio di presidenza del Pdl. E fra queste, ovviamente, la riforma della giustizia tanto cara al premier, nonostante più di un leghista sia scettico sulla possibilità di approvarla senza il consenso delle opposizioni.

"Chi è che vuole andare a votare?", si è chiesto oggi Bossi. Il leader del Carroccio ha elogiato quindi il presidente della Repubblica: "C'è anche il capo dello stato che dice cose dui buonsenso. E' un uomo di grande buonsenso". Per Bossi dunque adesso "aspettiamo la commissione" che esamina il federalismo, "non possiamo stare qui a fare niente". E dopo, come detto ieri da Calderoli, "ci può essere una stagione di riforme e di rilancio dell'economia". Alla domanda se tra le riforme ci possa essere anche quella della giustizia, Bossi ha replicato: "Non parliamo di singole cose".

(20 gennaio 2011)

 

 

GOVERNO

Bossi-Berlusconi, vertice fino a notte

"Avanti, ma serve il federalismo"

Il leader della Lega avverte: "La riforma passa al 100%, chi è che vuole votare?". Ma al premier interessa soprattutto mettere mano alla giustizia

Bossi-Berlusconi, vertice fino a notte "Avanti, ma serve il federalismo"

ROMA - Tiene l'asse tra Silvio Berlusconi e Umberto Bossi, ma il Carroccio pone come condizione per far proseguire la legislatura ed evitare il voto anticipato il via libera ai decreti attuativi del federalismo. "Ieri abbiamo sancito che se non si passa il federalismo, si va al voto. Berlusconi è d'accordo. Ma passa al 100%". Così il leader della Lega Nord, sintetizza l'esito della riunione di ieri notte con il presidente del Consiglio. Da una parte il Cavaliere, insieme al Guardasigilli Angelino Alfano, al sottosegretario Gianni Letta e dall'avvocato-deputato Niccolò Ghedini. Dall'altro il Senatur con i ministri Roberto Calderoli e Roberto Maroni, i presidenti di Veneto e Piemonte Luca Zaia e Roberto Cota, i capigruppo Marco Reguzzoni e Federico Bricolo e Rosy Mauro, vice presidente del Senato. Assente Giulio Tremonti, solitamente presente durante i vertici fra Pdl e Lega.

Nessuno lo conferma ufficialmente, ma fonti parlamentari del Pdl riferiscono che il ministro dell'Economia non era invitato. Prova - secondo le stesse fonti - della 'distanza' fra il premier e il titolare di vie XX settembre.

Nel corso dell'incontro, riferiscono alcuni presenti, Berlusconi ha ripercorso le argomentazioni svolte nell'ultimo video-messaggio ai Promotori della Libertà, compresi i passaggi sul 'caso Ruby', come conferma la presenza di Ghedini. Il premier, oltre a ripercorrere tutte quelle che considera incongruenze dell'inchiesta, ha nuovamente attaccato i magistrati di sinistra, ribadendo che l'unico intento di questa

indagine è quello di eliminarlo.

Sul piano politico, il Cavaliere ha confermato di voler procedere con la riforma della giustizia per porre un freno alla 'magistratura politicizzata'. Ma soprattutto ha rassicurato gli alleati sui numeri in Parlamento, citando come prova i venti deputati di vantaggio registrati sul voto sulla relazione sullo stato della giustizia. Ma Bossi ha chiesto garanzie sul federalismo, ribadendo la "necessità assoluta che i decreti attuativi passino. Berlusconi si è detto sicuro che i numeri ci saranno, nonostante il caso Ruby abbia spinto il Terzo Polo a riconsiderare l'ipotesi del voto anticipato. Cosa che ha reso più complessa la mediazione avviata da Calderoli per ottenere il sì di finiani e centristi al federalismo.

Il premier, però, ha chiesto garanzie a Bossi sul dopo federalismo. Ottenendole. Tanto che, se passasse la riforma cara al Carroccio, Pdl e Lega intendono aprire una fase costituente - come ha spiegato Calderoli - con 6 o 7 importanti riforme "condivise" che saranno annunciate dal presidente del Consiglio, previa discussione con i vertici della Lega e nell'Ufficio di presidenza del Pdl. E fra queste, ovviamente, la riforma della giustizia tanto cara al premier, nonostante più di un leghista sia scettico sulla possibilità di approvarla senza il consenso delle opposizioni.

"Chi è che vuole andare a votare?", si è chiesto oggi Bossi. Il leader del Carroccio ha elogiato quindi il presidente della Repubblica: "C'è anche il capo dello stato che dice cose dui buonsenso. E' un uomo di grande buonsenso". Per Bossi dunque adesso "aspettiamo la commissione" che esamina il federalismo, "non possiamo stare qui a fare niente". E dopo, come detto ieri da Calderoli, "ci può essere una stagione di riforme e di rilancio dell'economia". Alla domanda se tra le riforme ci possa essere anche quella della giustizia, Bossi ha replicato: "Non parliamo di singole cose".

(20 gennaio 2011)

 

FEDERALISMO

Anci: "Il decreto non va bene"

Il Pd annuncia il voto contrario

Il giorno dopo la presentazione del testo definitivo del testo da parte del ministro Roberto Calderoli, il presidente dell'associazione, Sergio Chiamparino parla di eccessive incertezze: "Prolungare il confronto". Duro il giudizio dei democratici: "E' peggiorato"

Anci: "Il decreto non va bene" Il Pd annuncia il voto contrario Il presidente dell'Anci, Sergio Chiamparino

ROMA - Dopo il vertice 1 della notte scorsa a Palazzo Grazioli fra Silvio Berlusconi e la Lega Nord, al termine del quale il leader del Carroccio ha assicurato il sostegno al premier, travolto dallo scandalo Ruby, a patto che venga dato il via libera ai decreti attuativi del federalismo, arriva il 'no' dei Comuni al testo del decreto sulla fiscalità municipale. Troppe le 'incertezze' nel testo del decreto sulla fiscalità municipale che, unite all'incertezza della situazione politica costituiscono una somma tale per cui ''non è possibile siglare con un'intesa politica l'apertura di fiducia'' fatta a giugno al governo, ha detto il presidente dell'Anci, Sergio Chiamparino, all'indomani della presentazione del testo definitivo del decreto da parte del ministro Roberto Calderoli.

Chiamparino chiede, quindi, al governo "di prolungare la fase di interlocuzione ripercorrendo i passaggi istituzionali, per arrivare a un'intesa comune in sede propria. L'Anci non ha responsabilità di governo, quello che offre - ha concluso il presidente dell'Associazione - è un percorso istituzionale; non possiamo fare la stampella né per la crisi né per le elezioni anticipate".

"Così non va". L'Uffico di presidenza dell'Anci ha approvato all'unanimità un documento con il quale vengono evidenziate le criticità del decreto.

In particolare, Chiamparino ha sottolineato che ''la tassa di soggiorno così com'è strutturata non va bene perché sono i piccoli comuni ad averne più bisogno per i servizi. In queste condizioni - ha aggiunto il sindaco di Torino - non ha senso e poi va sottolineato che comunque dal 2011 non c'é''. Negativo è il giudizio dei Comuni sulla compartecipazione alla nuova tassa Imu ''perché non solo ci obbliga a vivere alla giornata creando di fatto una subalternità dei Comuni al governo centrale e poi perché per certi versi rappresenta un restyling dell'Ici''. Chiamparino ha inoltre sollecitato il governo ad una rapida definizione della disciplina della Tarsu-Tia ''salvaguardando il ruolo e le funzioni dei Comuni in tema di gestione dei rifiuti''. Secondo l'Ufficio di presidenza dell'Anci va fatta luce in particolare sul fondo perequativo ''con riferimento alle modalità di finanziamento dello stesso''.

Nessuna bocciatura. Chiamparino ha però spiegato che ''l'Anci non si schiera perché non ci sono le condizioni politiche per dire sì o no e quindi questa non può essere letta né come una bocciatura, né come una promozione. Le incertezze della fase politica sono grandi e se vengono sommate a quelle del testo non ci mettono in condizione di dare un giudizio positivo''. Allo stesso tempo, però, Chiamparino ha detto che se il governo ''vuole andare avanti deve proseguire la fase di interlocuzione e deve convocare una conferenza unificata straordinaria''.

Il Pd rompe gli indugi. A schierarsi è invece il partito di Chiamparino, il Pd, che in vista del voto sul federalismo in Commissione bicamerale ha infine deciso che, se il testo resta così, voterà no al decreto. "La nuova formulazione del decreto è peggiore della precedente, di fatto un tradimento dello spirito del federalismo" è, a quanto si apprende, la valutazione fatta in una riunione, ieri sera, tra il segretario Pier Luigi Bersani, i parlamentari competenti, il presidente della Conferenza delle Regioni Vasco Errani e quello dell'Anci Sergio Chiamparino.

(20 gennaio 2011)

 

 

 

 

2010-12-27

L'INTERVISTA

"Fini e Pd dicano sì al federalismo

e la Lega aprirà sulla legge elettorale"

Calderoli: pronto a farmi portavoce con il premier. I centristi? Se il loro no è confermato anche stavolta, non c'è la minima possibilità di avviare con loro un dialogo. Ma l'offerta riguarda anche Casini ministro di RODOLFO SALA

"Fini e Pd dicano sì al federalismo e la Lega aprirà sulla legge elettorale" Roberto Calderoli

MILANO - È l'ultima offerta della Lega ai finiani e, soprattutto, al Pd. Fate passare nelle commissioni parlamentari, dove la maggioranza è più a rischio, gli ultimi due decreti sul federalismo, e si potrà cambiare la legge elettorale. Un'offerta che porta la firma di Roberto Calderoli.

Ministro, ci stiamo avvicinando alla linea rossa di gennaio che cosa deve succedere per convincervi a non staccare la spina?

"C'è un passaggio cruciale. Nella settimana tra il 17 e il 23 arriveranno alle commissioni Bilancio e alla Bicamerale il quarto e il quinto decreto, federalismo municipale e autonomia impositiva. Se non passano, sarà guerra. Ma io vedo un'alternativa".

Quale?

"Anche a quelli che non sostengono il governo conviene votare il federalismo, perché a quel punto, dopo aver fatto 30 potremmo fare 31".

Si spieghi.

"A federalismo approvato, sarà più facile affrontare insieme, maggioranza e opposizione, la madre di tutte le riforme: quella costituzionale. E parlare anche di una nuova legge elettorale, visto che dovremmo introdurre il Senato federale. Se ci riuscissimo, la legislatura potrà durare fino al 2013".

A chi è rivolta questa offerta?

"Io parlo soprattutto a Fini e al Pd. Sono loro i primi a non volere il voto anticipato, perché prenderebbero una batosta e perché vedono come il fumo begli occhi l'attuale

legge elettorale".

Voi dite sì agli ultimi decreti sul federalismo e quella legge la cambiano: è questo lo scambio?

"La cambiamo, ma il motivo non può essere solo la paura di chi sa di perdere. Allarghiamo il discorso. Qualcuno di importante del Pd con me si è già fatto avanti. La richiesta è di fare insieme la grande riforma istituzionale".

La sua risposta?

"Al dialogo sono abituato, e qualche frutto lo abbiamo già raccolto con la legge delega sul federalismo".

Il Pd si è astenuto, l'Idv ha votato a favore, l'Udc contro...

"Ecco, appunto. Se i centristi confermano quel no anche nelle commissioni, non c'è la minima possibilità di avviare con loro un dialogo su temi più generali. Comunque l'offerta riguarda anche Casini, vedremo".

Ministro, voi leghisti reclamate almeno da luglio le elezioni anticipate, e adesso lei propone l'avvio di una trattativa in extremis che agli occhi della vostra gente potrebbe sembrare accanimento terapeutico...

"Da un po' di tempo questo è il mio ruolo. Nella Bicamerale per le riforme mi è toccato sempre fare un grande lavoro di confronto, di ricucitura, di sintesi. Qualcuno nella maggioranza mi criticava quando dialogavo per portare a casa la legge delega sul federalismo... Diciamo che oggi mi viene più facile, quesi naturale, affrontare le cose in modo diverso dal muro contro muro".

Il mediatore Calderoli...

"Senta, noi non siamo al governo tanto per starci, ma per raggiungere i risultati. Certo, il mio tentativo da una parte è difficile, perché gli interlocutori sono aumentati (basti considerare le troppe anime del Pd); ma dall'altra anche più facile. Perché la stragrande maggioranza delle forze politiche non vuole andare al voto".

Ma dal vostro punto di vista ha senso tenere il Nord così a lungo a bagnomaria?

"Il Nord ha dimostrato di avere una grande pazienza. Stiamo parlando di un mese, e in ogni caso ricordo che in tutto questo tempo non siamo mai stati con le mani in mano. Il gioco vale la candela, mi creda".

E cioè?

"Se il Pd è disposto a dialogare sulla grande riforma costituzionale e a votarla in modo che possa essere approvata senza il referendum, sarà un'occasione storica. Naturalmente non verrebbero confusi i ruoli della maggioranza e dell'opposizione: per dire, il Pd continuerebbe a dire no alla riforma della giustizia voluta dal governo. Insomma, se arrivasse una risposta positiva mi farò portavoce di questa trattativa con Berlusconi e Bossi".

Sicuro che saranno d'accordo?

"Al di là di quel che dicono, questa occasione io l'acchiappo al volo: è l'unico modo per rafforzare il bipolarismo".

(27 dicembre 2010)

 

 

2010-12-26

LA RICERCA

Federalismo, con la riforma fiscale

comuni del Sud a rischio stangata

Studio del Pd mette a confronto i trasferimenti relativi al 2010 e il totale del gettito dalle imposte devolute in base al decreto attuativo sulle imposte comunali. L'Aquila, Napoli e Palermo i municipi più penalizzati. A guadagnarci sarebbero Olbia, Bologna e Milano

Federalismo, con la riforma fiscale comuni del Sud a rischio stangata La fontana delle 99 cannelle a L'Aquila

ROMA - Comuni a rischio stangata con il nuovo fisco previsto nel federalismo fiscale. Secondo uno studio del Pd, messo a punto dal senatore Marco Stradiotto, infatti, i municipi, con il passaggio dai trasferimenti statali all'autonomia delle imposte perderebbero complessivamente 445 milioni di risorse l'anno da destinare ai servizi. La proiezione è fatta utilizzando dati della Copaff, la commissione paritetica sul federalismo fiscale che lavora al ministero del Tesoro.

Il dato emerge mettendo a confronto i trasferimenti relativi al 2010 e il totale del gettito dalle imposte devolute in base al decreto attuativo sul fisco comunale (tassa di registro e tasse ipotecarie, l'Irpef sul reddito da fabbricati e il presunto introito che dovrebbe venire dalla cedolare secca sugli affitti). Cifre che dimostrano come L'Aquila, ma anche Napoli e diversi altri comuni del sud perderebbero consistenti fette di entrate (fino a oltre il 60%) con il nuovo fisco. Va meglio, invece ai municipi del nord o a quelli come Olbia con un alto tasso di seconde case avvantaggiati dalla base immobiliare delle nuove imposte.

Nel dettaglio la ricerca evidenzia come il bilancio della nuova fiscalità sarebbe positivo per 52 comuni capoluogo di provincia su 92, ma il salasso, per quelli che ci perdono è fino al 60%. Tra i capoluoghi di regione, confrontando le entrate con la futura imposta municipale unica prevista dal federalismo fiscale con i trasferimenti del 2010, la differenza in milioni di euro

in percentuale sarebbe ad esempio di un -10% per Roma, di un -9% per Torino, di un -12% per Bari. Ma, come detto, andrebbe ancora peggio a L'Aquila (-66%), Napoli (-61%), Potenza (-56%), Palermo (-55%), Catanzaro (-46%) e Genova (-22%). Nella lista di chi ci guadagna ci sono invece Bologna (+40%), Milano (+34%), Firenze (+33%) e Venezia (+26%).

Il record dei vantaggi spetterebbe però a Olbia che tra tasse di registro e ipotecarie, Irpef sul reddito da fabbricati e cedolare secca sugli affitti raggiungerebbe 25.212.732 di euro di entrate a fronte di trasferimenti che nel 2010 sono stati 8.988.534 con un saldo di +180%.

(26 dicembre 2010

 

 

2010-12-17

RIFORME

Federalismo fiscale e costi sanità

trovata l'intesa tra governo e Regioni

Non sono previsti tagli al pesonale precario del Ssn. Il via libera dalla riunione della Conferenza unificata. Esulta il leghista Cota: "Un fatto epocale". Ma Errani frena: "Solo un passo avanti per correggere una manovra insostenbile"

Federalismo fiscale e costi sanità trovata l'intesa tra governo e Regioni Il presidente della Regione Piemonte Roberto Cota

ROMA - Raggiunta l'intesa tra Regioni e governo sul decreto attuativo al federalismo fiscale che riguarda il fisco regionale e i costi standard in sanità. Le Regioni, dopo un lungo contenzioso con l'esecutivo che riguarda anche i tagli contenuti in manovra, hanno dato l'ok in sede di Conferenza unificata.

"L'intesa appena raggiunta è un fatto epocale, sono molto soddisfatto", ha commentato il governatore del Piemonte, Roberto Cota. "E' molto positivo - ha proseguito - il fatto che tutte le Regioni abbiano dato parere favorevole. Questo federalismo cambia fondamentalmente le cose, le Regioni conquistano la propria autonomia, fondamentale per gestire le proprie politiche. Cessa così il ricorso alla finanza derivata".

Molto più cauto il giudizio di Vasco Errani, governatore dell'Emilia Romagna e presidente della Conferenza delle Regioni. "In un quadro di insostenibilità della manovra c'è un passo avanti". "Siamo solo all'inizio del percorso - ha puntualizzato - abbiamo evitato una situazione gravissima per il trasporto pubblico locale grazie alla responsabilità delle Regioni: rimane una situazione difficile da verificare in relazione a un federalismo che deve essere sostenibile per tutto il paese". "C'è stato un passo in avanti rispetto ai due punti da noi posti: trasporto pubblico locale e i tagli della manovra", ha aggiunto. "Le Regioni - ha precisato ancora - hanno ottenuto, rispetto al trasporto pubblico locale, che le risorse

liberate dal patto di stabilità siano spendibili per il 2011 mentre dal 2012 il governo si è impegnato a fiscalizzare il trasporto. Allo stesso modo il governo si è impegnato, dal 2012, a rivedere i 4 miliardi e mezzo di tagli che erano stati previsti dalla manovra di luglio".

Quanto alla Sanità, Errani ha chiarito che nell'accordo raggiunto "è stato anche chiarito" che il taglio del 50% della spesa per i precari della pubblica amministrazione previsto dalla manovra economica estiva "non riguarda il Servizio Sanitario nazionale". Infine, per la copertura della spesa per i ticket sanitari, il presidente delle Regioni ha ricordato che "spetta al governo trovare le risorse, altrimenti sarà il governo stesso a dover introdurre i ticket"; un tema, dunque, questo, che "rimane ancora aperto".

Più positivo il parere della presidente della Regione Lazio Renata Polverini: "Con oggi abbiamo ottenuto quello che abbiamo sempre chiesto: il collegamento tra la manovra e il federalismo fiscale e la garanzia delle risorse per il trasporto pubblico locale". "Dopo mesi di trattative - ha rincarato il governatore della Lombardia Roberto Formigoni - abbiamo finalmente superato il grave empasse che si era aperto fin dal mese di giugno tra lo Stato e le Regioni, causato dalla manovra finanziaria nazionale. Abbiamo fatto bene a tenere duro a non deflettere mai dalla difesa delle nostre ragioni e anche dalla volontà di dialogo e di raggiungere un accordo con il governo".

Passi avanti, ma ancora molta strada da fare invece per il raggiungimento di un accordo con i comuni. Il lavoro fatto finora dai tavoli tecnici è apprezzabile, hachiarito il presidene dell'Anci Sergio Chiamparino, "ma siamo ancora in attesa di risposte dal ministro dell'Economia Giulio Tremonti". I problemi in agenda su cui i comuni italiani aspettano una risposta, ha spiegato il sindaco di Torino "sono ben noti: una revisione per il calo del debito, che a nostro giudizio dovrebbe avere un decalage meno brusco dal 15 all'8%, avendo fasi intermedie al 12 e al 10%; il complesso della spesa corrente e il decreto sull'Imu, sul quale chiediamo il riconoscimento dei margini dell'uso dell'addizionale Irpef". Inoltre, ha aggiunto, "vogliamo capire bene cosa succede nell'ambito delle Regioni per focalizzare il tema dei trasferimenti ai Comuni. Comunque - ha concluso - ho parlato con Tremonti e mi ha assicurato un incontro a breve, anche se molte delle nostre questioni sono legate al decreto Milleproroghe".

(16 dicembre 2010)

 

2010-12-11

INCHIESTA

Analisi e radiografie, le tariffe pazze

del federalismo sanitario

Indagine di Altroconsumo. Prezzi triplicati da una regione all'altra. Non sempre in quelle del Nord i prezzi più bassi

di LUISA GRION

Analisi e radiografie, le tariffe pazze del federalismo sanitario

ROMA - La sanità in Italia non è uguale per tutti: cambia l'offerta di servizi, ma soprattutto cambia il costo che il cittadino è chiamato a pagare per avere accesso alle prestazioni di base. Una giungla di tariffe che trova il suo culmine proprio nell'analisi più comune: quella del sangue, dove la variazione fra una regione e l'altra può superare il mille per cento. Fare un prelievo in una struttura pubblica o convenzionata del Lazio costa solo 52 centesimi, ma la stessa analisi eseguita in un laboratorio delle Marche viene pagata dal paziente 6 euro e 20 centesimi. Poco meglio va per i controlli dal ginecologo: le donne umbre, se la cavano con 16 euro a visita, ma le loro amiche piemontesi - per la stessa prestazione - sono chiamate a sborsarne più di 30 (l'aumento è del 82 per cento). E la radiografia del polso? In Veneto ve la fanno per 28 euro, ma se siete disposti a fare qualche chilometro e a varcare il confine con l'Emilia Romagna pagherete la metà. La confusione è totale: da un capo all'altro del territorio nazionale variano le tariffe, le esenzioni ammesse, le norme che regolano l'intricata galassia delle ricette, perfino i ticket da versare per accedere ad esami, visite, terapie. La maggior parte delle regioni chiede 36,15 euro, ma si arriva ai 45 della Calabria e ai 46,15 della Sardegna.

A compiere questo lungo viaggio nell'Italia delle mille differenze è un'indagine di Altroconsumo ("Il prezzo della salute") che passando al setaccio i tariffari 2009 delle

varie regioni ha scoperto come in Italia i pazienti non siano tutti uguali: al di là delle differenze qualitative dei servizi offerti, vi sono anche notevoli varietà nelle tariffe che sono chiamati a versare.

Oggetto dell'indagine sono state le 31 prestazioni ambulatoriali più richieste divise fra visite specialistiche, esami di laboratorio e diagnostici. Il risultato si presta a paragoni sconcertanti: i principali esami di laboratorio in Puglia costano in media il 56 per cento in più rispetto all'Emilia Romagna, le visite specialistiche in Piemonte sono più care dell'82 per cento rispetto all'Umbria. E non è detto che nelle classifiche dei prezzi, il Sud sia sempre maglia nera: in realtà, riguardo agli esami di laboratorio la palma della regione più esosa va alle Marche, che però diventa la più virtuosa quanto a visite ed esami diagnostici. Campi in cui le tariffe più alte si registrano invece in Piemonte, Friuli e Veneto.

A cosa è dovuta questa rete di diseguaglianze? Al federalismo sanitario che - per le prestazioni elencate nel cosiddetto "nomenclatore tariffario" - attribuisce alle singole regioni la possibilità di fissare i livelli di prezzo (spesso negoziati con i laboratori privati convenzionati) cui le strutture devono attenersi. Per ciascuna analisi prevista da quell'elenco il Servizio sanitario nazionale versa una "tariffa massima", sforare quella quota vuol dire far pesare il maggior costo sui bilanci pubblici e quindi sui cittadini. Non solo: dal 2002, grazie ai Lea (i livelli di assistenza minima) le prestazioni riconosciute dal Servizio sanitario sono diminuite. Ma le regioni che vogliono farlo possono aumentare i servizi offerti coprendo i maggiori costi con risorse proprie. Ciò ha fatto sì che la rosa delle tariffe applicate si sia ulteriormente ampliata.

Ora, denuncia Altroconsumo "dal federalismo sanitario è naturale aspettarsi differenze, ma è francamente difficile spiegare tariffe così distanti". Il ministero della Salute "dovrebbe monitorarne l'andamento, appurare le cause delle anomalie, intervenire" e "in nome del diritto alla trasparenza, informare i cittadini".

(11 dicembre 2010)

 

 

2010-11-30

RIFORME

Federalismo, sanzioni a sindaci e governatori

Per chi va in "rosso" rimozioni e ineleggibilità

Anticipato il testo della bozza del decreto attuativo del federalismo fiscale

Previsto il divieto di rielezione per 10 anni e incentivi nella lotta all'evasione.Critiche dall'Anci

Federalismo, sanzioni a sindaci e governatori Per chi va in "rosso" rimozioni e ineleggibilità Il ministro della Semplificazione Roberto Calderoli

ROMA - Rimozione per i governatori che mandano "in rosso" i conti della loro regione e ineleggibilità per 10 anni dei sindaci e dei presidenti di provincia che mandano in dissesto l'ente da loro amministrato. Sono questi due dei punti salienti della bozza del decreto attuativo del federalismo fiscale sui premi e le sanzioni agli enti locali approvata oggi in via preliminare dal Consiglio dei ministri. Misure contestate tantio dall'Anci che dalla Conferenza delle Regioni. Secondo l'Associazione dei comuni "Il varo dello schema altro non è se non una ulteriore dimostrazione di un federalismo proclamato che si trasforma in un centralismo praticato" mentre il presidente della Conferenza Vasco Errani parla di "un atto unilaterale contrario al federalismo".

Il testo, anticipato dall'agenzia Ansa, per il governatore che fa sballare i conti della propria Regione prevede anche il taglio del 30% del rimborso delle spese elettorali della lista che lo ha sostenuto. Il passaggio sull'ineleggibilità è fissato dall'articolo 6 (fallimento politico del presidente di provincia e del sindaco) e stabilisce in particolare la sanzione per gli amministratori che la Corte dei Conti ha riconosciuto responsabili, anche in primo grado, di danni da loro prodotti con dolo o colpa grave nei cinque anni dopo i quali c'è stata la deliberazione del dissesto dell'ente locale. Essi, si legge ancora nel testo "non sono eleggibili, per un periodo di dieci anni, alle cariche di sindaco, di presidente di Provincia,

di presidente di Giunta regionale, nonché di membro dei consigli comunali, dei consigli provinciali, delle assemblee e dei consigli regionali, del Parlamento, e del Parlamento europeo.

La bozza introduce anche un "inventario di fine legislatura" per le Regioni che nella legislatura in corso alla data di entrata in vigore del decreto o in una successiva sono assoggettate a un piano di rientro della spesa sanitaria. Questo rendiconto di fine mandato deve contenere una descrizione dettagliata delle principali attività normative e amministrative svolte durante la legislatura. Tra l'altro, in particolare, le "azioni intraprese per contenere la spesa sanitaria e stato del percorso di convergenza ai costi standard; situazione economica e finanziaria del settore sanitario, quantificazione certificata della misura del relativo indebitamento regionale; stato certificato del bilancio regionale per la parte relativa alla spesa sanitaria".

Il provvedimento introduce inoltre incentivi per favorire l'impegno degli enti locali nella lotta all'evasione fiscale. "Per potenziare l'azione di contrasto - si legge nelle anticipazioni dell'Ansa - la partecipazione delle regioni e delle province all'accertamento fiscale è incentivata mediante il riconoscimento di una quota pari al 50 per cento delle maggiori somme relative a tributi statali riscosse a titolo definitivo, a seguito dell'intervento della Regione o della provincia che abbia contribuito all'accertamento stesso". Per quanto riguarda i Comuni è già previsto nel decreto sul fisco municipale che una quota delle maggiori entrate da lotta all'evasione fiscale vadano ai municipi che contribuiscono.

Un insieme di misure contestate dall'Anci. "Abbiamo sempre richiesto e sostenuto la necessità di incentivi per gli enti virtuosi e di penalizzazioni per quelli che non rispettano le regole- afferma il presidente dell'Associazione dei Comuni Italiani Sergio Chiamparino - Ma questa deve essere una regola valida per tutti". "Assistiamo invece - continua - ad atti dello Stato centrale che giudicano e penalizzano le realtà locali, autoassolvendo nel contempo le inadempienze dei Ministeri". "Per i Comuni - sostiene ancora Chiamparino - già oggi esistono norme che individuano costi standard per le prestazioni (cosa che non esiste per i ministeri) ed a breve gli enti locali saranno chiamati a rispondere del loro mancato rispetto, mentre i ministeri potranno continuare indisturbati a sperperare risorse pubbliche".

Parla infine di "pasticcio elettorale" anche Francesco Boccia, coordinatore delle Commissioni Economiche del Gruppo del Pd alla Camera. "Se il federalismo esalta le autonomie - afferma - la reazione di Comuni e Regioni dimostra che il decreto approvato oggi va in direzione completamente opposta. Il Consiglio dei ministri è riuscito nell'unico obiettivo di mettersi contro tutti, varando un provvedimento unilaterale che va completamente riscritto: è solo un gran pasticcio da campagna elettorale".

(30 novembre 2010)

 

 

2010-07-01

FEDERALISMO

Approvata la relazione di Tremonti

Bossi: "Bene, ora quello municipale"

Via libera del Consiglio dei ministri al documento sull'impatto del federalismo fiscale. Bossi: "Un passo importante". Il Pd: "Mancano i numeri, e questo dimostra il bluff"

Approvata la relazione di Tremonti Bossi: "Bene, ora quello municipale" Giulio Tremonti

e Umberto Bossi

ROMA - Il Consiglio dei ministri ha approvato la relazione del Tesoro sull'impatto del federalismo fiscale. Soddisfatto il ministro delle Riforme Umberto Bossi, che ha subito parlato di un "passo importante" aggiungendo che adesso si apre la fase del federalismo municipale che porterà i Comuni ad avere tributi propri per finanziare i servizi. Bossi ha presieduto la riunione dei ministri alla quale il premier Silvio Berlusconi non ha partecipato perché impegnato in una missione internazionale. Una riforma, dice il Tremonti, che "non costerà", darà più diritti ai cittadini su tutto il territorio e produrrà risparmi perché "il federalismo costa se non si fa". Il ministro non si sbilancia tuttavia sull'impatto proprio sui rispami, ipotizzato nei giorni scorsi e mai smentito, di 10 miliardi: qui, spiega, si è messo in campo "un metodo", mentre le cifre dei risparmi ci saranno "tra luglio e settembre". Intanto la portata dell'intervento sui Comuni sarà di 15 miliardi che, spiega Tremonti, verranno tagliati come trasferimenti ma "diventeranno 15 miliardi di titoli di finanziamento proprio".

L'opposizione va all'attacco. Mancano i numeri, dice il Pd che alla fine sottolinea come questo dimostri il bluff. "L'entusiasmo di Bossi - dice il deputato Pd Francesco Boccia - è pittoresco ma è l'unica cosa uscita dal consiglio dei Ministri. Oltre all'euforia leghista, a questo punto, peraltro, del tutto ingiustificata, non c'è proprio nulla, tantomeno quel fondo unico per il federalismo sbandierato come un tesoretto". Il riferimento è anche all'audizione della Copaff nella bicamerale per il federalismo fiscale che per il Pd dimostra che "pagheranno tutto le regioni" e ci saranno "nuove tasse".

Dopo la trasmissione della relazione del Tesoro alle Camere, comunque, la strada è spianata per i prossimi decreti attuativi sui quali il ministro della Semplificazione Roberto Calderoli sta lavorando da tempo. E, come spiegato sia da Bossi che da Tremonti, il primo passo sarà il federalismo comunale, che dovrebbe portare a una tassa unica municipale su base territoriale e immobiliare sulla quale decideranno comunque le autonomie anche dopo un referendum, come si spiega nella relazione, che fa riferimento a un ok "previa verifica di un consenso popolare". Insieme a quella che Calderoli ha già definito una service tax comunale che, spiega, non riguarderà la prima casa, arriverà anche la cedolare secca sugli affitti ai Comuni. Questa, dice Tremonti, "è nel nostro programma e questo è il posto giusto per farla".

Insieme al federalismo municipale arriverà anche il decreto sui costi e fabbisogni standard. Nella relazione del Tesoro si conferma che i livelli e i costi dei servizi verranno fatti coinvolgendo la Sose, la Società per gli studi di settore e, secondo il ministro del Tesoro sarà proprio da qui che arriveranno i risparmi. "E' fondamentale - ha sottolineato il ministro - passare dai costi storici ai costi standard e questo verrà fatto senza penalizzare nessuno perchè gli standard verranno definiti in base alle pratiche migliori delle regioni". A luglio, assicura Tremonti, arriveranno poi i numeri sulla "fiscalità propria delle regioni".

(30 giugno 2010)

 

2010-06-27

FEDERALISMO

Dalle Dolomiti alle isole sarde, a Porta Portese

l'elenco dei beni trasferibili agli enti locali

Nella lista compilata dall'Agenzia del Demanio figurano anche l'isola di Santo Stefano, nel cui carcere furono rinchiusi tra gli altri Pertini e Spinelli, e l'Idroscalo dove fu ucciso Pasolini

Dalle Dolomiti alle isole sarde, a Porta Portese l'elenco dei beni trasferibili agli enti locali

ROMA - "Pezzi" di Dolomiti, Porta Portese, gli "isolotti prossimi alla Maddalena", tutta l'isola di Santo Stefano. Queste alcune delle voci inserite dall'Agenzia del Demanio nell'elenco dei beni trasferibili agli enti locali, a cominciare dai Comuni, con il federalismo demaniale. L'agenzia Ansa, che è entrata in possesso della lista, riferisce che il territorio più citato è quello del Lazio, e in particolare quello di Roma: oltre allo storico mercato di Porta Portese, ci sono, tanto per fare qualche esempio, il cinema Nuovo Sacher di Nanni Moretti, il museo di Villa Giulia, l'Idroscalo di Ostia dove morì Pier Paolo Pasolini. Salendo in montagna, si va dalle Tofane al Sorapis, dalla montagna dei 'Set Sass' Val Parola nel Col di Lana alla 'Croda del Becco' a Cortina, dall'Alpe Faloria alla Croda Rossa-Monte Cristallo.

Ci sono poi pezzi di torrente, fari (come quello di Mattinata sul Gargano), spiagge e isole. Quella di Santo Stefano, vicino a Ventotene, viene resa disponibile "pezzo per pezzo", dall'ex carcere in cui durante il fascismo furono detenuti Sandro Pertini, Umberto Terracini, Giorgio Amendola, Sante Pollastri, Lelio Basso, Mauro Scoccimarro, Giuseppe Romita, Altiero Spinelli e Ernesto Rossi, all'approdo, agli arenili.

L'elenco comprende fabbricati e terreni che gli enti locali possono ottenere a titolo gratuito, con l'obiettivo della loro valorizzazione ma non solo, anche eventualmente della 'alienazione', ovvero la vendita, a patto che l'introito sia destinato all'abbattimento del debito pubblico. Tanto è vero che accanto a ogni 'bene', viene indicato un 'valore di inventario', che ammonta complessivamente a poco più di tre miliardi (3.087.612.747). In lista ci sono 11.009 schede per un totale di 19.005 cespiti.

(27 giugno 2010)

 

 

L'UNITA'

per l'articolo completo vai al sito Internet

http://www.unita.it/

2011-07-29

Ministeri, la Lega s'intigna

"Trasferibili al Nord per legge"

MINISTERI LEGA CALDEROLI

Nel Consiglio Federale della Lega, che si è appena concluso a Milano, si è parlato a lungo anche dei ministeri al nord. E si è detto che il loro trasferimento è già, di fatto, "previsto per legge". A questo proposito, raccontano diversi partecipanti alla riunione, sono stati citati l'articolo 2, comma 4, del Decreto Ministeriale del 29 ottobre 2001 e il Regio Decreto numero 33 del 1871. In queste norme, "è stato sottolineato nel corso della riunione, si stabilirebbe che Roma è sede del governo, ma non si parla dei ministeri". L'articolo 2, comma 4, del Decreto Ministeriale del 29 ottobre 2001, 'Organizzazione interna del Dipartimento per le riforme istituzionali e la devoluzione della Presidenza del Consiglio dei Ministrì, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 273 del 23 novembre 2001 recita che "Il Ministro può avvalersi di sedi periferiche per lo svolgimento delle competenze del Dipartimento".

 

Durante il consiglio federale della Lega, oggi pomeriggio in via Bellerio, sarebbe stato fatto un richiamo ufficiale a "rispettare la linea del segretario federale" destinato a tutti gli esponenti del partito, anche a livello locale, oltre ad un invito ai parlamentari a rispettare le indicazioni di voto del segretario. Da quanto si è appreso è stata anche discussa la bozza di una lettera con cui la Lega illustra le ragioni del decentramento dei ministeri a Monza dopo il richiamo del Presidente Napolitano sulla questione.

Oggi in via Bellerio ci si è anche occupati del ticket sanità. Tra gli argomenti in agenda oggi anche alcuni aspetti organizzativi tra cui la sospensione, oltre alla sospensione per tre mesi dell'eurodeputato Mario Borghezio, l'espulsione del senatore veneto Alberto Filippi per una vicenda legata a fondi europei. In discussione anche le date di alcuni congressi del Carroccio in Lombardia, tra cui quelli di Bergamo e Brescia.

29 luglio 2011

 

 

 

 

 

 

 

 

2011-07-28

Ministeri, Napolitano: "Contro la Costituzione"

MINISTERI LEGA CALDEROLI

"Mi risulta che il Ministro delle riforme per il federalismo e il Ministro per la semplificazione normativa, con decreti in data 7 giugno 2011 - peraltro non pubblicati sulla Gazzetta Ufficiale - hanno provveduto a istituire proprie 'sedi distaccate di rappresentanza operativa'; ho appreso altresì che analoghe iniziative verrebbero assunte a breve anche dal Ministro del turismo e dal Ministro dell'economia e delle finanze (quest'ultimo titolare di un importante Dicastero, anzichè Ministro senza portafoglio come gli altri tre)". È quanto afferma nella lettera inviata al presidente del Consiglio - pubblicata sul sito del Quirinale - il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano.

"L'apertura di sedi di mera rappresentanza" di ministeri "costituisce scelta organizzativa da valutarsi in una logica costi-benefici che, in ogni caso, dovrebbe improntarsi, nell'attuale situazione economico-finanziaria, al più rigido contenimento delle spese e alla massima efficienza funzionale", afferma Giorgio Napolitano nella lettera inviata a Berlusconi. "Poichè, ai fini di una eventuale sua elasticità, il decreto legislativo n. 303 del 1999, all'articolo 7, attribuisce al Presidente del Consiglio la facoltà di adottare con DPCM le misure per il miglior esercizio delle sue funzioni istituzionali, ritengo che l'autorizzazione ad una eventuale diversa allocazione di sedi o strutture operative, e non già di semplice rappresentanza, dovrebbe più correttamente trovare collocazione normativa in un atto avente tale rango, da sottoporre alla registrazione della Corte dei Conti per i non irrilevanti profili finanziari, come affermato dalla sentenza della Corte Costituzionale n. 221 del 2002".

Così, con una serie di riferimenti normativi, il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, sottolinea l'inadeguatezza dello strumento utilizzato dal Governo per autorizzare l'apertura di sedi distaccate dei ministeri. Napolitano, nella lettera inviata a Berlusconi e pubblicata sul sito del Quirinale, ricorda inoltre che il Parlamento si è espresso negativamente in merito all'apertura di ministeri al nord. Ci sono stati infatti voti parlamentari - si legge - su alcuni ordini del giorno "finalizzati ad escludere ipotesi di delocalizzazione dei Ministeri pur nell'accoglimento, senza voto, di un o.d.g. (Cicchitto ed altri) di contenuto autorizzatorio".

"Come ho già avuto occasione di sottolineare al Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio dottor Letta, la dislocazione di sedi ministeriali in ambiti del territorio diversi dalla città di Roma deve tener conto delle disposizioni contenute nel regio decreto n. 33 del 1871, ancora pienamente vigente, che nell'istituire, all'articolo 1, Roma quale capitale d'Italia ha altresì previsto che in essa abbiano sede il Governo ed i Ministeri". "È altresì noto che la scelta di Roma capitale è stata costituzionalizzata con la riforma del titolo V della nostra Carta che, con la nuova formulazione dell'articolo 114, terzo comma, ha da una parte introdotto un bilanciamento con le più ampie funzioni attribuite agli enti territoriali e dall'altra ha posto un vincolo che coinvolge tutti gli organi costituzionali, compresi ovviamente il Governo e la Presidenza del Consiglio: vincolo ribadito dalla legge n. 42 del 2009, che all'art. 24 prevede un primo ordinamento transitorio per Roma capitale diretto "a garantire il miglior assetto delle funzioni che Roma è chiamata a svolgere quale sede degli Organi Costituzionali", prosegue. "Infine, recentemente e sia pure in un contesto non univoco, nel corso dell'esame parlamentare del d.l. n. 70 del 2011, sono stati discussi e votati diversi ordini del giorno finalizzati ad escludere ipotesi di delocalizzazione dei Ministeri pur nell'accoglimento, senza voto, di un o.d.g. (Cicchitto ed altri) di contenuto autorizzatorio", conclude.

 

In apertura dei lavori del consiglio dei ministri il Presidente del Consiglio Silvio Berlusconi ha "rivolto al Consiglio ed ai singoli Ministri un pressante invito a tenere in debito conto le osservazioni formulate dal Presidente della Repubblica sulle recenti istituzioni di sedi periferiche di strutture ministeriali ed ha quindi chiesto a tutti i Ministri di tenere comportamenti conseguenti". È quanto si legge nel comunicato stilato al termine del Consiglio dei ministri.

"Napolitano non si preoccupi, i ministeri li abbiamo fatti e li lasciamo là, siamo convinti che il decentramento non sia solo una possibilità ma una opportunità per il paese". Ha affermato il leader della Lega Umberto Bossi al termine del Cdm.

QUI SOTTO, IL TESTO INTEGRALE DELLA LETTERA DI NAPOLITANO A BERLUSCONI

28 luglio 2011

 

 

 

 

 

 

2011-07-26

Napolitano: "Preoccupato per ministeri al nord"

napolitano a firenze

Il Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano ha oggi inviato al Presidente del Consiglio Silvio Berlusconi una lettera contenente "rilievi e motivi di preoccupazione sul tema, oggetto di ampio dibattito, del decentramento delle sedi dei ministeri sul territorio". Lo ha reso noto il Quirinale.

Niente telefoni e pc nelle sedi (FOTO), alle pareti foto di Bossi e Alberto da Giussano (GUARDA). Alemanno: "Inaccettabile" | Pd: sono due sgabuzzini

Numerose le reazioni al messaggio del Capo dello Stato. "Questi personaggi, questi leghisti, che parlano di intervenire sui costi della politica e poi si aprono nuovi ministeri inutili: Napolitano fa benissimo a intervenire, deve farlo più duramente, è inconcepibile che in uffici pubblici ci sia la foto di Bossi: è come se un sindaco si mettesse nello studio quella di Bersani o di Di Pietro". Lo dice Massimo Cacciari alla Zanzara su Radio 24. " Napolitano - aggiunge Cacciari - dovrebbe intervenire anche con una lettera ironica, ma dovrebbe fare qualcosa: quantomeno per non farci ridere dietro da tutto il mondo".

"Sabato ho avuto modo di definire l'apertura delle sedi dei ministeri a Monza una tragicomica buffonata che andava fermata. Come sempre il Presidente della Repubblica interpreta al meglio, in modo puntuale, il sentire comune dei cittadini italiani, stanchi di un governo ostaggio delle pericolose pagliacciate e della propaganda leghista". Lo dice Anna Finocchiaro, presidente dei senatori del Pd.

"Condivido la preoccupazione del presidente Napolitano. Dopo molti segnali confusi era inevitabile che il Presidente della Repubblica facesse sentire la sua voce a difesa delle prerogative costituzionali di Roma Capitale". Il sindaco di Roma, Gianni Alemanno, ha accolto così la lettera inviata dal capo dello Stato al premier sul decentramento delle sedi di alcuni ministeri al Nord. "Mi auguro - ha aggiunto - che il presidente Berlusconi tragga da questa lettera del Capo dello Stato la spinta politica per confermare in maniera chiara e definitiva il pieno sostegno del Governo di centrodestra a Roma Capitale. È una vicenda durata troppo a lungo, che ha avuto toni spesso inaccettabili e che oggi, prima il presidente della Repubblica e poi il presidente del Consiglio devono chiudere definitivamente".

26 luglio 2011

 

 

 

 

 

 

2011-03-03

Via libera al federalismo - Salta intesa tra governo e regioni - L'abc del fisco municipale in 14 voci

di Eugenio Bruno, Saverio Fossati, Gianni Trovati e Claudio TucciCronologia articolo3 marzo 2011Commenti (18)

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Questo articolo è stato pubblicato il 03 marzo 2011 alle ore 07:57.

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di Eugenio Bruno

Dopo 112 giorni di repliche ininterrotte la pièce sul fisco municipale esce dal cartellone dei lavori parlamentari e si avvia a Palazzo Chigi. Grazie al sì dell'aula di Montecitorio che ha approvato ieri con 314 voti a favore (Pdl, Lega e responsabili), 291 contrari (Pd, Idv e terzo polo) e due astenuti (Svp) la fiducia sul quarto decreto attuativo del federalismo. Il provvedimento dovrà ora essere licenziato in via definitiva dal consiglio dei ministri ed andare al Colle per la firma del capo dello stato. Forse già oggi.

La cedolare secca diventa realtà già da quest'anno (di Saverio Fossati e Gianni TrovatI)

Condurre in porto il testo che, dal 2011, istituisce la cedolare secca sugli affitti e sblocca l'addizionale comunale all'Irpef mentre, dal 2014, introduce l'imposta municipale sugli immobili (Imu) al posto dell'Ici è stato tutt'altro che semplice. Sin dall'inizio, visto che il governo ha dovuto utilizzare non solo la proroga di 20 giorni per il via libera in bicamerale ma anche passare per i tempi supplementari dinanzi alle Camere dopo il 15 a 15 registratosi in commissione il 3 febbraio scorso, e fino alla fine. Come testimoniato dalle ore convulse che hanno preceduto l'ok dell'emiciclo.

Per portare a casa quello che il leader leghista Umberto Bossi ha definito "un giro di mattoni in più" in attesa di arrivare "al tetto", il Carroccio si è detto pronto a concedere anche una proroga di quattro mesi sulla scadenza dell'intera delega. Che passerebbe così dal 21 maggio al 21 settembre. Ad annunciarlo è stato Roberto Calderoli, al termine di un incontro con i "Popolari d'Italia domani" dell'ex-udc Saverio Romano. Ottenuta "l'approvazione definitiva del fisco regionale e provinciale" e fermo restando l'iter degli altri tre dlgs già in rampa di lancio, ha spiegato il ministro della Semplificazione, verrà proposta al Cdm "un'iniziativa legislativa" per l'ampliamento dei termini.

Lo slittamento servirà per eventuali provvedimenti correttivi o integrativi, ad esempio sulle risorse e le funzioni di Roma capitale. Ma così facendo Calderoli ha concesso alla parte più riottosa dei responsabili ciò che ha sempre negato al terzo polo. Una richiesta di avere sei mesi in più per l'attuazione era stata avanzata dal finiano Mario Baldassarri durante l'esame a Palazzo Madama del milleproroghe. Senza successo. A chi glielo ha fatto notare il ministro leghista ha risposto di guardare alle "motivazioni" delle cose: "Se è per fare melina è un conto, se è una richiesta seria siamo responsabili".

In realtà qualche fibrillazione ieri c'è stata anche con l'Mpa. Che in un primo momento aveva minacciato di astensione e poi è uscita dall'aula. Allo stesso modo è rientrata la temuta diaspora dei deputati di "Forza Sud" dopo che è giunta "l'assoluta garanzia da parte del ministro Romani sulla modifica del ddl riguardante le fonti di energia rinnovabili (su cui si veda altro articolo a pagina 25, ndr)", come ha spiegato Gianfranco Miccichè.

Ferma sul no si è invece confermata l'opposizione. I toni più duri li ha usati il segretario democratico Pier Luigi Bersani". Nel rimproverare al Carroccio di non aver seguito alcun "filo logico", Bersani ha chiesto: "Perché andate così alla svelta su una riforma che si applica in 7 anni? Perché la Lega sente che i tempi stringono e vuol portare a casa la bandierina, e Berlusconi ha bisogno di sopravvivere e ha bisogno di voti per i suoi processi". A sua volta il leader dell'Udc, Pier Ferdinando Casini, ha accusato: "È solo uno spot della Lega, un pasticcio che crea confusione e danni, aumenta le tasse. E rischia di sfasciare il paese". E qualche voce critica si è levata anche dai sindaci. Il presidente di Legautonomie Marco Filippeschi ha rivolto un appello ai parlamentari a non appoggiare un provvedimento "pericoloso per gli enti locali".

Opposti i toni tra i banchi della maggioranza. Dove, poco prima del voto, si è andato a posizionare anche il premier Silvio Berlusconi con una pochette verde-Lega al taschino. Dagli scranni del Carroccio, divenuti nel frattempo una curva da stadio, il via libera al decreto è stato accolto con un coro "Bossi, Bossi" e lo sventolio dei vessilli del Nord. Se l'esecutivo uscirà rafforzato dal responso di ieri lo si vedrà da qui in avanti. Nonostante l'euforia del momento, Bossi non si è sbilanciato sulle sorti della legislatura: "Noi vogliamo completare il federalismo, poi vediamo. Stiamo coi piedi per terra". Più fiducioso il Cavaliere secondo cui la maggioranza è ben oltre quota 314. "Sono tranquillissimo – ha garantito –, sappiamo che ci sono persone in missione e due sono malati. Se no la maggioranza è di 322".

L'abc del nuovo fisco municipale (di Claudio Tucci)

 

 

 

2011-03-02

Camera, sì al federalismo

Berlusconi con fazzoletto Lega

BERLU LEGA

La Camera conferma la fiducia al governo approvando la risoluzione di maggioranza relativa al testo sul federalismo fiscale municipale. La risoluzione è passata con 314 sì e 291 no e 2 astenuti. Ad astenersi sono stati i due deputati delle Minoranze linguistiche, Brugger e Zeller. I deputati in missione erano sette, di cui due del Pdl (i presidenti di commissione Gianfranco Conte e Paolo Russo), Salvatore Lombardo e Carmelo Lo Monte dell'Mpa (che pure aveva svolto la dichiarazione di voto per il suo partito), la Liberaldemocratica Daniela Melchiorre, Luca Volonté dell'Udc e Mario Brandolini del Pd.

A non partecipare al voto sono stati in 15. Per la maggioranza erano assenti Giancarlo Abelli e Giuseppe Palumbo del Pdl, Daniele Molgora della Lega, Antonio Gaglione e Calogero Mannino del gruppo Misto. Quanto all'opposizione, non hanno risposto alla chiama Andrea Ronchi e Giulia Cosenza di Fli, Roberto Commercio e Ferdinando Latteri dell'Mpa, Sergio Piffari di Idv, Marco Fedi e Maria Paola Merloni del Pd e Anna Teresa Formisano e Luca Volonté dell'Udc. Alla chiama non ha risposto neppure il liberaldemocratico Italo Tanoni. L'unico gruppo presente con il 100% dei suoi deputati è stato Iniziativa Responsabile.

LEGHISTI SVENTOLANO IN AULA

BANDIERE DEL NORD

Tutti i deputati della Lega hanno sventolato nell'Aula della Camera le bandiere delle regioni del Nord e con il sole delle Alpi, dopo che il vicepresidente Antonio Leone ha proclamato il risultato della votazione sulla fiducia sul federalismo municipale. Fra i leghisti c'era anche il presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi che si e' unito all'applauso dei deputati del Carroccio. Vedendo la scena, Leone ha chiesto l'intervento dei commessi per rimuovere le bandiere sospendendo brevemente la seduta.

BERLUSCONI IN AULA

METTE POCHETTE LEGA

Il presidente del Consiglio Silvio Berlusconi ha messo nell'Aula della Camera al suo taschino un fazzoletto verde della Lega dopo aver votato la fiducia sul federalismo municipale. Dopo aver espresso il voto, Berlusconi ha raggiunto i deputati del Carroccio che seguivano la votazione dai loro banchi: il ministro dell'Interno Roberto Maroni, gli ha passato una pochette verde che Berlusconi, sorridendo, ha messo nel taschino della giacca. Dopo si e' fermato a ridere e a scherzare con i deputati leghisti che hanno mostrato di apprezzarne le battute. Poco prima, un deputato della Lega aveva dato la pochette verde a Domenico Scilipoti del gruppo Iniziativa responsabile. Anche Scilipoti, come dopo avrebbe fatto il presidente del Consiglio, ha indossato il fazzoletto nel taschino della propria giacca.

BOSSI SODDISFATTO, ASSE

CON BERLUSCONI? E' L'UNICO CHE CI HA DATO VOTI

"Berlusconi è stato l'unico a darci i voti per il federalismo". Umberto Bossi risponde così a chi gli chiede se l'asse con il premier sia solido. "Gli altri - aggiunge - mi hanno detto 'Fai saltare il miliardario e domani ti votiamo il federalismo', ma Berlusconi i voti in Bicamerale me li dava subito. Non ci possono chiedere di mettere a repentaglio un risultato acquisito". "Se uno accetta di far pace - spiega - vota a favore, poi può essere che si aprono degli spazi...".

CALDEROLI, PROVVEDIMENTO

STORICO PER IL PAESE

"E' stato approvato un provvedimento importante e storico per il Paese e c'é anche la solennità dell'Aula a certificarlo". Così Roberto Calderoli esprime soddisfazione dopo l'approvazione definitiva del federalismo municipale con il voto della Camera. "Sono aumentati anche i sostenitori, coloro che hanno votato a favore. E' un dato di cui si deve tener conto", spiega il ministro della Semplificazione legislativa che con il leader della Lega Nord, Umberto Bossi, è indicato come uno dei padri della riforma federalista. "La maggioranza sta crescendo - aggiunge Calderoli - Bisogna tener conto di chi era assente per malattia e in missione. E' bene averla certificata in un punto nodale della legislatura".

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FEDERALISMO: ECCO CHI CI GUADAGNA E CHI CI PERDE

Da una parte l'arrivo della cedolare secca sugli immobili, che rappresenterà' un risparmio d'imposta per i proprietari sopra un certo reddito, dall'altra lo sblocco dell'addizionale comunale, che potrebbe rappresentare un aggravio per i cittadini. E poi la tassa sul soggiorno che, per i comuni che l'applicheranno, potrebbe rappresentare un contributo fino a 5 euro al giorno da parte dei turisti per la gestione della citta' che stanno visitando. Le norme del decreto legislativo sul quale oggi esprime il parere l'Aula di Montecitorio con la fiducia richiesta dal Governo, una volta concluso l'iter legislativo e calate nella realta', potrebbero non avere un impatto neutro sulle tasche dei cittadini. Il saldo complessivo - ha certificato la Ragioneria dello Stato - fatti tutti i conti, sara' uguale a zero. Ma, come sempre accade in campo fiscale, sui singoli contribuenti saranno possibili risparmi ed anche aggravi. Ecco un mini-vademecum per valutare chi ci guadagna e chi ci potrebbe perdere.

CEDOLARE SECCA

Nessuno ci rimette, molti potrebbero risparmiare. E' questo l'impatto dell'arrivo di una tassazione che, l'ultima versione del decreto, prevede al 21% sulla pigione pagata per tutti i contratti e del 19% su quelli ''agevolati''. Ora, invece, i guadagni vanno tassati con la progressivita' dell'Irpef e con l'imposta annuale di registro del 2%. Secondo i calcoli di Confedilizia il guadagno c'e' sopra i 15.000 euro di reddito per tutti i contratti e sopra i 28.000 euro per quelli agevolati. Nessuno comunque ci potra' perdere, perche' rimane la possibilita' di applicare la vecchia normativa. Gli inquilini, poi, se il proprietario sceglie la cedolare, non avranno rincari d'affitto, nemmeno gli adeguamenti annuali all'Istat.

SBLOCCO ADDIZIONALE IRPEF

E' questa la voce che puo' comportare un aggravio per i cittadini. La scelta - e la responsabilita' - sara' dei singoli Comuni e comunque dovra' rispettare dei paletti di crescita annuale. Il testo prevede ora la possibilita' anche di un rincaro retroattivo sul 2010. Certo, dopo le strette ai bilanci delle ultime due legislature, non e' difficile immaginare che lo sblocco di questa leva fiscale sara' utilizzato realmente dagli enti locali.

COMPRAVENDITE

Sconto fiscale dell'1% in arrivo sui trasferimenti immobiliari dal 2014. E' prevista una profonda riforma che semplifica le attuali imposte di registro, catastali e ipotecarie. Arriva una sola imposta del 9% sui beni in genere, del 2% sulle prime case. Il tributo minimo da pagare e' di 1.000 euro. Oltre allo sconto, rispetto al cumulo delle tasse attuali, e' certo una semplificazione.

IMU SOSTITUISCE ICI

L'Imu arriva nel 2014, si applichera' sulle seconde case e assorbira' sia l'Ici sia l'Irpef che si paga sulle seconde case. Previsto il dimezzamento per le case in affitto. Il Pd ne ha evidenziato le caratteristiche di tassazione patrimoniale (non si applica sul reddito ma sui beni posseduti, come l'Ici). I calcoli del governo hanno stimato un impatto neutro: l'Imu avra' un'aliquota del 7,6% che sara' di ''equilibrio'' per sostituire il gettito attuale dell'Ici e dell'Irpef seconda casa.

TASSA TURISMO E DI SCOPO

Le prevede l'ultimo testo ma non sono novita' assolute. La tassa di soggiorno - introdotta dalla riforma costituzionale del titolo V - la pagheranno i turisti per il pernottamento nelle citta' turistiche e d'arte: sara' al massimo di 5 euro e viene contestata dagli albergatori. C'e' poi l'imposta di scopo per realizzare infrastrutture e servizi: la pagheranno solo i cittadini che ne beneficeranno; era gia' stata introdotta con la finanziaria nel 2007 ma mai attuata.

2 marzo 2011

 

 

 

 

 

 

 

 

2011-02-19

Festa 17 marzo, la Lega contraria

Bersani: è una vergogna

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Al decreto legge che ha istituito la festa il 17 marzo non hanno aderito tre ministri. Lo ha detto il ministro della Difesa, Ignazio La Russa, in una conferenza stampa a Palazzo Chigi.

Per evitare il problema degli oneri derivanti dall'istituzione della festa del 17 marzo, gli effetti giuridici e contrattuali della festa delle Forze Armate del 4 novembre per il 2011 sono spostati sulla nuova data. È il ministro della Difesa Ignazio La Russa a spiegare la soluzione trovata dal Consiglio dei Ministri all'obiezione sollevata dai ministri della Lega.

Soluzione che però non è stata sufficiente a convincere i ministri leghisti a votare il decreto. "Si è fatto notare correttamente che l'istituzione del 17 marzo comportava oneri per lo Stato, ma vengono coperti con la decisione contestuale di trasferire gli effetti economici e gli istituti giuridici del 4 novembre al 17 marzo", spiega La Russa in conferenza stampa.

Dunque "il Cdm in tempi ragionevolmente brevi ha risolto il problema, sia pure con una riserva e con la non adesione di tre ministri e si è deciso di deliberare in questo senso e votare il decreto legge in questione". La Russa tiene a sottolineare che "sui giornali di oggi è stato erroneamente scritto che è stata abolita la festa del 4 novembre: non è vero, non cambia nulla, già era così, cambiano gli effetti giuridici e contrattuali, nel senso che il diverso trattamento economico viene spostato dal 4 novembre al 17 marzo".

Dunque "siamo soddisfatti: senza trionfalismi di nessun genere perchè nessuno si era mai sognato di non considerare importante il 17 marzo. Questa ci è sembrata la scelta più giusta, sarebbe stato quasi comico che la Festa dei lavoratori si celebrasse stando a casa e invece la festa di tutti si celebrasse andando a lavoro".

Nessuna frattura, solo una differenza di opinioni". Così il ministro della Difesa, Ignazio La Russa, in conferenza stampa a Palazzo Chigi al termine del Cdm, ha commentato le parole del ministro leghista Calderoli che ha definito la festa del 17 marzo una "follia incostituzionale".

18 febbraio 2011

 

 

Benigni, ascolti: quasi 20 milioni

benignisanremo

BENIGNI SFIORA 20 MILIONI DI SPETTATORI

Quando il comico entra in scena alle 22.30 sul cavallo bianco, auto omaggio a Telepatria international dei primi anni '80, su Raiuno ci sono 13-14 milioni di spettatori che al suo arrivo schizzano a 18 milioni in un crescendo fino a sfiorare i 20 milioni, ossia 19.737.803 alle 22.42, con la percentuale record del 65,32%. Tutto il monologo è sopra i 18 milioni e spesso i 19. Sugli altri canali, share ai minimi termini, con Canale 5 al 3-4%, tranne che per Annozero, 10% di share pure con Benigni.

NAPOLITANO SI COMPLIMENTA CON BENIGNI

Il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano ha telefonato ieri sera a Benigni, complimentandosi per la passione e la competenza con cui ha spiegato le parole ed il senso dell'inno

BERSANI: ROBERTO "GENIALE"

Roberto Benigni a Sanremo è stato "geniale", ha dato "un'anima" alla ricorrenza dell'unità d'Italia. Lo dice il segretario del Pd Pier Luigi Bersani, conversando con i cronisti: "Mi è piaciuto, mi è piaciuto molto. È riuscito a dare un'anima a una vicenda risorgimentale, in modo tale che possa vivere nella memoria degli italiani. Soprattutto quando ha detto che quella era gente di 20 anni. Anche l'intimismo dell'inno è una chiave geniale che tira fuori la vicenda unitaria dalla retorica e la vivere nella vita quotidiana degli italiani".

ASCOLTI RECORD PER ROBERTO

Boom di ascolti ieri sera per la serata del Festival dedicato ai 150 anni dell'Unità d'Italia che ha ospitato anche il ciclone Roberto Benigni: la prima parte (20:40 - 23:21) ha tenuto davanti alla tv 15 milioni 398 mila spettatori pari ad uno share del 50.23%. La seconda parte della terza serata del Festival (23:26 - 01:09) ha totalizzato invece 7milioni 529 mila spettatori e uno share del 53.21%. La media ponderata della serata è stata di 12 milioni 363 mila spettatori pari ad uno share del 50.90%, ben al di sopra della media ponderata della terza serata del Festival 2010 targato Clerici (46%), e del Festival 2009 targato Bonolis (47,17%). Il principale competitor della serata di ieri, Annozero di Michele Santoro, ha totalizzato quattromilioni 250 mila spettatori e uno share del 14,13%.

Benigni ha fatto il suo ingresso all'Ariston alle 22,30, andando avanti fino alle 23,20. Una ulteriore conferma che per la Rai l'artista toscano è sempre una scommessa vinta a occhi chiusi.

MASI: RISULTATO STRAORDINARIO

Il dato degli ascolti della serata di ieri di Sanremo "è un risultato straordinario", ha commentato il direttore generale della Rai Mauro Masi, "e sono soddisfatto - ha aggiunto - perchè è arrivato nella serata che Rai e festival hanno organizzato per i 150 anni dell'Unità

d'Italia".

SERENA ABRAMI LA PREFERITA TRA GIOVANI

Il brano di Serena Abrami, "Lontano da tutto", è il più gettonato dalle radio tra i giovani ed è il quinto tra tutte le canzoni in gara in questa edizione del Festival di Sanremo. Il brano è inoltre al primo posto della classifica (diffusa oggi) Nielsen Music Control-NMC. Serena Abrami sarà in gara questa sera nella finale riservata ai giovani. La sua è in effetti una delle poche canzoni degne davvero d'ascolto.

18 febbraio 2011

 

Sanremo Benigni: l'inno, Ruby e "le mie prigioni"

SANREMO LA DIRETTA DI GIOVEDI' 17

Sono seguite altre canzoni, un balletto con Belen che dovrebbe - lo dicono al festival - essere un omaggio a Fellini, Al Bano premiato per le canzoni sui 150 anni d'Italia. Ma quel che restano sono Benigni, con i riferimenti a Silvio e la rilettura dell'inno di Mameli, e la sorpresa gramsciana di Luca & Paolo.

LUCA & PAOLO LEGGONO GRAMSCI: "ODIO INDIFFERENTI"

Luca & Paolo leggono. Sono molto seri. "L'indifferenza è abulia, odio gli indifferenti, l'indifferenza opera potentemente nella storia". Contro l'indifferenza, contro l'abulia. E' Gramsci: dalla rivista 'La città futura' del 1917, numero unico pubblicato dalla Federazione giovanile piemontese del Partito Socialista.

CANTANTI IN OMBRA

I La Crus con il Gnu Quartet fanno Parlami d'amore Mariù. Tricarico con Toto Cutugno in 'L'italiano' di Cutugno, con un coro multietnico formato da ragazzi nati tutti in Italia. Ma dopo Benigni scorrono via come l'acqua.

BENIGNI: CANTA INNO MAMELI

Solo con la voce, luci basse, canta l'Inno d'Italia. E' quasi raccolto, intimo. Sembra commosso. A Sanremo cantare senza orchestra né altri è un azzardo che nessuno osa. Al comico è riuscito e ha saputo rendere l'inno qualcosa di personale. Senza retorica. Applausi scroscianti. Poi se ne va.

BENIGNI: ITALIA FATTA DAL POPOLO

Italia fatta dal popolo. Loro sono morti per la patria perché noi imparassimo a vivere per la patria. Immagina un ragazzo sul campo che ripensa alle parole dell'inno e se lo canta. E annuncia che canta. "Mi gioco tutto".

BENIGNI: FELICITA' NON E' CARA

Arriva ai versi conclusivi. Vorrei che foste felici, viviamo in un paese memorabile. E se qualche volta la felicità si scorda di voi, voi non scordativi della felicità. Che non è cara.

BENIGNI: L'ANALISI DELL'INNO

L'artista compie una lettura esegetica dell'inno di Mameli, sul modello delle sue celebri interpretazioni dei canti della Commedia di Dante. Ma anche l'analisi filologica e appassionata di Fratelli d'Italia non sfugge ai richiami al presente, come quando il premio Oscar si rivolge direttamente al leader della Lega Nord Umberto Bossi. "Dov'è la vittoria, le porga la chioma, chè schiava di Roma Iddio la creò. Umberto, è la vittoria che è schiava di Roma, non l'Italia! Umberto, il soggetto è la vittoria!", avverte Benigni. E poi: "Il federalismo è un'altra cosa. Qui parliamo dell'unità del Paese, che è la ricomposizione quasi religiosa di un corpo fatto a pezzi". E ancora, più avanti: "L'unità è talmente bella che permette pure che qualcuno dice: non la festeggio!".

benigni sanremo lettura

BENIGNI: DA GENOVA A PALERMO

Il passo successivo è Genova nel '700. Poi nella Palermo degli Angioini occupata dai francesi. Una terra occupata sempre da stranieri.

BENIGNI: INVENTATO NOI I COMUNI

Risale al primo '500 quando Carlo V con gli spagnoli assediò la repubblica di Firenze. Siamo noi - annota - che abbiamo inventato i Comuni.

BENIGNI: A LEGNANO SVENTOLATE IL TRICOLORE

Con Legnano arriva al Carroccio, alla Lega Lombarda: distrussero Federico Barbarossa. L'unione è dentro l'inno di Mameli. Ogni volta che dite Legnano potete sventolare il tricolore.

BENIGNI: LE DONNE DEL RISORGIMENTO

Non potete sapere cos'hanno fatto le donne del Risorgimento. Hanno combattuto per noi. Come Anita Garibaldi morta incinta. Ma non hanno mai avuto diritti: il voto è nel 1946. E prima donna ministra Tina Anselmi nel 1976. Democristiana, cattolica, fatto la Resistenza: la omaggia.

BENIGNI: TRICOLORE DALLA DIVINA COMMEDIA

Passa alla Divina Commedia (inciampa nelle parole per un momento) e dice che la nostra bandiera viene da Dante che riporta, nella visione di Beatrice, i tre colori.

BENIGNI: L'ITALIANO NOSTRA IDENTITA'

In dialetto non si può scrivere la Critica della ragion pura o la Divina commedia. La nostra lingua è la nostra identità più profonda.

BENIGNI: CHURCHILL QUANDO PERSE VINSE

Churchill uno dei suoi preferiti. Ci sono nostalgici perfino della nazione. Quando seppe, Churchill, di aver perso le elezioni disse "Abbiamo vinto" perché aveva vinto il nazismo per avere libere elezioni.

BENIGNI: MAMELI PAROLA PER PAROLA

Con ritmo più veloce, analizza il testo come aveva fatto con Dante e la Divina commedia. Ricorda che Metternich l'austriaco non riuscì ad aver ragione di Mazzini.

BENIGNI A UMBERTO: E' LA VITTORIA CHE E' SCHIAVA DI ROMA

Si rivolge direttamente a Bossi.

BENIGNI: ITALIA SVEGLIATI

Italia, svegliati, esorta il comico. Analizza le parole di Mameli. Da Scipione (Scipio) contro Annibale: Scipione cambiò la storia. Nascono da atti eroici i fatti grandi. Passa ai romani: già moderni, hanno inventato il diritto.

BENIGNI: RACCONTA DI NOVARO E MAMELI

Risorgere lo scrisse l'Alfieri, è un verbo mistico, osserva. I dirigenti Rai sono cupi: applaudono quando li riprende la telecamera. Benigni continua a elogiare i grandi d'Italia. Mameli 20 anni. Novaro, autore musica, morto poverissimo. Scrisse una marcetta. Noi, dice, siamo un popolo allegro. Fa l'inno all'Inno. Racconta che i garibaldini avevano giubbe rosse perché rubate, erano destinate a macellai argentini per non far vedere il sangue.

BENIGNI: CAVOUR GARIBALDI MAZZINI USCITI POVERI DA POLITICA

I nostri patriotti non vivevano per il Carpe Diem, non li fermava nessuno. Cavour, Garibaldi e Mazzini: entrati in politica e usciti più poveri, ma hanno arricchito gli italiani.

BENIGNI: NATA PRIMA CULTURA POI NAZIONE

Tutti , dice l'artista, si tassavano, elogia sempre Garibaldi, Mameli. L'Italia unico paese al mondo dove nata prima la cultura e poi la nazione.

BENIGNI: GIOVANI ITALIANI DETTERO LA VITA

Benigni: sono contento della par condicio. Ma, ricorda, la storia del nostro paese è memorabile: quelle persone nel risorgimento hanno dato la vita. Tutto il mondo guardava l'Italia: era una grandezza intrisa di gioventù. Erano ragazzi tutti morti giovani, hanno dato la vita. Garibaldi era famoso nel mondo.

MORANDI PREOCCUPATO ASCOLTA BENIGNI

Morandi è preoccupato.

BENIGNI: SILVIO PELLICO, LE MIE PRIGIONI

Cita Silvio Pellico, "Le mie prigioni". Prima di avere un altro Silvio che scrive un libro così...

BENIGNI: SILVIO, MEGLIO SE VAI AL CINEMA

Ci sono due persone che telefonano, una è qui (Masi, dg Rai), l'altra stasera è meglio se va al cinema: su questo canale ci sono io Silvio, se non ti piace qui cambia canale, vai sul 2, no c'è Santoro".

BENIGNI: ITALIA MINORENNE

Non si trattiene, parla di Ruby Rubacuori: "tutto sto tempo perso con le procure per sapere se era nipote di Mubarak. Bastava andare ad anagrafe e vedere se Mubarak di cognome fa Rubacuori.

BENIGNI: ITALIA MINORENNE, ANCHE LA CINQUETTI NON AVEVA L'ETA'

Quando Mameli lo scrisse (l'inno, ndr) aveva 20 anni, e all'epoca si diventava maggiorenni a 21, quindi era minorenne. Qui sul palcoscenico di Sanremo la questione delle minorenni è cominciata con Gigliola Cinquetti che si era spacciata per nipote di Claudio Villa.

BENIGNI: ITALIA MINORENNE

Cita il testo. "dov'è la vittoria", sembra scritto dal Pd. Parlerò dell'unità d'italia solo. L'Italia ha 150 anni e che sono per un Paese? Nulla. L'Italia è una bambina, una minorenne.

BENIGNI: PROSSIMO FESTIVAL A BERSANI

Siamo qui solo per l'inno di Mameli. Esclusivamente. Tutto il mondo ci ride dietro per Sanremo con Morandi. Siamo popolo responsabile. C'è già par condicio, c'è Barbarossa per la Lega.

BENIGNI: PROSSIMO FESTIVAL A BERSANI

Elogia Morandi. Il prossimo festival facciamolo condurre a Bersani.

BENIGNI AI CAVALIERI ORA NON DICE BENE

Avevo dubbi, ai cavalieri non dice bene in questo periodo. Chiarisce: l'ha pagato la Rai.

BENIGNI SU CAVALLO BIANCO E TRICOLORE

Benigni: "Viva l'Italia". Il cavallo è sul palcoscenico.

benigni cavallo sanremo

BENIGNI A MINUTI

Dopo lo spot arriva Benigni. Speriamo.

VECCHIONI FA IL NAPOLETANO

Dopo Max Pezzali con Arisa in "mamma mia dammi cento lire" (sempre 'sta mamma), Vecchioni canta "O surdato 'nnamurato". Lui milanese, chiede Morandi? Da genitori napoletani, chiarisce netto. Buona versione.

EMMA E MODA' PER SACCO E VANZETTI

Per Emma e i Moda' "Here's to you" di Joan Baez e Morricone su Sacco e Vanzetti, anarchici giustiziati negli Usa. Erano emigranti.

LE CANZONI D'ITALIA PER I NOSTRI AMICI DI FACEBOOK

A parte Bella ciao i nostri amici su Facebook per i 150 anni dell'Italia vorrebbero queste canzoni: Contessa, Bandiera rossa, l'Internazionale, naturalmente De André, poi citano i Baustelle, Capossela, gli Afterhours. La "Terra dei cachi" di Elio e le storie tese. Di Bertoli scelgono "Italia d'oro". E "Dio e morto" di Guccini.

BELLA CIAO DILAGA ON LINE

"Bella ciao" vietata all'Ariston è risuonata davanti al teatro grazie al Popolo viola. E nel web centinaia di utenti mettono il testo on line.

I DUETTI DI DOMANI.

Duetti e ospiti domani all'Ariston per la quarta serata del festival di Sanremo. Ad affiancare Luca Madonia con Franco Battiato con 'L'Alieno' sarà Carmen Consoli; Anna Oxa ('La mia anima d'uomò) canterà con Marta sui Tubi; Max Pezzali ('Il mio secondo tempò) con Lillo & Greg; Roberto Vecchioni ('Chiamami ancora amorè) con la Premiata Forneria Marconi; Tricarico ('3 colorì) con il Coro di Voci Bianche Si La So...L; Albano ('Amanda è liberà) con Michele Placido; Nathalie ('Vivo sospesà) con L'Aura; Emma e i Mod… ('Arriverà) con Francesco Renga; Davide Van De Sfroos ('Yanez') con Irene Fornaciari; Patty Pravo ('Il vento e le rosè) con Morgan; Giusy Ferreri ( 'Il mare immensò) con Francesco Renga; Anna Tatangelo ('Bastardò) con Loredana Errore; La Crus ('Io confessò) con Nina Zilli; Luca Barbarossa e Rachel Del Rosario ('Fino in fondò) con Neri Marcorè.

DE NIRO, BELLUCCI, TAKE THAT E ROBBIE OSPITI DOMANI

Al festival parteciperanno domani come ospiti Robert De Niro e Monica Bellucci, protagonisti del film 'Manuale d'amore 3' di Giovanni Veronesi, e i Take That con Robbie Williams.

GIUSY STRAZIA "IL CIELO"

Giusy Ferreri fa "Il cielo in una stanza". La sta straziando. A Gino Paoli converrebbe essere altrove.

LUCA & PAOLO: 'MASI HA RISO'

La parte migliore restano Luca & Paolo. Almeno scherzano e prendono per i fondelli Morandi. E il dg Rai Masi: "Ha riso!". Certo la loro satira non intimorisce chi lavora per Berlusconi.

BATTIATO DIRETTORE

Patty Pravo con un filo di charme, ma un po' rigida, in Mille lire al mese. Per Luca Madonia Battiato dirige l'orchestra in "La notte dell'addio" di Remigi. Brano, segnala Morandi, degli anni 60 ingiustamente dimenticato.

IL RINASCIMENTO DI GIANNI

Morandi torna cantante. Interpreta l'inedito "Rinascimento". Con parole di Mogol, l'ha scritto Gianni Bella. Colpito da ictus tempo fa, ricorda il cantante. "Finirà lo smarrimento", intona. Testo generico. Non è uno dei pezzi memorabili cantati da Gianni. Teatro in piedi ad applaudire.

AL BANO, RETORICA AL MASSIMO GRADO

Al Bano in 'Va' pensiero' dal Nabucco: porta la retorica al massimo grado.

POPOLO VIOLA CANTA 'BELLA CIAO'

Una trentina di manifestanti del Popolo Viola canta Bella Ciao davanti al teatro Ariston. La dimostrazione è pacifica, In sala Anna Oxa in azzurro attillatissimo e in O' sole mio.

LUCA E PAOLO: LA RUSSA MINISTRO, SPERANZA PER TUTTI

Luca e Paolo sbeffeggiano La Russa: se lui è ministro c'è speranza per tutti. Ministro livido. Poi gli chiedono di non manifestare in pubblico la sua stima per loro: a casa dei due comici non gradiscono. La Russa ride a denti stretti.

LUCA E PAOLO: MASI IN PLATEA, COSI' NON CHIAMA

Luca e Paolo contenti di vedere in platea Masi. Così non li chiama.

TATANGELO SEMBRA DI CERA

Anna Tatangelo in un vestito bianco sembra di cera. Canta "Mamma". Per andare sul sicuro.

DE GREGORI: VAN DE SFROSS SFUMA IL GRAFFIO

Prima la retorica del 'siamo tutti uniti'. Poi apre il set delle canzoni Van De Sfroos. Lui che canta sempre in dialetto interpreta "Viva l'Italia" di De Gregori in italiano. Bravo, ma sfuma via il 'graffio' amaro dell'artista romano.

GABER AVREBBE GRADITO OMAGGIO?

Dopo il presentatore, dopo l'ingresso di Belen e Canalis, il duo Luca & Paolo rende omaggio a Gaber. Chissa se avrebbe gradito. Per fortuna il duo sdrammatizza: canzone dell'orgoglio gay.

TRICOLORI A GO GO

Rossini, il balletto di Ezralov con ballerini e ballerine in bianco, rosso e verde, una mega bandiera. Per Morandi un balletto meraviglioso. Mah!

CANZONI D'ITALIA, CHI CANTA COSA

Patty Pravo canta 'Mille lire al mese', i Modà con Emma "Here's to you" di Joan Baez sugli anarchici Sacco e Vanzetti. Giusi Ferreri interpreta di Gino Paoli 'Il cielo in una stanza, il duo Luca Madonia-Franco Battiato 'La notte dell'addio' di Iva Zanicchi. Anna Oxa intona 'O sole mio' (sulla carta suona quanto mai improbabile), la vincitrice di 'X Factor' Nathalie canta 'Il mio canto libero' di Mogol e Battisti. La coppia Luca Barbarossa-Raquel Del Rosario canta l'inno del Risorgimento 'Addio mia bella addio', mentre Roberto Vecchioni ha scelto 'O surdato 'nnamurato'. Davide Van De Sfroos canta 'Viva l'Italia' di De Gregori, Anna Tatangelo 'Mamma'. Gli Gnu Quartet si aggiungono ai La Crus per 'Parlami d'amore Mariù. Toto Cutugno con Tricarico fanno 'L'Italiano' di Cutugno stesso, E Al Bano con Iannis Plutarchos e Theodossiou Dimitra il coro verdiano del Nabucco 'Và pensiero'. E Max Pezzali, affiancato stasera da Arisa, rileggono il canto degli emigranti 'Mamma mia dammi cento lire'. Infine canta pure Gianni Morandi con 'Rinascimento', brano inedito di Mogol e Gianni Bella sull'oggi.

CANZONI D'ITALIA, MANCANO DE ANDRE' E 'BELLA CIAO'

La serata per i 150 anni dell'unità del paese è sui canti e le canzoni che hanno fatto la storia d'Italia: dagli inni del Risorgimento alle canzoni storiche anteguerra ai brani dei cantautori italiani (però mancano Dalla e soprattutto Fabrizio De André). Morandi voleva "Bella ciao", la Destra allora ha detto "Giovinezza", né la canzone partigiana né quella fascista saranno in scaletta.

BENIGNI ENTRA A CAVALLO?

Benigni entrerà sul palcoscenico a cavallo? E' un'indiscrezione che circola a Sanremo. Il suo monologo sarà sull'inno di Mameli.

LA RUSSA: BENIGNI SPERO NO DI PARTE

Il ministro della Difesa La Russa è a Sanremo per la serata sui 150 anni dell'unità d'Italia. Teme Benigni? "Mi aspetto che sia all'altezza del Benigni migliore, quello dI 'Johnny Stecchino', film che mi è piaciuto molto". Lo ha detto durante la conferenza stampa per la serata sui 150 anni dell'Italia al Festival. "Vale per Benigni quello che ho detto in precedenza sulla satira. Credo che ci si aspetti che Benigni dica qualcosa sull'Inno nazionale, e che abbia la sensibilità da grande comico e da grande uomo dello spettacolo quale è di non utilizzare questa serata per fini di parte". In precedenza il ministro ha detto: "La satira è sempre accettabile quando non è unilaterale e quindi, nell'arco delle serate, non mi pare che lo sia. E quando non è finalizzata a sovvertire gli equilibri politici ma a far sorridere e pensare, secondo me non va mai condannata". Insomma, non deve far male a chi ha il potere.

BORGHEZIO: "BENIGNI SHOW E' PROSTITUZIONE"

Pur di far notizia l'europarlamentare della Lega Mario Borghezio le spara grosse: "Fa schifo il prostituirsi di un artista alle esigenze della retorica di una parte del Paese contro l'altra", ha detto a Klauscondicio parlando del comico atteso al festival. Per Borghezio "Morandi fa pena, ma non è un profittatore. Benigni invece prende un sacco di soldi per fare un untuoso ossequio ai valori risorgimentali. Questi signori sono dei 'marchettari'". Per il leghista le presunte prostitute di Arcore "hanno certamente più dignità di Benigni". E su Morandi: "Molto simpatico, ma resta un agit-prop comunista".

Benigni alle 22.15: sarà "serio?"

Il toscanaccio Roberto arriverà alle 22.15. Il festival, come sempre e com'è logico, non lo "usa" subito ma lo tiene in serbo oltre le 22 per tener su gli ascolti. Riserbo su cosa dirà. Sarà un intervento sui 150 anni d'Italia: le agenzie parlano di un taglio "serio". Ma non si può mai dire, con il comico di Vergaio.

Bella ciao con il Popolo viola davanti all'Ariston

"'Bella Ciao' non è stata inserita tra i brani che stasera celebreranno i 150 anni dell'Unità d'Italia e mi fa piacere se la cantano fuori dall'Ariston. Se passo la canto pure io". Gianni Morandi voleva la canzone simbolo della Resistenza, non ha potuto inserirla in scaletta, e in conferenza stampa si dice d'accordo con il Popolo viola che ha deciso di cantare oggi fuori dal Teatro Ariston la canzone partigiana esclusa dalla serata di oggi sui 150 anni dell'unità d'Italia.

Luca & Paolo: essere dopo Benigni è come porno dopo Siffredi

A Luca Bizzarri e Paolo Kessisoglu piacerebbe "un'Italia in cui si possa scherzare su tutti". Lo hanno detto durante la conferenza stampa di oggi del Festival di Sanremo a proposito della satira. E riguardo alla presenza di Benigni stasera: "Ubi maior minor cessat. Abbiamo rivisto la scaletta: sarebbe stato come fare un film porno dopo che lo ha fatto Rocco Siffredi", scherza Luca Bizzarri. E annunciano un omaggio a Giorgio Gaber "simile a quello di ieri per Ric e Gian".

Lega: ridate Van De Sfroos a Lago di Como

Per una volta la Lega Nord non ha tutti i torti, anche se i parlamentari avrebbero altro di cui occuparsi. I deputati Nicola Molteni e Davide Caparini hanno fatto appello alla Rai di avvisare i telespettatori di risintonizzarsi dopo il guasto di ieri sera al ripetitore di Sommafiume che ha lasciato al buio il lago di Como durante l'esibizione di Davide Van De Sfroos. Il Carroccio insiste nel volersi appropriare del cantautore che a Sanremo partecipa con una canzone in comasco. Lui però ha fatto una versione scritta del testo in molti dialetti italiani dal nord al sud.

Gli allibratori: Emma e Modà primi, sale Vecchioni

Gli allibratori puntano sempre su Emma e i Modà come possibili vincitori, ma come secondo indicano Roberto Vecchioni e il suo brano "Chiamami ancora amore", seguito da Nathalie mentre risulta in calo Giusy Ferreri, ora quarta per gli scommettitori. Quinti la coppia Barbarossa-Del Rosario.

18 febbraio 2011

 

 

2011-02-18

Benigni a Sanremo: italiani svegliamoci

benigni cavallo sanremo

LA DIRETTA

BENIGNI: CANTA INNO MAMELI

Solo con la voce, luci basse, canta l'Inno d'Italia. E' quasi raccolto, intimo. Sembra commosso. A Sanremo cantare senza orchestra né altri è un azzardo che nessuno osa. Al comico è riuscito e ha saputo rendere l'inno qualcosa di personale. Senza retorica. Applausi scroscianti. Poi se ne va.

BENIGNI: ITALIA FATTA DAL POPOLO

Italia fatta dal popolo. Loro sono morti per la patria perché noi imparassimo a vivere per la patria. Immagina un ragazzo sul campo che ripensa alle parole dell'inno e se lo canta. E annuncia che canta. "Mi gioco tutto".

BENIGNI: FELICITA' NON E' CARA

Arriva ai versi conclusivi. Vorrei che foste felici, viviamo in un paese memorabile. E se qualche volta la felicità si scorda di voi, voi non scordativi della felicità. Che non è cara.

BENIGNI: L'ANALISI DELL'INNO

L'artista compie una lettura esegetica dell'inno di Mameli, sul modello delle sue celebri interpretazioni dei canti della Commedia di Dante. Ma anche l'analisi filologica e appassionata di Fratelli d'Italia non sfugge ai richiami al presente, come quando il premio Oscar si rivolge direttamente al leader della Lega Nord Umberto Bossi. "Dov'è la vittoria, le porga la chioma, chè schiava di Roma Iddio la creò. Umberto, è la vittoria che è schiava di Roma, non l'Italia! Umberto, il soggetto è la vittoria!", avverte Benigni. E poi: "Il federalismo è un'altra cosa. Qui parliamo dell'unità del Paese, che è la ricomposizione quasi religiosa di un corpo fatto a pezzi". E ancora, più avanti: "L'unità è talmente bella che permette pure che qualcuno dice: non la festeggio!".

BENIGNI: DA GENOVA A PALERMO

Il passo successivo è Genova nel '700. Poi nella Palermo degli Angioini occupata dai francesi. Una terra occupata sempre da stranieri.

BENIGNI: INVENTATO NOI I COMUNI

Risale al primo '500 quando Carlo V con gli spagnoli assediò la repubblica di Firenze. Siamo noi - annota - che abbiamo inventato i Comuni.

BENIGNI: A LEGNANO SVENTOLATE IL TRICOLORE

Con Legnano arriva al Carroccio, alla Lega Lombarda: distrussero Federico Barbarossa. L'unione è dentro l'inno di Mameli. Ogni volta che dite Legnano potete sventolare il tricolore.

BENIGNI: LE DONNE DEL RISORGIMENTO

Non potete sapere cos'hanno fatto le donne del Risorgimento. Hanno combattuto per noi. Come Anita Garibaldi morta incinta. Ma non hanno mai avuto diritti: il voto è nel 1946. E prima donna ministra Tina Anselmi nel 1976. Democristiana, cattolica, fatto la Resistenza: la omaggia.

BENIGNI: TRICOLORE DALLA DIVINA COMMEDIA

Passa alla Divina Commedia (inciampa nelle parole per un momento) e dice che la nostra bandiera viene da Dante che riporta, nella visione di Beatrice, i tre colori.

BENIGNI: L'ITALIANO NOSTRA IDENTITA'

In dialetto non si può scrivere la Critica della ragion pura o la Divina commedia. La nostra lingua è la nostra identità più profonda.

BENIGNI: CHURCHILL QUANDO PERSE VINSE

Churchill uno dei suoi preferiti. Ci sono nostalgici perfino della nazione. Quando seppe, Churchill, di aver perso le elezioni disse "Abbiamo vinto" perché aveva vinto il nazismo per avere libere elezioni.

BENIGNI: MAMELI PAROLA PER PAROLA

Con ritmo più veloce, analizza il testo come aveva fatto con Dante e la Divina commedia. Ricorda che Metternich l'austriaco non riuscì ad aver ragione di Mazzini.

BENIGNI A UMBERTO: E' LA VITTORIA CHE E' SCHIAVA DI ROMA

Si rivolge direttamente a Bossi.

BENIGNI: ITALIA SVEGLIATI

Italia, svegliati, esorta il comico. Analizza le parole di Mameli. Da Scipione (Scipio) contro Annibale: Scipione cambiò la storia. Nascono da atti eroici i fatti grandi. Passa ai romani: già moderni, hanno inventato il diritto.

BENIGNI: RACCONTA DI NOVARO E MAMELI

Risorgere lo scrisse l'Alfieri, è un verbo mistico, osserva. I dirigenti Rai sono cupi: applaudono quando li riprende la telecamera. Benigni continua a elogiare i grandi d'Italia. Mameli 20 anni. Novaro, autore musica, morto poverissimo. Scrisse una marcetta. Noi, dice, siamo un popolo allegro. Fa l'inno all'Inno. Racconta che i garibaldini avevano giubbe rosse perché rubate, erano destinate a macellai argentini per non far vedere il sangue.

BENIGNI: CAVOUR GARIBALDI MAZZINI USCITI POVERI DA POLITICA

I nostri patriotti non vivevano per il Carpe Diem, non li fermava nessuno. Cavour, Garibaldi e Mazzini: entrati in politica e usciti più poveri, ma hanno arricchito gli italiani.

BENIGNI: NATA PRIMA CULTURA POI NAZIONE

Tutti , dice l'artista, si tassavano, elogia sempre Garibaldi, Mameli. L'Italia unico paese al mondo dove nata prima la cultura e poi la nazione.

BENIGNI: GIOVANI ITALIANI DETTERO LA VITA

Benigni: sono contento della par condicio. Ma, ricorda, la storia del nostro paese è memorabile: quelle persone nel risorgimento hanno dato la vita. Tutto il mondo guardava l'Italia: era una grandezza intrisa di gioventù. Erano ragazzi tutti morti giovani, hanno dato la vita. Garibaldi era famoso nel mondo.

MORANDI PREOCCUPATO ASCOLTA BENIGNI

Morandi è preoccupato.

BENIGNI: SILVIO PELLICO, LE MIE PRIGIONI

Cita Silvio Pellico, "Le mie prigioni". Prima di avere un altro Silvio che scrive un libro così...

BENIGNI: SILVIO, MEGLIO SE VAI AL CINEMA

Ci sono due persone che telefonano, una è qui (Masi, dg Rai), l'altra stasera è meglio se va al cinema: su questo canale ci sono io Silvio, se non ti piace qui cambia canale, vai sul 2, no c'è Santoro".

BENIGNI: ITALIA MINORENNE

Non si trattiene, parla di Ruby: "tutto sto tempo perso pe sapere se nipote di Mubarak. Bastava andare ad anagrafe e veder se Mubarak di cognome fa Rubacuori.

BENIGNI: ITALIA MINORENNE

Sta storia delle minorenni nata a Sanremo, la Cinquetti cantava non ho l'età, si spacciava per nipote di Claudio Villa. Perdono tempo con le procure.

BENIGNI: ITALIA MINORENNE

Cita il testo. "dov'è la vittoria", sembra scritto dal Pd. Parlerò dell'unità d'italia solo. 150 anni cosa sono per una nazione? Una bambina, minorenne.

BENIGNI: PROSSIMO FESTIVAL A BERSANI

Siamo qui solo per l'inno di Mameli. Esclusivamente. Tutto il mondo ci ride dietro per Sanremo con Morandi. Siamo popolo responsabile. C'è già par condicio, c'è Barbarossa per la Lega.

BENIGNI: PROSSIMO FESTIVAL A BERSANI

Elogia Morandi. Il prossimo festival facciamolo condurre a Bersani.

BENIGNI AI CAVALIERI ORA NON DICE BENE

Avevo dubbi, ai cavalieri non dice bene in questo periodo. Chiarisce: l'ha pagato la Rai.

BENIGNI SU CAVALLO BIANCO E TRICOLORE

Benigni: "Viva l'Italia". Il cavallo è sul palcoscenico.

BENIGNI A MINUTI

Dopo lo spot arriva Benigni. Speriamo.

VECCHIONI FA IL NAPOLETANO

Dopo Max Pezzali con Arisa in "mamma mia dammi cento lire" (sempre 'sta mamma), Vecchioni canta "O surdato 'nnamurato". Lui milanese, chiede Morandi? Da genitori napoletani, chiarisce netto. Buona versione.

EMMA E MODA' PER SACCO E VANZETTI

Per Emma e i Moda' "Here's to you" di Joan Baez e Morricone su Sacco e Vanzetti, anarchici giustiziati negli Usa. Erano emigranti.

LE CANZONI D'ITALIA PER I NOSTRI AMICI DI FACEBOOK

A parte Bella ciao i nostri amici su Facebook per i 150 anni dell'Italia vorrebbero queste canzoni: Contessa, Bandiera rossa, l'Internazionale, naturalmente De André, poi citano i Baustelle, Capossela, gli Afterhours. La "Terra dei cachi" di Elio e le storie tese. Di Bertoli scelgono "Italia d'oro". E "Dio e morto" di Guccini.

BELLA CIAO DILAGA ON LINE

"Bella ciao" vietata all'Ariston è risuonata davanti al teatro grazie al Popolo viola. E nel web centinaia di utenti mettono il testo on line.

I DUETTI DI DOMANI.

Duetti e ospiti domani all'Ariston per la quarta serata del festival di Sanremo. Ad affiancare Luca Madonia con Franco Battiato con 'L'Alieno' sarà Carmen Consoli; Anna Oxa ('La mia anima d'uomò) canterà con Marta sui Tubi; Max Pezzali ('Il mio secondo tempò) con Lillo & Greg; Roberto Vecchioni ('Chiamami ancora amorè) con la Premiata Forneria Marconi; Tricarico ('3 colorì) con il Coro di Voci Bianche Si La So...L; Albano ('Amanda è liberà) con Michele Placido; Nathalie ('Vivo sospesà) con L'Aura; Emma e i Mod… ('Arriverà) con Francesco Renga; Davide Van De Sfroos ('Yanez') con Irene Fornaciari; Patty Pravo ('Il vento e le rosè) con Morgan; Giusy Ferreri ( 'Il mare immensò) con Francesco Renga; Anna Tatangelo ('Bastardò) con Loredana Errore; La Crus ('Io confessò) con Nina Zilli; Luca Barbarossa e Rachel Del Rosario ('Fino in fondò) con Neri Marcorè.

DE NIRO, BELLUCCI, TAKE THAT E ROBBIE OSPITI DOMANI

Al festival parteciperanno domani come ospiti Robert De Niro e Monica Bellucci, protagonisti del film 'Manuale d'amore 3' di Giovanni Veronesi, e i Take That con Robbie Williams.

GIUSY STRAZIA "IL CIELO"

Giusy Ferreri fa "Il cielo in una stanza". La sta straziando. A Gino Paoli converrebbe essere altrove.

LUCA & PAOLO: 'MASI HA RISO'

La parte migliore restano Luca & Paolo. Almeno scherzano e prendono per i fondelli Morandi. E il dg Rai Masi: "Ha riso!". Certo la loro satira non intimorisce chi lavora per Berlusconi.

BATTIATO DIRETTORE

Patty Pravo con un filo di charme, ma un po' rigida, in Mille lire al mese. Per Luca Madonia Battiato dirige l'orchestra in "La notte dell'addio" di Remigi. Brano, segnala Morandi, degli anni 60 ingiustamente dimenticato.

IL RINASCIMENTO DI GIANNI

Morandi torna cantante. Interpreta l'inedito "Rinascimento". Con parole di Mogol, l'ha scritto Gianni Bella. Colpito da ictus tempo fa, ricorda il cantante. "Finirà lo smarrimento", intona. Testo generico. Non è uno dei pezzi memorabili cantati da Gianni. Teatro in piedi ad applaudire.

AL BANO, RETORICA AL MASSIMO GRADO

Al Bano in 'Va' pensiero' dal Nabucco: porta la retorica al massimo grado.

AL BANO, RETORICA AL MASSIMO GRADO

Al Bano in 'Va' pensiero' dal Nabucco: porta la retorica al massimo grado.

POPOLO VIOLA CANTA 'BELLA CIAO'

Una trentina di manifestanti del Popolo Viola canta Bella Ciao davanti al teatro Ariston. La dimostrazione è pacifica, In sala Anna Oxa in azzurro attillatissimo e in O' sole mio.

LUCA E PAOLO: LA RUSSA MINISTRO, SPERANZA PER TUTTI

Luca e Paolo sbeffeggiano La Russa: se lui è ministro c'è speranza per tutti. Ministro livido. Poi gli chiedono di non manifestare in pubblico la sua stima per loro: a casa dei due comici non gradiscono. La Russa ride a denti stretti.

LUCA E PAOLO: MASI IN PLATEA, NON CHIAMA

Luca e Paolo contenti di vedere in platea Masi. Così non li chiama.

TATANGELO SEMBRA DI CERA

Anna Tatangelo in un vestito bianco sembra di cera. Canta "Mamma". Per andare sul sicuro.

DE GREGORI: VAN DE SFROSS SFUMA IL GRAFFIO

Prima la retorica del 'siamo tutti uniti'. Poi apre il set delle canzoni Van De Sfroos. Lui che canta sempre in dialetto interpreta "Viva l'Italia" di De Gregori in italiano. Bravo, ma sfuma via il 'graffio' amaro dell'artista romano.

GABER AVREBBE GRADITO OMAGGIO?

Dopo il presentatore, dopo l'ingresso di Belen e Canalis, il duo Luca & Paolo rende omaggio a Gaber. Chissa se avrebbe gradito. Per fortuna il duo sdrammatizza: canzone dell'orgoglio gay.

TRICOLORI A GO GO

Rossini, il balletto di Ezralov con ballerini e ballerine in bianco, rosso e verde, una mega bandiera. Per Morandi un balletto meraviglioso. Mah!

CANZONI D'ITALIA, CHI CANTA COSA

Patty Pravo canta 'Mille lire al mese', i Modà con Emma "Here's to you" di Joan Baez sugli anarchici Sacco e Vanzetti. Giusi Ferreri interpreta di Gino Paoli 'Il cielo in una stanza, il duo Luca Madonia-Franco Battiato 'La notte dell'addio' di Iva Zanicchi. Anna Oxa intona 'O sole mio' (sulla carta suona quanto mai improbabile), la vincitrice di 'X Factor' Nathalie canta 'Il mio canto libero' di Mogol e Battisti. La coppia Luca Barbarossa-Raquel Del Rosario canta l'inno del Risorgimento 'Addio mia bella addio', mentre Roberto Vecchioni ha scelto 'O surdato 'nnamurato'. Davide Van De Sfroos canta 'Viva l'Italia' di De Gregori, Anna Tatangelo 'Mamma'. Gli Gnu Quartet si aggiungono ai La Crus per 'Parlami d'amore Mariù. Toto Cutugno con Tricarico fanno 'L'Italiano' di Cutugno stesso, E Al Bano con Iannis Plutarchos e Theodossiou Dimitra il coro verdiano del Nabucco 'Và pensiero'. E Max Pezzali, affiancato stasera da Arisa, rileggono il canto degli emigranti 'Mamma mia dammi cento lire'. Infine canta pure Gianni Morandi con 'Rinascimento', brano inedito di Mogol e Gianni Bella sull'oggi.

CANZONI D'ITALIA, MANCANO DE ANDRE' E 'BELLA CIAO'

La serata per i 150 anni dell'unità del paese è sui canti e le canzoni che hanno fatto la storia d'Italia: dagli inni del Risorgimento alle canzoni storiche anteguerra ai brani dei cantautori italiani (però mancano Dalla e soprattutto Fabrizio De André). Morandi voleva "Bella ciao", la Destra allora ha detto "Giovinezza", né la canzone partigiana né quella fascista saranno in scaletta.

BENIGNI ENTRA A CAVALLO?

Benigni entrerà sul palcoscenico a cavallo? E' un'indiscrezione che circola a Sanremo. Il suo monologo sarà sull'inno di Mameli.

LA RUSSA: BENIGNI SPERO NO DI PARTE

Il ministro della Difesa La Russa è a Sanremo per la serata sui 150 anni dell'unità d'Italia. Teme Benigni? "Mi aspetto che sia all'altezza del Benigni migliore, quello dI 'Johnny Stecchino', film che mi è piaciuto molto". Lo ha detto durante la conferenza stampa per la serata sui 150 anni dell'Italia al Festival. "Vale per Benigni quello che ho detto in precedenza sulla satira. Credo che ci si aspetti che Benigni dica qualcosa sull'Inno nazionale, e che abbia la sensibilità da grande comico e da grande uomo dello spettacolo quale è di non utilizzare questa serata per fini di parte". In precedenza il ministro ha detto: "La satira è sempre accettabile quando non è unilaterale e quindi, nell'arco delle serate, non mi pare che lo sia. E quando non è finalizzata a sovvertire gli equilibri politici ma a far sorridere e pensare, secondo me non va mai condannata". Insomma, non deve far male a chi ha il potere.

BORGHEZIO: "BENIGNI SHOW E' PROSTITUZIONE"

Pur di far notizia l'europarlamentare della Lega Mario Borghezio le spara grosse: "Fa schifo il prostituirsi di un artista alle esigenze della retorica di una parte del Paese contro l'altra", ha detto a Klauscondicio parlando del comico atteso al festival. Per Borghezio "Morandi fa pena, ma non è un profittatore. Benigni invece prende un sacco di soldi per fare un untuoso ossequio ai valori risorgimentali. Questi signori sono dei 'marchettari'". Per il leghista le presunte prostitute di Arcore "hanno certamente più dignità di Benigni". E su Morandi: "Molto simpatico, ma resta un agit-prop comunista".

Benigni alle 22.15: sarà "serio?"

Il toscanaccio Roberto arriverà alle 22.15. Il festival, come sempre e com'è logico, non lo "usa" subito ma lo tiene in serbo oltre le 22 per tener su gli ascolti. Riserbo su cosa dirà. Sarà un intervento sui 150 anni d'Italia: le agenzie parlano di un taglio "serio". Ma non si può mai dire, con il comico di Vergaio.

Bella ciao con il Popolo viola davanti all'Ariston

"'Bella Ciao' non è stata inserita tra i brani che stasera celebreranno i 150 anni dell'Unità d'Italia e mi fa piacere se la cantano fuori dall'Ariston. Se passo la canto pure io". Gianni Morandi voleva la canzone simbolo della Resistenza, non ha potuto inserirla in scaletta, e in conferenza stampa si dice d'accordo con il Popolo viola che ha deciso di cantare oggi fuori dal Teatro Ariston la canzone partigiana esclusa dalla serata di oggi sui 150 anni dell'unità d'Italia.

Luca & Paolo: essere dopo Benigni è come porno dopo Siffredi

A Luca Bizzarri e Paolo Kessisoglu piacerebbe "un'Italia in cui si possa scherzare su tutti". Lo hanno detto durante la conferenza stampa di oggi del Festival di Sanremo a proposito della satira. E riguardo alla presenza di Benigni stasera: "Ubi maior minor cessat. Abbiamo rivisto la scaletta: sarebbe stato come fare un film porno dopo che lo ha fatto Rocco Siffredi", scherza Luca Bizzarri. E annunciano un omaggio a Giorgio Gaber "simile a quello di ieri per Ric e Gian".

Lega: ridate Van De Sfroos a Lago di Como

Per una volta la Lega Nord non ha tutti i torti, anche se i parlamentari avrebbero altro di cui occuparsi. I deputati Nicola Molteni e Davide Caparini hanno fatto appello alla Rai di avvisare i telespettatori di risintonizzarsi dopo il guasto di ieri sera al ripetitore di Sommafiume che ha lasciato al buio il lago di Como durante l'esibizione di Davide Van De Sfroos. Il Carroccio insiste nel volersi appropriare del cantautore che a Sanremo partecipa con una canzone in comasco. Lui però ha fatto una versione scritta del testo in molti dialetti italiani dal nord al sud.

Gli allibratori: Emma e Modà primi, sale Vecchioni

Gli allibratori puntano sempre su Emma e i Modà come possibili vincitori, ma come secondo indicano Roberto Vecchioni e il suo brano "Chiamami ancora amore", seguito da Nathalie mentre risulta in calo Giusy Ferreri, ora quarta per gli scommettitori. Quinti la coppia Barbarossa-Del Rosario.

17 febbraio 2011

 

 

2011-02-04

La rabbia dei leghisti sul web colpisce Bossi

"Bugiardo, vuole una poltrona accanto al faraone"

di Giuseppe Rizzo | tutti gli articoli dell'autore

sgommati sky bossi fini

Agli occhi di Berlusconi è un successo, a quelli di Bossi un moderato passo avanti, a quelli della base padana una iattura infinita. Il pareggio, e quindi la sostanziale bocciatura, del federalismo fiscale dei comuni in Bicamerale ha fatto andare su tutte le furie i militanti del Carroccio. E non è bastato neanche il Consiglio dei Ministri straordinario convocato da Berlusconi per scavalcare lo stop del Parlamento per calmarli. Sui blog, sulle pagine Facebook dei dirigenti nazionali, tra i commenti agli articoli della Padania on line, nelle trasmissioni di Radio Padania Libera e di TelePadania è esplosa tutta la loro rabbia.

Obiettivo principale, il Senatur in persona. "Bossi sta diventando più bugiardo di Berlusconi – scrive Fabio sul sito del giornale di partito –. Se non passa il federalismo si va subito al voto. Ed ora che si fa? Noi della Lega stiamo perdendo sempre più fiducia nel grande capo! Bisogna staccarsi dal grande puttaniere". E Gianni Baggini rincara la dose: "Berlusconi = Mubarak, e Bossi vende i vostri voti in cambio di una poltrona calda nel palazzo del faraone". Militanti come Fabio e Gianni, appena possono, dimostrano di avercelo più duro dei loro capi, il concetto di federalismo. Si sentono traditi, inascoltati: "Sono emiliana, ho sempre pensato che il popolo leghista avesse voce in capitolo, fosse anzi l'unico motore della Lega. Chiaro che non è così, grandissima la delusione, Bossi ha i numeri per poter staccare la spina a questo governo infame e vincere sul campo alle elezioni. Se fa in fretta, però. Se invece continua a incassare e a fare da scudo a un premier che sta tirando gli ultimi e che non è più difendibile la Lega i voti li perde. A cominciare da quelli delle donne padane".

Rivendicano quel voto che fino a qualche giorno fa Bossi minacciava, spada di Alberto da Giussano in una mano e sigaro in un'altra. "Che figuraccia, tanti bla bla bla, - scrive Umberto, sempre tra i commenti della Padania on line – noi non abbiamo paura del voto, l'unica soluzione è il voto, ma siccome il voto a Berlusconi faceva paura gli abbiamo parato il culo. Ora dopo gli ultimi comportamenti abbiamo mangiato tutto il credito elettorale che avevamo guadagnato a vantaggio del PdL. Ma mi spiegate perché io che ho la tessera della Lega e credevo che la Lega avrebbe fatto da controllore di Berlusconi, invece mi ritrovo una Lega che avvalla tutte le [XXX]te di Berlusconi, a questo punto mi conviene tesserarmi col PdL".

E hanno voglia Tremonti, Calderoli e via via tutti i leader del Carroccio a dire che l'approvazione del decreto, seppure per vie così tortuose, è "una svolta epocale". Sui loro profili Facebook i militanti la pensano in maniera diametralmente opposta. Su quello di Roberto Cota, per esempio, Giovanni Pau scrive: "Come al solito il maiale di Arcore ha fatto solo i suoi interessi e continua a prenderci per il c.....col federalismo bloccato. In più pure la Lega non volendo ammettere la sconfitta finge che ci sarà un altra via!!! Le bugie hanno le gambe corte, il voto non ve lo diamo più! A meno che non si vada subito al voto ma con la Lega in solitario!" Gli fa eco Maurizio De Berardi sulla bacheca di Luca Zaia: "Cosa aspettiamo a mollare il porco di Arcore??? Ne abbiamo piene le scatole di lui e le sue puttanelle... Maroni premier ora o mai più!!!".

Maroni premier è il grido di battaglia che accomuna molti militanti. Alessandro Buccelli lo mettere nero su bianco sulla pagina dello stesso ministro dell'Interno: "Dovevamo dare un calcio in culo al maiale di Arcore e Maroni premier o elezioni subito!!! Basta coprire quel puttaniereeeee!!!!! Bossi aveva detto elezioni subito!! Che delusione!!! Che schifooo".

Ai peana nei confronti della "svolta storica", gli ascoltatori di Radio Padania Libera e di TelePadania, i lettori del giornale di partito e gli internauti che animano blog e pagine facebook verde-carroccio contrappongono una definizione del decreto sul federalismo approvato tutt'altro che lusinghiera. Di "federalismo alla pummarola", parlano, una pietanza che gli da immediatamente il voltastomaco.

4 febbraio 2011

 

 

 

Il Colle: federalismo irricevibile. Bossi lo chiama

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"Non sussistono le condizioni per procedere alla richiesta di emanazione, non essendosi con tutta evidenza perfezionato il procedimento per l'esercizio della delega previsto dai commi 3 e 4 dall'art. 2 della legge n. 42 del 2009 che sanciscono l'obbligo di rendere comunicazioni alle Camere prima di una possibile approvazione definitiva del decreto in difformità dagli orientamenti parlamentari".

Lo si legge in una lettera che Giorgio Napolitano ha inviato a Silvio Berlusconi.Dopo la forzatura voluta da Umberto Bossi, che ha imposto il federalismo con un decreto lampo in Consiglio dei Ministri, il Quirinale respinge al mittente il testo del centrodestra.

Subito dopo, c'è stata una lunga e cordiale telefonata tra il Ministro per le Riforme per il Federalismo Umberto Bossi e il Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano. Il Ministro Bossi ha preso il duplice impegno di andarlo a trovare al Quirinale, la prossima settimana e, come preannunciato dal Ministro Calderoli, in conferenza stampa, si recheranno nelle aule parlamentari a dare comunicazioni sul decreto sul federalismo fiscale municipale.

4 febbraio 2011

 

Schiaffo alla democrazia, Berlusconi allontana voto

di Ninni Andriolo | tutti gli articoli dell'autore

bossi

"Con me 316 deputati su 630. Avete visto? La maggioranza tiene. Si è allargata anzi...". Berlusconi non partecipa alla conta di Montecitorio sul caso Ruby. Ma "l’ottava fiducia da settembre in poi" che amplia di un voto - di due con l’astensione del Fli Barbareschi - le cifre su cui poggiava l’asse Pdl-Lega, annebbia le ricadute politiche dello stop inferto ieri al federalismo dalla commissione bicamenale.

Che - con un 15 a 15 - ha bocciato il parere di maggioranza su uno dei decreti della riforma prediletta dalla Lega. "Chi conosce il regolamento, sa che un pareggio significa respinto e non c'è un testo alternativo - sostieneil presidente della Camera, Gianfranco Fini - Siamo in una situazione senza precedenti".

Per superare l’impasse premier e Senatur non si sono fatti scrupoli e hanno messo il Parlamento fuori gioco. Già ieri mattina - durante un vertice convocato dopo il no della bicamerale - Berlusconi aveva garantito a Bossi un Consiglio dei ministri straordinario per "sanare la situazione".

"Andiamo avanti lo stesso, la legge lo consente", aveva esortato il Cavaliere. Grazie a questa rassicurazione Bossi aveva riposto nel cassetto la minaccia di crisi di poche ore prima. "Non penso ci sarà un ritorno immediato alle urne", aveva corretto il leader della Lega dopo un vertice con il Presidente del Consiglio, convocato in seguito allo stop al decreto sul fisco municipale.

"Berlusconi vuole vedere l'esito della votazione sul caso Ruby", aveva chiarito. E il premier, nel pomeriggio, si dichiarava "soddisfatto" per "quei 316 e passa" che avevano rispedito alla procura di Milano la richiesta di perquisizione degli uffici del suo amministratore privato, citato più volte dalle ragazze che frequentavano le notti di Villa San Martino.

"Avevo garantito a Bossi i numeri per andare avanti e i fatti mi hanno dato ragione", spiegava il Cavaliere ai suoi dopo il risultato della Camera. A Palazzo Grazioli adesso si fanno i conti: 315, più il voto non espresso dal premier "per motivi di opportunità", più l’astensione di Luca Barbareschi, più l’assenza dall’Aula dell’ex Mpa Latteri, più quella del finiano Rosso, più quella dei liberaldemocratici, Tanoni e Melchiorre.

Dai "4 agli 8 nuovi ingressi nel centrodestra - spiegano i fedelissimi - Altri ne arriveranno". Le elezioni anticipate? "Si allontanano - assicurano - Tutto dipenderà solo dagli sviluppi del caso Ruby".

La maggioranza ottenuta ieri sera alla Camera, e preventivamente annunciata a Bossi, aveva permesso a Berlusconi di garantire alla Lega che "una soluzione" per il fisco municipale si sarebbe trovata anche con un decreto legislativo. Bicamerale bypassata e cancellata? Parlamento mortificato?

Per evitare il voto anticipato e rabbonire Bossi, Berlusconi ha dato via libera al colpo di mano sul federalismo. Nonpiù tardi dell’altro ieri lo stesso premier aveva incensato l’appello di Napolitano per riforme condivise.

Sul caso Ruby, poi, il Cavaliere ha costretto il Senatur a prendere atto che "la maggioranza possiede i numeri per andare avanti". Trecentoquindici voti contro 298: la Camera non ha autorizzato la procura di Milano a perquisire l’ufficio dell’amministratore privato del Cavaliere.

Esito dato per scontato dal Pdl, quest’ultimo. Da giorni si annunciavano "nuovi arrivi " nella magigoranza. E ieri è stato l’ex Mpa, Aurelio Misiti, a regalare al Cavaliere la prima stampella "scoperta " che serviva a tenere buono Bossi e le suggestioni di Maroni sul dopo Berlusconi.

Adesso "la legislatura potrà andare avanti - spiegano gli uomini del Cavaliere - il voto anticipato è stato scongiurato". Le incognite, tuttavia, riguardano l’inchiesta milanese che vede il premier indagato per sfruttamento della prostituzione minorile e concussione. Se venisse accolta dal gip la richiesta di rito immediato? L’eventualità viene considerata alla stregua di un "golpe" dai berluscones. Il Cavaliere "perseguitato", a quel punto, "potrebbe scegliere lui le urne, rivolgendosi al popolo".

4 febbraio 2011

 

 

Il premier: l'Italia è una Repubblica giudiziaria

berlusconi minaccioso

"Assistiamo a questa vergogna", ormai "ormai siamo una Repubblica giudiziaria, commissariata dalle Procure". Così il presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi, al suo arrivo al vertice europeo ha risposto ai cronisti che gli chiedevano dei processi.

Il premier parla anche di federalismo: "Penso e spero di no". Il premier Silvio Berlusconi, al suo arrivo al Consiglio europeo, ha risposto così ai cronisti che gli chiedevano se temesse problemi con il Quirinale dopo il varo del decreto sul federalismo.

E sull'opposizione dice: "Siamo sfortunati. Abbiamo ancora una opposizione non socialdemocratica che vota sempre contro, che dice sempre no a tutte le proposte della maggioranza e va contro gli interessi del Paese".

4 febbraio 2011

 

 

Bossi si rimangia il voto, i lumbard

s’arrabbiano: "Stacchiamo la spina"

di Andrea Carugati | tutti gli articoli dell'autore

bossi

Alla fine di una giornata lunga e nerissima, la peggiore per la Lega da quando nel 2006 il referendum cancellò la devolution, Umberto Bossi riesce persino a cantare vittoria. Ha imposto a Berlusconi di approvare seduta stante il decreto sul fisco municipale, con un consiglio dei ministri straordinario in serata. Per mettere una toppa sulla bocciatura del decreto da parte della Bicamerale. A ora di pranzo il pareggio in commissione,15 a 15: decreto bocciato, dicono i regolamenti. Bossi, Tremonti e Calderoli escono nervosi da San Macuto, senza fiatare. Le avevano provate tutte per ottenere il via libera: minacce e lusinghe, trattative a oltranza e diktat. Maroni a fare la parte del cattivo, Calderoli a tessere la tela col finiano Baldassarri. Persino un vertice tra Bossi e l’odiato da Fini ieri in mattinata, prima del voto, per convincerloalmeno a un’astensione. Persino un tentativo disperato di votare il decreto a pezzi, per camuffare la bocciatura, subito stoppato dalle opposizioni. LA RABBIA DEI MILITANTI Dopoquel 15a 15, la situazione si mette molto male per il Carroccio. La base in rivolta, strali contro Berlusconi, inviti a Bossi, quasi ultimatum: "Coraggio, stacca la spina". Un diluvio di rabbia, su Radio Padania, sul web, sui profili Facebook dei dirigenti. Ancora inni alla secessione, delusione per i vent’anni senza risultati. Persino inusuali critiche a Bossi: "Gli elettori sono stanchi delle prese in giro". A Roma i "padani" nonsanno che pesci prendere. Deputati senza bussola, girandola di vertici tra Bossi e Berlusconi e Tremonti. Fino alla decisione di unConsiglio dei ministri straordinario. Un colpo di mano, senza dubbio. Uno schiaffo al Parlamento. Ma Bossi non vuole sentire ragioni. Aspetta il voto della Camera su Ruby e poi tutti a palazzo Chigi. Se ne esce dopo un’oretta con lo scalpo in mano: "Decreto approvato definitivamente, i soldi restano sul territorio, la Lega mantiene le promesse". IL BLUFF DEL SENATUR Una toppa, senza dubbio. E anche piuttosto dozzinale. Un modo per far durare la sconfitta leghista solo qualche ora. Bossi aveva giurato che se non c’erano i numeri sul federalismo si tornava alle urne. Lo aveva detto anche la notte scorsa, dopo un vertice con Berlusconi. Ma era un bluff. Che non ci sarebbe stata crisi lo si era capito da giorni. E ieri ha fatto outing: "Elezioni? Non penso, ora vediamo". E ancora, dopo il voto su Ruby: "I numeri sono buoni, per ora si va avanti". Il Senatur fa retromarcia, e in cambio ottiene il decreto lampo, per dire ai suoi che il federalismo è passato. Ma la falla non si chiude. Tra i leghisti non mancano i dubbi. Molti pensavano che fosse assai più opportuno passare almeno da un voto della Camere, per sanare il no della Bicamerale. A metà pomeriggio un capo leghista ha la faccia scura: "Si va verso in Cdm straordinario, speriamo che il Quirinale dia l’ok al decreto. Ma è un casino". Il macigno peggiore è il "lodo Maroni": dopo il voto del 14 dicembre, il ministro aveva iniziato a ragionare sulla urne a primavera, e si era pure lasciato scappare la data in una chiacchiera con Vendola in Transatlantico: 27 marzo. Bossi ci pensava,mariteneva che la minaccia delle urne fosse sufficiente per indurre Pd e Terzo polo a miti consigli sul federalismo. Per questo aveva caricato il voto di ieri di un significato politico altissimo, persino sproporzionato. Poi il caso Ruby ha cambiato tutto, ha ridato fiato alle opposizioni, e il Senatur è rimasto prigioniero del suo bluff. Non Maroni, convinto che occorra votare, magari con un nuovo candidato premier. Ieri "Bobo" è stato quieto, ma non cambia idea. E la base è con lui.ARadio Padania il filo diretto con i militanti è un Calvario: "È evidente che con Berlusconi non c’è nessun federalismo possibile. Bisogna rottamare il governo prima che quello rottami la Lega". "Se non stacchiamo la spina perdiamo voti ". "Berlusconi game over". Sui profili Facebook dei capi va ancora peggio: "Basta abbassare la testa - scrive Lorella al deputato Caparini -. Berlusconi ci ha fottuti tutti. Ringraziamolo per folleggiare con minorenni, grazie a tutto questo polverone il federalismo oggi diventerà un miraggio". Secessione, autonomia, annunci di divorzio: "Basta alleanze con i partiti italioti, andate via da Roma altrimenti non vi voto più". Invano i dirigenti cercano di calmare gli animi. "Schiavi di Berlusconi. Ecco quello che sono i nostri", attacca Danilo. Bossi per ora ha scelto il male minore del decreto lampo. Ma con Fini, e poi con Casini, i capi leghisti ragionano apertamente di un dopo Berlusconi. "Se dovessero arrivare altri macigni sul caso Ruby", è la premessa. Bossi aveva già parlato con Fini a novembre diun "patto di legislatura", garantendo al premier un salvacondotto giudiziario. Contatti anche col Pd, ma Bossinon accetta la condizione di mollare Berlusconi. E rischia di restare appesa al destino del Cavaliere.

4 febbraio 2011

 

 

 

 

 

 

2011-02-03

No a Federalismo, Fini: "Sostanzialmente respinto"

bossi berlusconi pensierosi 640

FEDERALISMO, LA DIRETTA

FINI: È UNA BOCCIATURA MERITO

"Ci troviamo in una situazione senza precedenti". Così il presidente della Camera Gianfranco Fini commenta la bocciatura della Bicamerale sul federalismo. "La Bicamerale - dice Fini intervenendo al convegno del Forum del Terzo Settore dedicato proprio alla sussidiarietà e al nuovo modello sociale - ha sostanzialmente respinto il parere governativo in materia di federalismo fiscale: in caso di pareggio infatti esso si intende respinto, e non c'è spazio per nessun altro parere alternativo". Fini lega il tema al ruolo del Forum del Terzo Settore, ricordando che la ridefinizione dei poteri locali "pone delle questioni al dibattito politico e agli operatori del terzo settore, e carica di nuove responsabilità gli amministratori locali". Ma su questi temi, che riguardano concretamente settori ampi come i servizi sociali e la sanità, "credo che occorra concentrarsi - dice Fini - deponendo le bandiere di parte" e pensando al bene generale. "Ecco perchè - afferma - condivido l'opinione di chi sostiene che il risultato di oggi non è conseguenza di un gioco delle appartenenze politiche, ma solamente di una valutazione nel merito del provvedimento". Il che spiega, dice Fini, "perchè anche due forze che inizialmente hanno sostenuto e che ancora oggi sostengono in termini culturali il federalismo si sono trovati obbligati ad esprimere il proprio diniego".

MARTINA (PD): BLOCCATO AUMENTO DELLE TASSE

"Il voto della Commissione Bicamerale ha bloccato un decreto che nascondeva tra i suoi effetti principali un aumento delle tasse verso imprese e cittadini, assai pesante. E non è un caso che proprio diverse realtà dell'impresa e del mondo produttivo anche del nord, in questi giorni, abbiano lanciato un allarme forte e chiaro su questo rischio concreto, denunciandone i limiti e i problemi evidenti". È quanto osserva Maurizio Martina, segretario Pd della Lombardia, che invita la Lega a "prendere atto di questa sconfitta politica e a essere coerente con le cose che ha detto per settimane. La maggioranza ammetta di non essere più in grado di governare. Una vera riforma federalista è necessaria e noi la vogliamo per rendere davvero più efficiente il sistema pubblico e le decisioni delle Istituzioni. Ma il federalismo vero- chiude Martina- non si fa a colpi di propaganda o con qualche semplice intervista, come spesso qualcuno ha voluto far credere".

BOCCHINO: PARI NUMERICO, MA SCONFITTA POLITICA

"È stato un pareggio numerico ma una sconfitta politica". Lo dice il capogruppo Fli alla Camera, Italo Bocchino, parlando con i cronisti del voto in bicamerale sul federalismo.

BERLUSCONI A BOSSI, NESSUNA RETROMARCIA

Il governo non arretra sul federalismo. È questa la posizione emersa al termine del vertice tra Pdl e Lega a palazzo Grazioli. Si va avanti, nessuna retromarcia, non facciamo precipitare la situazione, il federalismo è una riforma prioritaria per l'azione dell'esecutivo, è l'invito rivolto da Berlusconi a Umberto Bossi. Il presidente del Consiglio, riferisce chi ha partecipato all'incontro in via del Plebiscito, ha spiegato al 'Senatur' che la maggioranza ha i voti per poter proseguire la legislatura.

BOSSI, NON PENSO SI VADA AL VOTO

"Non penso". Così Umberto Bossi ha risposto ai giornalisti che, davanti alla Camera, gli chiedevano se si andrà al voto.

CALDEROLI, CHE SUCCEDE ORA? LO DECIDIAMO INSIEME

Dialogo sui divanetti di fronte alla commissione Bilancio della Camera tra alcuni componenti del Pd e il ministro della Semplificazione Roberto Calderoli dopo che la commissione bicamerale ha bocciato il decreto del federalismo fiscale sul fisco municipale. "Che succede - chiede Sergio D'Antoni al ministro, riferendosi alla tenuta del governo - andate avanti?". "Non lo decido io - replica il ministro leghista - lo decidiamo insieme". Ai cronisti che gli chiedono che accadrà tecnicamente dopo la bocciatura del parere sul fisco comunale oggi in bicamerale, Calderoli replica: "decideremo", e osserva che comunque "è stato respinto un parere, non il dcereto".

SERENI (PD): SE VOGLIONO RIFORME SI FERMINO

"Il risultato della Commissione Bicamerale sul federalismo fiscale conferma lo scenario che avevamo previsto. Berlusconi non è in grado di far approvare in Parlamento il decreto sul federalismo municipale, non ci sono le condizioni politiche per una riforma coerente con la legge sul federalismo fiscale alla quale il Pd ha contribuito in modo essenziale". Lo afferma Marina Sereni del Pd. "Il fatto che il presidente della Commissione Bilancio Giorgetti, esponente della Lega, abbia preso atto che non c'è più il decreto su cui esprimere il parere è la testimonianza più evidente della situazione di stallo in cui la mancanza di credibilità di Berlusconi ha portato l'azione di governo. Si dimetta e lasci che altri guidino il Paese fuori da questa paralisi".

MURA (IDV): SCONFITTA DURISSMA PER GOVERNO

"Con la bocciatura del parere sul federalismo l'opposizione pareggia con un solo colpo le mezze vittorie riportate in questi mesi dalla maggioranza grazie alla campagna acquisti dei parlamentari. Poichè ancora una volta la Lega fallisce il suo obiettivo fondamentale è evidente che da oggi inizia un'altra storia per il governo e per la stessa legislatura". Lo dichiara Silvana Mura, deputata di Idv.

Chiti, bocciatura non politica, ma di merito

"L'elemento che non ha fatto approvare il decreto sul federalismo municipale non è politico: il decreto non va bene nel merito. Io sono un federalista fortemente convinto. Ma questo decreto fa acqua da tutte le parti: introduce una patrimoniale sulle seconde case e soprattutto sulle imprese, stabilisce una assurda distinzione di fatto tra i comuni turistici e quelli a densità abitativa, accentua il divario tra nord e sud". Così il vice presidente del Senato Vannino Chiti.

Zoggia (PD): Sbagliato e gravissimo andare avanti

"Sarebbe uno strappo gravissimo se il governo volesse andare avanti, si tratterebbe di un atto di forza inaccettabile. Il giudizio della bicamerale è tecnico e politico. Il provvedimento è stato bocciato perchè non raggiunge i suoi obiettivi principali, non assicura l'autonomia degli enti locali, non innesca meccanismi virtuosi, non trasferisce competenze e soprattutto agisce con meccanismi che determinano un incremento delle tasse e gravi sperequazioni territoriali". Lo afferma Davide Zoggia, responsabile enti locali del Pd, per il quale "è chiaro che questo governo è al capolinea e che non riuscirà mai a fare nessuna riforma sia essa federale o di altra natura. Si apra quindi la crisi. Il federalismo come sa bene la Lega è una riforma importante per il paese. Noi siamo disponibili a lavorare per dare forma e sostanza necessarie per farne un riforma che assicuri crescita ed autonomia. Chi vuole dimostrazioni muscolari- chiude- è interessato solo alla sua sopravvivenza. Così non si va da nessuna parte. Se invece si scelgono gli interlocutori giusti si può operare per un vero cambiamento".

Urso: la maggioranza non è solida. Ne prendiamo atto

"L'impianto non stava in piedi, era malfatto, è rimasto tale e non poteva essere votato". Lo afferma il coordinatore di Fli, Adolfo Urso, commentando l'esito del voto sul federalismo in commissione. Un esito che Urso definisce "importante anche sul piano politico: a dicembre c'era stato l'accordo tra Bossi e Berlusconi sulla base che entro gennaio ci sarebbe stata una maggioranza solida. Siamo a inizio di febbraio e la maggioranza non si è allargata, non è solida, il federalismo si è bloccato. Ne prendano atto".

Pistorio (MPA): questo Governo va archiviato

"Oggi il governo ha subito una forte battuta d'arresto su un progetto di federalismo che non ci piace. L'Mpa aveva votato favorevolmente alla legge delega perchè immaginavamo un federalismo equo e solidale che rendesse responsabili i territori e garantisse un processo di coesione nazionale, purtroppo però così non è stato". Lo dice il senatore Giovanni Pistorio, presidente del gruppo Misto a Palazzo Madama ed esponente del Movimento per le autonomie. "Il progetto federalista messo in campo da questo governo, che con la sua azione in questi anni ha ulteriormente allargato il divario tra Nord e Sud, rischia di lacerare il Paese- aggiunge Pistorio- facendo del governo centrale un arbitro non imparziale del destino dei territori. Un governo che in questi anni non ha certo dato buona prova di sè e che dev'essere archiviato".

Chiamparino: Evitato il peggio, attendiamo risposte

Sul Federalismo municipale il lavoro dell'Anci ha evitato il peggio ma restano ancora aperte due questioni. Questo il senso dell'intervento del presidente dell'Anci e sindaco di Torino, Sergio Chiamparino, dopo il pareggio sul decreto in commissione bicamerale. "Il voto - ha detto - è espressione della sovranità del Parlamento e noi lo rispettiamo. Per quanto ci riguarda ci sono due questioni sulle quali, qualunque sia il percorso, c'è bisogno che Governo e Parlamento diano risposte". Chiamparino ha ribadito quindi le richieste dell'associazione dei Comuni: "I Comuni hanno bisogno di autonomia fiscale, perché siamo quasi l'unico paese al mondo in cui non ce l'hanno; in secondo luogo, abbiamo bisogno di un pò di ossigeno per i bilanci 2011". In merito poi ai risultati della trattativa con il Governo che ha portato ad alcune modifiche del decreto, il presidente dell'Anci ha spiegato: "Non siamo stati così bravi, a cominciare da quando non siamo riusciti ad opporci con forza ai tagli, anche se bisogna tenere conto del contesto di crisi e di debito pubblico. Mettendo insieme la nostra sufficienza con il contesto possiamo dire di aver evitato il peggio".

Verdini: il Governo andrà avanti

"Il governo va avanti". Lo afferma Denis Verdini, coordinatore del Pdl, lasciando Palazzo Grazioli, dove è in corso un vertice tra Lega e Pdl, dopo il voto sul federalismo municipale.

Bunetta: È solo un parere, il Governo andrà avanti

"Il governo andrà avanti assolutamente". Così il ministro della Funzione pubblica, Renato Brunetta, ha commentato la battuta d'arresto in Commissione bicamerale sul federalismo fiscale. "Era ampiamente previsto - ha sottolineato Brunetta - è ovviamente un parere e l'Anci pare sia d'accordo". Quindi, ha concluso, "il governo andrà avanti".

Bersani: ora il governo si fermi

"Adesso ci si fermi, non ci sono condizioni nè giuridiche nè politiche per andare avanti. Berlusconi e Bossi prendano atto della situazione. Si creino condizione politiche nuove per un nuovo federalismo". Così Pier Luigi Bersani ha commentato la bocciatura del decreto sul federalismo municipale.

Vertice di maggioranza a Palazzo Grazioli

È in corso a palazzo Grazioli un vertice di maggioranza presieduto dal premier Silvio Berlusconi. Dopo il pareggio in commissione bicamerale sul federalismo, a palazzo Grazioli sono giunti i vertici della Lega guidati da Umberto Bossi, insieme al ministro dell'Economia Giulio Tremonti al titolare delle Infrastrutture Altero Matteoli e al presidente della Commissione bicamerale, Enrico La Loggia. Per il Carroccio sono presenti anche il ministro per la Semplificazione, Roberto Calderoli, la vicepresidente del Senato, Rosy Mauro e il capogruppo a palazzo Madama, Federico Bricolo. A via del plebiscito era già riunito da oltre due ore tutto lo stato maggiore del Pdl.

Alemanno: urge confronto nel centrodestra

L'esito del voto della Bicamerale "non credo che porterà ad una crisi di governo, però credo fermamente che a questo punto sia necessario avviare un confronto politico sulla situazione all'interno del centrodestra": è quanto ha riferito il sindaco di Roma e vicepresidente dell'Anci, Gianni Alemanno, al termine dei lavori del Consiglio nazionale dell'Associazione dei Comuni.

Pd: governo apra la crisi

"Si è dimostrato che il governo non ha la maggioranza per approvare il federalismo. Ora il governo apra la crisi". Lo afferma Francesco Boccia, deputato del Pd, lasciando Palazzo San Macuto al termine del voto sul federalismo municipale.

La Loggia: avanti con decreto

"Adesso si va avanti a fare il decreto". Così il presidente della Commissione Bicamerale per il federalismo fiscale, Enrico La Loggia, replica ai cronisti che gli chiedono se adesso si andrà alle urne dopo che è stato bocciato con un 15 a 15 il parere della commissione bicamerale per il federalismo fiscale sul fisco municipale. "Andiamo avanti", sottolinea La Loggia. A chi gli chiede se si andrà avanti sul decreto originario oppure su quello che era contenuto nel parere della Bicamerale La Loggia replica: "Andiamo avanti su quello modificato perchè ha già ricevuto l'ok della commissione Bilancio del Senato".

Baldassarri: ancora è poco

Baldassarri che stamattina è stato ricevuto dal presidente del consiglio, silvio berlusconi, alla prima votazione su un emendamento del pd si è astenuto, mentre il terzo polo ha votato a favore. sugli altri emendamenti baldassarri ha votato insieme al polo centrista. ai giornalisti che facevano presente come il governo avesse accolto due sue proposte su tre, baldassarri ha risposto che "ancora è poco. sul fondo a favore degli inquilini non sono state indicate le cifre. io voglio almeno un miliardo altrimenti non va bene". la terza proposta, quella dell'applicazione dell'imu anche sulla prima casa, scalandola poi dall'irpef, sarebbe considerata dal governo assolutamente non accoglibile.

La Loggia: abbiamo accolto 2 proposte su 3 di Baldassarri

"Ci sono alcuni punti importanti che sono oggetto di approfondimento, in particolare alcune proposte del senatore Baldassarri al quale va dato atto di grande lungimiranza e del quale sono state accolte almeno due proposte su tre: il fondo ad hoc per gli inquilini e la compartecipazione all'Iva anzichè all'Irpef che sarà calcolata secondo le quote provinciali, abitante per abitante, e per la quale va trovato un aggancio tecnico-numerico nel periodo transitorio". Lo ha detto il presidente della commissione bicamerale per il federalismo fiscale, Enrico La Loggia, durante la sospensione dei lavori sul decreto sul fisco municipale. Impossibile, invece, accogliere quella sull'Imu sulla prima casa: "si tratta di una scelta politica" ed il governo non è disponibile a riproporre una tassazione sulla prima casa.

Pdl: è solo un parere consultivo, si va avanti

"È solo un parere consultivo, il governo può tranquillamente andare avanti con il decreto sul federalismo. Lo dice lasciando Palazzo San Macuto, il vicepresidente della Camera Antonio Leone (Pdl)

Federalismo: è pareggio, testo respinto

È finito 15-15 il voto della 'bicameralinà chiamata a esprimere il suo parere sul decreto per la fiscalità municipale. E, secondo l'articolo 7 del regolamento della Commissione, il decreto dunque si intende respinto, almeno in commissione. Si legge infatti nel Regolamento: "Le deliberazioni della commissioni sono adottate a maggioranza dei presenti, considerando presenti coloro che esprimono voto favorevole o contrario. In caso di parità di voti, la proposta si intende respinta".

 

Baldassarri: sono contrario, continuità con Visco

"La mia valutazione su questo provvedimento non può essere positiva". Lo dice il finiano Mario Baldassarri, durante le dichiarazioni di voto in corso alla Bicamerale sul federalismo. Baldassarri si rivolge ai colleghi sottolineando "profondo rammarico e speranza che il decreto si possa ancora riequilibrare". Baldassarri punta il dito sl rischio "dell'aumento della pressione fiscale, su una cedolare secca scoperta o sull'autonomia dei Comuni che di fatto diminuisce". Il senatore finiano attacca anche Tremonti che lo ascolta: "Capisco la continuità con Visco ma non si può dire che questo federalismo abbassi le tasse, lo slogan del provvedimento è più tasse per tutti e non si può ribaltare".

La Loggia: in corso contatti per esito positivo

"Sono in corso contatti che potrebbero portare a un esito positivo del voto". Così il presidente della Commissione bicamerale per il federalismo, Enrico La Loggia, intervenuto a Radio 24, ha parlato di una situazione ancora aperta in vista del voto finale previsto per oggi. "Non trattiamo solo con Baldassarri- ha aggiunto La Loggia- certo con lui ci siamo parlati. Le sue proposte sono molto buone, si tratta solo di conciliarle con il resto del testo e con i limiti che il testo visto che non si può andare oltre i limiti della legge delega. Con chi altro stiamo trattando? Lasciatemi un minimo di riservatezza ma con altri componenti della commissione di diversi gruppi politici sono in corso contatti che potrebbero portare a un esito positivo al voto. Tanto mancano poche ore...". Nella commissione bicamerale al momento il voto sul federalismo vede i parlamentari divisi, 15 a 15: "Al momento la situazione vede un pareggio- ha aggiunto La Loggia- anche se le ultime modifiche al decreto su iniziativa del ministro Calderoli e su iniziativa mia lasciano sperare in qualche ripensamento". In caso di pareggio, secondo La Loggia il governo potrebbe comunque andare avanti: "Se c'è pareggio il parere sarebbe respinto. Se il parere è respinto, non c'è un parere. Questa è l'interpretazione più corretta. E la legge prevede che in mancanza di parere il governo possa comunque procedere, perciò in questo ha ragione Berlusconi". Poi una battuta sui malumori della Lega: "Che ci sia una situazione numerica di questo tipo non lo scopriamo nè ieri nè dall'altro ieri ma da quando si è costituito il gruppo di Fli- ha concluso La Loggia- ai leghisti voglio dire che la situazione è conosciuta da tempo. Finora la commissione è riuscita grazie al sereno confronto a restare fuori dalle grandi polemiche politiche. È ovvio che se ora a prescindere dal testo, seppure fosse scritto a lettere d'oro con tutti soddisfatti, permanesse una pregiudiziale politica, allora il discorso è diverso. C'è il rischio che qualcuno voglia prendere a pretesto la situazione? Mi pare di un'evidenza solare".

Inizia il voto: Lanzillotta no, SvP sì

Iniziano le dichiarazioni di voto sul decreto in materia di fisco comunale, nella Bicamerale per il federalismo. Linda Lanzillotta (Api) ha annunciato il suo voto contrario , mentre la senatrice Svp Helga Thaler ha confermato il suo voto favorevole.

Vertice Pdl

E' iniziato a palazzo Grazoli un vertice con Silvio Berlusconi e lo stato maggiore del Pdl. Sono presenti, tra gli altri, i coordinatori del Popolo della libertà Ignazio La Russa, Denis Verdini e Sandro Bondi, il ministro Franco Frattini, i capogruppo del Pdl Fabrizio Cicchitto, Maurizio Gasparri, con i vice Gaetano Quagliariello e Massimo Corsaro. Con loro anche il sottosegretario alla Presidenza del Consiglio Paolo Bonaiuti. La riunione si tiene mentre è atteso il voto della Bicamerale, previsto per la tarda mattinata.

Bossi vede Fini

Di buon mattino, lontano da sguardi indiscreti, il ministro delle Riforme Umberto Bossi ha varcato la soglia dello studio del presidente della Camera Gianfranco Fini. Un incontro che è servito a fare il punto sulla delicata partita del federalismo. L'incontro, al quale non ha partecipato nessun altro esponente leghista o di Fli, è durato diverse decine di minuti. Poco dopo, il leader della Lega ha risposto in modo sibillino ai cronisti che gli chiedevano se in caso di pareggio nel voto nella Bicamerale si sarebbe tornati alle urne: "Vediamo, vediamo...", si è limitato a dire.

3 febbraio 2011

 

 

Federalismo, pietra tombale. Bersani: vadano via se non passa di Andrea Carugati

di Andrea Carugati | tutti gli articoli dell'autore

calderoli

Un pareggio che vuol dire bocciatura. Il fantasma agitato per settimane dalla Lega, e cioè il no della piccola Bicamerale al decreto sul federalismo municipale, è a un passo dall’avverarsi. Oggi si vota, poco prima dell’una. E l’infinita mediazione di Calderoli è fallita: settimane di limature, non hanno prodotto il risultato sperato dal ministro leghista, e cioè strappare almeno un’astensione alle opposizioni. Finirà, con tutta probabilità, 15 a 15. Di Pietro, corteggiatissimo, alla fine ha detto no, per non concedere aiutini al Cavaliere traballante.

IL NO DEL FINIANO BALDASSARRI

E non è servito neppure l’incontro di ieri a palazzo Grazioli con Calderoli, Berlusconi e il finiano Mario Baldassarri (l’unico di Fli in Bicamerale), per far spostare il voto del rigoroso professore, che fin dall’inizio ha fatto le pulci a un decreto definito "figlio del peggior centralismo". Ieri pomeriggio, dopo la visita dal Cavaliere, le certezze sul voto di Baldassarri scricchiolavano. Persino i "fratelli" del Terzo polo temevano un ripensamento sulla via di Arcore. E invece no. Calderoli le ha provate tutte: ha persino concesso di spostare dall’Irpef all’Iva la compartecipazione dei Comuni, come il professore finiano chiedeva da tempo. Ma lui è rimasto fermo: "Restano gli squilibri che avevamo denunciato". Con un’ultima goccia di veleno per il Carroccio: "Questo decreto non è pienamente federalista". Il Pd ha confermato il suo no annunciato da giorni, in una riunione dei gruppi parlamentari ieri sera con Bersani. Qualche dubbio tra i deputati del Nord, preoccupati che "così la Lega ci massacra". Ma il ragionamento del leader è stato chiaro: il decreto è debole, e "non è il momento di fare sconti a questa maggioranza". "Se sarà pareggio diremo a Pdl e Lega di fermarsi, non ci sono le condizioni politiche e neppure giuridiche per andare avanti", ha detto Bersani. Oggi si vota il fisco municipale anche nelle due commissioni Bilancio di Camera e Senato: mentre a palazzo Madama Pdl e Lega hanno i numeri, alla Camera dovrebbe finire in pareggio, 24 a 24. Seconda bocciatura, dunque. Martedì una deputata veneta del Pd, Simonetta Rubinato, che siede in commissione, aveva manifestato dubbi sul no. Ma, spiegano fonti Pd, "non ci saranno sorprese". IL REBUS DEI REGOLAMENTI Già, ma in caso di pareggio in Bicamerale che succede? Secondo il Pdl il governo può approvare il decreto, "possibilmente nella versione elaborata dalla Bicamerale", spiega Enrico La Loggia, presidente della commissione. Ma le opposizioni non ci stanno: "Possono approvarlo solo nella versione originale varata in agosto, senza le modifiche fatte per avere il via libera dell’Anci", dice Linda Lanzillotta dell’Api. "Altrimenti l’iter deve ricominciare daccapo". E i leghisti pensano a una exit strategy: portare il decreto nelle aule di Camera e Senato e chiedere un voto, che spiani la strada al via libera definitivo del governo. Il presidente La Loggia ha scritto a Fini e Schifani per avere una interpretazione autentica. Ma il dato politico è ormai chiaro: la Lega, che aveva minacciato sfracelli in caso di bocciatura, ha fatto retromarcia. E il D-Day che Bossi e soci avevano minacciato, oggi non ci sarà. Tutt’al più una battaglia a colpi di regolamenti e cavilli, che fanno molto "palude romana" e poco "Linea del Piave".

3 febbraio 2011

 

 

 

2011-02-01

Federalismo, si vota giovedì

Il governo appeso a un filo

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Sul federalismo fiscale, ovvero sulla "bandiera" della Lega, il governo appende le sue sorti. Il ministro all'Interno Roberto Maroni oggi ha avvertito che o passa oppure si va al voto. Il ministro alla Semplificazione Roberto Calderoli invita tutti, a partire da Di Pietro, a un confronto al di là degli schieramenti. Il Pdl cerca di convincere il Carroccio che un eventuale pareggio in commissione bicamerale sul fisco municipale non cambierebbe le cose, visto che il governo può comunque emanare il decreto, ma i leghisti scalpitano e da tempo attribuiscono al voto di giovedì un significato politico che legittima o meno il prosieguo della legislatura.

In più la Camera che si pronuncerà anche sul 'caso Ruby'. Così la riforma che la Lega ha eletto a proprio vessillo è a una impasse. Nella maggioranza si parla di un pareggio nella bicamerale. Lo dicono Maroni ("si preannuncia una parità perfetta tra favorevoli e contrari") e Fabrizio Cicchitto del Pdl ("possibilità concreta di un voto di parità"). Su questa ipotesi è stato chiesto un parere "insindacabile" dei presidenti delle Camere: un eventuale pareggio va interpretato come un parere respinto o non espresso? Da questo dipende la possibilità del governo di portare il decreto in consiglio dei ministri e approvarlo in tempi stretti o passare per le Camere con tempi molto più lunghi. La Lega può quindi decidere di tenere in vita l'esecutivo o meno.

Nel decreto dovrebbe entrare la tassa di soggiorno chiesta dal ministro del Turismo Maria Vittoria Brambilla sulla tassa di soggiorno. Calderoli ha aperto alle proposte dell'Idv per un tetto alla pressione fiscale: "la Lega - ha detto - sulla materia la pensa come Di Pietro, ovvero che le tasse possono essere soltanto ridotte e il federalismo fiscale è uno strumento per poterlo fare".

Ma nel decreto sul federalismo "c'è una vera e propria patrimoniale per imprenditori e artigiani", critica Pier Luigi Bersani. "Berlusconi dovrebbe dare un'occhiata...", consiglia il leader democratico al premier.

31 gennaio 2011

 

 

2011-01-23

Federalismo, rinvio di 7 giorni

Calderoli apre ai Comuni

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Una settimana di proroga per il federalismo fiscale. Il Consiglio dei ministri, riferiscono fonti ministeriali, ha deciso il rinvio di sette giorni dei termini per il voto del parere sul decreto attuativo del federalismo municipale che doveva essere esaminato dalla Commissione bicamerale entro il 28 gennaio.

Il governo ha condiviso le richiese dell'Anci sul federalismo. Ad assicurarlo è il ministro della Semplificazione normativa Roberto Calderoli in una conferenza stampa a Palazzo Chigi dopo la decisione del Cdm di prorpogare di una settimana i termini per il voto sul federalismo municipale. "Con il ministro Tremonti e con La Loggia -dice Calderoli- abbiamo concordato una serie di risposte positive a dei quesiti posti dall'Anci. Ritengo che si sia ricomposta la posizione del governo rispetto alla stessa Anci e che c'è uan sostanziale condivisione delle richieste".

21 gennaio 2011

 

 

 

2011-01-20

Federalismo, il no dei Comuni. Lega: si va avanti

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Il decreto sul fisco municipale ''ha fra l'altro un grave torto: ledere in sostanza l'autonomia dei comuni''. Ne e' convinto il presidente dell'Anci e sindaco di Torino Sergio Chiamparino secondo il quale le problematiche del provvedimento riguardano sia la disciplina transitoria che quella a regime.

Per la prima, secondo Chiamparino, il testo non contiene ''quelle risposte in materia di autonomia piu' volte richieste dall'Anci, che potevano consentire di recuperare anche se parzialmente i tagli alle risorse prodotti nel 2010, come lo sblocco dell'addizionale Irpef, il contributo di soggiorno e la devoluzione dell'incremento di gettito dei tributi immobiliari attribuiti ai comuni''. Per quanto concerne invece la parte a regime, il testo ''contiene ancora troppe incertezze sui tempi e sui valori e cio' non consente una piena valutazione degli effetti che le nuove norme potranno provocare sul territorio''. Da ultimo il presidente dell'Anci ha rilevato la totale mancanza di ''una regolamentazione della perequazione, da cui dipende la tenuta dell'assetto complessivo cosi' come definito dalla legge 42''.

20 gennaio 2011

 

 

2011-01-12

Pd, alla direzione sarà battaglia

Federalismo: gelo con Calderoli

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Giovedì 13 si riunisce la direzione del Pd. Si preannuncia un confronto difficile. Tra Fiat, primarie, alleanze, l'appoggio a Lombardo in Sicilia e altro i temi aperti e discussi sono molti. Ma Bersani incassa una presenza importante: ci sarà Matteo Renzi, assente invece al meeting dei "rottamatori" tenuto a Roma nella giornata di mercoledì 12.

 

Pd, alla direzione sarà battaglia di S. Collini e A. Carugati

Come rilanciare il partito, le primarie, le alleanze, la Fiat, e poi il testamento biologico, l’appoggio a Lombardo in Sicilia e anche le candidature alle prossime amministrative. Al Pd non mancano le questioni da discutere, e la Direzione di domani rischia di consegnare l’immagine di un partito più che plurale, diviso (e le riunioni "di area" organizzate per oggi dai "rottamatori", da quelli di Movimento democratico e da Area democratica sono un primo tassello in questo senso). Così, tra gli stessi Democratici c’è anche chi a mezza bocca confessa di tirare un sospiro di sollievo, ora che tutto lascia pensare che non ci sarà nessun voto anticipato, da qui ad aprile. Troppi i nodi da sciogliere e troppo in salita la strada versounacredibile alternativa di governo, soprattutto ora che l’Udc ha offerto un "patto di pacificazione " alla maggioranza.

BERSANI VEDE FINI

Bersani però non si rassegna all’idea di non riuscire a riorganizzare il campo dell’opposizione. Ieri ha incontrato a Montecitorio Fini, al quale ha chiesto che intenzioni abbia realmente il Terzo polo. Per il leader del Pd in un momento così delicato ci vuole "coerenza" perché il rischio altrimenti è rafforzare Berlusconi, senza garantire nessuna governabilità al paese. Anche nei confronti di Casini il segretario del Pd hausato parole dure, prima la mattina durante la riunione della segreteria e poi la sera davanti alle telecamere del Tg3. "I tatticismi e i tentennamenti tentennamenti di Casini", ha detto ai suoi "possono solo tenere in piedi un governo moribondo e dannoso per gli italiani". E poi, nell’intervista televisiva, ha non solo criticato i "traccheggiamenti quotidiani" del leader centrista, ma ha anche invitato tutti a "prendersi le proprie responsabilità" e a mettere da parte "ogni veto", perché altrimenti il rischio è trovarsi davanti a "un altro decennio berlusconiano, magari con Berlusconi Presidente della Repubblica". L’Udc infatti non solo ha aperto alla maggioranza, ma ha imposto al Pd un aut-aut: scelga, o noi o Vendola e Di Pietro. Un’impostazione del tutto sbagliata per Bersani, che di fronte ai suoi ha assicurato che il Pd incalzerà i centristi, soprattutto sul piano parlamentare, "per dimostrare che è illusorio pensare a un patto di pacificazione con Berlusconi". Parole filtrate all’esternodel quartier generale dei Democratici, e commentate con un sorriso dal leader Udc: "Capisco le esigenze propagandistiche di tutti". Frecciatine, maanche chi come D’Alema non vuole rompere i ponti con Casini fa notare al leader centrista che "l’ostacolo principale a questa pacificazione è rappresentato da Berlusconi".

DIREZIONE MOVIMENTATA

Paradossalmente, la mossa di Casini potrebbe facilitare il compito a Bersani, che sa bene che per poter lavorare con qualche possibilità di successo ai tanti fronti esterni deve prima di tutto ricompattare un partito che oggi appare diviso su troppe questioni, prima fra tutte quella delle alleanze. Alla Direzione di domani Bersani rilancerà la proposta di "patto costituente " a tutte le forze politiche e sociali interessatead andare "oltre Berlusconi ", sottolineando che ora sta agli altri decidere se raccoglierla o meno. Un modo per sottrarsi all’accusa di Veltroni di mettere il partito "all’inseguimento " dei centristi (l’altro cofondatore cofondatore diMovimento democratico però, Beppe Fioroni, vede tutt’altro che di cattivo occhio le aperture a Casini), anche se non è detto che il leader del Pd riuscirà a uscire indenne dalla riunione. Enzo Bianco sottolineerà la necessità di smetterla col sostegno al governo Lombardo in Sicilia, Pippo Civati darà battaglia sulle primarie, Matteo Renzi, che oggi diserterà la "giusta direzione" organizzata a Roma dal "compagno rottamatore" (o ex, visto che i due sono divisi su come debba ora muoversi il popolo che si è riunito alla Leopolda, se cioè debba organizzarsi o meno sul territorio), andrà alla Direzione con piglio piuttosto battagliero: "Io sono dalla parte di Marchionne, dalla parte di chi sta investendo nelle aziende quando le aziende chiudono", ha detto ieri. E domani sarà a Roma, "sperando che Bersani non chiacchieri di aria fritta, ma dei problemi degli italiani, non chiacchieri dell’inciucio con Fini, ma del futuro del Pd, che è credibile se smette di inseguire i falsi problemi e dice agli italiani quali sono le nostre soluzioni per ripartire". Proprio sulla Fiat la discussione non mancherà, come fa presagire non solo l’uscita di Rosy Bindi ("un partito come il nostro deve prendere una posizione"), ma anche il botta e risposta andato in scena durante la riunione della segreteria, con Matteo Orfini che ha parlato di punti dell’accordo che costituiscono "precedenti pericolosi" e con Sergio D’Antoni che ha criticato chi definisce il referendum "un ricatto": "Io l’accordo l’avrei firmato e al referendum voterei sì". E a proposito di voto, domani potrebbe esserci discussione anche sull’ipotesi di chiudere o meno la Direzione con una votazione. A volere un pronunciamento sono gli esponenti di Area democratica perché, ha detto Franceschini, "deve uscire una linea politica chiara". Ne farebbero invece a meno quelli di Movimento democratico: "Si vota quando c’è qualcosa di eterno, irrevocabile, irreversibile - ha detto Fioroni - se il segretario lo chiede, voteremo".EVerini: "Dobbiamo discutere, non solo al chiuso ma col paese. Le conte sono veramente l’ultimo dei problemi".

12 gennaio 2011

 

 

2010-12-26

Il Pd: "Con il Federalismo stangata sui Comuni"

Comuni a rischio stangata con il nuovo fisco previsto nel federalismo fiscale.

Secondo uno studio del Pd, messo a punto dal senatore Marco Stradiotto, infatti, i municipi, con il passaggio dai trasferimenti statali all'autonomia delle imposte perderebbero complessivamente 445 milioni di risorse l'anno da destinare ai servizi. La proiezione è fatta utilizzando dati della Copaff, la commissione paritetica sul federalismo fiscale che lavora al ministero del Tesoro e dimostra che l'Aquila, ma anche Napoli come molti comuni del sud perderebbero consistenti fette di entrate (fino a oltre il 60%) con il nuovo fisco. Va meglio, invece ai municipi del nord o a quelli come Olbia con un alto tasso di seconde case avvantaggiati dalla base immobiliare delle nuove imposte.

STANGATA CON NUOVO FISCO

La perdita di risorse per i servizi per i capoluoghi di provincia è pari a 445.455.041 milioni di euro. Il dato emerge mettendo a confronto i trasferimenti relativi al 2010 e il totale del gettito dalle imposte devolute in base al decreto attuativo sul fisco comunale (tassa di registro e tasse ipotecarie, l'Irpef sul reddito da fabbricati e il presunto introito che dovrebbe venire dalla cedolare secca sugli affitti). Tra i 92 comuni presi in esame 52 otterrebbero benefici dalla proposta di riforma e 40 ne verrebbero penalizzati.

SALASSO ANCHE A ROMA

Un taglio drastico delle risorse risulta per il comune dell'Aquila (-66%) che perde 26.294.732 milioni, seguito di poco da Napoli (-61%) che perde quasi 400 milioni (392.969.715), essendo però il comune che riceve i trasferimenti statali più alti rispetto a tutti gli altri capoluoghi italiani (668 euro per abitante di fronte a una media di 387 euro). Se il nuovo fisco previsto nel federalismo municipale andrà in vigore il capoluogo abruzzese incasserà 13.706.592 di euro di tasse a fronte di 40.001.324 di trasferimenti avuti nel 2010. Si tratta di -360 euro all'anno per abitante. I cittadini aquilani pagheranno, infatti 188 euro di Imu, mentre attualmente per ognuno di loro vengono dati al Comune 548 euro. Non va meglio a Napoli che con grazie all'autonomia impositiva incassa 252.054.150 euro, ma nel 2010 ha avuto trasferimenti per 645.023.865. E ancora Roma perde 129.540.902 euro (il 10% delle entrate).

A OLBIA +180% RISORSE,IMPERIA 122, BENEFICI AL NORD

Olbia, tra tasse di registro e ipotecarie, Irpef sul reddito da fabbricati e cedolare secca sugli affitti raggiungerebbe 25.212.732 di euro di entrate a fronte di trasferimenti che nel 2010 sono stati 8.988.534 con un saldo di più 180%. Va bene anche a Imperia che vede un gettito dalle tasse devolute per 18.047.194, segnando un piu' 122% rispetto ai trasferimenti che quest'anno sono stati 8.131.993 milioni. Bene anche Parma (+105%); Padova (+76%); Siena (+68%) e Trevi.

26 dicembre 2010

 

 

2010-07-20

Federalismi d'Italia, al via l'inchiesta de l'Unità. Prima tappa, Genova

di Bianca Di Giovannitutti gli articoli dell'autore

Duecentocinquanta chilometri di coste sinuose, promontori lussureggianti, spiaggette assolate, da levante a ponente, fino giù giù, ai confini francesi. La Liguria è tutto questo. Presto tutta l’area costiera potrebbe passare dal demanio alla Regione, come dispone il primo decreto attuativo sul federalismo demaniale, che trasferisce il patrimonio statale alle amministrazioni locali. Iniziamo da qui il nostro giro d’Italia sulle tracce del federalismo, la riforma su cui il centrodestra ha scommesso, e che in autunno sarà al centro del ring politico. Quali effetti avrà sulle mille comunità locali della Penisola? Quali interessi si muovono dietro le norme allo studio del Parlamento?

Il primo tassello è il federalismo demaniale. Secondo il testo approvato a fine maggio, anche il demanio marittimo può essere oggetto di attribuzione alle Regioni. Così la giunta appena rieletta guidata da Claudio Burlando potrebbe trovarsi a gestire uno dei gioielli naturali più invidiati del Paese. "Non ho paura che mi si diano responsabilità" assicura il governatore. A nord tutto sembra andare a passo veloce verso la devolution. "Per me l’importante è che l’Italia scelga – continua Burlando – Per troppo tempo si è rimasti in mezzo al guado. Al mondo ci sono Paesi centralisti che funzionano bene, e Paesi federali che funzionano altrettanto bene. Quello che non può funzionare è restare a metà".

Per la sua Regione è una bel salto: gestire il patrimonio costiero vuol dire incassare anche i ricchi canoni demaniali. " Una parte di quelle risorse servirà a pagare la gente che ci lavora, perché avere nuove funzioni significa anche svolgere più compiti – ammette il governatore – Ma la gran parte andrà alle opere di difesa a mare, di cui la Liguria ha estremo bisogno. Finora la Regione ha incassato solo il 10% dei canoni, e spesso ha dovuto fronteggiare gravi emergenze, come mareggiate e alluvioni, da sola, perché lo Stato interviene spesso in ritardo. Negli ultimi cinque anni abbiamo speso 13 milioni per le opere di difesa a mare di una parte limitatissima della costa. Servirebbero centinaia di milioni. Sono opere importanti, perché le mareggiate provocano danni incalcolabili all’attività economica".

Alla giunta genovese sarà trasferito anche il ricco patrimonio immobiliare disponibile dello Stato. Il gettito derivante dalla valorizzazione degli immobili dovrà essere destinato per il 75% all’abbattimento del debito locale e per il resto al debito nazionale. Per ora comunque, il condizionale è d’obbligo: la lista dei trasferimenti non è ancora redatta in modo completo. Senza contare la fitta rete di "paletti" previsti: non è entrato nei trasferimenti, ad esempio, il sostanzioso demanio militare ligure. Ma nel testo c’è anche una dura esclusione per Genova e dintorni: i porti. Quelli di rilevanza nazionale restano allo Stato. Per la Liguria, che da tempo combatte per partecipare al gettito prodotto dagli scali, è un colpo duro. Anche se qualche passo avanti si è fatto. "Almeno le aree non di diretta pertinenza del porto potranno essere sdemanializzate – spiega il governatore – Nel caso di Genova non è poco. Nell’area portuale c’è un po’ di tutto: bar, ristoranti, club sportivi, campi di calcio, associazioni. E’ importante che queste realtà possano avere come referente la Regione".

Certo, un passo avanti c’è: ma il caso porti resta una ferita aperta per i liguri, che vedono con sempre maggiore preoccupazione la concorrenza di Amsterdam e Rotterdam, dove ogni anno aumentano le merci italiane trasportate. Con i suoi venti chilometri di lunghezza, le sue banchine, le sue aree di carenaggio, il porto sta a Genova come la Fiat a Torino e in generale le banchine di La Spezia, la Darsena di Savona Vado corrispondono ai capannoni brianzoli o alle manifatture venete. Nel solo 2009 al porto di Genova sono arrivati e partiti quasi tre milioni di traghetti con i passeggeri, e 670mila navi da crociera sono attraccate alla banchina. Il traffico merci è tra i più alti d’Italia. A La Spezia nel 2008 hanno transitato un milione e duecentomila container. A Savona Vado è in progettazione una importante piattaforma intermodale, per incrociar le rotte del commercio mondiale. Tutto questo vuol dire tasse d’imbarco, Iva e accise.

Ogni anno i tre porti liguri producono un gettito di 4 miliardi di euro, che finisce tutto a Roma. "L’ho spiegato anche a Formigoni: la mia industria è il porto – conclude Burlando – Io scarico e carico le merci anche per la Lombardia e il Piemonte. Non ho Irpef o Irap: ho le tasse portuali, e se solo il 5% di quella somma fosse gestita dalla Regione, si eviterebbe che il potente ministro di turno magari conceda una mancia ai porti che vuole. Molte imprese liguri non fanno manifattura, ma shipping. Anche questo va considerato".

20 luglio 2010

 

 

 

Governo contro autonomie

di Marco Causi - Walter Vitali*tutti gli articoli dell'autore

Dopo il demanio, il percorso della Commissione per il federalismo fiscale sta affrontando un nodo decisivo: il giudizio sulla relazione del Governo relativa ai "numeri". L’intera relazione è pervasa da tre tesi, false e strumentali: la spesa pubblica discrezionale sarebbe ormai prevalentemente gestita a livello locale; amministrazioni territoriali sarebbero fiscalmente irresponsabili; da ciò avrebbe origine la dinamica esponenziale del debito pubblico. In uno scontro istituzionale di inaudita durezza, come quello voluto dal Governo sulla manovra, è difficile che sul federalismo si possa andare avanti. Il Pd chiederà innanzitutto alla Commissione di ribadire che i risparmi dovuti al passaggio dalla spesa storica ai costi standard potranno essere utilizzati per il finanziamento dei livelli essenziali delle prestazioni sociali.

Successivamente arriverà in Commissione il decreto sull’autonomia impositiva dei comuni. Secondo le poche notizie disponibili, in una prima fase cambierà poco. Solo in una seconda (quando?) le attuali imposte che gravano sugli immobili saranno unificate e trasferite ai comuni, i quali potranno anche autonomamente decidere una addizionale che avrà il carattere di una service tax . Il tutto è così nebuloso e pasticciato che risulta anche non giudicabile. Ad oggi abbiamo più domande che valutazioni. Ci sarà un riordino della fiscalità immobiliare? Come cambierà il carico fiscale sulle diverse categorie di contribuenti? Sarà garantita la perequazione verso i comuni meno dotati di basi imponibili? Sono gli interrogativi principali su cui il Pd avanzerà proposte, in coerenza con la legge che ha contribuito a elaborare.

* Parlamentari Pd in Commissione per il federalismo

20 luglio 2010

 

2010-06-27

Al via il federalismo demaniale Lo Stato cede pezzi d’Italia

di Felicia Masoccotutti gli articoli dell'autore

C’è l’isola di Santo Stefano e il Museo di Villa Giulia. C'è la spiaggia del lago di Como e l’archivio di stato di Trieste. Ci sono alcune vette delle Dolomiti e gli isolotti prospicenti Caprera. E ancora, ex caserme, fari, interi palazzi. C’è l’area del mercato romano di Porta Portese e l’Idroscalo di Ostia, teatro del barbaro assassinio di Pier Paolo Pasolini. Sono solo alcuni dei tantissimi pezzi d’Italia pronti a passare di mano. Dallo Stato agli enti locali. Per ora. Per Comuni e Regioni, infatti il patrimonio potrebbe solo transitare per arrivare nelle mani dei privati.

Valorizzazione & speculazione

Si chiama federalismo demaniale. Un nome innocuo per un’operazione disciplinata da un decreto approvato a fine maggio. Sta prendendo corpo, l’Agenzia per il demanio ha già preparato un elenco, ancora provvisorio e decisamente corposo: 11 mila schede, 19 mila cespiti contenuti in cinque, seicento pagine diffuse in parte dall’Ansa che oggi le pubblica sul suo sito. A fine luglio l’elenco definitivo. Un nome innocuo, che cela la grande insidia della speculazione e della sottrazione alla collettività di beni finora di tutti.

La parola chiave è "valorizzazione": Comuni e Regioni possono acquisire questi beni a titolo gratuito se sono in grado di "valorizzarli". Può significare trarne vantaggio rendendoli accessibili, fruibili, sottraendoli all’abbandono o all’incuria. Ma, molto più prosaicamente, possono "valorizzarli" "alienandoli", cioè vendendoli: lo prevede il decreto, con la sola condizione che gli introiti vadano ad alleggerire il debito. Accanto a ogni bene l’agenzia del Demanio pone il suo valore: il museo di Villa Giulia a Roma, che ospita rarità come la famosa coppia di sposi etruschi (eventualmente, rischiano lo sfratto?) ha un valore di inventario di quattro milioni e mezzo di euro. L’archivio di Stato di Trieste ha un valore di 5 milioni; l’archivio della Corte dei Conti (Roma) quasi 67 milioni e l’intero Idroscalo di Ostia 6 milioni e 700mila euro. Il totale è di oltre 3 milisrdi.

L’intero valore dell’isola di Santo Stefano nell’arcipelago Pontino verrà dato dalla somma dei suoi pezzi: l’approdo agli arenili e , soprattutto, l’ex carcere. Un pezzo, sì, ma di storia. È un luogo simbolo della Resistenza italiana, è lì che fu rinchiuso tra gli altri Sandro Pertini. "Esiste un progetto per trasformare il carcere borbonico in un mega albergo di lusso", denuncia il presidente dei Verdi Angelo Bonelli. È questo che diventerà? Anche sull’idroscalo di Ostia "esistono fortissimi appetiti speculativi", continua l’ambientalista che annuncia una raccolta di firme da parte dei Verdi per una petizione.

Il 50% al Nord

C’è poi un altro aspetto. Il 50% del patrimonio trasferibile è concentrato al Nord. E se si include in Lazio (che ha il 27% grazie a Roma) si arriva al 76% concentrato in tre sole regioni. "Quello che prima era di tutti gli italiani verrà concentrato nella disponibilità di 4-5 regioni e i proventi delle alienazioni oltre a fare la fortuna dei poteri forti andranno a ripianare i deficit delle regioni del nord e del Lazio", conclude Bonelli. Ma per il sindaco di Roma, Gianni Alemanno si tratta di "una grande opportunità per Roma". Quanto all’Idroscalo, l’area "sarà riqualificata e il suo utilizzo avrà carattere ambientale e paesaggistico". Si attendono i fatti. Dello stesso avviso il presidente del Veneto, il leghista Luca Zaia, "Stiamo andando nella direzione giusta, anche dal punto di vista dei simboli".

Diventa "simbolico" il caso delle Dolomiti. Sono state dichiarate patrimonio dell’umanità "sono beni universali, non può essere che lo Stato a gestirli - afferma il deputato Pd Enrico Farinone - Federalismo sì, estremismo federalista no", conclude. Ma per Zaia al momento dell "Il fatto che pezzi così famosi delle Dolomiti, ritornino alle loro comunità riporta alla responsabilità". Ce ne vuole davvero tanta per evitare che la partita si trasformi in un preziosissimo suk.

27 giugno 2010

 

 

 

icenza di svendere

di Vittorio Emilianitutti gli articoli dell'autore

Le anticipazioni sui beni demaniali da trasferire, a titolo gratuito, a Regioni ed Enti locali per esserne "valorizzati", disegnano uno scenario da horror: pezzi di Dolomiti (dalle Tofane all’Alpe di Caloria, e Zaia esulta), busti e articolazioni di centri storici, brandelli di coste, bocconi di isole, e così elencando. Nella capitale è in lista la sede dello splendido Museo Etrusco di Villa Giulia a Roma (quello dell’Apollo di Veio): chi se la comprerà? E dove finiranno quelle mirabili collezioni? Ci pensa Calderoli. È solo l’antipasto del federalismo "all’italiana". Del tutto squilibrato: il 27 %, in valore, dei beni, si trova nel Lazio (Alemanno e Polverini esultano), mentre alla Sardegna tocca appena l’1 %. In sintesi, ci guadagna il solo Centro-Nord, mentre il Sud (Campania a parte) becca la solita tranvata. Già il pensoso Calderoli starà studiando misure di riequilibrio assieme al collega Maroni che vorrebbe sottrarre alla Campania la Dop delle mozzarelle essendo i bufali giunti qua coi Longobardi. Non è esatto. In ogni caso, venivano da Oriente. Mica dal Varesotto. Si ride per non piangere. "Valorizzare" questi beni – fra cui le isole di Santo Stefano o di Palmaria – vuol dire solo venderli. E venderli – col mercato immobiliare fermo e in mano a pochi – vuol dire svenderli. Una manciata di euro per le esauste casse locali e grasse rendite precostituite (storia vecchia in Italia) per i soliti pochi. Mesi fa il sindaco di centrodestra di Gaeta disse: "I beni demaniali hanno sin qui impedito il pieno sviluppo della città. Ora saranno il nostro volano". Lapidario. Affacciatevi sul golfo di Gaeta: è uno dei più stravolti del già stravolto Lazio. Da domani sarà peggio.

27 giugno 2010

il SOLE 24 ORE

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http://www.ilsole24ore.com/

2011-07-29

 

 

 

 

 

2011-07-28

Napolitano: decentramento ministeri contro la Costituzione. Bossi: la Carta non dice dove devono stare

di Nicooletta CottoneCronologia articolo

28 luglio 2011

È stata resa nota sul sito del Quirinale la lettera che il capo dello Stato, Giorgio Napolitano, ha scritto al premier, Silvio Berlusconi, due giorni fa, sul decentramento dei ministeri. L'offensiva della Lega sui ministeri ha spinto il Capo dello Stato a prendere una netta posizione sulla vicenda. Posizione nei giorni scorsi annunciata, oggi resa nota nei dettagli. L'apertura di sedi ministeriali fuori da Roma, sottolinea il Capo dello Stato, "confliggerebbe con l'articolo 114 della Costituzione che dichiara Roma Capitale della Repubblica". Secca la risposta del leader della Lega, Umberto Bossi, che ha ribadito rivolgendosi al capo dello Stato: "Non si preoccupi i ministeri li abbiamo fatti e li lasciamo là. Noi pensiamo che il decentramento non sia solo una possibilità ma una opportunità per il paese". E, non contento, più tardi ha dichiarato che "la Costituzione non parla di dove devono stare i ministeri".

Berlusconi: tenere in debito conto le osservazioni del Colle

Una nota di Palazzo Chigi riferisce che in apertura del Consiglio dei ministri, il premier Berlusconi "ha rivolto al consiglio e ai singoli ministri un pressante invito a tenere in debito conto le osservazioni formulate dal presidente della Repubblica sulle recenti istituzioni di sedi periferiche di strutture ministeriali e ha quindi chiesto a tutti i ministri di tenere comportamenti conseguenti". Il Senatur risponde poi anche alla sollecitazione di Berlusconi: "Noi ne teniamo conto - assicura - però vogliamo spostare i ministeri come fanno gli altri paesi europei".

documenti

La lettera del Capo dello Stato

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"Preoccupato per i ministeri al Nord". Napolitano scrive a Berlusconi: rilievi sul decentramento del governo nel territorio

No a ulteriori dispersioni degli assetti organizzativi dei ministeri

Napolitano scrive nella lettera che "a fronte della scelta, non avente connotati di particolare rilievo istituzionale, di aprire meri uffici di rappresentanza, non giova alla chiarezza una recente nota della Presidenza del Consiglio, che inquadra tale iniziativa nell'ambito di "intese già raggiunte sugli uffici decentrati e di rappresentanza di alcuni ministeri sia al Nord che al Sud, come già in essere per molti altri ministeri", così preludendo ad ulteriori dispersioni degli assetti organizzativi dei ministeri tanto da consentire la prefigurazione, da parte di esponenti dello stesso Governo, di casuali localizzazioni in vari siti regionali o municipali delle amministrazioni centrali".

Non ci si può spingere a immaginare una "capitale diffusa"

"La pur condivisibile intenzione di avvicinare l'amministrazione pubblica ai cittadini non può spingersi al punto di immaginare una "capitale diffusa" o "reticolare" disseminata sul territorio nazionale, in completa obliterazione della menzionata natura di capitale della città di Roma, sede del Governo della Repubblica". Il Capo dello Stato scrive che il ministro delle Riforme per il federalismo e il ministro per la Semplificazione normativa, "con decreti in data 7 giugno 2011 - peraltro non pubblicati sulla Gazzetta Ufficiale - hanno provveduto a istituire proprie" sedi distaccate di rappresentanza operativa. Il capo dello Stato sottolinea di aver anche appreso "che analoghe iniziative verrebbero assunte a breve anche dal Ministro del turismo e dal Ministro dell'economia e delle finanze (quest'ultimo titolare di un importante Dicastero, anzichè Ministro senza portafoglio come gli altri tre).

A Roma la sede del governo e dei ministeri

Per Napolitano la dislocazione di sedi ministeriali "in ambiti del territorio diversi dalla città di Roma deve tener conto delle disposizioni contenute nel regio decreto n. 33 del 1871, ancora pienamente vigente, che nell'istituire, all'articolo 1, Roma quale capitale d'Italia ha altresì previsto che in essa abbiano sede il Governo ed i Ministeri". Ha ricordato la riforma del titolo V della nostra Carta che, "con la nuova formulazione dell'articolo 114, terzo comma, ha da una parte introdotto un bilanciamento con le più ampie funzioni attribuite agli enti territoriali e dall'altra ha posto un vincolo che coinvolge tutti gli organi costituzionali, compresi ovviamente il Governo e la Presidenza del Consiglio: vincolo ribadito dalla legge n. 42 del 2009, che all'art. 24 prevede un primo ordinamento transitorio per Roma capitale diretto" a garantire il miglior assetto delle funzioni che Roma è chiamata a svolgere quale sede degli Organi Costituzionalì. Ha anche ricordato che "nel corso dell'esame parlamentare del d.l. n. 70 del 2011, sono stati discussi e votati diversi ordini del giorno finalizzati a escludere ipotesi di delocalizzazione dei Ministeri pur nell'accoglimento, senza voto, di un o.d.g. (Cicchitto ed altri) di contenuto autorizzatorio".

Alemanno: Bossi irresponsabile

"La risposta di Umberto Bossi al presidente Napolitano - secondo il sindaco di Roma, Gianni Alemanno - è un comportamento irresponsabile. È irresponsabile dal punto di vista istituzionale perchè non si può rispondere con questa arroganza al presidente della Repubblica che, in quanto garante della Costituzione, ricorda che l'articolo 114 attribuisce con chiarezza a Roma la funzione di Capitale e che sottolinea che la legge 42 del 2009, da noi fortemente voluta e peraltro promossa da un ministro leghista come Calderoli, ha dato attuazione concreta a questa norma".

 

 

Via governatori e sindaci che causano dissesti: Palazzo Chigi approva il decreto su premi e sanzioni

di Gian

ni Trovati Cronologia articolo

28 luglio 2011

Via libera del Consiglio dei ministri al decreto legislativo su "premi e sanzioni" per governatori e amministratori locali, ultimo dei provvedimenti fondamentali nell'attuazione della riforma disegnata dalla legge delega del 2009. Molte le novità, il cui impatto pratico andrà però esaminato alla prova dei fatti.

Vincolati ai risultati

Governatori, presidenti di provincia e sindaci saranno chiamati a pubblicare i risultati della loro amministrazione 90 giorni prima delle elezioni, in una relazione che dovrà indicare le performance economiche dell'ente e delle società partecipate, i risultati dei controlli interni e gli eventuali rilievi mossi dalla Corte dei conti. Nel caso delle Regioni, la relazione dovrà illustrare anche i conti di Asl e servizi sanitari in genere. L'intento dichiarato del Governo è quello di fare in modo che le campagne elettorali locali avvengano sui risultati concreti (e certificati) dei bilanci, evitando il balletto dei "buchi lasciati in eredità" che il cambio di colore politico nelle amministrazioni porta quasi sempre con sé. Nessuna sanzione, però, è prevista in caso di mancata pubblicazione della relazione, che va semplicemente motivata sul sito Internet.

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Non più candidabile chi porta al dissesto

Nel nome della responsabilità, si prevede anche la rimozione, con successiva incandidabilità per 10 anni, per gli amministratori territoriali che danneggiano i propri enti e li portano al dissesto. Nel caso delle Regioni, la previsione si fa più stringente per le amministrazioni impegnate in piani di rientro dal deficit sanitario, perché la responsabilità può scattare anche in sede di verifiche annuali sul raggiungimento o meno degli obiettivi. Per sindaci, presidenti di provincia e amministratori locali in genere, invece, le condizioni sono due: il dissesto dell'ente (fatto rarissimo negli ultimi anni, da quando le norme hanno cancellato il ripiano statale) e un danno condannato dalla Corte dei conti e ritenuto causa diretta del dissesto.

Gli incentivi

Più snello il capitolo dedicato ai "premi", che sono stati in gran parte assorbiti dalla manovra estiva con la previsione di individuare gli enti locali "virtuosi" ed esonerarli dai vincoli generali della manovra. Il decreto legislativo approvato ieri si concentra soprattutto sulle alleanze tra Fisco ed enti territoriali nella lotta all'evasione: in primo luogo, viene esteso alle Province il premio del 50% del maggior riscosso grazie alle alleanze con l'Erario, mentre più in generale si prevede la definizione concertata di piani pluriennali per la lotta all'evasione, con incentivi riservati a chi raggiunge gli obiettivi fissati per ogni anno.

Un tavolo per i crediti incagliati

Dal provvedimento, poi, arriva un nuovo tentativo di aiutare le imprese che hanno problemi di liquidità perché impegnate nell'attesa infinita di vedersi liquidati i crediti incagliati dal Patto di stabilità nelle casse degli enti locali. Sarà un tavolo tecnico paritetico fra Governo e amministrazioni locali a dover studiare nuove soluzioni, puntando soprattutto sulla certificazione del credito e sulle possibili compensazioni regionali. Il decreto sulla regionalizzazione del Patto di stabilità, che darebbe ai governatori il ruolo di camera di compensazione fra enti che hanno disponibilità di pagamenti e amministrazioni in difficoltà, è stato stoppato ieri in Conferenza Stato-Regioni dal veto opposto dai territori a Statuto speciale.

 

 

 

 

 

 

 

2011-04-04

Dal 2013 addio ai trasferimenti regionali. Incognita effetti sui Comuni

di Patrizia RuffiniCronologia articolo4 aprile 2011

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Argomenti: Città e comuni | Consiglio dei Ministri

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Questo articolo è stato pubblicato il 04 aprile 2011 alle ore 08:42.

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Sui bilanci comunali il federalismo solleva un'altra incognita, da 6 miliardi di euro: si tratta dei trasferimenti regionali, correnti e in conto capitale, che dal 2013 dovranno cedere il passo a una compartecipazione ai tributi dei governatori, addizionale Irpef in primis.

Il meccanismo è contenuto nel decreto sul fisco regionale approvato giovedì scorso dal consiglio dei ministri, ma è vitale per i sindaci, che infatti hanno rivendicato un ruolo di primo piano anche su questo aspetto.

Spetterà ad ogni Regione a statuto ordinario individuare l'ammontare dei trasferimenti regionali fiscalizzati che hanno "carattere di generalità e permanenza", escludendo quelli sulle rate di ammortamento dei mutui contratti dagli enti locali. Per farsi un'idea dei numeri che girano fra Regioni (a statuto ordinario) e Comuni basta prendere le tabelle allegate alla relazione del governo sul federalismo fiscale: nel 2008 sono affluiti dalle Regioni alle casse comunali oltre 6 miliardi, di cui 3,7 relativi alla parte in conto capitale.

La soppressione è contestualmente compensata mediante una compartecipazione dei municipi al gettito dei tributi regionali, prioritariamente all'addizionale regionale Irpef, o con la devoluzione di tributi regionali, in modo da assicurare un importo uguale ai trasferimenti soppressi. Ma, si sa, la compartecipazione è destinata a distribuirsi fra i Comuni di una regione in modo diverso dai trasferimenti aboliti, perciò, per realizzare la soppressione dei trasferimenti regionali in forma progressiva e territorialmente equilibrata, è previsto che una quota - non superiore al 30% del gettito dei tributi destinati ai Comuni - vada ad alimentare un Fondo sperimentale regionale di riequilibrio. I criteri di riparto del fondo, che ha una durata triennale, sono tutti da definire. Per questi, per la determinazione delle quote di gettito che, anno per anno, sono devolute al singolo municipio in cui si sono verificati i presupposti d'imposta, è previsto che la Regione proceda, previo accordo in Consiglio delle autonomie locali d'intesa con i Comuni, con atto amministrativo. Non è specificato che cosa succede se non si raggiunge l'accordo: in caso di inadempimento da parte della Regione nella fiscalizzazione dei trasferimenti, è previsto il potere sostituito da parte dello Stato.

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Gli stessi criteri si applicano per la soppressione dei trasferimenti regionali destinati alle Province. In questo caso, però, la Regione "cede" una compartecipazione alla tassa automobilistica sugli autoveicoli di sua competenza, anche qui in misura tale da assicurare un importo corrispondente ai fondi soppressi. In caso di incapienza della tassa automobilistica le Regioni devono assicurare la compartecipazione ad un altro tributo. Anche per le province è prevista l'istituzione di un Fondo sperimentale regionale di riequilibrio. Mentre in questo caso è fissato il termine del 30 novembre 2012 per portare a compimento il processo, dopo di che scatta il potere sostitutivo statale.

Ma è il capitolo perequazione a sollevare i dubbi più importanti, che si annidano sulle modalità di coordinamento dei fondi sperimentali regionali di riequilibro, con i fondi perequativi ex trasferimenti statali. Fondi perequativi che la norma istituisce nel bilancio delle Regioni a statuto ordinario, uno in favore dei Comuni e l'altro a favore di province e città metropolitane, alimentati dal fondo perequativo dello Stato. La nebbia che circonda i fondi perequativi è ancora fitta; si sa solo che sono alimentati con quote del gettito dei tributi della fiscalità immobiliare e della compartecipazione ai tributi da trasferimento immobiliare (per i Comuni) e dalla compartecipazione provinciale all'Irpef (per le Province), ma sono ancora da disegnare le modalità di alimentazione e di riparto.

 

2011-03-27

Federalismo, ecco i passi dopo il sì sulle regioni - I numeri solidarietà tra territori ricchi e poveri

di Eugenio Bruno e Gianni TrovatiCronologia articolo27 marzo 2011Commenti (1)

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Argomenti: Città e comuni | Sose Spa | Italia | Roberto Calderoli | Lega | Comitato Esecutivo

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Questo articolo è stato pubblicato il 27 marzo 2011 alle ore 15:47.

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"Non si può ottenere il federalismo e poi tirare il pacco a Berlusconi". Il leader della Lega, Umberto Bossi (Ansa)"Non si può ottenere il federalismo e poi tirare il pacco a Berlusconi". Il leader della Lega, Umberto Bossi (Ansa)

di Eugenio Bruno

Il 2018 non è solo l'anno in cui la Russia ospiterà i primi mondiali di calcio della sua storia o in cui è ambientato l'ultimo Terminator. Ma è anche quello che vedrà l'Italia approdare definitivamente al federalismo fiscale. Il decreto attuativo su regioni e sanità, che giovedì ha ottenuto il via libera della bicamerale e che a breve sarà a Palazzo Chigi per l'ok definitivo, ha infatti anticipato di un anno la dead line della riforma cara alla Lega. Il processo di transizione dalla spesa storica ai costi standard si concluderà dunque nel 2017.

Almeno per i governatori, poiché sindaci e presidenti di provincia sanno solo che fino al 2013 usufruiranno di un fondo perequativo transitorio. Poi ne arriverà uno definitivo ancora da elaborare.

Ma vediamo a che punto è il procedimento di attuazione all'articolo 119 della Costituzione partito nel 2008. Degli otto provvedimenti licenziati dal Consiglio dei ministri solo cinque hanno raggiunto (o quasi) il traguardo: federalismo demaniale, ordinamento di Roma capitale, fabbisogni standard di Comuni e Province, fisco municipale, tributi regionali, provinciali e costi standard. Senza che nessuno sia però diventato effettivamente operativo. Ogni decreto a sua volta delega a Dm, Dpcm e regolamenti vari la propria applicazione pratica. Valga l'esempio del municipale che contiene 18 rinvii ad altrettanti provvedimenti.

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In rampa di lancio ci sono altri tre Dlgs - interventi speciali, armonizzazione dei bilanci pubblici, premi e sanzioni - che devono però completare la trafila Conferenza unificata-Parlamento-Palazzo Chigi prevista dalla legge 42 del 2009. Per rispettare i tempi della delega, tutti e tre dovrebbe tornare in Cdm entro il 20 maggio. Per effetto della proroga di sei mesi annunciata ieri a questo giornale dal ministro della Semplificazione Roberto Calderoli, il termine potrebbe slittare al 20 novembre. Il semestre aggiuntivo verrà sfruttato dal Governo per aggiungere almeno altri tre decreti legislativi su funzioni e risorse da attribuire a Roma capitale, fondo perequativo finale di Comuni e Province, superamento della diatriba Tarsu/Tia sui rifiuti. Fermi restando i 24 mesi aggiuntivi per le eventuali modifiche o correzioni.

Con l'arrivo del fisco municipale e regionale, l'impalcatura è definita. Sia per le entrate, visto che ora si sa quali e quanti tributi ogni livello di governo riceverà; sia per le uscite, poiché la società Sose Spa ha già avviato la ricognizione dei fabbisogni standard di Comuni e Province (cioè i servizi da erogare su tutto il territorio nazionale in condizione di efficienza e senza sprechi) e farà lo stesso per le Regioni nelle materie diverse dalla sanità.

Le prime a farsi sentire saranno le modifiche fiscali. Ad esempio i proprietari di un'abitazione, intenzionati ad affittarla, potranno a breve optare per la cedolare secca. Per smettere di pagare l'Ici dalla seconda casa in su e cominciare a versare l'Imu al 7,6 per mille dovranno invece aspettare il 2014.

Scaglionate nel tempo anche le modifiche sull'Irpef. Mentre l'addizionale comunale potrà salire dello 0,2% sin dal 2011 (con un tetto fissato allo 0,4%), quella regionale dovrà restare allo 0,9% (o eventualmente scendere) fino al 2013 quando potrà raggiungere l'1,4 per cento. Tale limite salirà al 2% dal 2014 e al 3% dal 2015. Se però si vive in un territorio che ha già portato l'asticella oltre lo 0,9% l'addizionale potrà restare comunque al di sopra della soglia. Il "congelamento" non varrà per le Regioni sottoposte a piano di rientro sanitario che, in caso di sforamento, continueranno a subire gli aumenti automatici previsti dalla legge. Il 2013 sarà l'anno "zero" anche per l'Irap che potrà essere ridotta fino a zero oppure diventare deducibile su base regionale.

Più diluito ancora sarà il procedimento di controllo della spesa da parte dei cittadini. I fabbisogni di Comuni e Province nei loro compiti fondamentali (asili, trasporti, ambiente, polizia locale) arriveranno, per un terzo di funzioni alla volta, nel 2011, nel 2012 e nel 2013. Ma ogni gruppo entrerà in vigore solo l'anno successivo alla sua introduzione. Se la tabella di marcia sarà rispettata, dal 2015 in poi ogni elettore potrà verificare quanto spende il proprio sindaco e quanto quello del Comune limitrofo. E magari ricordarsene al momento delle elezioni in nome di quel "vedo, pago, voto" caro all'Esecutivo. Un principio che per i governatori varrà pienamente solo dal 2018 in avanti.

 

 

2011-03-20

Federalismo, è caccia ai fondi

Roberto TurnoCronologia articolo20 marzo 2011

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Argomenti: Tributi | Massimo Corsaro | Uil | PDL | Pd | Tpl

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Questo articolo è stato pubblicato il 20 marzo 2011 alle ore 08:12.

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L'ultima pensata estemporanea del governo è stata quella di finanziare i fondi alle regioni per il trasporto pubblico locale con una mega tassa sui Suv e su autovetture e autoveicoli per il trasporto promiscuo di persone di 8 euro per ogni kW oltre i 130 (176 cavalli fiscali), che sarebbe salito a 8,40 per i pagamenti frazionati nel corso dell'anno. Gettito atteso da destinare ai governatori per un anno: circa 290 milioni, che dall'anno seguente avrebbe incamerato solo lo stato. Una pensata però subito ritirata: per il no secco del Pd e delle opposizioni, per il malcontento dei governatori ma anche perché una nuova stangata fiscale, ancorché circoscritta a contribuenti più ricchi, avrebbe indotto negli elettori l'equazione "federalismo uguale aumento della pressione fiscale". Per di più voluta proprio dal governo. Come del resto la Uil ieri ha dimostrato in uno studio che calcola un aumento medio di 276 euro pro capite dal 2015 dall'incremento delle addizionali Irpef.

E così da domani, nell'ultimo rush in bicamerale in vista del parere atteso mercoledì 23 su fisco regionale e costi standard, governo e maggioranza cercheranno sul filo di lana di ritessere daccapo la tela di un accordo che ormai sembra quasi impossibile. Ma guardando attentamente a cosa accadrà tra i governatori, sui quali il governo ha scaricato la decisione del superbollo per le grosse cilindrate, che intanto ha rimesso nel cassetto.

Il nodo della restituzione alle regioni degli oltre 400 milioni tagliati al trasporto locale (Tpl) dalla manovra estiva, è il crocevia della partita sul federalismo regionale. Ma il governo fatica a trovare subito i fondi, senza i quali i governatori – che sono spaccati, con quelli leghisti però adesso più in difficoltà – potrebbero mettersi di traverso martedì nella riunione "straordinaria" che hanno convocato. L'altra ipotesi per finanziare il Tpl è di ricorrere a un decreto ad hoc, o all'assestamento di bilancio 2011. Ma le somme arriverebbero tardi e molte regioni, che devono far quadrare i bilanci, non ci stanno. Senza dire che dalle regioni il governo spera di ottenere un lasciapassare utile in parlamento per non arrivare al voto in bicamerale con una spaccatura – pareggio di 15 a 15, una bocciatura sostanziale – come già accaduto col fisco municipale. Nel parere del relatore di maggioranza Massimo Corsaro (Pdl) è intanto scomparsa la fiscalizzazione dal 2012 dei tagli alle regioni.

Si tratta, insomma. Con tutte le novità anticipate in questi giorni da Il Sole-24 Ore sul tappeto: addizionale Irpef sbloccata dal 2011 che salirebbe all'1,4% con un aumento dello 0,5% per tutti gli scaglioni d'imposta, poi al 2% nel 2014 e al 3% nel 2015 dai 28mila euro in su; anticipo al 2013 (dal 2014) della possibilità di ridurre o azzerare l'Irap; di nuovo la compartecipazione regionale dell'accisa sulla benzina; addizionale per regioni ordinarie e province dal 2012 per canoni di utenza dell'acqua pubblica con gettito destinato alle province; imposta di scopo per le province.

E poi la sanità, per la quale maggioranza e governo confermano dal 2013 il benchmark tra 3 regioni (del nord, del centro e del sud, con una regione piccola) non sotto piani di rientro da scegliere in una rosa di 5 per i costi standard del 2013. E con l'ipotesi di rimuovere i gap infrastrutturali (al sud, nelle aree montane, nelle piccole isole) che incidono sui costi sanitari tenendo conto di indicatori socio-economici e ambientali di disagio. Ma senza il criterio della "deprivazione" caro al sud, anche governato dal centrodestra. Criterio che invece vorrebbe l'opposizione, che chiede un benchmark tra le 5 migliori regioni nell'arco di 3 anni (non 2). Senza scordare i premi per le regioni benchmark e per chi acquista al meglio beni e servizi: in questo caso la richiesta è trasversale, ma il governo dovrebbe inserirla nel decreto in arrivo su "premi e sanzioni", altro argomento che però è ragione di scontro con i governatori.

 

 

 

 

 

2011-03-17

Una vera prova di dialogo ma restano due incognite

di Massimo BordignonCronologia articolo17 marzo 2011

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Argomenti: Federalismo

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Questo articolo è stato pubblicato il 17 marzo 2011 alle ore 08:50.

L'ultima modifica è del 17 marzo 2011 alle ore 09:30.

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La nuova versione del decreto legislativo sul federalismo regionale e provinciale dovrebbe sottotitolarsi "prove tecniche di dialogo". Il ministro Calderoli ha accolto molte delle proposte dell'opposizione, oltre a recepire per intero i cambiamenti decisi con l'accordo dello scorso dicembre con le regioni. Le modifiche sono tante e di rilievo. Intanto, l'anno zero del federalismo regionale è ora fissato al 2013, riportando a quella data tutti quegli interventi che nel testo originario avvenivano in anni diversi.

 

Così nel 2013 sarà definita la nuova aliquota base per l'addizionale regionale all'Irpef, che dovrebbe compensare le regioni per l'abolizione dei trasferimenti (anche se l'autonomia regionale su questo tributo dovrebbe essere riattivata a partire dall'anno in corso), verrà fissata la nuova compartecipazione regionale all'Iva con i nuovi criteri di riparto, partirà il nuovo fondo perequativo che dovrebbe finanziare per intero le funzioni fondamentali delle regioni e parzialmente le altre. Come richiesto dall'opposizione, è ora anticipata in questo decreto anche l'introduzione della Conferenza permanente, la nuova commissione intergovernativa che dovrebbe presiedere all'attuazione del federalismo, è meglio precisato il sistema di finanziamento delle future città metropolitane, è definita una metodologia per la definizione dei fabbisogni anche nel campo dell'assistenza (la Sose si occuperà anche di questo), è migliorato il sistema degli incentivi per le regioni efficienti.

Scompaiono anche previsioni palesemente incostituzionali, quali il fatto che l'autonomia tributaria delle regioni si potesse esercitare su tutti gli scaglioni di reddito solo per i lavoratori autonomi, o palesemente insostenibili, quali il fatto che l'esercizio dell'autonomia tributaria regionale non avrebbe comunque dovuto modificare la pressione tributaria per ciascun contribuente. Infine, dulcis in fundo, è prevista dal 2012 anche la revisione dei tagli dei trasferimenti decisi l'anno scorso (per oltre 6 miliardi) per regioni e enti locali, purché questi ultimi rispettino i patti di stabilità interna e compatibilmente con "gli obiettivi di finanza pubblica assunti in sede europea". In sostanza, una promessa molto attesa dagli enti locali, anche se non si sa quanto effettivamente realizzabile.

Nel complesso, si tratta dunque di un deciso miglioramento rispetto al testo precedente. E tuttavia restano ancora immodificati i nodi più problematici del provvedimento. Come nella versione precedente, i costi standard per la sanità (e in prospettiva per le altre funzioni fondamentali) non giocano in realtà nessun ruolo nel riparto delle risorse, né nell'immediato né in futuro, così che non si capisce bene come potrebbero davvero stimolare quella ripresa di efficienza per le regioni che rappresentano il motivo per la loro introduzione.

Rimane inalterato anche il problema della "sovranità limitata" che il governo sembra disposto a concedere alle regioni, come se anche in un testo che in teoria dovrebbe introdurre il federalismo fiscale si mantenesse comunque una sorta di sfiducia profonda nella capacità delle autonomie territoriali. Così, per esempio, le regioni possono ridurre l'Irap, ma solo se non aumentano l'addizionale Irpef più dello 0.5% - e non si capisce bene perché. Ancora, le regioni devono abolire (sempre dal 2013) gli attuali trasferimenti regionali a province e comuni del loro territorio e sostituirli con compartecipazioni e con fondi di riequilibrio, uno per i comuni e l'altro per le province. Ma per qualche ragione non sono libere di definire le risorse che finanzieranno questi fondi, con l'effetto paradossale che se le risorse fissate ex ante nel decreto si riveleranno insufficienti, alcuni comuni e province di troveranno necessariamente penalizzati, senza di nuovo che se ne capisca bene la ragione.

Infine, resta il problema che i vari vincoli politici hanno finito con il sovraccaricare il ruolo dell'Irpef rispetto agli altri tributi nel nuovo sistema di finanziamento degli enti locali. Il problema principale dell'Irpef come tributo regionale, oltre al fatto di pesare in modo sproporzionato sui redditi da lavoro dipendente e assimilati, è che la sua base imponibile è fortemente sperequata sul territorio. E la previsione del decreto di concentrare l'autonomia regionale solo sugli scaglioni più alti, per quanto comprensibile sul piano distributivo, finirà necessariamente per esacerbare ulteriormente il problema, perché la distribuzione del reddito negli scaglioni più alti è molto più sperequata di quella del totale del reddito Irpef.

 

 

2011-03-06

Tremonti: non basta una costituzione per fare un paese. Servono "lingua, cultura e valori comuni"

Cronologia articolo10 marzo 2011

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Questo articolo è stato pubblicato il 10 marzo 2011 alle ore 18:30.

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"Dire che basta un patto scritto costituzionaleper formare una nazione é introdurre una categoria fuori dalla civiltà": lo ha detto il ministro dell'Economia, Giulio Tremonti, parlando a un convegno sui 150 anni dell'Unità d'Italia, a Roma, organizzato dalla fondazione Liberal di Ferdinando Adornato, con la presenza anche di Pierluigi Bersani e Pier Ferdinando Casini. Una nazione, ha spiegato Tremonti, si fonda su "una lingua, una cultura, dei valori comuni". Ma non è detto che basta sempre una costituzione per fare un paese: "va bene in altri posti, ma non va bene da noi". È un "concetto orribile", ha aggiunto il ministro.

Sulle grandi questioni c'è unità tra i partiti

Tremonti ha poi detto che sulle grandi questioni del paese i partiti in Parlamento hanno spesso dimostrato più unità che divisioni. Qualche sempio? In materia di lavoro e pensioni. "A volte - ha sottolineato il titolare del Tesoro - sulle questioni fondamentali sono più le cose che ci uniscono che quelle che ci dividono". Parlando invece di federalismo e replicando all'ex ministro delle Finanze, Vincenzo Visco secondo cui "il federalismo fiscale è più un fatto di propaganda politica che di sostanza reale",Tremonti ha spiegato che "non può essere considerato eversivo o vuoto. Noi non facciamo altro che fare dell'Italia un paese con una finanza europea: siamo l'unico paese in Europa con una finanza centrale".

L'Italia è un paese duale

L'Italia, ha proseguito il ministro, "è un Paese duale da 150 anni" con il Centro-Nord più ricco e che "ragiona oltre che in termini regionali anche di sistema, per esempio nei trasporti pensando ai grandi assi" stradali e ferroviari "che vanno oltre la regione". Dunque: "quello dell'Italia è un problema duale e siccome non vogliamo che sia diviso chiediamo all'Europa che nel piano nazionale di riforma sia considerato questo dualismo interno allo Stato, magari non verrà riconosciuto ma la strada è quella giusta".

Casini: il federalismo crea solo confusione

Critico invece Pier Ferdinando Casini, secondo cui il federalismo del governo invece "crea solo confusione". "La lega - ha detto Casini - ne ha fatto una grande battaglia, ma anche loro prima o poi capiranno che la montagna ha partorito il topolino". Casini si dice poi fortemente preoccupato "che questo paese accetti di convivere con le 10, 100, 1000 corporazioni che ha e che non riesca ad arrivare a una soluzione unitaria su nulla". In un contesto in cui "l'Europa e il mondo stanno marginalizzando l'Italia - rilancia Casini - una classe dirigente seria fa appello a uno spirito di solidarietà nazionale non procede con un misto di arroganza e protervia".

 

 

 

 

 

2011-03-06

La "festa della Lombardia" agita la maggioranza Pdl-Lega

di Gianni TrovatiCronologia articolo6 marzo 2011

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Questo articolo è stato pubblicato il 06 marzo 2011 alle ore 17:16.

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Il fuoco cova per ora sotto la cenere, ma la Festa della Lombardia decisa la scorsa settimana in consiglio regionale rischia di accendere qualche scintilla nella maggioranza Pdl-Lega. La Festa, prevista dal nuovo statuto della regione e spinta da un ordine del giorno votato la scorsa settimana per superare l'ostruzionismo del Carroccio sulla partecipazione lombarda al 150esimo dell'Unità nazionale, deve ancora trovare una forma e una data, e su entrambi i punti la tensione è assicurata.

La questione del calendario vede la Lega schierata sul 29 maggio, anniversario della battaglia di Legnano (1176), mentre il Pd punta sul 22 marzo (1848, in ricordo delle cinque giornate di Milano). Sul tema si deve esercitare una commissione di "esperti", che sarà costituita nei prossimi giorni, ma nel frattempo il governatore Roberto Formigoni ha lanciato un sondaggio sul proprio sito per chiedere ai navigatori la loro data preferita. Già sabato il Carroccio ha mugugnato sull'iniziativa del refedendum online, il capogruppo della Lega in consiglio regionale Stefano Galli ha espresso sul sondaggio "dubbi e riserve", ma si è rallegrato della vittoria (temporanea) del 29 maggio. I "dubbi e le riserve" si sono moltiplicate domenica, quando la classifica è cambiata e il 22 marzo sponsorizzato dal Pd ha preso il sopravvento. "Siamo sicuri - si chiede il consigliere regionale padano Massimiliano Romeo - che coloro che partecipano al sondaggio rappresentano la vera volontà dei lombardi? Ieri pomeriggio stravinceva il 29 maggio; dopo qualche minuto dall'intervento del mio capogruppo Galli, che criticava il sondaggio, i risultati sono mutati e il 22 marzo ha conquistato la cima della classifica".

Si vedrà; intanto Il testa a testa fra Legnano e Milano oscura le altre date inserite dal governatore nel ventaglio di opzioni: in pochissimi scelgono il 15 maggio (1796; ingresso di Napoleone a Milano), il 3 agosto (1778; inaugurazione della Scala) e l'11 luglio (1859; pace di Villafranca fra Napoleone III e Francesco Giuseppe, al termine della seconda guerra d'Indipendenza). Nessuno, poi, esprime la propria preferenza per il 3 settembre (1818; avvio del Conciliatore), forse perché nelle menti dei lombardi non è così vivo il ricordo della rivista anti-austriaca che ospitò gli interventi di Silvio Pellico e Giovanni Berchet.

Qualche voto in più arriva per il 7 dicembre, che però a Milano è già festa (Sant'Ambrogio): anche perché, e qui arriva il secondo problema, sono ancora da decidere le modalità della festa. Il Carroccio, che ha tuonato contro il 17 marzo che chiude gli uffici e le scuole una tantum, preme invece per "una festa con tutti i crismi" (parole del capogruppo Galli) che si traduca in un giorno di vacanza da lavoro e lezioni, mentre Roberto Formigoni ha precisato che ci sono "mille modi alternativi" per celebrare la ricorrenza. Bisognerà trovarne uno che soddisfi anche gli alleati leghisti.

 

 

 

 

 

 

 

 

2011-03-02

Passa alla Camera la fiducia sul fisco municipale. La Lega: rivoluzione copernicana

di Claudio TucciCronologia articolo2 marzo 2011

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Questo articolo è stato pubblicato il 02 marzo 2011 alle ore 20:36.

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La Camera conferma la fiducia al governo approvando la risoluzione di maggioranza relativa al testo sul federalismo fiscale municipale. La risoluzione è passata con 314 sì, 291 no e due astenuti. I presenti erano 607, i votanti 605, la maggioranza di 303 voti. Per la Lega Nord è "una rivoluzione copernicana", come l'ha definita Luca Zaia, mentre per l'opposizione si tratta solo di "una colossale truffa". Con "cinque nuove tasse in più che graveranno soprattutto sugli artigiani, i commercianti e la piccola e media impresa": parola di Massimo Donadi. Intanto il ministro, Roberto Calderoli, dopo un incontro con una delegazione del gruppo dei "Popolari d'Italia domani", ha annunciato di impegnarsi a proporre al Cdm "un'iniziativa legislativa finalizzata alla proroga di quattro mesi del termine di scadenza della delega prevista dalla Legge 42" sul federalismo fiscale prevista attualmente per il 21 maggio.

Esulta la maggioranza, Berlusconi con fazzoletto verde

Segni di esultanza, in maggioranza, per l'approvazione del federalismo da parte dell'aula della Camera. Il presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi, è giunto in aula indossando una "pochette" verde. Mentre i deputati della Lega, appena incassato il voto di fiducia, hanno sventolato le bandiere delle regioni del Nord. Il presidente di turno, Antonio Leone, ha richiamato i colleghi a un contegno consono all'aula ed ha sospeso per pochi minuti la seduta. Al momento del sì, i deputati del Carroccio hanno anche ritmato il nome del loro leader: "Bossi, Bossi", hanno intonato per alcuni secondi.

Il premier: maggioranza a quota 322

Berlusconi, si è detto soddisfatto per l'esito del voto di fiducia sul federalismo fiscale perché, al netto di malati e missioni, la maggioranza è a quota 322: "Sapevamo che ci sono persone in missione e due malati. Quindi siamo a 322", ha spiegato ai giornalisti uscendo dall'aula di Montecitorio.

La soddisfazione di Bossi, ipotesi Bricolo all'Agricoltura

Umberto Bossi è ricorso ad una metafora per esprimere la sua soddisfazione dopo l'approvazione del federalismo municipale alla Camera. "Abbiamo fatto un giro di mattoni in più, siamo quasi al tetto: abbiamo iniziato anche il federalismo regionale", ha spiegato uscendo dall'Aula al termine del voto di fiducia che dà il via libera definitivo al provvedimento. Circa le voci di un prossimo rimpasto di governo che porterebbe il Carroccio alla guida di un altro ministero il senatur ha prima nicchiato. Poi davanti alle insistenze dei giornalisti, che lo circondavano appena incassata la fiducia sul federalismo, chiedendogli se fosse vera l'ipotesi di una promozione per il capogruppo della Lega al Senato, Bricolo, al ministero delle Politiche Agricole, Bossi ha risposto con una battuta: "...la faccia da agricoltore ce l'ha. E poi abita a Sommacampagna. È un destino". Circa la durata della legislatura, il ministro delle Riforme ha ripetuto un suo vecchio mantra: "Noi vogliamo completare il federalismo, poi vediamo. Stiamo con i piedi per terra".

L'Mpa non partecipa al voto

I deputati dell'Mpa di Raffaele Lombardo hanno deciso di non partecipare al voto, "specificando che il nostro atteggiamento vale come astensione nel merito", ha detto Carmelo Lo Monte. Dopo l'ok della Camera il provvedimento dovrà approdare per il via libera definitivo al consiglio dei ministri di giovedì e quindi andrà alla firma del presidente Giorgio Napolitano. Ma Umberto Bossi guarda avanti: "ora arriva la parte difficile: il federalismo regionale e provinciale".

Bersani: Carroccio al servizio dell'imperatore

Durante le dichiarazioni di voto, duro l'affondo del numero uno del Pd, Pierluigi Bersani: "È un pasticcio. Mettete le mani nelle tasche dei cittadini, e introducete una patrimoniale sulle piccole imprese. Mettete più tasse di quelle che c'erano prima e per avere meno federalismo di quello che c'era prima". E subito un monito alla Lega: "Noi vi garantiamo che il processo federalista va avanti anche in diverse condizioni politiche", ha detto il segretario del Pd, "se volte reggere il moccolo al miliardario, se volete mettere il Carroccio al servizio dell'imperatore, non trovate scuse".

Casini: il federalismo rischia di sfaciare il paese, è solo uno spot per la Lega

"In uno stato centralista come il nostro introdurre questo federalismo significa sfasciare il paese", ha detto il leader dell'Udc, Pierferdinando Casini: "Non si vuole approvare un vero federalismo, è uno spot per la Lega".

Borghesi (Idv): arriverà un "pacco"

Annuncia voto contrario l'Idv: "È un federalsimo con le ossa rotte, che impone alle regioni la tassa sulle disgrazie, non è solidale, tassa i turisti", ha commetato Antonio Borghesi. La Lega Nord, ha aggiunto, "ha barattato un pacco con scritto federalismo con un salvacondotto per Berlusconi. Ma Berlusconi ha confezionato un vero e proprio "pacco" per gli italiani".

Della Vedova (Fli): riforma pasticciata

Disco rosso anche da parte dei futuristi: è "una riforma pasticciata, non buona, non condivisa ed è frettolosa. Porterà troppe e nuove tasse", ha detto il presidente dei deputati di Fli, Benedetto Della Vedova. Della Vedova punta il dito su "quell'infinità di piccole imposte e addizionali" che la riforma porta con sè.

Santarsiero (Anci): non è una giornata storica per i comuni

Critico è anche il commento del sindaco di Potenza, Vito Santarsiero, responsabile per le politiche del Mezzogiorno dell'Anci, che ha inviato un appello ai parlamentari: "Non è una giornata storica per i comuni. Nel federalismo municipale non c'è alcuna autonomia e responsabilità impositiva. L'unica certezza è la fine dei trasferimenti dallo Stato ai comuni sostituita da una nuova fiscalità locale, decisa e imposta dal governo ai comuni e che ricadrà sui cittadini". E Claudio Fantoni, presidente della consulta Casa Anci e assessore del comune di Firenze, rilancia: "circa un milione di famiglie che ora vivono in affitto a canone concordato rischiano di vedersi aumentato l'affitto - con il passaggio al canone libero - a causa della cedolare secca introdotta dal decreto sul fisco municipale".

Cgia: con Imu rischio +410 euro di tasse per le aziende

Il nuovo fisco municipale comporterà un aumento della pressione fiscale anche per le aziende: parola della Cgia di Mestre, che spiega: "Dal 2014 gli imprenditori proprietari di negozi, uffici, laboratori e capannoni industriali dovranno applicare l'Imu, con il rischio di vedersi aumentare le tasse: in media di 410 euro in più all'anno".

Antonini (Copaff): premiare la lotta all'evasione fiscale da parte delle regioni

 

 

 

 

 

 

 

2011-03-01

 

 

 

 

 

 

2011-02-28

L'Iva dei comuni si perde tra i numeri. Domani il via libera del fisco municipale ma i conti non tornano

di Gianni TrovatiCronologia articolo28 febbraio 2011

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Questo articolo è stato pubblicato il 28 febbraio 2011 alle ore 06:36.

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Un fatto è certo: la compartecipazione all'Iva, che ha sostituito in extremis quella all'Irpef in un ruolo da protagonista nelle entrate federaliste dei sindaci, è l'unico passaggio della riforma che manca di una relazione tecnica. Chi pensa che questa sia una questione burocratica è fuori strada: a mancare, fino ad ora, sono i numeri, e il problema non è da poco visto che l'Iva ai sindaci dovrebbe essere una delle voci chiave dei bilanci comunali di quest'anno. Che cosa spiega questo silenzio, alla vigilia dell'arrivo del testo sulle entrate comunali alla camera per l'ultimo passaggio parlamentare prima dell'approvazione definitiva?

Centro e periferia nel nodo fiscale della territorialità

L'impossibile sfida del gettito mancato al Sud (di Giancarlo Pola)

Un po' di cronaca aiuta a capire. La nuova compartecipazione è entrata nel testo nelle concitate ore di trattative che hanno preceduto il voto del 3 febbraio in bicamerale, nello sfortunato tentativo di strappare una maggioranza che non è arrivata. Ai sindaci, secondo quanto prevede il comma scritto in tutta fretta prima del pareggio a San Macuto e ritoccato prima dell'ultimo voto in Senato, dovrebbe arrivare l'Iva prodotta dai consumi registrati nella provincia di appartenenza, e distribuita fra i comuni della provincia in base al loro numero di abitanti. Nei prossimi anni, poi, il meccanismo dovrebbe affinarsi, fino ad attribuire a ogni comune il gettito realizzato dai consumi effettivi del proprio territorio, individuati grazie a un set di indicatori economico-statistici.

L'obiettivo appare ambizioso, anche troppo visto lo stato di conoscenze attuali sulle dinamiche territoriali dell'imposta: i dati noti finora sono quelli delle dichiarazioni, che però non assegnano al gettito una "targa" certa perché se un piemontese va a Milano a comprare uno stereo o un divano l'Iva dei suoi acquisti è assegnata alla Lombardia. In pratica la geografia delle dichiarazioni favorisce le regioni "esportatrici", e questo spiega in parte l'entità del primato che Lazio e Lombardia vantano rispetto agli altri territori (si veda sul punto l'intervento di Alberto Zanardi pubblicato sul Sole 24 Ore di venerdì scorso).

L'Iva da assegnare ai sindaci

è invece quella del quadro "VT", introdotto in via sperimentale nelle dichiarazioni dal 2006, che segue la residenza del consumatore più del luogo dell'acquisto. Qui però arriva il problema : i dati provinciali al momento non ci sono, e per ora fatica ad emergere un quadro sufficientemente certo anche a livello regionale. La nebbia che ancora circonda i dati non permette di capire in che misura il riferimento ai consumi finali è in grado di ammorbidire la sperequazione del gettito, che nelle dichiarazioni appare potente. Alle regioni più "ricche" (Lazio e Lombardia) gli ultimi dati disponibili – tratti dalle dichiarazioni 2009 – assegnano un gettito superiore ai 3.500 euro per abitante, mentre al Sud si scende intorno ai 500 euro pro capite e in Calabria si sprofonda a 335 euro. Non solo: queste cifre sommano 105 miliardi e sono relative ai versamenti effettuati nell'anno, ma rimborsi, compensazioni e trasferimenti alla Ue riducono la competenza a quota 80 miliardi euro: per garantire ai comuni i 2,8 miliardi assicurati dalla norma, di conseguenza, l'aliquota di compartecipazione dovrebbe viaggiare intorno al 3,5 per cento, quasi un punto sopra al 2,6 per cento ipotizzato all'inizio.

Il nodo essenziale, però, rimane quello degli squilibri territoriali. Il gioco dell'"import-export" tra regioni spiega solo una parte delle differenze che, oltre al diverso livello dei consumi, sono dovute anche alla geografia dell'evasione, che punta decisamente a Sud. L'assegnazione ai sindaci (e ai governatori) di una quota dell'imposta dovrebbe aumentare l'impegno dei governi locali contro l'evasione, ma prima c'è da risolvere il problema dell'assegnazione territoriale del gettito, che finora ha bloccato tutti i progetti sul tema (fin dai tempi della commissione Vitaletti che tra 2003 e 2006 si era esercitata sul federalismo). L'esigenza di garantire ai sindaci che la sostituzione dell'Irpef con l'Iva non si sarebbe tradotta in una perdita di entrate complessive, poi, ha prodotto una formula bizzarra in base alla quale i frutti locali dell'Iva dovranno essere equivalenti a quelli che si sarebbero avuti con la compartecipazione all'imposta sui redditi. Stando alla norma, il riferimento rimane l'Irpef, e l'aliquota dell'Iva assegnata ai sindaci deve cambiare ogni anno in base alla dinamica dell'imposta sui redditi: un sistema decisamente macchinoso, che rischia di aprire nuovi dubbi in un terreno su cui i dati rimangono pochini.

 

 

 

 

 

 

2011-02-19

Partecipazioni dei comuni nelle società a partecipazione pubblica: l'addio slitta a fine 2013

di Gianni TrovatiCronologia articolo13 febbraio 2011

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Questo articolo è stato pubblicato il 19 febbraio 2011 alle ore 09:29.

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Slitta a fine 2013 l'addio obbligatorio alle società da parte dei comuni fino a 50mila abitanti, nuovi parametri provano a evitare ai sindaci di dover abbandonare le partecipate "virtuose", ma rimangono senza soluzione i principali problemi applicativi che la dismissione obbligatoria ha sollevato fin dal suo apparire nella manovra estiva.

Nella sua versione originale, la regola avrebbe voluto dare un taglio secco al "socialismo municipale" portato avanti nei 7.950 comuni che non arrivano a 50mila abitanti (sono il 98% dei municipi italiani), e che hanno in portafoglio gran parte delle quasi 5mila società a partecipazione pubblica censite dal governo. Tanto slancio, però, si è perso in fretta: nella legge di stabilità era comparsa una prima scrematura nel tentativo di escludere i "virtuosi" e nel maxiemendamento governativo al milleproroghe si è riscritta tutta la disciplina. Anche nella nuova versione, però, non mancano le incongruenze.

Prima di tutto, il correttivo approvato mercoledì al Senato sposta al 2013 l'appuntamento con la dismissione delle partecipazioni non più consentite dalla legge. Per sopravvivere anche oltre quella data, le società dovranno mantenere da qui in poi i bilanci in utile, e dovranno vantare una storia senza macchie: negli "esercizi precedenti", quindi, anche in quelli che precedono il 2011, non devono aver subito perdite tali da intaccare il capitale, e non possono essere state destinatarie di aumenti di capitale obbligatori da parte dei comuni che hanno in tasca le partecipazioni. L'obbligo di ripiano, vista la genericità della norma, non sembra limitato ai casi in cui il capitale scende sotto i limiti minimi imposti dal codice civile (articoli 2446 e 2447), ma può essere scattato anche per delibere dell'assemblea.

Qui arriva il primo problema. Fino a quanto deve andare indietro l'analisi della storia della società per garantire la sua "virtù" e di conseguenza consentirle di dribblare l'obbligo di dismissione? Le società che hanno decenni di vita devono essere immacolate fin dalla loro fondazione? La nuova regola al riguardo non dice nulla, ed è probabile che presto dovranno intervenire dei correttivi.

Così concepiti, comunque, i nuovi parametri di virtuosità già condannano una serie di società, che negli ultimi anni hanno subito una ricapitalizzazione o una diminuzione del capitale causata da perdite. Per loro non c'è speranza, ma nonostante questo la data di scadenza si sposta comunque al 2013. Le altre società, che non sono incappate in questi problemi, si dovranno giocare la sopravvivenza con i conti dei prossimi tre anni.

La riscrittura delle regole sulle società si occupa solo degli obblighi di dismissione e non affronta uno dei nodi principali, perché oltre a imporre l'addio il taglia-partecipate scritto nella manovra estiva impedisce anche la costituzione di nuove realtà o l'acquisto di quote. In che ambiti? In alcuni settori la partecipazione societaria è la via obbligata per i comuni nella gestione dei servizi, e proprio per questa ragione la Corte dei conti della Lombardia è intervenuta recentemente per sostenere che il blocco non scatta per "le società obbligatorie per legge". Una sezione regionale della Corte, per quanto autorevole, non basta però a fissare i cardini interpretativi di una norma, e infatti lo stesso Parlamento aveva imposto la scrittura di un decreto ministeriale sul tema, di cui però non vi è ancora traccia.

Il problema si intreccia con la "riforma" di acqua e rifiuti, che impone entro il 31 marzo la chiusura delle Autorità d'ambito. Le regioni devono decidere a chi affidare questi compiti e in molti casi, dalla Lombardia alla Toscana, si sta scegliendo la via dell'azienda speciale partecipata dai comuni. Come si coordinerà questa regola con quella che chiede l'addio alle società? La questione è destinata a scoppiare a breve, a meno che un Dpcm intervenga in extremis per rimandare anche il pensionamento delle autorità d'ambito.

 

 

S

Società a partecipazione pubblica

 

Società costituite nelle forme previste dal codice civile al cui capitale partecipano, per la totalità o comunque per quote rilevanti, soggetti pubblici.

Il modello della società a partecipazione pubblica ha origini risalenti e si è prestato sempre a una varietà di impieghi: l'esercizio di attività economiche, incidenti o meno su interessi pubblici, ma anche di funzioni amministrative.

In tempi recenti, il modello societario è proliferato con particolare rapidità presso le regioni e gli enti locali. I soggetti pubblici ricorrono alla società per garantire una gestione di tipo imprenditoriale e, più in generale, per sfuggire ai vincoli a cui sono sottoposte le amministrazioni tradizionali.

Questo fenomeno – così come era accaduto per la "fuga" dal modello ministeriale a quello dell'ente pubblico – ha pubblicizzato per riflesso molti aspetti della disciplina rilevante. Vi sono anzitutto società nate con norme speciali che modificano direttamente il modello codicistico (le cosiddette società speciali, come la Rai, Sviluppo Italia, eccetera).

Il fatto della partecipazione pubblica può poi essere – da solo o insieme ad altre circostanze – motivo di attrazione nelle discipline dei contratti pubblici, dei controlli contabili, dei reati contro la pubblica amministrazione.

Per contenere e controllare il fenomeno, negli ultimi anni alcune norme hanno sottoposto le società pubbliche a limiti speciali quanto al numero e ai compensi degli amministratori e dei sindaci. (Marcello Clarich e Giuliano Fonderico)

 

 

Fiducia al Senato sul maxi emendamento. Fisco in aiuto di banche e fondi comuni italiani

Cronologia articolo15 febbraio 2011

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Questo articolo è stato pubblicato il 15 febbraio 2011 alle ore 13:52.

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Il governo ha posto la fiducia sull'articolo unico del maxiemendamento interamente sostitutivo del decreto milleproroghe (guarda l'Abc del testo). Lo ha comunicato il ministro per i rapporti con il parlamento, Elio Vito, all'aula del Senato al termine della discussione generale e dopo le repliche di relatori e governo. Il presidente del Senato, Renato Schifani, ha inviato il testo del provvedimento alla commissione bilancio e ha convocato la conferenza dei capigruppo che stabilirà i tempi per la discussione e il voto di fiducia. La decisione è arrivata per accelerare i tempi di conversione del decreto che scade il prossimo 27 febbraio ed è in prima lettura al Senato, dove sono stati presentati in aula oltre 1.100 emendamenti. Dopo l'approvazione, il decreto passerà all'esame della Camera.

Il governo studia un maxiemendamento al Milleproroghe. Probabile il ricorso alla fiducia (di Nicoletta Cottone)

Milleproroghe, slitta la restituzione delle tasse in Abruzzo e le Poste potranno acquistare banche (di Claudio Tucci)

Schifani: vigilerò su norme nuove, spero in relazione tecnica

Il presidente del Senato Schifani ha quindi assicurato la sua vigilanza sui contenuti del maxiemendamento. "È evidente che su argomenti totalmente estranei eserciteremo la nostra vigilanza". Schifani ha precisato che le nuove disposizioni sulle banche che sono contenute nel maxiemendamento sono state prima esaminate stamane in Commissione bilancio. Schifani, accogliendo una esigenza manifestata dall'opposizione, ha auspicato che sul maxiemendamento venga presentata la relazione tecnica.

Fisco in aiuto delle banche in vista di Basilea 3

Il fisco va in soccorso delle banche per evitare una penalizzazione rispetto agli altri paesi europei, in vista dei criteri più stringenti sulla patrimonializzazione previsti dalle regole di Basilea3 in vigore dal 2013. Il maxiemendamento al decreto legge milleproroghe stabilisce infatti che le imposte anticipate iscritte nei bilanci degli istituti, relative a svalutazioni di crediti, possano essere trasformate in crediti d'imposta ai fini del calcolo della patrimonializzazione, come prevedono le regole di Basilea3. In particolare, si stabilisce che le attività per imposte differite (Dta - Deferred tax asset) relative a svalutazioni di crediti e non ancora dedotte dall'imponibile, possano essere trasformate in crediti d'imposta, "qualora nel bilancio individuale della società venga rilevata una perdita d'esercizio". La stessa disciplina si applica ai valori di avviamento e alle altre attività immateriali iscritte a bilancio. Il valore della misura é stimato in 141 milioni di euro a decorrere dal 2011

Fondi: la tassazione passa da maturato a realizzato

Cambia il sistema di tassazione dei fondi comuni di investimento. Si passa dalla tassazione del maturato in capo ai fondi (come avviene ora) alla tassazione del realizzato in capo ai sottoscrittori delle quote del fondo. Lo prevede un'altra norma che il governo ha inserito nel maxiemendamento al decreto milleproroghe. La modifica, riporta la relazione tecnica, è volta ad unificare il regime fiscale attualmente in vigore per i fondi comuni di investimento residenti in Italia e quelli residenti in altri stati della Ue.

 

 

Il governo approva la relazione sulla riforma della giustizia. Il 17 marzo Festa dell'Unità d'Italia. Lega: una follia

di Nicoletta Cottone e Claudio TucciCronologia articolo18 febbraio 2011Commenti (20)

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Questo articolo è stato pubblicato il 18 febbraio 2011 alle ore 09:37.

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Il Cdm approva la relazione sulla riforma della giustizia del ministro Alfano. La tanto preannunciata riforma è arrivata sul tavolo del consiglio dei ministri come "fuori sacco", con una relazione del Guardasigilli. Una relazione introduttiva approvata all'unanimità. Una relazione giudicata "positiva", "ottima" dal premier Silvio Berlusconi. "Ora andiamo avanti con la riforma". Berlusconi avrebbe ricordato ai ministri presenti che la riforma "é uno dei punti più importanti del nostro pogramma di governo". In Cdm lo stesso Berlusconi ha insistito sul fatto che la riforma va approvata in tempi stretti, perchè è un problema non più rinviabile, da risolvere quanto prima". Includendo nel pacchetto anche le intercettazioni e il ripristino dell'immunità parlamentare prevista dal vecchio articolo 68 della Costituzione.

Berlusconi: con il Vaticano tutto bene. Napolitano: anche il Papa alle celebrazioni per l'Unità d'Italia

Un Cdm straordinario per l'approvazione definitiva della riforma

Sarà un Consiglio dei ministri straordinario convocato nei prossimi giorni a procedere all'approvazione definitiva della riforma costituzionale della giustizia. Intanto un comitato formato da ministri ed esperti si riunirà per approfondire i contenuti. La riforma è costituita da una parte di modifiche costituzionali e da una parte parlamentare che viaggerà per via ordinaria: è previsto, infatti, un ddl costituzionale per separare le carriere di giudici e pm e di conseguenza per dividere in due il Csm. Previsti anche più poteri al ministro della Giustizia. Non è escluso che il governo intenda procedere anche con un ddl sulla responsabilità civile dei magistrati.

Arriva la conferenza della Repubblica

Via libera anche a una nuova istituzione, la Conferenza della Repubblica, con cui cambierà in modo sostanziale il funzionamento dell'organismo di raccordo e decisione delle regioni (e degli enti locali). L'obiettivo è rivedere le modalità di funzionamento della Conferenza delle Regioni e dell'Unificata (che unisce Stato-Regioni e Stato-città e autonomie locali) ed adeguarla alla riforma federalista, intervenendo in particolare sui tempi di decisione. Sul provvedimento che istituisce la conferenza della Repubblica verrà sentita la conferenza Stato-Regioni. "Sono molto soddisfatto - ha detto il ministro per i Rapporti regionali Raffaele Fitto - poichè si tratta di una riforma importante che adegua il sistema e le forme delle relazioni tra Stato e Autonomie".

Il 17 marzo festa dell'Unità d'Italia

Oggi è stata messa poi la parola fine sulla questione della festività del 17 marzo, in occasione dell'anniversario dei 150 anni dell'Unità d'Italia. Il Consiglio dei ministri ha dato il via libera al decreto che istituisce il 17 marzo festa nazionale. "il 17 marzo - ha detto il ministro della Difesa, Ignazio la Russa - sarà festa nazionale a tutti gli effetti civili". La decisione é stata presa "con la riserva e la non adesione di tre ministri". La questione della copertura finanziaria é stata superata con il trasferimento "degli effetti economici e degli istituti giuridici e contrattuali dalla festa del 4 novembre al 17 marzo. Questo varrà solo per il 2011". La Russa ha aggiunto che "sarebbe stato difficile da capire dire che é la festa di tutti andando a lavorare".

Per la Lega la festa è una "follia incostituzionale"

Per il ministro leghista Roberto Calderoli "fare un decreto legge per istituire la festività del 17 marzo, un decreto legge privo di copertura (traslare come copertura gli effetti del 4 di novembre, infatti, rappresenta soltanto un pannicello caldo e non a casa mancava la relazione tecnica obbligatoria prevista dalla legge di contabilità), in un Paese che ha il primo debito pubblico europeo e il terzo a livello mondiale e in più farlo in un momento di crisi economica internazionale é pura follia. Ed è anche incostituzionale".

Impianti nucleari: modificato il decreto sui siti

Il Consiglio dei Ministri ha approvato le modifiche al decreto legislativo sull'individuazione dei siti per la realizzazione di impianti nucleari. Il provvedimento recepisce i rilievi posti dalla Corte Costituzionale che aveva chiesto un parere preventivo, seppure non vincolante, delle regioni interessate alla costruzione delle centrali.

Ok a nuovo regolamento dirigenti pubblici

Il consiglio dei ministri ha approvato pure in via preliminare il "Regolamento sulle modalità di compimento del periodo di formazione all'estero per i neo dirigenti di prima fascia", in attuazione della riforma Brunetta. Lo schema di regolamento disciplina un periodo di formazione semestrale all'estero per chi abbia superato il concorso. Sul testo verrà acquisito il parere del consiglio di Stato.

Parte l'Anvur

Palazzo Chigi ha infine approvato definitivamente, dopo l'ok delle commissioni parlamentari, la nomina dei componenti dell'Anvur, l'agenzia di valutazione di università e ricerca, che quindi può finalmente decollare. I nuovi componenti dell'Anvure saranno quindi: Fiorella Kostoris, Luisa Ribolzi, Sergio Benedetto, Andrea Bonaccorsi, Massimo Castagnaro, Stefano Fantoni e Giuseppe Novelli.

 

 

Calderoli: la festa del 17 marzo è una "follia incostituzionale"

Cronologia articolo18 febbraio 2011Commenti (4)

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Questo articolo è stato pubblicato il 18 febbraio 2011 alle ore 14:15.

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Non c'è nessuna frattura con la Lega per le celebrazioni del 150* dell'Unità d'Italia ma "una diversità d'opinione" e "una valutazione diversa". Getta acqua sul fuoco il ministro della Difesa, Ignazio La Russa, commentando al termine del Consiglio dei ministri il voto contrario dei ministri della Lega ( Umberto Bossi, Roberto Maroni e Roberto Calderoli) al decreto che istituisce la festività del 17 marzo. Un decreto da tempo contestato dalla Lega, che non approva la scelta di festeggiare con l'astensione dal lavoro e la chiusura delle scuole.

Per Calderoli "pura follia"

Il ministro della Semplicazione, Roberto Calderoli, ha definito il decreto legge "pura follia" e "incostituzionale". Fare un provvedimento urgente per istituire la festività del 17 marzo, che per Calderoli è "un decreto legge privo di copertura (traslare come copertura gli effetti del 4 di novembre, infatti, rappresenta soltanto un pannicello caldo e non a casa mancava la relazione tecnica obbligatoria prevista dalla legge di contabilità), in un Paese che ha il primo debito pubblico europeo e il terzo a livello mondiale e in più farlo in un momento di crisi economica internazionale è pura follia. Ed è anche incostituzionale". Calderoli resta, dunque, contrario "alla decisione di non far lavorare il Paese il 17 di marzo, sia per il costo diretto che è insito in una festività con effetti civili che per quello indiretto, che proverrà dallo stimolo di allungare la festività in un ponte da giovedì fino a domenica. Se vogliamo rilanciare davvero il Pil di questo Paese con il decreto legge di oggi abbiamo fatto l'esatto contrario".

Per Confindustria la ricorrenza si sarebbe potuta celebrare meglio lavorando

Per Confindustria la ricorrenza del 17 marzo "avrebbe potuto essere celebrata al meglio lavorando, producendo reddito e raccogliendosi attorno alla bandiera nazionale negli uffici e nelle fabbriche". In una nota Confindustria ha dato atto al governo "di aver messo a punto una soluzione che attenua fortemente l'aggravio economico a carico delle imprese".

 

 

Una salutare frenata federale

Innocenzo CipollettaCronologia articolo19 febbraio 2011

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Questo articolo è stato pubblicato il 19 febbraio 2011 alle ore 08:14.

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La frenata del Parlamento al cosiddetto "federalismo municipale", che non ha superato il vaglio della Commissione bicamerale, è stato un evento positivo. Avrebbe dovuto essere festeggiato soprattutto da quanti, come la Lega, si dichiarano favorevoli al federalismo. In quel provvedimento di federalismo non c'era nulla e si rischiava solo di creare aspettative che poi sarebbero andate deluse, carichi fiscali maggiorati in particolare per le imprese (che hanno il torto di non votare alle elezioni locali), sfondamenti di spesa pubblica con riflessi pesanti per tutti i cittadini e per il paese.

Si continua a dire, da parte della Lega e del governo con tanto di conferenze stampa, che con il federalismo ci sarà maggiore trasparenza perché gli elettori potranno alfine giudicare gli eletti sulla base di quello che sapranno fare con le tasse raccolte sul territorio. Ma questo non è affatto vero. I provvedimenti che vanno sotto il nome di federalismo hanno poco a che vedere con il federalismo di cui si parla.

Gli enti locali (regioni, province e comuni) avranno, forse, una compartecipazione (questa è la parola usata nei decreti fiscali del governo) alle imposte nazionali, sulla base di parametri locali (numero di abitanti, reddito, eccetera). In altre parole, continueremo come prima a pagare le nostre tasse di sempre (Irpef, Ires, Iva, eccetera) allo Stato, che poi le suddividerà agli enti locali: né più né meno di quanto già avviene ora. La sola differenza (di nessun conto) è che verrà predeterminato il tipo e l'ammontare d'imposta che verrà distribuito agli enti locali. Appunto la "compartecipazione" alle tasse dello Stato. Ossia il cittadino paga allo Stato e gli enti locali si spartiscono parte di quei soldi.

È questo il federalismo? È questo il federalismo fiscale? No, perché federalismo fiscale implica tasse locali proprie e autonomamente determinate dalle regioni sui propri contribuenti. Lo Stato al massimo può fare opera di necessaria perequazione per le regioni più povere. Con un articolo pubblicato su questo giornale il 29 dicembre 2010, parlai di "imbroglio federale" a proposito di queste leggi. Più severo di me e con maggiore competenza si è espresso il presidente della Corte costituzionale Ugo De Siervo che (come riportato dal Sole 24 Ore del 5 febbraio) ha parlato di "bestemmia" a proposito di federalismo municipale e di "abuso linguistico", perché la legge che si voleva approvare altro non era che una semplice "legge di autonomia finanziaria dei comuni", che nulla ha a che vedere con il federalismo.

Che dire poi del fatto che l'Italia si avvia, a stare ai propositi del Parlamento, non già a essere uno Stato federale, ma più Stati federali sovrapposti sullo stesso territorio? Infatti si parla da noi di "federalismo regionale" assieme al "federalismo municipale". Immagino che ci sarà anche un "federalismo provinciale" e, forse, in futuro, quello per rioni, quartieri e contrade. Anche in questo caso si sta pericolosamente giocando con le parole. Stiamo attuando una banale forma di decentramento e di autonomia finanziaria locale su più livelli che è implicita nella nostra Costituzione. E lo stiamo facendo molto male perché ci si ostina a dare al tutto una parvenza di federalismo. Che senso ha introdurre sistemi di compartecipazione a specifiche imposte che sono state concepite per essere nazionali? Che senso ha dibattere per distribuire con parametri locali poche entrate nazionali quando l'azione di redistribuzione e di perequazione dovrà essere comunque gigantesca, date le forti diversità nel territorio italiano?

Non era meglio ragionare su come distribuire le risorse sul territorio per garantire a ogni ente locale di adempiere alla propria missione ponendo degli standard ai servizi da erogare? Questi standard verranno comunque posti dal nostro pseudo-federalismo. Ma allora, se tutti gli enti locali dovranno adeguarsi a questi standard nella loro spesa, perché perdere tempo e creare confusione e distorsioni andando a definire quali sono le compartecipazioni di singoli gettiti di specifiche imposte? E, se veramente si voleva dare una qualche autonomia locale, non era meglio creare una vera imposta locale liberamente a discrezione degli enti locali?

Tutto quello che si è fatto sotto l'etichetta del federalismo non significa affatto che stiamo facendo uno storico salto verso uno Stato federale dai gloriosi orizzonti, come si pretende. E non si capisce perché si debbano imbrogliare gli italiani. Forse si pensa che siano tutti ignoranti e che basterà loro la vittoria-simbolo di un federalismo mai realizzato?

Con tutti i problemi che ha oggi l'Italia e con la necessità e urgenza di rilanciare la crescita, di ridare spazio ai redditi delle famiglie tagliati dalla crisi, di offrire una qualche prospettiva alla massa di giovani disoccupati, non è proprio il caso di spendere soldi e energie per questa farsa.

icipoll@tin.it

 

 

"Così si tradisce il federalismo fiscale". Regioni fredde sulle proposte del governo

di Roberto TurnoCronologia articolo18 febbraio 2011Commenti (4)

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Questo articolo è stato pubblicato il 18 febbraio 2011 alle ore 07:36.

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"Così si tradisce il federalismo fiscale". Con promesse di finanziamenti da incassare non onorate dal governo, col decreto milleproroghe che è "a-federale". Mentre la speranza di azzerare l'Irap sarà "una missione impossibile" e con la pioggia di addizionali non alzare la pressione fiscale sarà una sfida inverosimile. I governatori alzano il tiro sul federalismo fiscale. Ancora senza strappi, ma con richieste che chiedono al governo di rispettare al più presto. Ma non senza divisioni, a cominciare dai distinguo delle regioni a trazione leghista, Piemonte e Veneto.

Sono stati di scena i governatori, ieri, nell'audizione davanti alla bicamerale sullo schema di decreto su fisco regionale e costi standard sanitari. Con loro anche le province e una rappresentanza dei sindaci, toccati non certo marginalmente dal federalismo regionale. Sul tappeto nodi e dubbi che i commissari hanno fatto capire di non voler lasciar passare sotto silenzio. "Clima positivo, ci sono margini di miglioramento", ha commentato Enrico La Loggia (Pdl), presidente della bicamerale che intanto ha nominato Massimo Corsaro (Pdl) relatore di maggioranza e Francesco Boccia (Pd) di minoranza. Ma siamo ancora alla battute iniziali. Non senza incognite sull'eventuale cambio dell'attuale rapporto di forza (15 a 15 tra maggioranza e opposizioni) se Mario Baldassarri, che però ieri lo ha negato, lasciasse il Fli.

Intanto ieri le regioni un risultato lo hanno incassato da Calderoli: le norme sulla conferenza permanente per il coordinamento della finanza pubblica faranno parte del decreto sul fisco regionale, estrapolate dal decreto sulle sanzioni agli amministratori in deficit contestato dai governatori: "È incostituzionale ed esorbitante", ha detto Vasco Errani (Pd, Emilia Romagna). Stessa stroncatura attende del resto il ddl di Fitto che va oggi in consiglio dei ministri che fa nascere la "conferenza delle repubblica" dalle ceneri di stato-regioni, stato-città e conferenza unificata.

Proprio a Errani ha rappresentato la posizione delle regioni. Col primo affondo dedicato al mancato rispetto dell'accordo col governo – legato al parere positivo sul federalismo – che prevede tra l'altro il reintegro di 400 milioni per il trasporto pubblico locale. "È fondamentale per il rapporto sul fisco regionale, così il dialogo è a rischio", ha ribadito Errani. E qui c'è stato il distinguo del leghista Roberto Cota (Piemonte): "Certo, è stato sottoscritto un accordo. Ma è cosa diversa dal federalismo fiscale. Il governo manterrà l'accordo".

Altro tasto dolente: le modifiche al milleproroghe. Anche in questo caso Errani non s'è tirato indietro: "Ci sono norme caratterizzate da un impianto a-federale". Come l'obbligo per le regioni di pagare in proprio con le addizionali le calamità naturali, senza trasferimento di risorse dal fondo nazionale. O i 70 milioni per la sanità destinati agli enti lirici o ancora le risorse sottratte per le alluvioni in Veneto, Toscana e Liguria.

Insomma, conti che non tornano. E dubbi che crescono. Il raccordo tra i diversi decreti applicativi del federalismo fiscale, ha ribadito Errani, dev'essere chiaro e coerente: "Se si interviene sulle addizionali Irpef dei comuni e poi su quelle delle regioni e poi ancora sulle addizionali per le calamità naturali e in un comma si dice "senza aumentare la pressione fiscale", la domanda è: come?". Interrogativo che vale per la "missione impossibile, impraticabile, irrealizzabile" di arrivare a un fantomatico azzeramento dell'Irap. E ancora: i dubbi che i governatori seminano a piene mani sulla gestione del fondo transitorio e perequativo, sulla progressività dell'Irpef, sul finanziamento dei Lep (livelli di assistenza nel sociale), sui piani di rientro dal debito sanitario da allungare, su benchmark e costi standard sanitari. Mentre per le province Nicola Zingaretti (Pd, Roma) ha contestato l'autonomia insufficiente e il rischio di non poter svolgere le funzioni essenziali dalla scuola alla formazione professionale, dai servizi per il lavoro all'ambiente. E i sindaci non sono stati da meno: attenti al centralismo regionale, occhi aperti per arrivare a una perequazione con criteri precisi e separati. E questi sono paletti per i governatori.

2011-02-15

Bersani alla Lega: facciamo insieme il federalismo

Cronologia articolo15 febbraio 2011Commenti (7)

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Questo articolo è stato pubblicato il 15 febbraio 2011 alle ore 10:51.

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Mano tesa di Bersani alla Lega. Il federalismo come "riforma storica, epocale per la democrazia italiana", una riforma che il segretario del Pd, Pier Luigi Bersani, ha garantito "personalmente" e per il partito, "deve andare avanti e giungere a compimento". Dalle colonne della Padania, Bersani ha allungato la mano alla Lega, mettendola in guardia dal premier Silvio Berlusconi, "culturalmente e politicamente del tutto disinteressato al Federalismo".

"Impegno me e il mio partito a portare avanti il processo federalista dialogando con la Lega. Quali che siano gli sviluppi politici. Guardiamo oltre Berlusconi ma salviamo la prospettiva auotonomista", dice il segretario Pd. "Se dico - prosegue - che noi il federalismo non lo molliamo è perché so di poterlo dire, ne sono sicuro. La Lega ci rifletta e ci chieda pure, giustamente, cosa succede dopo, con uno scenario diverso, pur nelle reciproche distinzioni. Ma non si può andare avanti così". Il federalismo "è una riforma troppo importante e seria perché venga costruita male, perché sia vittima dello scenario politico.

Il federalismo cambia l'Italia: non può dipendere dal caso Ruby".

Nel definire il federalismo come "una riforma storica, epocale per la democrazia italiana", il leader del Pd aggiunge: "Credo da sempre che, pur da posizioni diverse ed anche alternative, ci siano due vere forze autonomiste nel Paese: il Pd e la Lega. Noi rivendichiamo e vogliamo coltivare, rinnovandola, questa nostra antica tradizione".

"Noi - sostiene - vediamo con grandissima preoccupazione il fatto che la Lega, vedendo accorciarsi i tempi della legislatura, possa accontentarsi di un federalismo di bandiera. Dall'altro temiamo che Berlusconi, culturalmente e politicamente del tutto disinteressato al federalismo, ne approfitti per pretendere in cambio il processo breve, così come ha ottenuto il voto sulle 'leggi sulla cricca' e dunque 'passare a nuttata'".

Da questo matrimonio un bambino come il federalismo rischia di rimanere soffocato". E allora, per Bersani "qualsiasi soluzione è meglio di quanto sta accadendo oggi, anche in previsione di ciò che si prospetta nei prossimi mesi". Da qui l'invito a "tutte le forze politiche a considerare questi problemi fornendo una disponibilità larga".

"Si può essere alternativi su temi cruciali ma noi e voi siamo in grado di dialogare. Siamo popolari, Berlusconi è solo populista. Il patto che propongo è questo: tra forze popolari anche alternative vi siano temi su cui ragionare insieme", conclude Bersani.

Bondi: proposta strumentale

E' strumentale la proposta del Pd alla Lega sul federalismo. Lo dice Sandro Bondi, coordinatore Pdl e ministro per i Beni culturali, commentando l'intervista di Bersani alla Padania e il patto sul federalismo proposto alla Lega. "Il Pd sposa di volta in volta, a seconda delle proprie convenienze politiche contingenti, tesi opposte: un giorno la Lega è l`espressione più volgare della politica, il giorno dopo è tornata ad essere la costola della sinistra o perlomeno l`unica forza autenticamente popolare, insieme al Pd, con cui dialogare", osserva Bondi.

 

 

2 - "Seconda condizione sono regole di procedura che collochino le grandi decisioni di spesa nella prospettiva dell'equilibrio monetario... Alle decisioni di spesa pubblica bisogna dare regole che costringano al rispetto sostanziale dell'obbligo di copertura... Occorre ricercare e definire solennemente forme, quali ad esempio l'obbligo del pareggio fra le entrate e le uscite correnti, con le quali dare concreta attuazione al principio enunciato nella Costituzione...".

3 - "Terza condizione: occorre ricercare e definire forme istituzionali attraverso le quali la negoziazione collettiva ritorni a essere strumento di governo della dinamica dei redditi e della condizione del lavoro anziché di distruzione della moneta... Autonomia della banca centrale, rafforzamento delle procedure di bilancio, codice della contrattazione collettiva sono presupposti del ritorno e une moneta stabile".

Nel nostro paese, nello scorcio degli anni Settanta e all'inizio degli anni Ottanta, la creazione di "moneta di banca centrale" - la moneta ad alto potenziale che stava alla base della piramide della creazione della moneta e del credito - avveniva principalmente attraverso il canale del Tesoro (gli altri due essendo le banche e l'estero): questo per effetto di una convenzione, non in forza di un obbligo di legge, che faceva sì che la banca agisse da acquirente residuale di tutti i BoT emessi dal Tesoro, al tasso d'interesse deciso dallo stesso Tesoro.

Il governatore Baffi, nelle Considerazioni finali del 1976, spiegò che la banca aveva creduto di "accettare la validità di una ragione economica storica più cogente della pur profonda convinzione di quanto sia effimero e dispersivo il sostegno dell'occupazione e del reddito affidato all'inflazione". In effetti, la creazione monetaria operata per il tramite del canale Tesoro agiva come un potente volano di svilimento del valore, interno ed esterno, della moneta, attraverso una costante creazione del combustibile - la "base monetaria" - che alimentava i processi inflazionistici.

In quelle difficili condizioni, l'azione della banca centrale nel controllo dei flussi monetarie finanziari si traduceva in un continuo sforzo di assorbire (mop up, si diceva allora) la liquidità in eccesso, principalmente attraverso operazioni di mercato aperto. Ricordiamo inoltre che, per un'economia di trasformazione quale quella italiana, caratterizzata da un elevato grado di apertura sull'estero, la presenza di un'elevata liquidità sul mercato interno facilmente si traduceva in tensioni sul cambio e sul tasso d'inflazione importata. Aggiungasi che il nostro sistema di determinazione delle retribuzioni, pubbliche e private, era fortemente indicizzato. Ben pochi mettevano in dubbio il sistema delle indicizzazioni al 10%, effetto della scala mobile conseguente agli accordi fra le parti sociali del 1975. All'estero, ciò consolidava l'immagine di un'economia italiana caratterizzata da una congenita propensione all'inflazione.

Andreatta e io eravamo convinti che fosse indispensabile ridare autonomia alla politica monetaria; di qui l'idea di modificare la prassi introdotta nel 1976 secondo la quale la Banca d'Italia agiva da acquirente residuale dei titoli invenduti in asta. Nell'autunno del 1980 avemmo con Andreatta lunghi colloqui sull'argomento. Trent'anni fa, proprio di questi giorni, sulla base di uno studio condotto da un gruppo di lavoro congiunto Tesoro-Banca d'Italia, ci scambiammo, con Andreatta, alcune lettere con le quali si poneva termine al meccanismo automatico di acquisto residuale; l'accordo si perfezionò nel luglio del 1981.

La riconquistata autonomia della banca centrale riduceva il finanziamento agevolato della spesa pubblica, cosicché il tasso d'interesse poteva riprendere il suo ruolo chiave di determinazione delle condizioni di equilibrio nel mercato monetario e finanziario.

Con l'adesione alla moneta unica quel cammino è stato portato a compimento. Soprattutto, la società civile ha maturato una nuova mentalità, centrata sulla stabilità quale condizione essenziale per un maggiore benessere economico e sociale. Ciò rese l'Italia degna di partecipare fin dall'inizio alla moneta unica.

L'articolo è uno stralcio del discorso che Carlo Azeglio Ciampi tiene oggi al convegno "L'autonomia della politica monetaria". Una riflessione a trent'anni dalla lettera di Andreatta che avviò il divorzio tra Tesoro e Bankitalia

 

 

 

 

2011-02-06

Il fisco municipale riparte dall'Iva. Cedolare e sanzioni contro il nero. L'abc del federalismo

articoli di Gianni Trovati, Claudio Tucci, Nicoletta Cottone, Alberto Zanardi, Luigi LovecchioCronologia articolo06 febbraio 2011

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Questo articolo è stato pubblicato il 06 febbraio 2011 alle ore 08:11.

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Il federalismo municipale riparte dall'Iva. Già in settimana – assicurano esponenti del governo come il sottosegretario alla presidenza del Consiglio, Carlo Giovanardi – arriverà nelle Aule di Camera e Senato la comunicazione sull'ultimo testo del decreto, uscito dalla mediazione finale nella Bicamerale e dal tentativo di emanazione stoppato dal Colle.

L'Abc del federalismo (di Nicoletta Cottone e Claudio Tucci)

Cedolare e sanzioni contro il nero (di Luigi Lovecchio)

Con la nuova Imu sottovalutati i rischi per le imprese (di Alberto Zanardi)

La novità più consistente rispetto alla versione presentata ai sindaci è il cambio di casacca della compartecipazione, che lascia l'Irpef e punta invece sull'imposta sui consumi, secondo un disegno coerente con quello contenuto anche nella bozza di decreto sul fisco delle regioni. L'Iva, insomma, è chiamata a fare da pilastro sia alle entrate dei governatori sia a quelle dei sindaci; per questi ultimi sarà un Dpcm a fissare l'aliquota della compartecipazione e le modalità di assegnazione, che però sono già prefigurate dal decreto legislativo: l'Iva sarà assegnata su base territoriale, perché il quadro VT presente nella dichiarazione del 2006 assegna la "targa" al gettito e permette di individuarne la provincia di provenienza. Più complicato, al momento, precisare da quale comune arrivi l'Iva, e proprio a questo era dovuta la freddezza iniziale manifestata dal ministro della Semplificazione, Roberto Calderoli, ma il decreto ha individuato per la prima applicazione un rimedio matematico: il gettito, diviso per provincia, sarà in pratica assegnato a ogni Comune in proporzione al numero di abitanti.

Sull'aliquota generale di compartecipazione non ci dovrebbero essere problemi: l'Iva sostituisce l'Irpef e deve portare in dote la stessa somma che era stata assegnata all'imposta sui redditi, 2,8 miliardi, cioè il 2,66% dei 105 miliardi di versamenti registrati nelle dichiarazioni 2009; più interessanti sono le ricadute territoriali del meccanismo individuato dal decreto, perché anche l'Iva mostra comportamenti assai diversi da zona a zona.

Guardando alle sole regioni, i dati delle ultime dichiarazioni fiscali (2009) passate in rassegna dalle statistiche del dipartimento delle Finanze mostrano un'oscillazione enorme, che va dai 3.600-3.700 euro di gettito per abitante in Lazio e Lombardia ai 355 euro della Calabria, un livello dieci volte inferiore.

Queste distanze siderali sono dovute a molti fattori: il livello dell'Iva cresce naturalmente nelle regioni dove i consumi sono maggiori e dove si attirano consumatori dai territori limitrofi; una parte consistente di queste distanze, però, si spiega anche con il diverso tasso di evasione, come dimostra un confronto semplice. L'Iva è l'imposta sui consumi, e il rapporto fra il gettito Iva e la spesa delle famiglie, censita dall'Istat, si attesta tra il 16 e il 30% in Lazio, Lombardia, Trentino Alto Adige e Valle d'Aosta, e sprofonda al 2-4% in Calabria, Molise e Campania. Dal momento che l'aliquota ordinaria è al 20%, e quella ridotta è al 10%, spiegare un rapporto fra consumi e Iva inferiore al 5% senza tirare in ballo l'evasione è un'impresa complicata.

Già nei progetti originari del Governo, del resto, l'assegnazione dell'Iva ai governi territoriali era considerata uno strumento per offrire incentivi concreti all'arruolamento di sindaci e governatori nella lotta all'evasione. Non solo; un'amministrazione efficiente, che per esempio garantisce strade pulite e una buona pianificazione commerciale, può far crescere l'Iva prodotta sul territorio, mentre un Comune male amministrato e ingolfato in un'eterna emergenza rifiuti vede declinare le attività, il turismo e insieme a loro anche l'imposta sul valore aggiunto.

 

 

 

 

 

2011-02-04

Lettera di Napolitano a Berlusconi: il decreto sul federalismo è irricevibile

di Claudio TucciCronologia articolo4 febbraio 2011Commenti (28)

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Questo articolo è stato pubblicato il 04 febbraio 2011 alle ore 12:02.

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Il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, ha inviato una lettera al presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi, in cui rileva "che non sussistono le condizioni per procedere alla richiesta emanazione" del decreto legislativo sul federalismo. Pertanto, il capo dello Stato ha comunicato al premier di non poter ricevere, a garanzia della legittimità di un provvedimento di così grande rilevanza, il decreto approvato ieri dal Governo.

"Il Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano - si legge nella nota del Quirinale - in relazione al preannunciato invio, ai fini della emanazione ai sensi dell'articolo 87 della Costituzione, del testo del decreto legislativo in materia di federalismo fiscale municipale, approvato definitivamente dal Consiglio dei Ministri nella seduta di ieri sera, come risulta dal relativo comunicato, ha inviato una lettera al Presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi, in cui rileva che non sussistono le condizioni per procedere alla richiesta emanazione, non essendosi con tutta evidenza perfezionato il procedimento per l'esercizio della delega previsto dai commi 3 e 4 dall'art. 2 della legge n. 42 del 2009 che sanciscono l'obbligo di rendere comunicazioni alle Camere prima di una possibile approvazione definitiva del decreto in difformità dagli orientamenti parlamentari. Pertanto - conclude il Colle - il Capo dello Stato ha comunicato al Presidente del Consiglio di non poter ricevere, a garanzia della legittimità di un provvedimento di così grande rilevanza, il decreto approvato ieri dal Governo".

Una lunga ed articolata spiegazione, in punta di diritto, per dire che non si può liquidare come una formalità il pareggio, e quindi il non parere, della bicamerale di ieri mattina, che il Parlamento è e resta centrale nell'ordinamento costituzionale, che il Presidente della Repubblica si rifà alla Carta e, in questo caso, all'articolo 87. Dal Colle per tutta la mattina hanno giurato e stragiurato che ci sarebbe voluto tempo, che il decreto non era ancora stato inoltrato, che addirittura, nel caso della promulgazione delle leggi, si possono attendere anche 30 giorni. Invece sono bastate, per l'esattezza, 19 ore. Senza che nemmeno il decreto arriva

Esultano le opposizioni, la Lega non cede

Dario Franceschini: "in modo come sempre ineccepibile, determinato e imparziale, Napolitano ha bloccato un procedimento illeggittimo, che ora non esiste più". La Lega si affida ad un comunicato, che informa di una telefonata tra Umberto Bossi e il Capo dello Stato, ed aggiunge: i leghisti "si recheranno nelle aule parlamentari a dare comunicazioni sul decreto sul federalismo fiscale municipale". Come dire: per noi il decreto esiste ancora.

La riforma del federalismo municipale è "una svolta storica". Così aveva detto il ministro dell'economia Giulio Tremonti nel corso di una conferenza stampa a palazzo Chigi, assieme al collega della Semplificazione, Roberto Calderoli, per commentare il decreto governativo sul fisco municipale. Tremonti ha sottolineato che questa "riforma, basata su una legge delega votata a maggio 2009 dal Parlamento con amplissima maggioranza, sta arrivando al termine e chiude un periodo che dura dalla metà degli anni Settanta. È una svolta storica. Dalla metà degli anni Settanta l'Italia è l'unico paese europeo che non ha una finanza locale". Entro marzo, ha aggiunto, sarà approvato anche il decreto legislativo per il federalismo regionale.

C'è stato confronto con i comuni

Tremonti ha poi spiegato che la riforma del federalismo fiscale è stata "oggetto di un confronto" molto lungo con i comuni, sui quali è stato registrato consenso, "un consenso importante". E la votazione in commissione bicamerale, secondo il titolare del Tesoro, "ha preso una curva che dipende da fatti politici esterni".

Evasione va gestita con i comuni

Per Tremonti poi un'evasione così grande non può essere gestita "senza avere il supporto dei comuni". "È giusto che i comuni siano cointeressati e attivi nel contrasto all'evasione fiscale - ha detto Tremonti - se noi abbiamo un' evasione fiscale colossale è perchè non c'è il controllo territoriale che può essere importante".

Sull'esezione Imu per gli immobili della Chiesa deciderà l'Europa

Tremonti ha detto anche che se la Commissione europea lo chiederà "il governo cambierà la norma sul fisco comunale che stabilisce l'esenzione dall'Imu degli immobili della Chiesa". Un'esenzione che Calderoli quantizza in 82 milioni. "Quando ci sarà la pronuncia della Commissione Ue, se qualcuno farà ricorso, vedremo - ha spiegato Tremonti - allora si porrà il problema. Se la Commissione ci chiederà di cambiare la legge, lo faremo".

Calderoli: il coinvolgimento del parlamento è stato totale

Dal caso suo il ministro della Semplificazione, Roberto Calderoli ha ricordato come il testo del decreto sul federalismo municipale "sia stato riformulato tre volte per la volontà di costruirlo con istituzioni e parlamento. Il coinvolgimento del Parlamento è stato totale: si sono espresse favorevolmente sei commissioni, in una c'è stato un pareggio". Peraltro, ha aggiunto Calderoli, una legge delega "dà al Governo una delega per l'emanzione dei decreti su cui il Parlamento esprime dei pareri che non possono essere vincolanti. E questo lo sostiene anche una sentenza della Corte Costituzionale". Calderoli ha voluto infine ringraziare il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, "per il sostegno nel cammino delle riforme". La legittimità del decreto governativo è stata ribadita anche dal presidente della Bicameralina, Enrico La Loggia: "Il governo ha fatto un atto legittimo. Il 21 maggio scade il termine per fare tutti i decreti sul federalismo e solo allora si potrà dire se ci saranno più o meno tasse".

Bossi: elezioni scongiurate

Un commento sul federalismo municipale è arrivato anche da Umberto Bossi. "Il federalismo? Ora è fatto", ha detto il ministro delle Riforme, all'uscita dal gruppo della Lega della Camera. E alla domanda se a questo punto le elezioni anticipate siano scongiurate, il leader della Lega ha risposto così: "Direi proprio di sì".

 

 

Berlusconi: siamo una repubblica giudiziaria, commissariata dalle procure. No della Camera ai pm

di Claudio TucciCronologia articolo4 febbraio 2011Commenti (14)

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Questo articolo è stato pubblicato il 04 febbraio 2011 alle ore 11:03.

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"Assistiamo a questa vergogna, ormai siamo una Repubblica giudiziaria, commissariata dalle procure". Lo ha detto il premier, Silvio Berlusconi, al suo arrivo al vertice europeo in scena a Bruxelles rispondendo ai cronisti che gli chiedevano dei processi personali in cui è coinvolto, che il primo ministro italiano considera "un attacco nel privato".

Sul caso Ruby la Camera dice no ai pm e rimanda gli atti alla procura di Milano

Parlando invece della situazione in Egitto, l'augurio del premier è che si possa avere "una transizione con continuità di governo, senza rotture", ricordando la decisione del presidente Hosni Mubarak, e dei suoi figli, di non ricandidarsi per le prossime elezioni. E sottolinea, peraltro, che l'Occidente ha in passato guardato a Mubarak per la sua "saggezza" e come "punto di equilibrio".

Sul federalismo spero non ci siamo problemi col Colle

Berlusconi ha parlato anche di federalismo municipale, dopo il via libera a un decreto governativo varato dal consiglio dei ministri di ieri sera 3 febbraio. A chi gli chiedeva se temesse problemi con il Quirinale, il premier ha risposto così: "Penso e spero di no". "Ricordo - ha sottolineato ancora il premier - che soltanto per fair play non abbiano voluto sostituire l'uomo di Futuro e Libertà (Mario Baldassarri), c'era da sostituirlo perché le commissioni devono rappresentare quello che é il parlamento e quindi non é esatto che in una commissione non ci sia quella maggioranza che é invece la maggioranza che c'é in Parlamento".. E preannuncia una prossima sostituzione nella commissione bicamerale per il Federalismo.

La maggioranza salirà a oltre 320 deputati

Berlusconi ha poi affrontato i problemi di politica interna, sottolineando come anche ieri "si sia confermato che abbiamo la maggioranza per poter lavorare". "La maggioranza - ha aggiunto - credo si situerà oltre i 320" deputati a Montecitorio "visto che ieri eravamo già a 316 senza il mio voto". E rivolgendosi all'opposizione, ha proseguito: "Siamo sfortunati. Abbiamo ancora una opposizione non socialdemocratica che vota sempre contro, che dice sempre no a tutte le proposte della maggioranza e va contro gli interessi del Paese". "Questo elemento - ha concluso il premier - è una delle cose che vedono il nostro Paese non il linea con le altre democrazie".

 

 

Telefonata tra Bossi e il capo dello Stato. L'opposizione: il federalismo non c'è più

Cronologia articolo4 febbraio 2011Commenti (6)

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Questo articolo è stato pubblicato il 04 febbraio 2011 alle ore 14:18.

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Dopo lo stop al federalismo arrivato dal Capo dello Stato, il Ministro per le Riforme e il Federalismo Umberto Bossi ha preso il telefono e lo ha chiamato. La telefonata - si riferisce - è stata lunga e cordiale. Il Ministro Bossi ha preso il duplice impegno di andarlo a trovare al Quirinale, la prossima settimana e, come preannunciato dal Ministro Calderoli in conferenza stampa, andranno nelle aule parlamentari a dare comunicazioni sul decreto sul federalismo fiscale municipale.

Il Pd:"il federalismo non c'è più"

"Senza la firma del presidente della Repubblica il decreto sul federalismo non c'é più" commenta il presidente dei deputati democratici Dario Franceschini. "Il presidente della Repubblica come sempre in modo ineccepibile, determinato e imparziale, ha preso una posizione molto chiara che dimostra che il provvedimento di ieri è totalmente illegittimo, come sanno bene anche coloro che lo hanno voluto approvare esclusivamente per ragioni politiche".

Capezzone: "Nessuna strumentalizzazione"

Per il portavoce del Pdl Daniele Capezzone "l'opposizione strumentalizza e fa speculazioni propagandistiche. Il ministro Bossi ha chiarito bene i prossimi passaggi, dopo la nota del Quirinale. In pochi giorni, il percorso sarà efficacemente e positivamente completato".

Fli apre alla Lega, purché lasci Berlusconi

Berlusconi lasci, bisogna aprire una fase costituente, anche con la Lega afferma il deputato di Futuro e libertà Fabio Granata. "Ripristiniamo la legalità e riformiamo lo stato. Dopo lo stop di Napolitano, cosa aspetta la Lega a prendere atto che il berlusconismo è finito? Per riformare e modernizzare l'Italia serve aprire una nuova pagina costituente nella quale la Lega può essere, insieme a noi e alle altre forze politiche, protagonista. Ma Berlusconi deve fare un passo indietro e non paralizzare l'Italia e la politica italiana" dice Granata.

 

2011-02-01

Conto alla rovescia per il federalismo. Gli equilibri in bicamerale e le figure-chiave del braccio di ferro clicca qui sopra per vedere i numeri.

di Eugenio BrunoCronologia articolo1 febbraio 2011Commenti (6)

Questo articolo è stato pubblicato il 01 febbraio 2011 alle ore 08:13.

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Ancora 48 ore. Tante ne restavano 20 anni fa a Eddie Murphy e Nick Nolte per concludere sullo schermo la loro missione; altrettante ne ha ora la Lega per trattare sul fisco municipale e scongiurare la bocciatura in bicamerale sul quarto decreto attuativo del federalismo. Un evento che potrebbe provocare in un colpo solo l'addio alla riforma e la chiusura anticipata della legislatura. Da qui l'intenzione di Roberto Calderoli di tentarle tutte tra oggi e domani per convincere uno o più esponenti dell'opposizione a optare per il sì giovedì. O almeno astenersi. Dopodiché a tirare le somme saranno Umberto Bossi e il premier Silvio Berlusconi che si vedranno a votazione conclusa.

Grafico: gli equilibri in bicamerale e le figure-chiave del braccio di ferro

Il compito del Carroccio non è facile. Dopo Pd e terzo polo anche l'Idv ha scelto il no. Ad Antonio Di Pietro, che stamani avrebbe dovuto incontrare Calderoli per confrontarsi sulla "bozza" concordata la settimana scorsa con l'Anci, non è piaciuto l'ultimatum "federalismo o elezioni" lanciato dal titolare del Viminale, Roberto Maroni, in un'intervista al Corriere della sera. "A questo punto – ha spiegato Di Pietro – anche per noi diventa una questione politica pregiudiziale e voteremo no perché la caduta del governo Berlusconi è l'obiettivo più importante".

La risposta del ministro della Semplificazione non si è fatta attendere. "Le riforme come quella del federalismo fiscale – ha dichiarato Calderoli al termine di un vertice con Umberto Bossi a via Bellerio – nascono per durare negli anni e vanno al di là dei governi o delle maggioranze politiche del momento". Una correzione di rotta rispetto alle parole di Maroni ma anche una nuova apertura all'opposizione. "Confrontiamoci tutti – ha aggiunto Calderoli – maggioranza e opposizioni, sul merito di una riforma che potrà essere epocale, lasciamo perdere improvvidi diktat e collocazioni di schieramento politico, non legandola alla durata della legislatura".

Parole a cui potrebbero seguire aperture di merito per superare il 15 a 15 di partenza riassunto nello schema sottostante. A lasciarlo intendere è stato il relatore di maggioranza sul decreto, Enrico La Loggia (Pdl). "Non escludo – ha raccontato a margine di un convegno a Montecitorio su "ambiente territorio e demanio nell'attuazione del federalismo" – di presentare qualche emendamento" ben visto dalla minoranza. Del resto, ha proseguito, "ne sono già state accolte molte, perché non dovrebbero esserne recepite altre importanti per loro se sono migliorative del testo?".

Quali modifiche non è dato ancora saperlo. Potrebbero essere rese note oggi, durante la discussione generale sui 65 emendamenti depositati venerdì, o domani, quando l'esecutivo dovrà esprimere il proprio parere sulle proposte di modifica. Nonostante il niet ribadito ieri dal segretario Pier Luigi Bersani, l'impressione è che l'interlocutore privilegiato di Calderoli resti il Pd. Memore forse della collaborazione ottenuta sia ai tempi della legge delega sia sui primi tre decreti attuativi. L'oggetto del confronto potrebbe essere la perequazione visti i rilievi mossi dai democratici tanto sul funzionamento del fondo di riequilibrio che opererà fino al 2013 quanto su quello perequativo che arriverà nel 2014. Almeno con loro il tempo per trattare c'è visto che l'ultima parola sul decreto i democrat la pronunceranno domani.

Passando agli equilibri in commissione lo scenario più plausibile continua a essere il pareggio. E non si spiegherebbe altrimenti la querelle interpretativa sulle sue conseguenze. Per il capogruppo del Pdl alla Camera, Fabrizio Cicchitto, "c'è un percorso che comunque consente al federalismo di andare avanti in parlamento al di là del possibile risultato di parità". Che vuol dire avvalersi della procedura contenuta nella legge 42 per il parere contrario: presentarsi alle Camere con una comunicazione scritta, se serve votarla e tornare dopo 30 giorni in consiglio dei ministri per il varo definitivo del decreto. Di diverso avviso La Loggia secondo cui ci troveremmo dinanzi a un parere "non espresso". E dunque il ritorno a Palazzo Chigi potrebbe avvenire subito e senza aggravi procedurali. La parola finale spetterà ai presidenti dei due rami del parlamento a cui è stato chiesto un parere "pro veritate": la risposta la rivelerà lo stesso relatore. Probabilmente giovedì, a pareggio ottenuto

 

 

 

 

2011-01-29

No Pd-Udc-Fli, federalismo in bilico

di Eugenio BrunoCronologia articolo29 gennaio 2011

Questo articolo è stato pubblicato il 29 gennaio 2011 alle ore 09:13.

L'opposizione resta sul Piave e le sorti del fisco municipale sono sempre più appese a un filo. A poco è servito l'invito di Umberto Bossi ad associarsi al giudizio positivo dall'Anci sul quarto decreto attuativo del federalismo. Un testo che è peraltro destinato a cambiare pelle per la quarta volta in sei mesi: il ministro del Turismo, Michela Vittoria Brambilla, ha annunciato ieri di aver concordato con il suo collega della Semplificazione, Roberto Calderoli una serie di modifiche alla tassa di soggiorno per renderla più digeribile agli albergatori.

Dopo aver invitato l'intera maggioranza ad abbassare i toni il leader del Carroccio ha provato ieri a dare l'esempio ai suoi. Anziché rinnovare l'ultimatum "federalismo o morte", forte del via libera sostanziale dei sindaci al provvedimento che la bicamerale voterà giovedì 3 febbraio, Bossi si è limitato a sottolineare di guardare ai "comuni perché chi meglio di loro guarda ai propri interessi?". Chiedendosi a stretto giro "se i comuni dicono sì, come fanno i partiti a dire no?".

Il primo a replicargli è stato il primo cittadino di Torino, Sergio Chiamparino. Rimproverandogli di confondere "l'Anci con il Soviet supremo", il presidente dell'associazione ha ribadito che il giudizio dei comuni sul "federalismo municipale è un parere che non vincola nessuno" mentre "ai partiti spetta un compito più ampio che è quello di verificare gli effetti e la portata delle norme sulla vita dei cittadini e delle imprese". Tanto più che non tutti i municipi sono contenti per il compromesso raggiunto con il governo. Per il presidente di Legautonomie, Marco Filippeschi, "il nuovo testo non va incontro ai bisogni delle famiglie e alle esigenze tessuto produttivo locale".

Critiche a cui sono seguite quelle dei democratici e del terzo polo. Per il responsabile enti locali Davide Zoggia la riforma è "pessima" e le parole del Senatur sono "un ricatto ai comuni"; per il polo della nazione è toccato di nuovo al finiano Mario Baldassarri prendere posizione per il no: "Io sono un federalista e il provvedimento sul fisco dei comuni non é federalismo. Non me la sento di votarlo".

Più sfumato il giudizio della Cei. Il segretario generale della conferenza episcopale, monsignor Mariano Crociata, ha ricordato che "in ambito fiscale bisogna porre attenzione a che il federalismo non produca divari" tra una parte e l'altra dell'Italia. Laddove il premier Silvio Berlusconi ha ripetuto ieri un convinto "lo faremo", parlando di "una riforma storica che ridisegnerà il volto dello stato assimilandoci ai grandi paesi europei".

Per capire chi ha ragione e chi torto bisognerà attendere la prossima settimana. Martedì la bicamerale inizierà a esaminare i 65 emendamenti alla nuova bozza depositati ieri. Dal loro accoglimento, ma non solo visto che la Lega ha sempre considerato il sì al fisco municipale una condizione essenziale per proseguire la legislatura, dipenderà l'ultima parola dell'opposizione in vista del voto finale del 3 febbraio. Si partirà dal 15 a 15 riassunto nello schema qui accanto. L'incertezza maggiore riguarda l'Idv che non ha ancora sciolto la prognosi e che alla fine potrebbe, a sorpresa, astenersi. Per il resto, Fli insisterà sulla riduzione della cedolare secca al 19 e al 15% e su una corposa detrazione per gli inquilini. Dal canto suo il Pd batterà soprattutto sul tasto della perequazione. Espresso con tre proposte di modifica diverse, illustrate dal vicepresidente della commissione Marco Causi: una riguarda il fondo di riequilibrio che opererà fino al 2013 e prevede "una norma di garanzia sui tributi territorializzati prima dell'introduzione dei fabbisogni standard; le altre due pongono le prime basi di quel fondo perequativo che arriverà nel 2014 e sarà disciplinato da un decreto ad hoc. Accompagnati dalla considerazione che "il testo sta perdendo il suo carattere di riforma a medio termine ma si limita a pensare alla congiuntura".

Novità sono attese sulla tassa di soggiorno da 5 euro che centri turistici, città d'arte e unioni di comuni potranno introdurre dal 2011. Il ministro Brambilla ha chiesto di prevedere "esenzioni ed agevolazioni" per le strutture ricettive, destinare il gettito esclusivamente "agli investimenti per finalità turistiche e di valorizzazione del patrimonio artistico ed ambientale" e coinvolgere le associazioni di categoria in sede di attuazione. Tutte modifiche che, a suo dire, Calderoli avrebbe già accettato.

 

Tributi per 11 miliardi nella dote dei sindaci. Tempi diversi per il debutto delle tasse locali

di Eugenio Bruno e Gianni TrovatiCronologia articolo29 gennaio 2011Commenta

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Questo articolo è stato pubblicato il 29 gennaio 2011 alle ore 09:13.

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Il mosaico del federalismo municipale si arricchisce di un altro tassello. Alle modifiche concordate con l'associazione dei comuni e messe nero su bianco dal ministro Roberto Calderoli giovedì si sono aggiunte ieri le nuove stime della ragioneria generale dello stato (Rgs) sull'impatto finanziario del decreto. Che porterà nelle casse comunali 11,2 miliardi quest'anno e 11 nel 2012.

La stima è contenuta nella versione riveduta e corretta della relazione che la Ragioneria generale ha depositato ieri in bicamerale. Rispetto alla versione precedente vengono quantificati i gettiti dei tributi devoluti agli enti. Più nel dettaglio, nel 2011, i sindaci si vedranno recapitare 1,3 miliardi dalla compartecipazione del 30% sui trasferimenti immobiliari, 708 milioni da bollo e registro sugli affitti, 5,7 miliardi dall'Irpef sui redditi fondiari, 2,9 miliardi dalla compartecipazione del 2% all'imposta sui redditi e 527 milioni pari al 21,7% della cedolare secca. Parallelamente saranno soppressi 11,2 miliardi di trasferimenti erariali. L'anno dopo il totale scenderà a 11 miliardi, compresi i 614 milioni dell'addizionale all'accisa sull'energia elettrica soppressa. E altrettante saranno le risorse che finiranno nei forzieri dei municipi.

Al tempo stesso sono stati rivisti gli impatti finanziari della cedolare secca e dell'imposta municipale sul possesso (Imu). Con l'abbassamento dal 23 al 21% dell'aliquota sui canoni liberi e dal 20 al 19% su quelli concordati il gettito atteso dalla tassazione forfettaria sulle locazioni sarà di 3,1 miliardi nel 2011, per poi passare a 3,5 e 3,9 nel biennio successivo. Ma, hanno sottolineato i tecnici di via XX Settembre, la copertura ci sarà lo stesso grazie ai 548 milioni incamerati il primo anno grazie all'emersione dal nero, che diventeranno 912 nel 2012 e 1,2 miliardi nel 2013. Quanto all'Imu, fissare l'asticella al 7,6 per mille porterà in dote ai primi cittadini 11,5 miliardi. Esattamente quanto incamerano oggi tra Ici e Irpef sugli immobili non locati.

Gli effetti finanziari della riforma, una volta superata la non facile prova parlamentare, sono destinati a dispiegarsi a tappe, secondo la scansione dell'entrata in vigore prevista per le diverse imposte.

Il compito di far debuttare davvero il nuovo fisco, secondo il calendario fissato dalla bozza di decreto, è affidato alla cedolare secca; per chi la sceglierà, una volta entrato in vigore il provvedimento, la tassa "piatta" sugli affitti riguarderà tutto l'anno d'imposta 2011, oltre a cancellare registri e bolle sui contratti e sulle loro proroghe o risoluzioni. Il proprietario che sceglie la cedolare si vedrà alleggerire anche il conto dell'addizionale, perché il reddito prodotto dal canone di affitto esce a tutti gli effetti dalla base imponibile su cui si calcola l'Irpef nazionale e quella locale.

L'addizionale Irpef è il secondo biglietto da visita del nuovo federalismo, ma non per tutti. La disciplina definitiva del "parziale e graduale" superamento del blocco alle addizionali è lasciata a un Dpcm, ma per consentire ai sindaci di ritoccare la leva fiscale anche se il decreto non dovesse vedere la luce, il provvedimento sul federalismo municipale introduce una disciplina automatica: i contribuenti che abitano nei 3.543 comuni dove oggi l'Irpef locale non arriva al 4 per mille potranno vedersi chiedere più soldi rispetto all'anno scorso: i sindaci hanno tempo fino al 31 marzo per decidere.

Anche i turisti possono stare sicuri del fatto che già dalla prossima stagione il fisco locale toccherà anche loro. Anche in questo caso le regole dell'imposta sono affidate a un regolamento, ma una clausola automatica permette ai comuni di partire comunque 60 giorni dopo l'entrata in vigore del decreto, anche se il regolamento manca.

Più lunghi i tempi per la tassa di scopo e il nuovo prelievo sui rifiuti, per i quali l'intervento regolamentare è indispensabile: molto probabile che non se ne faccia nulla prima del 2012. L'imposta municipale, invece, comincerà a dare gioie ai proprietari e dolori alle imprese solo dal 2014, quando la riforma dovrebbe entrare a regime.

 

 

2011-01-28

Addizionali Irpef più libere con il federalismo fiscale. Per metà dei comuni facoltà di maggiorazione

di Gianni TrovatiCronologia articolo28 gennaio 2011Commenti (6)

Questo articolo è stato pubblicato il 28 gennaio 2011 alle ore 07:48.

Alla fine la roulette delle addizionali Irpef si ferma sull'aumento selettivo proposto dal governo, limitato ai comuni dove oggi si applica un'aliquota inferiore al 4 per mille; per ottenere il "sì" dei comuni, però, il testo nuovo del decreto che il ministro della Semplificazione Roberto Calderoli permette porta sui tavoli della bicamerale traccia la rotta per gli aumenti 2011. In pratica, i comuni che rientrano nei parametri potranno iniziare a deliberare gli aumenti, anche se la disciplina effettiva entrerà in vigore dopo il 31 marzo, termine ultimo per approvare i bilanci.

La cedolare secca cambia ancora e salta il mini-quoziente familiare (di Claudio Tucci)

Tremonti a Telefisco: il federalismo è irreversibile. Sulle addizionali decideranno i sindaci (di Dino Pesole)

Il compromesso presenta un quadro frastagliato: la semilibertà fiscale è lasciata solo a chi oggi arriva a un'aliquota inferiore al quattro per mille. I comuni in questa condizione possono introdurre aumenti massimi del 2 per mille, senza però superare il 4 per mille che rappresenta il nuovo tetto di riferimento. Per chi già oggi è a questo livello, oppure ne ha raggiunto uno superiore (il massimo di legge è l'8 per mille, con l'eccezione di Roma che applica il 9 per mille grazie alle norme sulla Capitale) non c'è nessuna possibilità di intervento. In pratica, nella prima fase potrebbero agire 3.543 comuni, poco meno del 44% del totale: 3.078 potrebbero introdurre un aumento fino al 2 per mille, gli altri 465 non potrebbero andare oltre l'uno per mille (o frazioni di punto se oggi si applica, per esempio, un'aliquota del 3,5 per mille). Tradotto in cifre: chi oggi non paga nulla (per esempio a Venezia o a Brescia) si potrà veder chiedere quest'anno 10 0 euro se ha un reddito di 50mila euro, e 200 euro se ne denuncia 100mila. Chi abita in un comune che oggi chiede l'uno per mille potrebbe subire un rincaro del 200% nel fisco locale mentre, da Lodi a Como, da Pisa a Pordenone, oggi versa il due per mille rischia un raddoppio nel conto delle addizionali. Rincari più contenuti, invece, pendono sui conti di chi abita in un comune che si attesta oggi fra il 3 e il 4 per mille.

Il quadro finale, in realtà, potrebbe anche essere diverso: nei sessanta giorni che seguiranno l'entrata in vigore del decreto sul federalismo municipale, infatti, il ministero dell'Economia ha una finestra temporale per mettersi d'accordo con gli amministratori locali in conferenza Unificata e proporre un Dpcm per introdurre "una graduale cessazione, anche parziale" del congelamento al fisco locale introdotto nel 2008; se non ce la fa, scatta la griglia appena descritta.

Vista la tempesta politica e i numeri in bicamerale, qualsiasi previsione sui tempi è un azzardo: il meccanismo, comunque, tiene tutto fermo fino a due mesi dopo l'entrata in vigore del decreto, dopo di che si potranno introdurre gli aumenti resi possibili dal nuovo Dpcm o dalla griglia sostituiva.

Proprio per questo la norma si preoccupa di fissare da subito un la disciplina sostitutiva. I comuni devono decidere entro il 31 marzo, data di scadenza per i bilanci preventivi, anche se le regole entreranno in vigore più tardi. A quel punto, le delibere con i nuovi valori fiscali andranno pubblicate sul sito Internet, e diventeranno efficaci per tutto l'anno di riferimento.

Il meccanismo non è semplicissimo, al punto che ieri la lettura del testo aveva fatto ipotizzare una sorta di retroattività automatica delle decisioni fiscali dei comuni, addirittura con la possibilità di rivedere nei primi tre mesi di quest'anno le aliquote di riferimento dell'anno scorso. "Nessuna retroattività – si affretta però a sottolineare Luca Antonini, presidente della commissione tecnica per l'attuazione della riforma –; il riferimento riguarda solo l'efficacia della pubblicazione sul sito Internet del comune ma non tocca i termini per adottare le delibere. La relazione illustrativa spiegherà tutto, e se serve la norma può anche subire un'ulteriore correzione tecnica". Il problema nasce da alcuni contenziosi nati nei comuni che in passato hanno ritoccato le aliquote ma non hanno pubblicato il tutto sul proprio sito: il decreto si incarica di introdurre una mini-sanatoria, che rende efficaci le delibere dell'anno scorso anche se non sono mai approdate su Internet, e dal 2011 detta tempi più distesi per la pubblicazione.

 

 

 

2011-01-23

Sull'Irpef la trattativa finale

di Gianni TrovatiCronologia articolo23 gennaio 2011

Questo articolo è stato pubblicato il 23 gennaio 2011 alle ore 13:57.

Sblocco dell'addizionale Irpef e ridisegno dell'imposta municipale sugli immobili, garanzie sulla dinamica del gettito e battesimo della tassa di soggiorno. Sono i punti principali, accanto all'ampliamento della tassa di soggiorno a tutti i comuni, su cui si eserciteranno domani i tavoli di confronto fra il ministro dell'Economia Giulio Tremonti, il collega alla Semplificazione Roberto Calderoli e i sindaci per fare uscire dalle secche il decreto sul federalismo municipale e portarlo il più "coperto" possibile alla prova finale in bicamerale.

Il governo venerdì ha offerto un'apertura sostanziale alle richieste dei comuni; ora, oltre a "spaccare il capello in quattro" come annunciato da Calderoli, si tratta di far decidere la politica.

Addizionale Irpef

È il cuore della partita, perché spendibile da subito: i sindaci la chiedono da mesi, perché il congelamento delle entrate lascia come unica leva quella delle tariffe. Già negli ultimi due anni le richieste per trasporti, asili nido e rifiuti sono cresciute in modo vigoroso ma, è l'obiezione diffusa, le tariffe sono regressive, perché riguardano da vicino chi ha più bisogno dei servizi comunali e cioè le famiglie con i redditi medio-bassi. La via d'uscita passerebbe dalla scelta di lasciare ai sindaci la possibilità di ritoccare già con i bilanci di quest'anno, che devono essere chiusi entro marzo, le aliquote dell'Irpef comunale, senza alzare almeno per ora il tetto massimo dello 0,8 per cento (con l'eccezione di Roma); la decisione riguarderebbe soprattutto le città (come Venezia, Brescia o Milano) che sono state sorprese dal congelamento nel 2008 con aliquote basse o a zero.

Le pressioni sul tema esercitate dai sindaci finora hanno prodotto un'addizionale futuribile, che dovrebbe sostituire progressivamente la compartecipazione Irpef del 2%, ma il meccanismo non avrebbe effetti sui conti 2011. Il nodo più delicato, come mostra l'esperienza del decreto sul fisco regionale, è come far andare d'accordo una rinata libertà fiscale dei sindaci con la clausola di invarianza della pressione che presidia tutta la riforma.

Imposta municipale

Anche sull'Imu sul possesso degli immobili i numeri si incrociano con i nodi politici. Finora, nonostante le promesse del primo testo del decreto, l'aliquota di riferimento non è mai stata messa nero su bianco, anche perché la nuova base imponibile imporrebbe una cifra più alta. I tecnici al lavoro per il governo hanno sempre assicurato che il passaggio, grazie anche all'abolizione di alcune imposte come l'Irpef sui redditi fondiari, sarebbe stato a costo zero per i contribuenti, ma un'aliquota del 10,6 per mille (come quella che emergerebbe dai calcoli attuali) rispetto al 6,4 per mille medio dell'Irpef ordinaria ha anche un problema di "presentabilità" politica. La bozza di mercoledì ha provato a rimandare alla legge di stabilità il compito di fissare il valore di riferimento della nuova tassa, ma l'idea è stata bocciata dai comuni: "Questa ipotesi azzera l'autonomia", hanno ribattuto, senza contare che i bilanci preventivi hanno un orizzonte triennale e quindi imporrebbero di conoscere con certezza la dinamica delle entrate.

L'idea che si è fatta strada ora è quella di cambiare i confini della base imponibile, che arruolerebbe in formula piena, con l'aliquota ordinaria, gli immobili strumentali delle imprese; per loro l'abbattimento del 50% sull'aliquota, anziché automatico, sarebbe rimandato alla scelta dei singoli comuni. Il meccanismo amplia gli immobili tassati, e secondo i calcoli girati ieri e venerdì sui tavoli del governo permetterebbe di fissare le richieste fra il 7,4 e il 7,8 per mille, cioè un numero molto più simile a quello offerto oggi dall'Ici ordinaria: a pagare il conto sarebbero le imprese, ma i comuni potrebbero avere la possibilità anche di modulare le richieste in base alle categorie di soggetti economici (come accade per l'Irap).

 

 

 

 

 

 

LA COMPOSIZIONE DELLE ENTRATE TRIBUTARIE

Gianni TrovatiCronologia articolo23 gennaio 2011

Questo articolo è stato pubblicato il 23 gennaio 2011 alle ore 08:12.

MILANO

Sblocco dell'addizionale Irpef e ridisegno dell'imposta municipale sugli immobili, garanzie sulla dinamica del gettito e battesimo della tassa di soggiorno. Sono i punti principali, accanto all'ampliamento della tassa di soggiorno a tutti i comuni, su cui si eserciteranno domani i tavoli di confronto fra il ministro dell'Economia Giulio Tremonti, il collega alla Semplificazione Roberto Calderoli e i sindaci per fare uscire dalle secche il decreto sul federalismo municipale e portarlo il più "coperto" possibile alla prova finale in bicamerale.

Il governo venerdì ha offerto un'apertura sostanziale alle richieste dei comuni; ora, oltre a "spaccare il capello in quattro" come annunciato da Calderoli, si tratta di far decidere la politica.

Addizionale Irpef

È il cuore della partita, perché spendibile da subito: i sindaci la chiedono da mesi, perché il congelamento delle entrate lascia come unica leva quella delle tariffe. Già negli ultimi due anni le richieste per trasporti, asili nido e rifiuti sono cresciute in modo vigoroso ma, è l'obiezione diffusa, le tariffe sono regressive, perché riguardano da vicino chi ha più bisogno dei servizi comunali e cioè le famiglie con i redditi medio-bassi. La via d'uscita passerebbe dalla scelta di lasciare ai sindaci la possibilità di ritoccare già con i bilanci di quest'anno, che devono essere chiusi entro marzo, le aliquote dell'Irpef comunale, senza alzare almeno per ora il tetto massimo dello 0,8 per cento (con l'eccezione di Roma); la decisione riguarderebbe soprattutto le città (come Venezia, Brescia o Milano) che sono state sorprese dal congelamento nel 2008 con aliquote basse o a zero.

Le pressioni sul tema esercitate dai sindaci finora hanno prodotto un'addizionale futuribile, che dovrebbe sostituire progressivamente la compartecipazione Irpef del 2%, ma il meccanismo non avrebbe effetti sui conti 2011. Il nodo più delicato, come mostra l'esperienza del decreto sul fisco regionale, è come far andare d'accordo una rinata libertà fiscale dei sindaci con la clausola di invarianza della pressione che presidia tutta la riforma.

Imposta municipale

Anche sull'Imu sul possesso degli immobili i numeri si incrociano con i nodi politici. Finora, nonostante le promesse del primo testo del decreto, l'aliquota di riferimento non è mai stata messa nero su bianco, anche perché la nuova base imponibile imporrebbe una cifra più alta. I tecnici al lavoro per il governo hanno sempre assicurato che il passaggio, grazie anche all'abolizione di alcune imposte come l'Irpef sui redditi fondiari, sarebbe stato a costo zero per i contribuenti, ma un'aliquota del 10,6 per mille (come quella che emergerebbe dai calcoli attuali) rispetto al 6,4 per mille medio dell'Irpef ordinaria ha anche un problema di "presentabilità" politica. La bozza di mercoledì ha provato a rimandare alla legge di stabilità il compito di fissare il valore di riferimento della nuova tassa, ma l'idea è stata bocciata dai comuni: "Questa ipotesi azzera l'autonomia", hanno ribattuto, senza contare che i bilanci preventivi hanno un orizzonte triennale e quindi imporrebbero di conoscere con certezza la dinamica delle entrate. L'idea che si è fatta strada ora è quella di cambiare i confini della base imponibile, che arruolerebbe in formula piena, con l'aliquota ordinaria, gli immobili strumentali delle imprese; per loro l'abbattimento del 50% sull'aliquota, anziché automatico, sarebbe rimandato alla scelta dei singoli comuni. Il meccanismo amplia gli immobili tassati, e secondo i calcoli girati ieri e venerdì sui tavoli del governo permetterebbe di fissare le richieste fra il 7,4 e il 7,8 per mille, cioè un numero molto più simile a quello offerto oggi dall'Ici ordinaria: a pagare il conto sarebbero le imprese, ma i comuni potrebbero avere la possibilità anche di modulare le richieste in base alle categorie di soggetti economici (come accade per l'Irap).

 

 

"Tassa sui turisti? Non è federale"

Marco MobiliCronologia articolo23 gennaio 2011

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Storia dell'articolo

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Questo articolo è stato pubblicato il 23 gennaio 2011 alle ore 08:11.

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ROMA

Un no secco alla tassa di soggiorno e la proroga di sette giorni per il fisco municipale è solo un "pannicello caldo". Non solo. Il premio alle famiglie con più figli a carico inserito con l'Imu non ha risorse finanziarie adeguate. Così Gian Luca Galletti (Udc), vicecapogruppo alla Camera e componente della commissione bicamerale per l'attuazione del federalismo, boccia anche il nuovo testo sulla fiscalità municipale depositato in Parlamento in questi ultimi giorni: "senza modifiche il nostro no è netto".

Calderoli è pronto a valutare le richieste dei comuni, tra cui c'è anche quella di estendere a tappeto la tassa di soggiorno.

Tassare i turisti non è federalismo. Capisco le motivazioni dei comuni che, messi alla fame dai tagli operati dal governo, ora sono costretti ad accontentarsi delle briciole. Ma attenzione: in questo modo lo faranno mettendo le mani nelle tasche dei cittadini. La tassa di soggiorno è iniqua e fuori posto. È contraria ad ogni principio federalista. Chi la paga non vota.

In che senso?

La paga il turista di passaggio e quindi cade il principio posto alla base di questo federalismo della responsabilità tra amministratore e amministrato. La tassa di soggiorno non centra nulla. Se la si deve introdurre che lo si faccia in un provvedimento ad hoc sul turismo, dove sia lo stesso comparto a beneficiare degli effetti in termini di rilancio.

L'Udc voleva un sostegno forte alle famiglie numerose e qualcosa è arrivato.

Il meccanismo introdotto per premiare le famiglie con più figli a carico è condivisibile, ma non ha risorse finanziarie certe. Il fondo che verrebbe istituito fino a 400 milioni è insufficiente e aleatorio.

La proroga di una settimana aiuterà a trovare le soluzioni?

È solo un pannicello caldo. Siamo pronti a presentare e votare al Senato un emendamento al "milleproroghe" per concedere al governo sei mesi di tempo in più per l'esercizio dell'intera delega. Diamo atto al presidente della bicamerale Enrico La Loggia (Pdl) e al ministro Calderoli di aver lavorato in modo comune e costruttivo, facendo emergere tutta una serie di criticità. Ma la fretta non aiuta a risolvere le stesse incoerenze che avevano già spinto l'Udc a votare contro la legge delega. Non ci interessa dire ora avevamo ragione: ora dobbiamo trovare le soluzioni a questi problemi.

Quello più evidente?

L'impossibilità di trovare norme che soddisfino contemporaneamente le esigenze dei comuni con 34 abitanti e dei comuni metropolitani con milioni di cittadini. È come cercare di dettare una regola comune per il meccanico sotto casa e per la Fiat.

No secco dunque?

Bocciamo questa riforma. Non voteremo sotto ricatto nessun provvedimento sbagliato e che danneggi le famiglie italiane. Se lega e governo pensano che possiamo cedere al ricatto "federalismo o elezioni" si sbagliano. Noi non le invochiamo, ma allo stesso tempo non ne abbiamo paura.

 

 

 

2011-01-21

Slitta di una settimana l'esame del decreto sul fisco comunale

di Claudio TucciCronologia articolo21 gennaio 2011

Questo articolo è stato pubblicato il 21 gennaio 2011 alle ore 10:20.

Il consiglio dei ministri ha deciso il rinvio di una settimana dei termini per il voto del parere sul decreto attuativo del federalismo fiscale sul fisco comunale che doveva essere esaminato nella commissione bicamerale entro il 28 gennaio. Lo ha detto il ministro della Semplificazione normativa, Roberto Calderoli, durante una conferenza stampa a palazzo Chigi al termine del consiglio dei ministri durato circa un'ora. Il decreto dovrà quindi essere approvato per mercoledì 2 febbraio.

Approfondiremo tutte le proposte

Il governo ha detto pertanto sì alla richiesta delle opposizioni di avere più tempo per esaminare il decreto sulla fiscalità municipale ma chiede che vi sia "certezza sui tempi": "Chiederemo in ufficio di presidenza che questa settimana corrisponda a una definizione di orario - ha detto Calderoli - in modo che vi sia certezza dei tempi e mantenimento dei tempi perchè la settimana sia sfruttata per approfondire le proposte e non per un differimento dei termini". Per quanto riguarda invece la proroga della legge delega sul federalismo fiscale, che scade il 21 maggio, Calderoli ha tagliato corto: "é una valutazione che riguarda il Parlamento e i voti del Parlamento, il governo non può esprimersi su questo". Ma rammenta che "in passato c'è stata una lettera" del Capo dello Stato in cui si esprimeva assoluta contrarietà "sull'uso del decreto d'urgenza per la proroga di una legge". In ogni caso, aggiunge, l'eventuale proroga della delega "sarebbe ininfluente rispetto alla tempistica di tutti i decreti già approvati dal consiglio dei ministri" e ora all'esame del Parlamento o incardinati in altri passaggi istituzionali previsti, come la conferenza unificata".

Raggiunto accordo con l'Anci

Calederoli ha poi detto di aver trovato, d'intesa con Tremonti e La Loggia, un "sostanziale accordo con l'Anci" e la "volontà di proseguire sul cammino del dialogo".

Terzo Polo: pochi giorni di rinvio non bastano

"Una proroga di pochi giorni non é adeguata alla complessità dei problemi" relativi al federalismo municipale, è il commento di Linda Lanzillotta (Api), segretario della Bicamerale per il federalismo fiscale. "Presenteremo un emendamento al milleproroghe - ha ribadito Mario Baldassarri (Fli) - per chiedere una proroga di 5-6 mesi sulla delega". Anche Gian Luca Galletti (Udc) ha definito lo slittamento di pochi giorni "una risposta non adatta". Giudicata positivamente l'apertura di Calderoli sulla delega "perché - ha spiegato Lanzillotta - si rimette al Parlamento e non ha espresso parere contrario. Vedremo la prossima settimana".

 

 

 

 

2011-01-20

No dei comuni al federalismo di Calderoli. Bossi: c'è un accordo, o la riforma o si va al voto

Cronologia articolo20 gennaio 2011Commenti (7)

Questo articolo è stato pubblicato il 20 gennaio 2011 alle ore 13:23.

Il testo del decreto sul fisco municipale contiene al suo interno "molte incertezze su numerosi punti fondamentali per la vita dei comuni italiani. Così non va assolutamente e preghiamo il Governo di apportare gli opportuni chiarimenti quanto prima": è il parere espresso oggi dal presidente dell'Anci, Sergio Chiamparino, secondo il quale "il provvedimento licenziato dal ministro Calderoli e ora all'attenzione della commissione Bicamerale per il federalismo è dominato da confusione e incertezza, che probabilmente sono il prodotto dell'attuale fase politica che Governo e Parlamento stanno vivendo".

Bossi: o riforma o voto

Tutto questo mentre Umberto Bossi rilancia: "Ieri abbiamo sancito che se non si passa il federalismo, si va al voto. Berlusconi è d'accordo. Ma passa al 100 per cento", ha detto il leader della Lega Nord, sintetizzando l'esito della riunione di ieri notte con il premier Silvio Berlusconi. "Adesso aspettiamo la commissione", ha aggiunto, ma "non possiamo stare qui a far niente", aggiunge il Senatur lasciando intendere la volontà per il Carroccio l'obiettivo principale resta completare la riforma federale e che il voto anticato è soltanto la "extrema ratio". "Ma chi vuole andare al voto? Non conviene al paese", ha concluso il leader leghista.

Prolungare il confronto

L'Anci intanto, ha detto ancora Chiamparino, "non si schiera", perchè "non ci sono le condizioni politiche per dire di sì o no". Fatto è che l'associazione dei comuni ritiene che non sia possibile siglare sul provvedimento, così come è oggi, un'intesa politica. E lancia la sua proposta: una ulteriore fase di interlocuzione con il governo e con il parlamento. La convocazione di una conferenza unificata straordinaria per discutere e modificare gli aspetti non soddisfacenti", valutando meglio l'impatto che il decreto produrrà sulla finanza pubblica e su quella territoriale e inserendo delle integrazioni.

Calderoli: il decreto non torna in conferenza unificata

La proprosta di Chiamparino è stata però respinta da Calederoli. "È stato un incontro molto cordiale ma il ministro Calderoli ci ha spiegato che è indisponibile a far tornare il decreto sul federalismo municipale in Conferenza unificata per accogliere i nostri rilievi, perchè ciò non è

previsto dalla legge 42 sul federalismo", ha detto Chiamparino al termine dell'incontro riservato che si è tenuto presso l'ufficio del presidente della Commissione Bicamerale sul federalismo fiscale a cui ha partecipato il ministro per la Semplificazione e il presidente Enrico La Loggia.

Le richieste dell'Anci

Chiamparino chiede di modificare il decreto in più parti. Intanto, sbloccando "da subito" il potere di modificare o introdurre l'aliquota dell'addizionale comunale all'Irpef. Poi, prevedere che l'incremento del gettito dei tributi resti nei comuni dove è prodotto, estendere il contributo di soggiorno anche ai piccoli comuni (nella versione del governo è limitato solo ai comuni capoluogo) e definire un quadro dettagliato del fondo perequativo con particolare riferimento alle modalità di finanziamento dello stesso.

Calderoli: ai comuni andranno 1,5 miliardi dall'emersione delle case fantasma

Calderoli nel frattempo ha fatto i conti in tasca al decreto sul nuovo fisco municipale. Sarebbe intorno a 1,5 miliardi la cifra che potrebbe arrivare ai comuni dalla collaborazione nella lotta all'emersione delle cosiddette "case fantasma". Lo ha detto ieri di fronte alla commissione Bilancio della Camera secondo quanto si legge nel bollettino parlamentare. Calderoli, si legge nel documento, "annuncia un aumento degli importi delle relative sanzioni, al fine di renderle adeguate al costo della vita, prevedendo contestualmente che gli enti locali che si impegnano nell'attività di emersione possano ricevere il 75% delle sanzioni stesse. Fa presente che, con l'applicazione di tali disposizioni, i comuni potrebbero godere complessivamente di circa 1,5 miliardi di euro di maggiori entrate".

Ci sono 2 milioni e 800mila case fantasma

Nel decreto definitivo del federalismo fiscale sul fisco municipale presentato ieri dal governo infatti è previsto che le sanzioni per chi non si mette in regola entro il 31 marzo le sanzioni quadruplichino e il 75% di quelle entrate vada ai sindaci. Si tratta, ha spiegato Calderoli, di circa 2 milioni e 800 mila immobili.

La cedolare secca non avrà effetti negativisulle casse dello Stato

Calderoli ha poi rassicurato sugli effetti dell'introduzione della cedolare secca sugli affitti. Ho chiesto in proposito, si legge ancora nel bollettino parlamentare, "il parere della Ragioneria generale dello Stato e del Dipartimento delle finanze, che hanno confermato l'assenza di effetti negativi per la finanza pubblica". E ancora: "in riferimento al presunto minore gettito pari a 4 miliardi di euro, lamentato in alcuni organi di stampa, si precisa che esso dipende dalla mancata considerazione del gettito derivante dalla imposta fondiaria, che non è assorbita dalla nuova cedolare secca e che comunque viene trasferita ai comuni, confermando quindi l'infondatezza di tali calcoli".

Niente Imu per ospedali, scuole e chiese

Scorrendo tra le pieghe del decreto sul fisco municipale spicca poi come per ospedali, cliniche, scuole, strutture ricettive, se legate in qualche modo alla chiesa cattolica, saranno esenti dal pagamento dell'Imposta Municipale Unica. Il decreto quindi lascia intatte le stesse esenzioni già previste per l'Ici. Questione già oggetto di indagini da parte della commissione Europea, tanto che nella prima versione del decreto l'esenzione era prevista solo per gli immobili luoghi di culto. Il decreto prevede infatti che tra le esenzioni ci siano anche quelle relative alla lettera 'i' del decreto legislativo 504 del 1992 relativa ai soggetti "destinati esclusivamente allo svolgimento di attività assistenziali, previdenziali, sanitarie, didattiche, ricettive, culturali, ricreative e sportive" che siano utilizzati da "enti pubblici e privati diversi dalle società, residenti nel territorio dello Stato, che non hanno per oggetto esclusivo o principale l'esercizio di attività commerciali". Altre esenzioni sono previste: per gli immobili destinati ad attività di culto, di tutte le confessioni; per alcuni fabbricati di proprietà della Santa Sede indicati dal trattato lateranense; e per tutti gli immobili dello Stato e delle regioni, delle province, dei comuni, delle asl e delle camere di commercio. Non pagheranno l'Imu anche i fabbricati appartenenti agli Stati esteri e alle organizzazioni internazionali.

Confedilizia: ecco le conseguenze Irpef della cedolare sugli affitti

Intanto dall'ufficio studi di Confedilizia arrivano le prime stime sulle conseguenze Irpef dell'arrivo della cedolare secca sugli affitti. La cedolare secca del 23% sui contatti liberi porta queste conseguenze: dal 19,55% del canone di locazione per redditi fino a 15mila euro fino al 36,55% del canone per i redditi oltre i 75mila euro. Per i contratti concordati (cedolare secca del 20%), la proposta che emerge dai provvedimenti sul federalismo avrebbe invece questi effetti sull'Irpef: dal 13,68% del canone di locazione per la fascia più bassa di reddito fino a salire al 25,58% per i redditi oltre i 75mila euro. Le conseguenze sull'Irpef per la fascia di reddito che va da 15mila a 28mila euro sarebbero: 22,95% del canone per i contratti liberi (quattro anni più quattro), e 16,06% del canone per i contratti agevolati ("concordati", tre anni più due a canone calmierato).

 

 

 

 

 

 

2011-01-17

La svolta federalista non entusiasma i sindaci

Andrea Maria CandidiCronologia articolo17 gennaio 2011

Questo articolo è stato pubblicato il 17 gennaio 2011 alle ore 06:44.

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PAGINA A CURA DI

Andrea Maria Candidi

Serena Riselli

Tutti d'accordo. La riforma del federalismo è una scommessa che può dare efficienza alla gestione della cosa pubblica, perché assegna agli amministratori locali, ai primi cittadini in particolare, la possibilità di far vedere di cosa sono capaci e di accumulare qualche consenso anche in chiave di rinnovo del mandato. Ma un conto è giocare con le promesse, un conto è guardare la realtà. E allora sul campo cala il gelo della grande incognita, quella delle risorse. Anche su questo punto i sindaci si trovano sulla stessa lunghezza d'onda, ma dalla parte opposta, quella della massima allerta. A prescindere dal colore della coalizione che li sostiene.

Questo, in sintesi, il risultato del sondaggio del Sole 24 Ore sull'impatto del federalismo municipale tra i sindaci di quattordici medio-piccole città italiane, alcune delle quali capoluogo di provincia. Un sondaggio che è stato anche il pretesto per "interrogare" gli amministratori locali sul grado di conoscenza della materia. E su questo punto, a onor del vero, sono consapevoli della sfida che li attende.

C'è il timore che il meccanismo della perequazione non possa assicurare il riequilibrio di chi con ogni probabilità ci rimetterà. Basterà la contrattazione periodica tra centro e periferia? Oppure sarà necessario tornare sui propri passi e assegnare allo stato centrale il ruolo di volano? C'è poi il capitolo del recupero dei tributi locali non versati, sebbene a nessuno piaccia passare per cacciatore di evasori. Emergono anche posizioni oltranziste o più conservatrici, come chi sostiene che si sarebbe potuto fare di più. O chi lamenta, al contrario, che il taglio delle risorse porterà i sindaci di fronte al bivio: tagliare i servizi o alzare le tasse.

Quanto poi al giudizio complessivo, questo è inevitabilmente condizionato dalle aspettative e dalle stime che cominciano a circolare. I sindaci delle città del sud, mediamente più colpite dal taglio delle risorse, sentono l'opportunità in più offerta loro: risalire le classifiche dell'efficienza.

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Le domande

Il Sole 24 Ore ha chiesto a 14 sindaci un'opinione sugli effetti del federalismo, sulla perequazione, sui possibili benefici derivanti dalla lotta all'evasione fiscale. Infine due domande specifiche (bollino verde e bollino rosso) sugli aspetti più o meno convincenti della riforma.

Che cosa la convince di più della riforma?

Che cosa la convince meno della riforma?

La parola ai primi cittadini

Marco Zambuto CENTROSINISTRA Ci vuole più coraggio sui tributi

"Ci vuole una autonomia reale, i comuni devono essere dotati di una capacità impositiva concreta. Quanto alla lotta all'evasione, è stato l'unico strumento che ci ha consentito di affrontare le terribili condizioni in cui versava il comune di Agrigento, con 40 milioni di euro di debiti: attraverso gare abbiamo affidato il recupero dei tributi non versati sulla raccolta dei rifiuti e sull'erogazione di acqua. Tra il 2008 e il 2010 abbiamo recuperato 7-8 milioni di euro".

A me piacciono le sfide, e ritengo che la riforma del federalismo sia un'occasione importante. Soprattutto per le città del Sud che devono dimostrare di essere consapevoli della partita che si sta giocando.

A parte la necessità di concedere una maggiore autonomia per gli amministratori locali, ritengo che nodo della riforma sia il meccanismo della perequazione, il cui funzionamento stabilirà se la strada imboccata è quella giusta.

Fausto Pepe CENTROSINISTRA Le esperienze locali ancora poco valorizzate

"Il sospetto è che la riduzione delle risorse aumenterà la dipendenza dal livello centrale. Benevento, secondo il Sole 24 Ore, è tra i comuni più penalizzati d'Italia con un taglio del 29% delle risorse, come per molte altre realtà del Sud. Davvero qualcuno pensa che in tempi di crisi si possa governare un paese in questo modo? Quanto al recupero sull'evasione, Benevento non è Milano: il nero sugli affitti al Sud è da considerare una variabile del sistema, non una sporadica divergenza. Manco a dirlo saranno i comuni a pagare".

Sullo sfondo c'è il tentativo di una semplificazione normativa. Ago della bilancia la perequazione, che per funzionare deve essere agganciata a quote fisse da parte dello stato, e non essere frutto di contrattazione annuale tra comuni e stato.

Siamo distanti dalla valorizzazione delle esperienze locali che avrebbe dovuto perseguire un federalismo equo. Più che lo storico dualismo tra Nord e Sud temo si possa realizzare un policentrismo disarmonico e incoerente.

Domenico Mennitti CENTRODESTRA Concessione di autonomia non condizionata

"Lo stato può decidere di dare maggiori autonomie, ma queste autonomie non dovrebbero essere condizionate. Il vero confronto è comunque sulle garanzie che la gestione della fase transitoria fino al 2014 non avvenga al buio, cioè che i comuni non vengano abbandonati a se stessi. I trasferimenti stabiliti, prima dell'entrata in vigore dell'imposta municipale, riguardano l'edilizia, gli affitti: argomenti che generano apprensioni notevoli".

È tempo che ognuno si assuma le proprie responsabilità. E che l'amministratore risponda direttamente. Il federalismo impedisce lo scarica-barile: se assolvo male il mio compito mi mandano a casa.

Quello, al contrario, che mi convince meno della riforma federalista è il pericolo inverso, e cioè che si assista a uno scarico immediato delle responsabilità da parte dell'amministrazione centrale.

Rosario Olivo CENTROSINISTRA Visione leghista, non c'è l'idea di solidarietà

"Contrasto decisamente la visione leghista del federalismo che è priva di un pilastro fondamentale: il principio di solidarietà tra le varie aree del paese. Non solo si può fare di più, ma bisognerebbe rivoltare come un calzino tale impianto. Secondo lo studio del Pd e le ipotesi formulate dai nostri uffici, a Catanzaro arriverebbero 14 milioni di euro in meno all'anno. Una tragedia. In questa situazione dovremmo solo riconsegnare le chiavi della città al prefetto. Sull'efficacia della perequazione sono molto scettico".

Sono stato presidente della regione Calabria e ho sempre creduto nella repubblica delle autonomie disegnata dalla Costituzione e nel processo di decentramento decisionale ai confini del federalismo. Ma non in questo impianto.

Dell'impianto federalista mi convince ben poco. Gli attuali paladini del federalismo a tutti i costi avrebbero dovuto studiare il pensiero di Cattaneo e Salvemini. Se non riparte il Sud, sarà l'intero paese a soffrirne.

Alberto Maniero CENTRODESTRA Mancano stime sulle risorse effettive

"Una riforma necessaria, ma ancora da valutare. Nella fase attuale auspichiamo che arrivino nel più breve tempo possibile gli strumenti per poter sopperire alle forti riduzioni dei tributi erariali dello stato con tributi o sistemi federalistici che possano dare maggiore autonomia ai comuni. Non abbiamo ancora stime delle risorse economiche che arriveranno e auspichiamo una reale perequazione. Una volta definiti i costi standard, penso che il meccanismo possa funzionare".

La cosa che mi convince di più è la risposta alla necessità di un sistema federalistico e quindi dare le risorse proprie ai comuni in maniera tale che essi possano concedere i servizi che il territorio richiede.

A lasciare qualche perplessità sono, in primo luogo, i lunghi tempi di attuazione della riforma federalista e, poi, le troppe incertezze sulle risorse che di fatto le amministrazioni locali potranno avranno a disposizione.

Oreste Perri CENTRODESTRA Bene il passaggio della gestione degli immobili

"Non vi è sufficiente chiarezza sulle risorse disponibili e comunque la complessità dei meccanismi per assicurare autonomia finanziaria ai comuni non sembra garantire adeguati margini di manovra. Cremona guadagnerà qualcosa, tra l'1,5 e il 2,% delle entrate correnti, al massimo due milioni di euro. Qualche dubbio sulla perequazione: se funziona esattamente come oggi, non si capisce come può il federalismo realizzarsi a parità di risorse messe a disposizione dal bilancio dello stato".

Convincono la distinzione tra servizi fondamentali e non, il passaggio di immobili dello stato agli enti locali al fine di poterli valorizzare a beneficio delle comunità e il recupero a favore della comunità locale di una maggiore quota della ricchezza prodotta.

Non convincono i tempi di realizzazione e i meccanismi operativi, dalla definizione dei fabbisogni standard ai nuovi tributi/compartecipazioni locali, che sembrano ancora troppo farraginosi, ingessati e centralistici.

Alberto Valmaggia CENTROSINISTRA I territori avranno più da perdere che da guadagnare

"Mi sembra che gli enti locali avranno più da perdere che da guadagnare. Anche se secondo le simulazioni Cuneo avrebbe maggiori risorse, in molti piccoli comuni montani la situazione diventerà drammatica, con tagli anche dell'80 per cento. Nessun aiuto dalla lotta all'evasione, perché la facciamo già da anni, quindi i margini di recupero saranno minimi. Per questo abbiamo chiesto di lasciare ai comuni il 20% dell'Irpef, ma nessuno ci ha spiegato perché questa proposta non va bene".

Sicuramente il concetto più condivisibile e più qualificante della riforma federalista è lasciare le risorse sul territorio invece che mandare tutto a Roma per poi aspettare che i trasferimenti tornino indietro.

Non mi convince per nulla, sia per le tempistiche che per la sostanza. Il meccanismo dell'imposta unica mi sembra troppo complicato e poi l'idea di aspettare il 2019 per capirne gli effetti mi sembra veramente paradossale.

Riccardo Galvani C.DESTRA (reggente) Autonomia con troppe mediazioni

Penso che il complesso della riforma del federalismo possa rappresentare una svolta epocale nella gestione della cosa pubblica. E, inoltre, sicuramente ci saranno più risorse a disposizione per le amministrazioni locali.

Le uniche perplessità derivano dalle aperture offerte dal meccanismo della perequazione: non vorrei che sussistessero alibi per alcune realtà, così che tutto possa essere rimesso di nuovo in discussione.

"Ci sarà l'autonomia, ma essa non sarà totale perché questo federalismo è frutto di una concertazione troppo lunga con l'opposizione. A mio parere si potrebbe e dovrebbe fare di più. Una nota positiva è data dalle maggiori risorse di cui potrà disporre la nostra zona. Ci potrà essere la stabilizzazione dei trasferimenti dei canoni idrici dalla regione alla provincia e questo consentirà un'entrata che, su base provinciale, sarà quantificabile in 13 milioni di euro".

F. Mastromauro CENTROSINISTRA C'è spazio per i buoni amministratori

Una sfida allettante che darà spazio ai buoni amministratori. Un importante momento di confronto per misurare la reale capacità di raggiungere gli obiettivi di autonomia che renderanno i comuni attori principali di una politica fiscale.

Bisogna evitare di toccare alcuni principi fondamentali: quello di uguaglianza dei diritti essenziali dei cittadini e quello in base al quale ogni cittadino partecipa al finanziamento dei beni e dei servizi pubblici sulla base della sua capacità contributiva.

"A Giulianova arriveranno meno soldi, il taglio ai trasferimenti ordinari è di 587mila euro ed è tutto da verificare se gli strumenti messi in campo concorreranno a pareggiare i conti. Non bisogna nascondere le difficoltà di applicazione della perequazione. Siamo stati tra i primi in Abruzzo a formalizzare un protocollo con l'agenzia delle Entrate attraverso cui i mezzi per la lotta all'evasione possono essere affinati e gestiti in rete tra le diverse amministrazioni".

Piero Vignali CENTRODESTRA Guarderemo al futuro con più ottimismo

"Le risorse del federalismo fiscale permetteranno a Parma di guardare al futuro con ottimismo. Siamo il secondo capoluogo di provincia a ricevere maggiori benefici: si ipotizzano maggiori entrate per 30 milioni di euro. Per questo, da un punto di vista puramente amministrativo, il federalismo garantirà agli enti locali un'autonomia che negli anni si è sempre più ristretta. In termini generali, penso che si debba affiancare un vera sussidiarietà fiscale con strumenti come il quoziente familiare".

Una prima realizzazione di quel criterio che è il cuore di un vero federalismo: dare a ogni territorio la possibilità di far leva sulle proprie possibilità. Noi non possiamo che considerarci soddisfatti di queste azioni messe in campo dal governo.

Qualche dubbio rimane sulla perequazione: è difficile oggi capire se il sistema permetterà effettivamente di ridurre quegli squilibri che si genereranno. È chiaro che si tratta di un correttivo necessario.

Renzo Berti CENTROSINISTRA Molti dubbi sul sistema perequativo

"Temo che il sistema della perequazione non funzioni, mentre le proiezioni penalizzano pesantemente Pistoia. Ed è probabile che le risorse diminuiscano già a partire dal 2011 con l'introduzione della cedolare secca, le cui previsioni di incasso paiono aprire un'altra voragine nei bilanci comunali. Anche la lotta all'evasione comporta l'impiego di risorse e i tagli imposti e il sostanziale blocco delle assunzioni rendono difficile questo compito, soprattutto per gli enti medio-piccoli".

Il federalismo va bene, era da tempo che lo chiedevamo. È però necessario che la riforma sia

basata sull'accoppiata responsabilità/autonomia e sul fondamentale criterio della qualità della spesa.

Una scatola vuota che non si riesce a capire come verrà riempita. Resta la sensazione di un progetto insostenibile, costituito dalla somma acritica di disparate richieste e distante dalla volontà di restituire autonomia finanziaria e impositiva.

Giuseppe Emili CENTRODESTRA Più efficienza con qualche incognita

"Sicuramente è un passo avanti. Mettiamo il meccanismo in movimento e vediamo se si può procedere oltre o tornare indietro. Il comune di Rieti è stato colpito dal taglio delle risorse, solo quest'anno un milione e 400mila euro. Le stime, apparse sul Sole 24 Ore, sul gettito dell'imposta municipale unica (fino a un milione e mezzo) mi fanno ben sperare. La scommessa è sul funzionamento del meccanismo della perequazione. A Rieti non si registrano percentuali di evasione alte, tutt'altro".

Ci siamo tutti convertiti alla ricetta del federalismo. Diventa difficile fare la parte del bastian contrario, la speranza è comunque che possa essere uno strumento per arrivare a una più efficace distribuzione delle risorse.

A parte i dubbi sulla reale portata del meccanismo della perequazione, soffro una sorta di pregiudizio sul termine "federalismo", considerato che provengo da una cultura legata allo stato unitario.

Gianfranco Savino CENTRODESTRA Un addio alle gestioni "allegre"

"Finalmente potremo lasciarci alle spalle una gestione per così dire allegra degli enti locali. I tagli ci sono stati: riuscire a rispettare il patto di stabilità è già stato un risultato notevole. La riforma comporta di sicuro rischi e imprevisti, difficilmente a San Severo potranno arrivare più risorse di oggi, spero non ne arrivino meno. Quanto alla lotta all'evasione dei tributi locali, un fatto positivo è che, stando sul territorio, si conosce meglio la realtà e ciò potrebbe rendere più facili le operazioni di recupero".

A chi governa la cosa pubblica a livello locale è assegnata una maggiore responsabilità. Non sarà una partita facile da giocare, ma è senza dubbio una sfida notevole, anche e soprattutto per le città del Meridione.

Quello che più mi preoccupa è che non si è ancora del tutto preparati dal punto di vista organizzativo. Bisogna però consentire ai comuni di attrezzarsi, anche sotto il profilo delle risorse umane.

Ariella Borghi CENTROSINISTRA L'alternativa: meno servizi o su le tasse

"Chiaro è che il taglio dei trasferimenti – per Treviglio di 652mila euro nel 2011 e del doppio nel 2012 – non verrà compensato. Se ne deduce che i comuni, per assicurare il livello dei servizi, hanno due strade: ridurre le spese o aumentare le entrate proprie. Maggiori introiti potrebbero arrivare dalla lotta all'evasione. I nostri uffici tributari hanno realizzato rilevanti risultati nel recupero dell'evasione dei tributi locali. Siamo quindi attrezzati anche per il futuro".

La cosa che convince di più è il principio di una maggiore responsabilizzazione della gestione pubblica a livello locale, che comporta il dovere di dare conto ai propri cittadini della destinazione del prelievo fiscale attuato.

L'interrogativo che preoccupa i comuni, nelle condizioni determinate dalla crisi e dalle restrizioni nella gestione delle finanze pubbliche, è se le risorse destinate saranno sufficienti ad assicurare equilibri e un margine di autonomia e responsabilità fiscale.

 

 

2011-01-14

Benvenuti nella regione Salerno

di Valentina Melis e Gianni TrovatiCronologia articolo14 gennaio 2011Commenti (5)

Questo articolo è stato pubblicato il 14 gennaio 2011 alle ore 07:46.

"Mai!". Al Carroccio può non piacere, ma l'esempio più luminoso dell'orgoglio longobardo arriva dal profondo Sud. Siamo a Salerno, è il 774, e Arechi II risponde così alla richiesta di sottomissione ai Franchi dopo che Carlo Magno aveva sconfitto a Pavia Desiderio, suocero di Arechi, e aveva cancellato dalle cartine la Langobardia Maior.

Arechi non è stato dimenticato, e ora vogliono intitolare a lui la futura regione di Salerno, la resurrezione del principato appena chiesta da 60 comuni della provincia che si vogliono staccare dalla Campania. L'idea è nata nella mente di Edmondo Cirielli, il presidente della provincia di Salerno che ideò e poi "ripudiò" la legge per accorciare i tempi di prescrizione ed evitare il carcere a Cesare Previti nel processo Imi-Sir, e ha subito avuto successo: la Cassazione deciderà il 1° febbraio sulla richiesta depositata da 54 comuni della provincia (420mila abitanti, 70mila più del quorum), e nel frattempo altre sette amministrazioni hanno approvato la delibera con l'adesione al progetto. Se tutto va come deve, Cirielli conta di affrontare il referendum a giugno, per poi imbarcarsi nella modifica costituzionale in Parlamento.

Oltre a Longobardi e principati, alla base della proposta ci sono due ragioni che non si trovano nei libri di storia ma sui giornali: "Essere accomunati a Napoli e ai suoi disastri sui rifiuti è un danno d'immagine che non possiamo più sopportare", spiega Cirielli che, mentre il capoluogo di regione passa da emergenza a emergenza, vanta per la sua provincia una percentuale svizzera (60,2%, quarto posto in Italia) nella raccolta differenziata. Poi, come in ogni secessione che si rispetti, c'è un problema di soldi: nei calcoli di Cirielli l'autonomia da Napoli vale almeno 500 milioni all'anno, perché "la provincia versa due miliardi di addizionali Irpef e Irap e ne riceve meno del 75% in termini di spesa e servizi".

All'indipendentismo cilentano guardano molti occhi interessati. Se il referendum darà la giusta spinta, giurano i promotori, molti sono pronti a salire sul treno della nuova regione, da Avellino a Benevento, ma in zona è tutto un ribollire di creatività geografica. A maggio, quando le ipotesi di cancellazione delle mini-province stavano per condurre sul patibolo quella di Isernia, la coordinatrice beneventana del Pdl, Nunzia Di Girolamo, aveva rispolverato la vecchia idea del Molisannio, una regione che dovrebbe unire Benevento al Molise; insieme a Moldaunia (Molise + Daunia, a nord della Puglia), Sannio-Irpinia-Cilento, Grande Lucania, non c'è confine ballerino che non abbia il proprio bravo comitato promotore. A Salerno guarda poi ovviamente il Grande Salento, che il 1° febbraio dovrà passare insieme agli indipendentisti salernitani lo stesso esame alla Cassazione per far partire la macchina referendaria.

Il referendum è il primo scoglio, perché per passare deve spingere al sì "la maggioranza degli elettori iscritti nelle liste elettorali dei comuni nei quali è stato indetto" (lo prevede la legge 352/1970). I problemi veri, però, vengono dopo. L'elenco delle regioni è scritto all'articolo 131 della Costituzione, e per cambiarlo serve una legge approvata quattro volte con i due terzi del Parlamento per essere messa al riparo da nuovi referendum conservativi.

Conoscono bene tutte le difficoltà i comuni che negli anni hanno accolto con plebisciti entusiasti l'idea di abbandonare Veneto o Piemonte per abbracciare le gioie dello Statuto speciale. San Michele al Tagliamento ha chiamato alle urne i propri cittadini nel 1991, ha ottenuto l'89% di voti per il passaggio al Friuli, è riuscito a far dichiarare incostituzionale la vecchia legge che imponeva il "sì" degli enti rappresentanti di almeno un terzo della popolazione delle regioni interessate. Nonostante tutte le vittorie, però, il comune rimane saldamente ancorato alla provincia di Venezia, come sono rimasti finora in Veneto Cortina e gli altri comuni dell'alto bellunese che hanno alle spalle una battaglia ventennale.

Con il via libera al referendum da parte di tutta la provincia di Belluno, ora la battaglia cambia di piano ma non si semplifica. "Invece di spingere per venire da noi – ha subito chiarito Luis Durnwalder, presidente della provincia di Bolzano e governatore di turno del Trentino Alto Adige – chiedano l'autonomia a Zaia e a Galan che, fino a prova contraria, sono molto vicini alla Lega e al Pdl, e quindi al governo".

Immediata la reazione dei bellunesi, che ieri hanno ricordato il "valore relativo" dei pareri (obbligatori ma non vincolanti) della regione di destinazione, ma l'eventuale convivenza non sarà facile. Con tutti i suoi vantaggi (i comuni trentini hanno entrate medie superiori dell'80-85% rispetto a quelli veneti, come ha ricordato ieri la Cgia di Mestre), lo Statuto speciale è un club d'élite, ed entrarci è complicato.

Più facile passare da una regione all'altra nei territori "normali", come testimonia il fatto che la Valmarecchia offre finora l'unico trasloco (dalle Marche all'Emilia Romagna) arrivato a destinazione. Un buon viatico per l'inquieto comune di Spinazzola, che da Bari è passato alla nuova provincia Bat (Barletta, Andria e Trani) e nei giorni scorsi ha minacciato di salutare la Puglia per andare in Basilicata contro la decisione della giunta Vendola di chiudere l'ospedale locale.

 

 

2011-01-12

Il federalismo fa i gattini ciechi

di Linda LanzillottaCronologia articolo12 gennaio 2011

Questo articolo è stato pubblicato il 12 gennaio 2011 alle ore 13:10.

L'ultima modifica è del 12 gennaio 2011 alle ore 06:38.

Fino ad ora si può dire che abbiamo scherzato. I decreti adottati (federalismo demaniale, Roma Capitale) hanno riguardato aspetti significativi ma tutto sommato marginali della riforma. Il decreto sui fabbisogni standard, come evidenziato dai primi autorevoli commenti, si limita ad indicare un metodo di calcolo il cui esito è quanto mai incerto circa la capacità di costringere effettivamente gli enti locali a produrre servizi a costi efficienti e, allo stesso tempo, a garantire su tutto il paese un adeguato standard di servizi.

Ora, con il federalismo (fiscale) municipale, su cui il Parlamento si pronuncerà nei prossimi giorni, si decide se ai generici principi contenuti nella legge delega corrispondono poteri tributari, meccanismi perequativi, controlli, processi di riorganizzazione amministrativa tali da rendere concreti e operativi quei principi cui si riconnettono le decantate virtù del federalismo. Per questo si tratta di valutare se gli obiettivi e i vincoli posti dalla legge delega (n.42/2009) risultino davvero rispettati.

L'autonomia fiscale è la leva per responsabilizzare gli amministratori in quanto rafforza il potere di controllo e di sanzione dei cittadini elettori. Il decreto fa però una scelta diversa perché la principale imposta locale (l'Imu) non la pagheranno i cittadini che usufruiscono dei servizi, ma solo i proprietari di seconde case (in massima parte non residenti e non elettori) e le persone giuridiche (che notoriamente non votano). Viene quindi meno uno dei fondamenti del federalismo fiscale. Inoltre, poiché questa imposta è molto sperequata, per un numero assai alto dei comuni saranno determinanti le risorse del fondo perequativo: ciò significherà, per molte amministrazioni, tornare a quella finanza derivata che si voleva fortemente ridimensionata.

Diverso sarebbe se, salve le esenzioni per i redditi medio-bassi, già previste per l'Ici dal governo Prodi, l'imposta comunale riguardasse anche i proprietari delle prime case prevedendo però la deduzione di questa imposta dall'Irpef: non aumenterebbero le tasse per i contribuenti, il saldo per il bilancio pubblico sarebbe identico, ma aumenterebbe la responsabilità fiscale degli amministratori.

La legge 42 stabilisce che la differenziazione delle basi imponibili deve essere perequata attraverso trasferimenti statali che garantiscano a tutti i comuni le entrate necessarie a finanziare i servizi fondamentali a un livello quali-quantitativo (fabbisogno) standard a costi (standard) efficienti. Ebbene, il meccanismo che si ricava dalla lettura combinata dei due decreti (federalismo municipale e fabbisogni standard) è allo stato confuso e non garantisce nulla di tutto questo. Costi e fabbisogni standard rimangono ancora misteriosi e così il modo di determinare la capacità fiscale di ogni regione, provincia e comune. Nei fatti, il punto di riferimento rimarrà ancora per molti anni quello della spesa storica, mentre il provvedimento che dovrebbe introdurre modelli organizzativi in grado di produrre efficienza (aggregazione dei piccoli comuni, eccetera), e cioè la famosa Carta delle autonomie, continua a rimanere al palo al Senato.

Un punto tassativo, ribadito dalla legge delega e dai decreti, è quello dell'invarianza della spesa complessiva e della pressione fiscale a carico dei cittadini e delle imprese. È ovviamente un aspetto decisivo soprattutto nella delicatissima fase che attraversa la finanza pubblica. Ciò che oggi appare già chiaro però è che la copertura finanziaria o non c'è o è quanto mai incerta: la perdita di gettito che si avrà con l'applicazione della cedolare secca sugli affitti, rispetto a precedenti documenti della Ragioneria generale dello stato, risulta sottostimata per almeno un miliardo già nel 2011; inoltre, visti gli effetti molto sperequanti di Imu e cedolare secca, non è dato valutare con un accettabile grado di certezza quanto davvero costerà la perequazione per garantire a tutti i comuni risorse coerenti con quelle attuali (che peraltro, nonostante l'impegno del governo, non risultano reintegrate dei tagli previsti per il 2011 e il 2012, pari a circa 2,5 miliardi). Mancano quindi all'appello per il prossimo biennio più di tre miliardi. È quindi fondato il timore che i comuni, in particolare quelli che vedranno crollare le proprie entrate e che sono anche i più poveri, per garantirsi la sopravvivenza saranno costretti a spingere al massimo la leva delle addizionali e soprattutto a ricorrere a ulteriori pesanti aumenti delle tariffe dei servizi: acqua, nettezza urbana, asili nido, servizi culturali e di assistenza a bambini e anziani.

Questi sono i problemi, politici certo ma molto concreti, che pone chi avanza dubbi sul federalismo così come, al di là delle affermazioni teoriche e della propaganda, sta venendo avanti. Una riforma che promette una rivoluzione in nome dell'efficienza e della responsabilità, ma che non va in questa direzione; una riforma che, in periodo di crisi finanziaria, rischia di avere un impatto fiscale e budgetario non governabile se non a danno delle parti più fragili del tessuto sociale del nostro paese. Questioni che non possono essere degradate a meri aspetti tecnici in nome di superiori ragioni politiche. Fu la stessa logica che spinse nel 2001 il centro-sinistra ad approvare il nuovo Titolo V della Costituzione nonostante le serie obiezioni di merito che venivano avanzate. L'Italia ne sta ancora pagando le conseguenze.

Linda Lanzillotta (Api) è segretario della Commissione bicamerale per l'attuazione del federalismo

 

 

Federalismo ma senza rattoppi

di Fabrizio ForquetCronologia articolo12 gennaio 2011

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Questo articolo è stato pubblicato il 12 gennaio 2011 alle ore 10:00.

L'ultima modifica è del 12 gennaio 2011 alle ore 06:43.

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In Italia non facciamo mai nulla di serio perché non vogliamo scontentare nessuno. Ogni buon progetto diventa oggetto di confronto: lo limiamo, lo ritocchiamo, lo modifichiamo, così ciascuno, alla fine, vi ritrova un po' del suo; e poco male se poi il progetto non sta più in piedi.

Succede così in Italia. E succede ancora di più se sei un governo con una maggioranza risicata in parlamento e il tuo progetto è un riassetto del sistema tributario italiano così ambizioso da far tremare polsi e non solo.

È una buona idea il federalismo fiscale. Avvicina i tributi alla gente e responsabilizza chi la gente l'amministra. È un buon progetto ed è anche giusto, nel portarlo avanti, confrontarsi con tutti i soggetti coinvolti (regioni, province, comuni, parti sociali), non senza dialogare con l'opposizione parlamentare.

Nella ricerca di un'intesa, però, c'è un minimo comun denominatore al di sotto del quale non si può scendere. Altrimenti il federalismo rischia di diventare solo una bandiera, buona magari per sventolare sul pennone del proprio elettorato ma inutile per il paese.

La prima bozza della legge delega sul federalismo fiscale risale a due anni fa. Poi è stata la volta dei decreti attuativi – otto – in gran parte ancora in attesa del via libera definitivo (ne presentiamo un riepilogo nel tabellone a pagina 2). Intanto, secondo una rapida verifica nella banca dati del Sole 24 Ore, si sono succedute almeno 50 bozze diverse dei vari provvedimenti. Una produzione legislativa da oscar, che ha montato e smontato il puzzle più volte, rendendo sempre più difficile la comprensione dell'immagine finale.

Nei servizi tra le pagine 2 e 3 diamo conto delle ultime modifiche annunciate ieri dal ministro Roberto Calderoli.

Continua u pagina 9

Per i Comuni rispunta una compartecipazione Irpef di 4 miliardi, in sostituzione di una fetta importante della tanto celebrata Imu, l'imposta locale sugli immobili. Cosicché dopo mesi di lavoro sul decreto per il fisco municipale si torna, in seguito alle pressioni dei sindaci, a un modello non tanto lontano da quello attuale, Irpef più Ici. L'obiettivo è anche nobile, una maggiore perequazione, ma per non svantaggiare nessuno si rinuncia al principio stesso del decentramento tributario e della semplificazione.

Lo stesso vale per le regioni, che sono state accontentate riconoscendo loro un mix di compartecipazioni Iva e Irpef. Ed evidentemente anche le province non potevano essere da meno: per loro già si annuncia l'archiviazione dell'addizionale locale sulla benzina che sarà sostituita ancora una volta da un ritorno all'Irpef.

Così il puzzle dei tributi si compone, scompone e ricompone, inseguendo il consenso necessario. I decreti devono andare avanti. Purchessia. E siccome non basta il disco verde delle autonomie locali, vanno accontentati anche i partiti di opposizione.

Ecco allora pronto per i finiani lo sdoppiamento della cedolare secca in due aliquote; a Casini si assicurano le detrazioni per gli inquilini con figli a carico, palliativo di un quoziente familiare che non si ha la forza di approvare; al Pd si promette - che Bersani si accontenti! - di intervenire successivamente sulla tariffa sui rifiuti.

Ce n'è per tutti. Per approssimazioni successive bisogna arrivare all'approvazione finale. Poco importa se alla fine la montagna rischia di partorire il topolino: se la semplificazione e l'autonomia fiscale restano in gran parte sulla carta; se il buon federalismo annunciato, per diventare realtà, rinuncia di fatto a se stesso. In fondo, si sa, non vogliamo scontentare nessuno. E la politica ha le sue logiche. Ma vale davvero la pena fare questo gran baccano per piantare solo una bandiera?

 

 

 

Compartecipazione Irpef da 4 miliardi ai sindaci

di Eugenio Bruno e Gianni TrovatiCronologia articolo12 gennaio 2011

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Questo articolo è stato pubblicato il 12 gennaio 2011 alle ore 07:53.

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Per vincere la resistenza di comuni e opposizione il governo sceglie l'usato sicuro. E punta su una compartecipazione Irpef da 4 miliardi con cui sostituire una fetta di pari valore della futura Imu di trasferimento. Motivo: l'imposta sul reddito delle persone fisiche è meno sperequata rispetto a quella parte del tributo unico municipale (Imu) che dal 2014 accorperà imposta di registro, di bollo, ipotecaria e catastale.

Di fatto, l'Imu sulle compravendite resterà allo stato, e ai sindaci andrà solo una compartecipazione da un miliardo. Che si cumulerà con il gettito proveniente dall'Imu sul possesso: l'erede dell'attuale Ici che continuerà a gravare solo sulle seconde case. A far tornare i conti ci penserà l'Irpef. Che da compartecipazione più l'addizionale esistente si trasfomerà in una maxi-addizionale con una quota fissa e una manovrabile in su e in giù su iniziativa dei sindaci. Sulla falsariga di quanto previsto per i governatori nel decreto attuativo sul fisco regionale e i costi standard.

Ad anticipare la proposta era stato in un'intervista pubblicata sul Sole 24 Ore di martedì scorso lo stesso ministro della Semplificazione, Roberto Calderoli. Che l'ha ribadita ieri, insieme alle altre possibili modifiche (su cui si veda altro articolo nella pagina accanto) prima ai rappresentanti del terzo polo in bicamerale – Gianluca Galletti e Giampiero D'Alia per l'Udc, Mario Baldassarri per Fli e Linda Lanzillotta per l'Api – e, poi, a una delegazione del Pd, formata dal relatore di minoranza Giuliano Barbolini, da Walter Vitali e da Marco Causi. Ricevendone una risposta interlocutoria, seppur con toni e sfumature diverse.

Pur apprezzando l'opzione-compartecipazione Irpef, Vitali ha definito "un'occasione persa" la scelta del governo che si è detto "non in condizione di accogliere la nostra proposta di fiscalità comunale che fa perno sull'imposta sui servizi in sostituzione della Tarsu, la tassa sulla raccolta e lo smaltimento dei rifiuti, e dell'addizionale comunale all'Irpef". L'intervento sulla Tarsu/Tia ci sarà ma in un decreto correttivo e senza coinvolgere l'addizionale Irpef. A questo punto, ha spiegato il capogruppo democratico in commissione, il Pd si abbatterà affinché almeno le proposte dell'Anci passino.

Più abbottonato il terzo polo. Che tenterà di procedere unito fino al momento del voto. Ma che per ora ha optato per una linea attendista, riassunta dalle parole del leader centrista Pier Ferdinando Casini: "Aspettiamo di avere delle risposte - ha detto –. Se sono serie è un conto, se non ci sono risposte invece...". E considerazioni analoghe sono giunte dal finiano Mario Baldassarri che nel merito entrerà solo dopo aver visto il nuovo articolato proposto da Calderoli.

Ma il testo riveduto e corretto arriverà solo all'inizio della settimana prossima. Quando l'ufficio di presidenza deciderà il calendario dei lavori anche se è pressoché certo che il voto finale arriverà mercoledì 26. Tre giorni dopo la data ultima fin qui indicata dalla Lega. Ma è un ritardo che il Carroccio è disposto a tollerare anche per non incrinare gli equilibri sottilissimi che ci sono in commissione, dove maggioranza e opposizione sono 15 a 15 e per passare il decreto ha bisogno di almeno un'astensione strategica.

L'idea di utilizzare l'Irpef è anche una risposta diretta ai comuni, che in un dossier di Anci e Ifel avevano messo nero su bianco i dubbi sui conti: "I conti non tornano – era il succo dell'analisi offerta dagli amministratori locali (anticipata sul Sole 24 Ore del 3 gennaio), e senza la compartecipazione a un grande tributo erariale è impossibile andare avanti".

Nelle parole di Calderoli la compartecipazione è arrivata, ma prima di conoscere la risposta definitiva dei sindaci occorrerà aspettare probabilmente qualche dettaglio in più. Nel tardo pomeriggio di oggi l'associazione dei comuni riunirà l'ufficio di presidenza, in una convocazione che all'ordine del giorno unisce ancora la questione federalismo con il nodo dei tagli ai trasferimenti. "La compartecipazione ai tributi erariali – ha ricordato ieri Salvatore Cherchi, responsabile Anci per la finanza locale – è prevista espressamente dalla legge delega, e lo stesso accade per la perequazione che deve essere alimentata dalla fiscalità generale". Le differenze fra comuni "ricchi" e comuni "poveri" nel portafoglio del mattone, che continua a essere la base principale per il finanziamento dei bilanci federalisti, sono l'altro "punto eccezionalmente delicato" secondo i sindaci, che chiedono di fissare in un decreto a sé un meccanismo nazionale con garanzie uguali per tutti. "Le modalità di alimentazione del fondo – spiegano dall'Anci – non possono essere lasciate alla conferenza unificata, altrimenti si tradisce la legge delega". Il meccanismo deve poi evitare il rischio opposto, quello di un eccessivo ingessamento del federalismo, visto che sempre ieri Legautonomie ha sottolineato di vedere nei decreti "una partita di giro con caratteri di rigidità e di scarsa manovrabilità dei tributi devoluti".

 

 

2011-01-10

Per il federalismo è il momento verità

Roberto TurnoCronologia articolo10 gennaio 2011

Questo articolo è stato pubblicato il 10 gennaio 2011 alle ore 06:39.

Federalismo fiscale, decreto milleproroghe ed emergenza rifiuti a Napoli e in Campania, biotestamento, Comunitaria 2010. Dopo tre settimane di vacanze, da oggi il Parlamento riapre i battenti e si ritrova punto e a capo. Con una maggioranza in cerca di maggioranza sicura alla Camera e con calendari di lavoro interamente da definire. Anche perché le incognite politiche sono tutte risolvere e la stessa sorte della legislatura è appesa agli esiti di quanto accadrà in questi primi giorni convulsi dell'attività non solo parlamentare del 2011. A 33 mesi e 200 leggi dall'avvio della legislatura, le Camere sono così nuovamente davanti a un bivio. Se è vero che la decisione della Consulta sul legittimo impedimento (si veda articoli in pagina) sarà la prima cartina di tornasole delle convenienze politiche della maggioranza di non spingere verso le elezioni anticipate, è altrettanto vero che in queste settimane si consumeranno in Parlamento le scelte decisive sui provvedimenti più attesi e più temuti, a seconda dei giudizi.

La prima scommessa è il federalismo fiscale che per la Lega rappresenta praticamente la sola ragion d'essere. Si comincerà così subito con lo schema di decreto legislativo sul fisco municipale, contro il quale i sindaci e il centrosinistra hanno fatto convergere un discreto fuoco concentrico, ma i tempi per il parere e, quindi, per il varo finale in consiglio dei ministri sono strettissimi: la scadenza è fissata per venerdì 28 gennaio, prendere o lasciare. Con l'incognita dei numeri nella bicameralina, al momento in assoluto pareggio tra maggioranza e opposizioni. Sempreché la situazione politica non precipiti prima, incassare un voto negativo sul testo in Parlamento non impedirebbe il successivo via libera in consiglio dei ministri: ma è chiaro che una riforma di così vasta portata approvata solo dalla metà delle forze politiche, e magari impallinata dai comuni, rischierebbe di depotenziarne significativamente il valore. Senza scordare che lo stesso percorso attende nelle settimane successive altri testi attuativi del federalismo, a cominciare dal fisco regionale e dai costi standard sanitari.

Le maggioranze variabili anche nelle commissioni parlamentari, e soprattutto in quelle della Camera, sono del resto il primo problema da risolvere per la maggioranza per quanto riguarda il cammino di tutti i provvedimenti già in cantiere in Parlamento come di quelli che potrebbero arrivare se il "Berlusconi quater" tirerà avanti. Sulla giustizia, ad esempio, non solo in attesa di valutare gli effetti della prossima sentenza della Consulta, sono stati lasciati in stand by tutti i ddl più spinosi: processo breve, lodo Alfano costituzionalizzato, intercettazioni telefoniche, lo stesso processo penale. Solo il definitivo chiarimento sulla situazione politica complessiva permetterà di conoscerne i destini.

L'incertezza legislativa, insomma, è massima in queste giornate. Forse da domani il quadro sarà almeno in parte più chiaro dopo le conferenze dei capigrupo della Camera e del Senato. I calendari delle due assemblee sono interamente da decidere, ma non senza pesanti ombre. A Montecitorio, ad esempio, si deciderà sul voto di sfiducia al ministro dei Beni culturali, Sandro Bondi. Ma allo stesso tempo verrà stabilita la data di voto sul biotestamento, altro tema che spacca i partiti e su cui il centrodestra sta cercando di scavare fossati nel terzo polo, tra i finiani del Fli e l'Udc.

Non meno complicato si annuncia il quadro al Senato. Col decreto milleproroghe che avvia il suo cammino in commissione Affari costituzionali ma con affanni numerici per la maggioranza. E con altre leggi del Governo da tempo in naftalina e di cui si devono decidere presto le sorti: l'anticorruzione, che tutti vogliono ma che nessuno approva, è l'esempio più lampante delle riforme fallite.

 

 

2010-12-26

Federalismo fiscale: rischio stangata per il Sud

Cronologia articolo26 dicembre 2010Commenta

Questo articolo è stato pubblicato il 26 dicembre 2010 alle ore 19:52.

Rischio stangata per i comuni con il nuovo fisco previsto nel federalismo fiscale. Secondo uno studio del Pd, i municipi dei capoluoghi di provincia, con il passaggio dai trasferimenti statali all'autonomia delle imposte perderebbero complessivamente 445 milioni di risorse l'anno da destinare ai servizi. La proiezione, messa a punto dal senatore del Pd, Marco Stradiotto, è stata elaborata utilizzando dati della Copaff, la commissione paritetica sul federalismo fiscale che lavora al ministero del Tesoro. Tra i 92 comuni esaminati dallo studio, 52 otterrebbero benefici dalla proposta di riforma, mentre 40 ne verrebbero penalizzati. L'Aquila, ma anche Napoli come molti comuni del sud perderebbero notevoli entrate (fino a oltre il 60%) con il nuovo fisco. Vanno meglio, invece, i municipi del nord o quelli come Olbia con un alto tasso di seconde case.

Con il nuovo fisco 445 milioni in meno

La perdita di risorse per i servizi per i capoluoghi di provincia è pari a 445.455.041 milioni di euro. Il dato emerge dallo studio mettendo a confronto i trasferimenti relativi al 2010 e il totale del gettito dalle imposte devolute in base al decreto attuativo sul fisco comunale (tassa di registro e tasse ipotecarie, l'Irpef sul reddito da fabbricati e il presunto introito che dovrebbe venire dalla cedolare secca sugli affitti).

Salasso per L'Aquila, Napoli e Roma

È il comune terremotato de L'Aquila a subire un taglio drastico delle risorse: - 66% con una perdita di 26.294.732 milioni. Segue a poca distanza Napoli (-61%) che perde quasi 400 milioni (392.969.715). Il comune partenopeo resta però il comune che riceve i trasferimenti statali più alti rispetto a tutti gli altri capoluoghi italiani (668 euro per abitante di fronte a una media di 387 euro). Se il nuovo fisco previsto nel federalismo municipale andrà in vigore il capoluogo abruzzese incasserà 13.706.592 di euro di tasse a fronte di 40.001.324 di trasferimenti avuti nel 2010. Si tratta di 360 euro in meno all'anno per abitante. I cittadini aquilani pagheranno, infatti 188 euro di Imu, mentre attualmente per ognuno di loro vengono dati al Comune 548 euro. Non va meglio a Napoli che con grazie all'autonomia impositiva incassa 252.054.150 euro, ma nel 2010 ha avuto trasferimenti per 645.023.865. E ancora Roma perde il 10% delle entrate con 129.540.902 euro in meno.

Bene Olbia e Imperia

Olbia, tra tasse di registro e ipotecarie, Irpef sul reddito da fabbricati e cedolare secca sugli affitti raggiungerebbe 25.212.732 di euro di entrate a fronte di trasferimenti che nel 2010 sono stati 8.988.534 con un saldo di più 180 per cento. Chi guadagna è complessivamente il Nord: Imperia registra +122%, Parma +105%, Padova +76%, Siena +68% e Treviso +58%. Milano avrà il 34% di risorse in più, Bologna il 40per cento. Ma fra i capoluoghi del Nord alcuni perderanno: per esempio, Torino (-9%) e Genova (-22 per cento).

 

 

2010-12-19

Pressing delle regioni: sul Fas fissare quota minima

Cronologia articolo19 dicembre 2010

Questo articolo è stato pubblicato il 19 dicembre 2010 alle ore 08:12.

La strada per mettere in pratica il piano Sud non si preannuncia in discesa. Giovedì scorso, in Conferenza unificata, le Regioni hanno espresso due diversi pareri sul decreto legislativo che attua l'articolo 16 del federalismo fiscale (nuova governance della politica di coesione) e sullo schema di delibera Cipe che detta i criteri per la riprogrammazione delle risorse Fas e dei fondi strutturali. Nel primo caso niente intesa salvo l'accoglimento di una lunga serie di emendamenti. Invece, sulla delibera le Regioni hanno espresso un'intesa tecnica con il via libera, da parte del ministro degli Affari regionali Raffaele Fitto, a una serie di modifiche: in pratica i governatori hanno ottenuto la garanzia che la preannunciata riprogrammazione delle risorse avvenga "secondo le modalità previste dai regolamenti comunitari e dal Quadro strategico nazionale (varato nel 2007, ndr), per quanto applicabili, e con il rispetto del vincolo di territorialità delle risorse (85% al Mezzogiorno, ndr)".

Resta quindi aperto solo il capitolo del decreto legislativo. Un punto molto delicato. Sono una quindicina gli emendamenti presentati, tutti volti a ridimensionare il rischio di un forte accentramento delle politiche di coesione. I governatori sembrano intenzionati a non mollare la presa evitando che, soprattutto con la prossima programmazione (dal 2014), il governo – segnatamente ministro degli Affari regionali e ministro dell'Economia – possa decidere praticamente tutto. Si chiede infatti di inserire le parole "d'intesa con le Regioni" in diversi punti del testo. Ad esempio, laddove si attribuisce al ministro per gli Affari regionali, d'intesa con il Tesoro e lo Sviluppo economico, la possibilità di adottare "opportune misure di accelerazione degli interventi". Ma è anche questione di risorse. Le regioni chiedono di esprimere l'intesa sulla quantificazione del Fas (in futuro si chiamerà Fondo per lo sviluppo e la coesione) da inserire nella legge di stabilità. E, soprattutto, chiedono che (come era stato indicato in una delle prime bozze del Dlgs) sia espressa una percentuale minima del Pil come base di calcolo delle risorse del Fondo. Come dire: meglio fissare subito dei paletti.

 

 

 

Regioni e governo siglano l'intesa sul federalismo fiscale. Premi a chi rispetta il patto di stabilità

Cronologia articolo16 dicembre 2010Commenta

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Questo articolo è stato pubblicato il 16 dicembre 2010 alle ore 22:25.

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Regioni e governo hanno raggiunto, in Conferenza Unificata, l'intesa sul decreto sul federalismo fiscale regionale che contiene anche i costi standard sulla sanità. Nel testo dell'accordo siglato le Regioni, ritenendo "strategica l'attuazione della legge 42" sul federalismo, spiegano che "per le esigenze di finanziamento del trasporto pubblico locale, il Governo si impegna ad assicurare, in aggiunta ai 425 milioni di euro previsti dalla legge di stabilità, ulteriori 75 milioni di euro per il 2011".

Gli impegni di governo e regioni

Sempre per il trasporto pubblico locale, il governo si impegna, a fronte di un "completo adempimento da parte delle Regioni di quanto stabilito in materia di Fondo sociale europeo" a reintegrare i trasferimenti alle Regioni per un importo di 400 milioni di euro per il 2011. L'Esecutivo si impegna inoltre a escludere dal calcolo delle spese rilevanti ai fini del rispetto del Patto di stabilità interno per il 2011 le spese per il trasporto pubblico locale. Le Regioni si impegnano a mantenere l'accordo sulla Cigs sulla parte di loro competenza, ad adottare ogni iniziativa per contrastare il fenomeno dei falsi invalidi e a partecipare alla lotta contro l'evasione fiscale. Il Governo si impegna a prevedere dal 2012 la fiscalizzazione dei trasferimenti relativi al trasporto pubblico locale su ferro ed elimina i tagli previsti per il 2012 pari a circa 4 miliardi.

Premi a chi rispetta il Patto di stabilità

La revisione dei tagli pari a 4 miliardi per il 2012 e la fiscalizzazione dei trasferimenti relativi al trasporto pubblico locale avverrà solo nei confronti delle Regioni che rispettino il Patto di stabilità interno. Nell'allegato del documento siglato da Regioni e Governo vi sono delle proposte di modifica della legge di stabilità 2011. In particolare, le Regioni si fissano i criteri grazie ai quali possano considerarsi adempienti al patto di stabilità, e si dice che sono tali solo se procedono ad applicare una serie di prescrizioni: innanzitutto, impegnare spese correnti, al netto delle spese per la sanità in misura non superiore all' importo annuale minimo dei corrispondenti impegni effettuati nell'ultimo triennio. In secondo luogo non devono ricorrere all' indebitamento per gli investimenti. Infine, non devono procedere ad assunzioni di personale "a qualsiasi titolo, con qualsivoglia tipologia contrattuale, ivi compresi i rapporti di collaborazione continuata e di somministrazione, anche con riferimento ai processi di stabilizzazione in atto".

I commenti dei governatori

"Siamo solo all'inizio del percorso - ha detto il presidente della Conferenza delle Regioni, Vasco Errani - abbiamo evitato una situazione gravissima, in particolare sul trasporto pubblico locale. Dopo un lungo e difficile lavoro è stato fatto un passo avanti e abbiamo stretto l'intesa ma la strada sarà impegnativa e richiederà risposte concrete e puntuali".

"Una giornata positiva a coronamento di un semestre di grande impegno", commenta il presidente della Lombardia. "Dopo mesi di trattative - dice Roberto Formigoni - abbiamo finalmente superato il grave empasse che si era aperto fin dal mese di giugno tra lo Stato e le Regioni, causato dalla manovra finanziaria nazionale. Abbiamo fatto bene a tenere duro a non deflettere mai dalla difesa delle nostre ragioni e anche dalla volontà di dialogo e di raggiungere un accordo con il Governo".

"L'accordo - precisa - è stato raggiunto sulla base della proposta formulata 15 giorni fa da Regione Lombardia, nota anche come lodo Colozzi e questo ci ha permesso anche di raggiungere un'intesa sul federalismo fiscale". Raggiante il governatore del Piemonte, Roberto Cota: "L'intesa appena raggiunta è un fatto epocale, sono molto soddisfatto". Cota ha voluto dire un "sentito grazie al ministro Calderoli per il lavoro di paziente ricucitura che ha fatto".

"Oggi abbiamo ottenuto quanto richiesto da sempre: il collegamento tra la manovra finanziaria e il federalismo fiscale e la garanzia delle risorse per il trasporto pubblico locale", ha commentato il presidente della Regione Lazio, Renata Polverini.

Le politiche per il Mezzogiorno

"L'accordo sul trasporto pubblico locale" è "positivo e rispecchia il lavoro e l'attenzione che abbiamo riservato al settore", ha osservato il ministro dei Trasporti, Altero Matteoli.

Soddisfazione è stata espressa anche dal ministro per i Rapporti con le Regioni, Raffaele Fitto: "dopo una giornata di incontri e di lavoro chiudiamo con piena soddisfazione.

C'è il parere favorevole delle Regioni sul decreto sul federalismo fiscale ed è stata definita anche l'intesa sulla delibera Cipe che riguarda una bella fetta del Piano per il Mezzogiorno". Su questo punto c'è però un commento negativo da parte del governatore della Basilicata Vito De Filippo: "Ancora una volta abbiamo verificato che fondi aggiuntivi per il Mezzogiorno non ve ne sono, con buona pace del tanto sbandierato Piano per il Sud utilizzato in queste ore dal Governo Berlusconi per accreditare una svolta che non c'è‚ nelle politiche in favore del Mezzogiorno".

 

 

 

Il piano per il Sud in otto punti

Carmine FotinaCronologia articolo25 novembre 2010

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Questo articolo è stato pubblicato il 25 novembre 2010 alle ore 06:38.

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ROMA

Oggi l'anteprima, domani il via libera di Palazzo Chigi: il piano per il Mezzogiorno, annunciato per la prima volta dal governo nell'estate 2009, arriva al traguardo. Al Consiglio dei ministri non approderà un decreto ma un documento programmatico di venticinque pagine in cui sono messe nero su bianco una serie di linee di azione divise negli otto punti già segnalati dal ministro degli Affari regionali Raffaele Fitto alla Fiera del Levante: infrastrutture, ricerca, scuola, giustizia, sicurezza, pubblica amministrazione e servizi pubblici, incentivi alle imprese, Banca del Sud. Il documento sarà presentato stamattina alle parti sociali, in un incontro in programma a Palazzo Chigi, e nel pomeriggio alle Regioni. Non ci sono fondi nuovi, ma si punta a razionalizzare sprechi e inefficienze lunghe quasi un decennio.

Per completare il pacchetto delineato dal governo occorreranno però altri tasselli: una delibera Cipe per riprogrammare i fondi europei e Fas non spesi o bloccati; il decreto legislativo che riorganizza e semplifica il sistema degli aiuti alle imprese (si veda Il Sole 24 Ore di ieri); i due decreti attuativi sul federalismo relativi alla perequazione infrastrutturale (articolo 22 della legge 42/2009) e al coordinamento della riforma con la politica di coesione e i fondi strutturali (articolo 16).

Quello che arriverà domani a Palazzo Chigi è un testo con un livello di dettaglio limitato. Inevitabile, anche in considerazione del lavoro di raccordo ancora in corso con le Regioni sulla base della delibera Cipe del 30 luglio scorso che ha formalizzato la ricognizione sui fondi europei e Fas da rilanciare. Per il programma 2000-2006, oltre il 30% dell'importo di 19 miliardi assegnato alle regioni è ancorato a opere con un livello di realizzazione che va dallo zero al 10%. Sui fondi Ue 2007-2013 la spesa al momento è ferma al 7%. Andranno valorizzati poi quasi 6 miliardi provenienti dai cosiddetti "progetti sponda".

La presidenza del Consiglio assumerà il coordinamento degli otto punti. Il capitolo più corposo riguarda le infrastrutture: come già emerso nei mesi scorsi, il focus sarà sulla Salerno-Reggio Calabria, sull'Alta velocità Napoli-Bari, sul nuovo progetto della ferrovia Messina-Catania-Palermo. Per la sicurezza, nel piano si parla di maggiore trasparenza sugli appalti pubblici e di lotta al lavoro sommerso. Sui servizi pubblici, l'obiettivo è favorire gli investimenti per aumentare il livello di qualità, soprattutto per trasporti, acqua, raccolta dei rifiuti. Sulla giustizia la priorità è accelerare i tempi anche con un maggiore ricorso agli strumenti della conciliazione. Per l'istruzione il punto centrale è l'adeguamento degli edifici scolastici, per la ricerca il rafforzamento di iniziative che mettano in sinergia pubblico e privato. Un paragrafo è dedicato al progetto di valorizzazione dei poli museali di eccellenza (anticipato dal Sole 24 Ore del 10 novembre).

Si articola invece in due capitoli l'intervento per le imprese. La Banca del Sud ormai non è una novità, e il suo decollo è legato alla conclusione dell'operazione d'acquisto del Mediocredito centrale da parte di Poste italiane, Iccrea e ministero dell'Economia. Non è dell'ultim'ora nemmeno l'idea di riorganizzare il sistema degli incentivi alle imprese. Esiste una delega al governo che va esercitata entro febbraio ed è ormai pronta una bozza di decreto legislativo. Il testo, tuttavia, potrebbe mancare l'appuntamento di domani al Consiglio dei ministri. Il ministero dello Sviluppo economico sta ancora raccogliendo osservazioni da Confindustria e dalle altre organizzazioni. Tra le prime riflessioni critiche quella, avanzata da Rete Imprese Italia, sulla mancata istituzione di un Fondo unico, previsto invece in un primo testo elaborato lo scorso marzo. Sarebbe stata una soluzione più incisiva, è il giudizio, perché un contenitore unico (specializzato al suo interno in differenti aree tematiche) è più facile da rifinanziare anno per anno in base alle stime sulla sua effettiva operatività. Proprio il finanziamento degli strumenti previsti nella bozza, però, è uno degli aspetti sui quali bisognerà valutare la posizione del ministero dell'Economia.

 

 

 

Governo e regioni all'ultima trattativa sul federalismo

Roberto TurnoCronologia articolo09 dicembre 2010

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Questo articolo è stato pubblicato il 09 dicembre 2010 alle ore 06:36.

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ROMA

Arriva oggi all'ultima e decisiva curva il lungo confronto tra governo e regioni sulla partita doppia che lega insieme la manovra per il 2011 e il federalismo fiscale. In una giornata che difficilmente riserverà aperture clamorose da parte del ministero dell'Economia più che mai impegnato a tenere ferma la barra della tenuta dei conti pubblici, i governatori incontreranno in mattinata i ministri Raffaele Fitto e Roberto Calderoli per decidere poi in una riunione straordinaria come rispondere nella conferenza unificata del pomeriggio alle contro-proposte, se ci saranno, del governo.

La posizione dei governatori sarà la stessa di una settimana fa dopo l'incontro con Tremonti e con i gruppi parlamentari del Senato. La richiesta è di ammorbidire in maniera sostanziosa gli effetti dei tagli (4 miliardi per il 2011 e 4,5 per il 2012) scaricati dalla manovra estiva e confermati dalla legge di stabilità. Se le risposte del governo saranno negative, la tendenza è di esprimere a priori un parere negativo sul decreto applicativo del federalismo fiscale riguardante autonomia fiscale e costi standard sanitari: senza finanziamenti adeguati, è la sintesi dei governatori, il federalismo partirebbe zoppo.

Una linea che però spacca il fronte dei governatori. Con i due presidenti delle regioni a trazione leghista, Veneto e Piemonte, che non hanno mai accettato, e non accetteranno neppure oggi, di esprimersi contro il decreto sul federalismo fiscale anche senza nuove concessioni del governo sulla manovra 2011. La spaccatura tra i governatori, che però dovrà essere confermata proprio in questa fase politica anche dagli altri presidenti di centro-destra, non impedirà alle regioni di rinnovare all'unanimità nell'incontro con Fitto e Calderoli la loro proposta "salva tagli": a partire dal ripristino della fiscalizzazione delle risorse per circa 1 miliardo legate al trasporto pubblico su ferro. Ipotesi che avrebbe lasciato freddo Tremonti, anche se non dovesse intaccare il patto di stabilità interno.

Anche su fisco regionale e costi standard sanitari, d'altra parte, il governo non ha intenzione di fare significative marce indietro. Alle più importanti proposte di modifica avanzate dalle regioni le risposte sono state fin qui negative: niente da fare sull'Ires regionale o sulla possibilità di avere mani più libere sull'Irap, soprattutto. Stop, in assenza di una posizione condivisa dell'Anci, anche agli emendamenti che impattano sulla fiscalità comunale. Per non dire delle porte sbarrate alla richiesta delle regioni di prevedere a priori nel benchmarck una regione del nord, del centro e del sud per quasi 20 milioni di cittadini, ma anche all'esclusione delle regioni a statuto speciale.

In ogni caso la partita del decreto sul federalismo fiscale, arrivi o meno il parere negativo dei governatori, non si chiuderà oggi. Il governo potrà tirare diritto per la sua strada nel successivo cammino parlamentare del decreto. Con un'arma politicamente più spuntata se le regioni, prime destinatarie del provvedimento, confermeranno la loro opposizione con o senza Veneto e Piemonte. Per non dire dei rischi legati all'evoluzione della situazione politica complessiva: ma questa è una storia che potrà essere scritta solo dopo l'esito del voto di (s)fiducia di martedì 14 dicembre.

 

 

 

Fondi Ue, hi-tech e turismo al palo

Carmine FotinaCronologia articolo19 dicembre 2010

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Questo articolo è stato pubblicato il 19 dicembre 2010 alle ore 08:12.

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ROMA

La spesa dei fondi europei è bassa, incredibilmente bassa. Fin qui niente di nuovo: da questa base si è mosso il governo per mettere a punto il piano Sud, ma informazioni molto più precise arrivano ora dal rapporto consegnato alla direzione generale Ue per le politiche regionali dalla società Ismeri Europa, incaricata di valutare i risultati della programmazione. L'Italia – è il responso – versa in un preoccupante affanno soprattutto sullo stato di attuazione dei progetti di innovazione industriale (mentre sulla ricerca pura si va meglio), del turismo e beni culturali, degli aiuti alle imprese, dell'ambiente, dello sviluppo urbano. Sono questi i settori in cui, se non ci sarà una sterzata con i nuovi criteri fissati dal piano Sud, si rischia di restituire risorse a Bruxelles. Va un po' meglio per istruzione ed energia. La spesa complessiva per il 2007-2013, in euro, è ferma al 7%. Ma se si sceglie un altro parametro, il numero di interventi o progetti già conclusi, non va meglio, con una quota totale stimabile sotto il 10% e, in diverse amministrazioni, tra lo 0 e il 5%.

Il confronto

Il Programma nazionale ricerca e competitività è condiviso da Miur e ministero dello Sviluppo. Nel primo caso, ci sono segnali positivi come "l'elevata domanda registrata per gli ultimi bandi lanciati". Il secondo asse, quello dell'innovazione industriale, "soffre invece dell'assenza di un nuovo e adeguato quadro degli incentivi". In generale il Programma nazionale "ha incontrato difficoltà nel coordinamento di strategie tra i due ministeri". Su 720 progetti di supporto all'innovazione, il rapporto Ismeri ne segnala completati 52. Quanto al sostegno alle imprese, a livello regionale, la maggior parte delle risorse spese è stata destinata a fondi di garanzia. Si possono fare degli esempi: la Puglia ha finanziato 2.700 imprese sulle oltre 26mila previste, la Sicilia 1.000 su 3.000, la Campania è al palo. Situazione peggiore nel settore del turismo e beni culturali, che sconta il carattere interregionale del programma con conseguente mancanza di coordinamento. A livello ministeriale i risultati languono, nelle regioni si va dai 3 interventi siciliani per nuove strutture (su un target di 20) agli 8 progetti campani per la valorizzazione culturale (su 70). Cambiando completamente area, nei trasporti ed infrastrutture – commenta Andrea Naldini, coordinatore del rapporto – "un recente accordo con le Fs ha consentito di individuare una serie di progetti su cui si potrà accelerare".

Male non solo le regioni

Una delle cifre più citate nelle ultime settimane è rappresentata dai 101 miliardi per il Sud (tra Fas, fondi strutturali e co-finanziamento nazionali). Ma in gioco ci sono anche 22 miliardi per le regioni del Centro-Nord, che hanno performance superiori (spesa tra il 12 e il 13%) ma comunque non entusiasmanti. Il vero problema – sottolinea il rapporto Ismeri – è che, a questo ritmo, la ricca dote dei fondi Ue non riuscirà a mitigare gli effetti della crisi sulle aree più deboli del paese, fallendo in larga parte l'obiettivo di riduzione del divario con il Nord. "Gli interventi sono in ritardo e risultati tangibili inizieranno ad esserci solo tra 3-4 anni, praticamente alla fine del periodo di programmazione. Nel caso di interventi più complessi poi – infrastrutture o progetti di ricerca – effetti sostanziali arriveranno ancora più tardi". E le criticità, ribadisce Naldini, riguardano sia i programmi operativi regionali sia quelli nazionali, di competenza di singoli ministeri.

 

 

 

2010-07-09

L'eccesso di velocità può far male al federalismo

di Massimo Bordignon Cronologia articolo9 ottobre 2010

Questo articolo è stato pubblicato il 09 ottobre 2010 alle ore 09:56.

L'improvvisa accelerazione del federalismo fiscale è per certi aspetti positiva: dopo un lungo periodo di stasi e di retorica, la politica ha deciso di tornare concretamente sul tema. È opportuno ricordare che dei dodici decreti che devono essere approvati entro il maggio 2011, pena la scadenza della legge delega, finora solo due, quello sul federalismo "demaniale" e su Roma Capitale (e quest'ultimo solo per gli aspetti regolamentari del comune di Roma) hanno finito il loro iter. Tutto il resto, comprese le proposte sul fisco comunale e sulla stima dei fabbisogni degli enti locali, di cui pure si sono riempite le pagine dei giornali, restano ancora in divenire.

Ma non si può non segnalare il pericolo che quest'improvvisa accelerazione avvenga sotto il segno dell'improvvisazione, e che sia più funzionale alla propaganda pre-elettorale che al raggiungimento di una configurazione stabile ed efficiente nei rapporti finanziari tra livelli di governo. E questo sarebbe un peccato, perché significherebbe perdere l'occasione di introdurre una riforma importante, capace di migliorare il funzionamento della nostra amministrazione locale. Il rischio cioè, più che la spaccatura del paese temuta da alcuni e desiderata da altri, è che il tutto si risolva in un gran pasticcio, un passo indietro piuttosto che avanti.

Mi limito a qualche esempio. Introdurre una standardizzazione dei costi nella sanità che guidi l'allocazione delle risorse e spinga le amministrazioni regionali verso l'ottenimento di maggiori livelli di efficienza, è un elemento necessario, anche se probabilmente non sufficiente, del percorso verso il federalismo fiscale. Per affrontare il problema, il governo interpreta nel decreto appena licenziato dal Consiglio dei ministri i costi standard della legge delega come spesa procapite pesata nelle principali funzioni sanitarie, più o meno quello che si fa già adesso. La novità è che questi costi standard dovrebbero essere non quelli medi nazionali, ma quelli delle regioni più efficienti, che rappresenterebbero un benchmark per le altre.

Di qui, la spinta all'efficienza. Ma il decreto è scritto tanto male, per imperizia o per improvvisazione, che chi si è messo a fare i conti ha scoperto che i costi standard come definiti dal decreto sono in realtà del tutto ininfluenti nel determinare la distribuzione delle risorse tra regioni, che resta puramente legata alla popolazione pro capite pesata (si veda per esempio Vittorio Mapelli su lavoce.info). Tanto rumore per nulla, dunque. Del resto, nonostante le pressanti richieste delle regioni, il governo non è riuscito ancora a presentare uno straccio di simulazione che indichi in che modo il nuovo riparto del fondo sanitario nazionale dovrebbe differire rispetto all'esistente.

Ancora, nello stesso decreto, il governo decide di rafforzare l'autonomia delle regioni sull'Irpef, riducendo il ruolo di Irap e della compartecipazione Iva. Una scelta discutibile ma comprensibile. Solo che nell'ampliare lo spazio di manovra delle regioni sull'Irpef impone un vincolo (che l'esercizio dell'autonomia regionale non debba comportare aggravio per i redditi da lavoro dipendente e assimilati per i primi due scaglioni) che è ovviamente a rischio di legittimità costituzionale, perché introduce un discrimine nei confronti degli altri redditi.

E si può continuare. Nel decreto sulla fiscalità comunale, per esempio, presentato ma non ancora approvato dal consiglio dei ministri, si introduce un principio giusto, che la fiscalità comunale debba incentrarsi sulla tassazione del patrimonio immobiliare. Questo è quello che succede in tutti i paesi del mondo. Solo che il decreto impone il vincolo che questa tassazione non possa riguardare i residenti, cioè i possessori di casa di prima abitazione, e che tutte le imposte erariali ora esistenti sugli immobili debbano scaricarsi sulla sola base imponibile dell'Ici per le seconde case e gli uffici commerciali. Ma le prime case rappresentano la gran parte del patrimonio immobiliare dei comuni, ed è facile vedere, dati alla mano, che se si esclude questa quota dall'imposizione la riforma non tiene sul piano finanziario. Ci sarebbe solo un'esplosione della tassazione sulle seconde case, con tutti gli effetti connessi. E in tutti i casi che federalismo è quello che non tassa i principali beneficiari dei servizi comunali, cioè i residenti? Come si può innestare così il principio di efficienza del "pago, dunque esigo e controllo" che è alla base del federalismo fiscale?

In conclusione. Bene che si porti avanti il processo di attuazione della legge delega a tappe spedite. Male che ci si faccia guidare dalla retorica e dalla propaganda politica piuttosto da riflessioni serie e stime accurate. Un'organizzazione efficiente del sistema dei governi locali è un'esigenza del paese, non uno slogan elettorale.

 

Decreto unico sul federalismo approvato dal governo. Tremonti: ora la delega sul fisco

di Nicoletta CottoneCronologia articolo7 ottobre 2010

Sondaggio

Federalismo e pressione fiscale

http://www.ilsole24ore.com/art/economia/2010-10-07/tremonti-spiega-federalismo-fiscale-110302.shtml?sondaggi

Risultato per: Con il federalismo aumenterà la pressione fiscale?

Sì (81.94%)

No (18.06%)

 

 

 

Clausola per frenare il fisco

Isabella BufacchiCronologia articolo08 ottobre 2010

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Questo articolo è stato pubblicato il 08 ottobre 2010 alle ore 08:01.

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ROMA

Il federalismo fiscale contiene il principio e il vincolo dell'"invarianza fiscale". "Non aumenterà la pressione fiscale ma anzi, introducendo meccanismi di controllo delle forme eccessive della spesa pubblica", "fermi restando i servizi", offrirà "ampi margini di risparmio" e potrà "aprire spazi per ridurre la pressione fiscale. Al punto che "chiusi i sette decreti del federalismo, chiederemo la delega per la riforma fiscale".

Il ministro dell'Economia Giulio Tremonti ha messo in chiaro ancora una volta ieri "l'obiettivo fondamentale" del governo, che resta quello di "non aumentare la pressione fiscale generale". Nella conferenza stampa al dicastero di via XX Settembre per presentare il maxidecreto sul federalismo approvato poco prima in consiglio dei ministri, assieme a Roberto Calderoli, Raffaele Fitto e Ferruccio Fazio, Tremonti ha affermato: "Abbiamo chiuso la fase fondamentale di definizione dei sette decreti, federalismo demaniale, comunale, provinciale, regionale, Roma capitale e i due decreti tecnici sui fabbisogni collegati ai costi standard, sanitari e non".

Sui tempi, il ministro ha commentato che pur se si ha "l'impressione è che stiamo cominciando, in realtà il processo è quasi terminato, è in fase molto avanzata". "Siamo molto avanti", ha incalzato. Questo maxi-decreto finale ne ha "accorpati" tre, ha spiegato il ministro della Semplificazione Calderoli: regioni, autonomia impositiva delle province e costi standard per la sanità. Calderoli ha reso noto che dopo l'iter parlamentare, quando i cinque testi torneranno in Cdm (federalismo demaniale e Roma capitale infatti hanno già ottenuto l'ok definitivo, ndr), saranno fusi in uno solo. Precisando, in linea con Tremonti, che la forchetta di "flessibilità" fiscale concessa alle regioni sull'imposta sui redditi non comporterà aumenti della pressione fiscale perché dovrà essere compensata da un calo di altre imposte come l'Irap.

"Il federalismo è la grande riforma – ha enfatizzato Tremonti – è costituzionale perché l'articolo V lo presuppone. Raddrizza l'albero storto della finanza pubblica, unisce e non divide". E poi, ci ha tenuto a sottolineare, le scelte sono state fatte "con il massimo consenso possibile di regioni, comuni e province", la legge delega è passata con "ampio consenso in parlamento". Proprio sull'Iva, il governo era partito per un federalismo regionale basato sull'attribuzione di gettito delle imposte dirette "e invece siamo tornati indietro all'Iva come chiesto dalle regioni", ha spiegato.

"Proseguire sul programma è un ottimo auspicio per il prosieguo della legislatura che deve durare fino al 2013", ha detto Calderoli. Per Fazio, ministro della Salute, si tratta di "una riforma rivoluzionaria" tesa "a garantire non solo la virtuosità economica, ma la qualità delle prestazioni a livello nazionale". Il ministro per gli affari regionali Fitto ha ribadito che "dal federalismo le Regioni del Sud "non hanno nulla da temere"".

Freddo il presidente della Camera, Gianfranco Fini, in un'intervista ad AnnoZero: "Non ho mai contestato il federalismo fiscale – ha detto – ma sono curioso di vedere i decreti attuativi perché il diavolo è nei dettagli e il federalismo può rilanciare o può essere la tomba del Mezzogiorno". Il presidente della Corte dei Conti, Luigi Giampaolino, ha esortato il governo a "procedere con rapidità nella consapevolezza dei limiti entro cui deve muovere oggi la politica di bilancio del paese".

Del largo consenso in Parlamento sulla legge delega del federalismo, però, ieri era rimasto ben poco tra le fila dell'opposizione. Il Pd ha preso nettamente le distanze. "È essenziale il problema posto dalle regioni sui rapporti tra costi e servizi – ha ricordato il segretario del Pd Pier Luigi Bersani – e non si può partire dal federalismo senza correggere il declassamento nell'ultima finanziaria con i tagli agli enti locali. O si danno assicurazioni su questi due punti dirimenti o sono solo chiacchiere". Il governatore della Puglia Nichi Vendola ha accusato il governo: "Hanno scodellato un testo sui costi standard della sanità sui quali si era appena iniziato a discutere".

"È una scatola vuota, dannosa e pericolosa", ha tuonato il presidente dell'Italia dei valori, Antonio Di Pietro. Duro, come sempre, il leader Udc Pierferdinando Casini secondo il quale il federalismo è "pericoloso", "vuoto di contenuti e sostanza", "scassa il paese, consente alle regioni di aumentare le addizionali, mettendo le mani nelle tasche degli italiani".

Timida la reazione del presidente dell'Upi Giuseppe Castiglione, presidente della provincia di Catania. Pur riconoscendo il "passo in avanti" per un giudizio puntuale si aspettano "norme approvate e relazione tecnica". Il presidente dell'Anci Chiamparino ha fatto sapere che il governo ha proposto la compartecipazione sulla cedolare secca sugli affitti, per venire incontro alle richieste dei comuni.

 

 

Dal Nord l'attacco del Pd al federalismo delle "chiacchiere"

Lina PalmeriniCronologia articolo09 ottobre 2010

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Questo articolo è stato pubblicato il 09 ottobre 2010 alle ore 08:03.

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BUSTO ARSIZIO. Dal nostro inviato

Il tempismo è giusto anche se casuale. Il Pd sbarca a nord proprio all'indomani del varo del decreto attuativo sul federalismo fiscale e smonta una del riforme più attese da queste parti. Siamo al Malpensa Fiere, luogo selezionato con cura dai dirigenti Pd per evocare una sfida lanciata alla Lega, e da qui l'assemblea dei democratici attacca il federalismo delle "chiacchiere". A pochi chilometri di distanza, a Busto Arsizio, il Pdl sta invece celebrando la sua festa con Ignazio La Russa e Roberto Formigoni che raccontano di una riforma a un passo dalla svolta. Due versioni che si scontrano e si sfiorano in provincia di Varese. La battaglia al nord è tutta qui, nelle frasi di Pierluigi Bersani che punta l'indice contro la propaganda del governo perché "fino a quando non abbiamo i dati sui servizi essenziali da garantire con la fiscalità si fanno solo chiacchiere e noi siamo qui al nord per dirlo forte".

Il problema però è riuscire a convincere la parte d'Italia più impaziente e più pronta al federalismo che è il Pd il partito delle riforme, più del centrodestra e più della Lega. E invece, come dice Enrico Letta nel suo intervento, "noi siamo percepiti ancora come una forza di conservazione e non di cambiamento, come il passato". Il punto è questo. Ed è lo stesso che tocca Walter Veltroni quando un po' a sorpresa – tra il gelo del palco dei dirigenti – prende la parola. Lui addirittura parla di una "rivoluzione democratica", che evoca quella liberale mai arrivata, e che si declina su cinque priorità su cui marcare il cambiamento: lavoro, fisco, ambiente, immigrazione, uno stato più snello e veloce.

Proposte su cui il Pd di Bersani ha già lavorato portando qui le sue proposte. Sul fisco, in particolare, con l'apertura alle imprese e a tutte le partite Iva fissando una tassazione zero sulla parte di reddito reinvestita in azienda. Un testo dove si prevede l'eliminazione graduale dell'Irap e dove il reddito ordinario – dal lavoratore autonomo alla società di persone – viene tassato al 20% mentre per le società di capitale la parte di profitti ordinari reinvestiti non viene tassata e l'aliquota Ires si applica solo agli extra-profitti.

Ma non è sul fisco che ieri si è discusso. Il viaggio al nord è servito – sembra – per aprire un prima crepa sull'immigrazione. A quanto pare non c'è più un pensiero unico tra i democratici su uno dei temi che più di altri li ha allontanati dal nord. Il testo della maggioranza Pd, messo a punto da Livia Turco, ha suscitato molte critiche per un'impostazione giudicata "troppo tradizionale", tutta basata "sul mercato del lavoro e sulle quote". E così è approdato in assemblea il testo alternativo dei "75" del gruppo Veltroni-Fioroni-Gentiloni, mutuato dal Labour inglese e adottato da paesi come il Canada o la Danimarca. Insomma, una parte di Pd è favorevole all'introduzione di un sistema di ammissione a punti – presente anche nel pacchetto sicurezza del ministro Maroni – ma con l'esito finale dell'acquisizione della cittadinanza. Un testo che ha avuto firme trasversali, anche di parlamentari della maggioranza bersaniana come Daniele Marantelli – deputato di Varese anche detto il leghista rosso – o Paola Concia dell'area Marino.

Guardando a Roma, invece, hanno fatto discutere due passaggi dell'intervento di Enrico Letta. Il primo, sul terzo polo. Ricordando il '94, il vicesegretario ha gelato "gli amici del terzo polo" avvisando che "la prossima volta o si batte Berlusconi o si perde tutto, inclusa la presidenza della Repubblica. Lo dico a chi lavora a terzi poli, non avremo i tempi supplementari e loro cambieranno anche la Costituzione". Il secondo, quando il vicesegretario ha lanciato una donna per il governo istituzionale di transizione. Ma questo era meno credibile.

 

 

 

Decreto unico sul federalismo approvato dal governo. Tremonti: ora la delega sul fisco

di Nicoletta CottoneCronologia articolo7 ottobre 2010Commenti (6)

Questo articolo è stato pubblicato il 07 ottobre 2010 alle ore 12:02.

Il federalismo fiscale "è un meccanismo che unisce e non divide, che raddrizza l'albero storto della finanza pubblica". A dirlo il ministro dell'Economia, Giulio Tremonti, nel corso di una conferenza stampa al ministero dell'Economia, dopo il via libera del Consiglio dei ministri di questa mattina a un decreto unico, che racchiude gli ultimi tre decreti legislativi di attuazione del federalismo fiscale. "L'Italia è l'unico Paese europeo - ha spiegato Tremonti - che non ha finanza locale. Da noi è tutto centrale a parte qualche tributo locale. Con il federalismo fiscale si raddrizza l'albero storto e crediamo sia un meccanismo di riforma costituzionale". Il ministro dell'Economia ha, poi, illustrato le novità contenute nei ventisette punti del decreto, che sono dedicati alle regole sulla fiscalità delle regioni e delle province e ai costi e fabbisogni standard della sanità, fino al fondo perequativo.

Secondo il ministro il federalismo non aumenterà la pressione fiscale. Nel federalismo c'é il principio "dell'invarianza fiscale. Il nostro obiettivo è non aumentare la pressione fiscale generale". Il provvedimento prevede la possibilità di aumentare l'addizionale Irpef regionale del 3% senza però prevedere altre norme di sgravio fiscale a livello di stato centrale. Poco dopo, però, il ministro per la Semplificazione Roberto Calderoli ha precisato che l"a pressione fiscale complessiva rimarrà invariata, ma sulle fasce di reddito medio-alte potrebbe scaricarsi un lieve incremento dell'Irpef". Ma ci sono governatori, come il lucano Vito De Filippo (Pd) che criticano l'accelerazione impressa dal governo e puntano il dito contro la mancata previsione dell'impatto della manovra di luglio sull'avvio della riforma cara alla Lega. E governatori, come quello del Veneto, Luca Zaia, che parlano di "una pagina storica" per il Paese.

Tremonti ha sottolineato che il federalismo "introduce meccanismi di controllo della spesa pubblica e, fermi restando i servizi, ci sono ampi margini di risparmio. Soltanto per il trasporto su gomma si spendono l'anno 5,5 miliardi. Pensiamo - ha concluso Tremonti - che il vincolo di invarianza fiscale e i meccanismi di controllo della spesa possano aprire spazi per ridurre la pressione fiscale". L'impressione "è che stiamo cominciando - ha osservato il ministro - in realtà il processo è quasi terminato". il ministro ha spiegato come oggi si sia chiusa la fase fondamentale della definizione dei sette decreti di attuazione del federalismo fiscale.

Per le regioni scomparirà la compartecipazione Irpef che sarà soltanto addizionale. Arriverà in due fasi, la prima dal 2012 per assicurare alle regioni entrate corrispondenti ai trasferimenti statali soppressi dal provvedimento, la seconda dal 2014, quando l'addizionale potrà essere aumentata gradualmente fino a un massimo del 3 per cento. Le regioni potranno, infatti, aumentare l'Irpef dell'1,4% nel 2013, dell'1,8% nel 2014 e del 3% nel 2015, evitando, però, di toccare i primi due scaglioni di reddito. Le regioni non potranno diminuire l'Irap in caso di aumento dell'addizionale Irpef. Le regioni potranno anche scegliere di modulare gli aumenti, a seconda degli scaglioni di reddito, salvaguardando però i primi due scaglioni. La possibilità di aumentare l'Irpef è prevista solo di fronte a una riduzione dell'Irap.

Diminuirà, poi, nei prossimi anni la compartecipazione Iva, ma la quota di Iva destinata alle regioni non sarà più pari al 25% fisso, ma sarà calcolata con le regole attuali fino al 2013 in relazione a quanto devoluto alle regioni e in funzione delle risorse Ue. Dal 2014, invece, il nuovo meccanismo prevede che la percentuale di compartecipazione Iva sarà stabilita dal governo, sentite le regioni, in modo da garantire in ogni ente territoriale il finanziamento delle spese essenziali (sanità, assistenza, istruzione, trasporto pubblico locale). Dal 2016 è previsto anche un fondo perequativo per comuni e province, la cui gestione sarà affidata alle regioni, che terranno conto nella ripartizione, fra le altre, del fabbisogno finanziario e dell'indicatore di "fabbisogno di infrastrutture".

I costi standard per le spese della sanità, da quelle delle asl agli ospedali, partiranno dal 2013, mentre la qualità dei servizi partirà dal 2011. Ci saranno tre regioni-modello con i conti in ordine a fare da apripista, scelte dalla Conferenza Stato-regioni fra le cinque migliori che emergeranno esaminando i risultati del 2011,. L'obiettivo è quello di garantire, al Sud come al Nord, servizi pubblici e costi uguali, eliminando gli enormi sprechi che attualmente si registrano soprattutto nella spesa sanitaria.

Il via libera al decreto giunto oggi in prima lettura dal Consiglio dei ministri sarà seguito dall'esame della Conferenza unificata e delle Camere prima del via libera definitivo, che dovrebbe arrivare, secondo quanto ha detto il premier Silvio Berlusconi, entro dicembre o "al massimo entro marzo del prossimo anno".

 

 

 

 

 

 

2010-09-20

Una quota Ires alle regioni che combattono l'evasione

di Eugenio BrunoCronologia articolo21 settembre 2010

Questo articolo è stato pubblicato il 21 settembre 2010 alle ore 21:20.

La riuscita del federalismo fiscale passa anche dal contrasto all'evasione fiscale. Il governo ne è così convinto che sta pensando di inserire nel decreto attuativo sull'autonomia tributaria un premio per i governatori che daranno la caccia all'Irap non versata. Sotto forma di una compartecipazione al gettito Ires. L'annuncio è stato dato in serata dal ministro della Semplificazione, Roberto Calderoli, che è intervenuto a un convegno sul federalismo fiscale organizzato a Roma dalla fondazione della libertà per il bene comune riconducibile al ministro delle Infrastrutture, Altero Matteoli. Nell'aprire i lavori, l'ex esponente di An ha assicurato che sulla riforma cara al Carroccio si andrà avanti "nonostante le turbolenze politiche del momento" e sfruttando anche il lavoro dell'opposizione.

Il come e il quando lo ha spiegato Calderoli. Che ha spostato di un paio di mesi la dead line dell'attuazione. Fissandola a febbraio 2011. Per quella data, ha auspicato il ministro leghista, il parlamento dovrebbe aver terminato l'esame di tutti i provvedimenti attuativi: i due già in agenda e i tre in rampa di lancio (fisco regionale e provinciale; costi standard sanitari; costi standard per istruzione e assistenza).

Il primo atto dovrebbe andare in scena la prossima settimana a Palazzo Chigi. Quando scatterà il via libera preliminare al testo sull'autonomia tributaria di governatori e presidenti di provincia. In quella sede, per incentivare la partecipazione delle regioni alla lotta anti-evasione, potrebbe essere inserita la facoltà di attribuire "una quota Ires a vantaggio di chi compie correttamente gli accertamenti Irap". Nel testo sui costi standard sanitari, invece, potrebbe trovare posto l'obbligo per i governatori, sei mesi prima della scadenza del loro mandato, di certificare i bilanci sanitari. Pena la loro rimozione.

 

 

 

La Lega: tutti i decreti nel 2010

Eugenio BrunoCronologia articolo16 settembre 2010

Questo articolo è stato pubblicato il 16 settembre 2010 alle ore 08:08.

ROMA

Chiudere la partita dell'attuazione entro il 2010. È l'obiettivo del ministro della Semplificazione, Roberto Calderoli, che, dopo averlo anticipato martedì scorso a questo giornale, ha esplicitato ieri alla Camera di voler arrivare all'approvazione "in via preliminare di tutti i decreti attuativi della riforma entro l'anno". Così da avere l'ok definitivo entro il 20 maggio 2011, come previsto dalla delega.

E la Lega ha già lanciato lo sprint. Per Calderoli entro la prossima settimana arriverà in Consiglio dei ministri il provvedimento sul fisco regionale e provinciale, che costituirà l'oggetto del confronto odierno con il ministro dell'Economia Giulio Tremonti e i rappresentanti di regioni, Anci e Upi. Magari dopo un passaggio giovedì 23 in Conferenza unificata. Subito dopo toccherà al Dlgs sui costi standard in campo sanitario. Infine, al mini-decreto sugli standard per assistenza e istruzione. Mini perché in queste materie vanno prima fissati per legge i livelli essenziali della prestazioni.

Prossimo al sì (ma definitivo) è il decreto su Roma capitale che otterrà oggi il parere favorevole della bicamerale e domani l'ok finale del Cdm. Rispettando il desiderio del sindaco Gianni Alemanno. che vuole festeggiare con l'approvazione la visita del capo dello Stato Giorgio Napolitano in Campidoglio, prevista per lunedì 20. Il testo finale sarà diverso rispetto a quello uscito da Palazzo Chigi il 18 giugno. Per rispettare le indicazioni del parlamento verrà specificato che il nuovo statuto, il nuovo regolamento e il nuovo status giuridico ed economico dei membri dell'assemblea capitolina (che sostituirà il consiglio comunale) arriveranno solo dopo l'emanazione del Dlgs su poteri e risorse dell'ente. Di fatto, oltre al cambio di nome, il provvedimento ridurrà i municipi da 20 a 15 e i consiglieri da 60 a 48. Sperando che il Senato inserisca nella carta delle autonomie una nuova classe demografica (e quindi più consiglieri) che tenga conto delle dimensioni monstre della capitale.

Il provvedimento dovrebbe ottenere il sì anche del Pd, motivata così da Marco Causi: "Anche se simbolico, è un decreto che dimostra come un federalismo ben fatto possa innovare il funzionamento di uno Stato unitario con Roma capitale". Intanto Calderoli ha ribadito che l'idea di decentrare i ministeri esiste ma dovrà essere formalizzata con una proposta di legge d'iniziativa popolare. Precisando che, se dipendesse da lui, trasferirebbe l'Economia a Milano, lo Sviluppo economico a Torino, l'Ambiente a Napoli e l'Interno a Palermo o Reggio Calabria.

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2010-09-20

TAPPE DEL FEDERALISMO

Federalismo, i tempi lunghi non vengono per nuocere

di Guido GentiliCronologia articolo20 settembre 2010

Questo articolo è stato pubblicato il 20 settembre 2010 alle ore 08:31.

Se il calendario istituzionale non coincide o, peggio, entra in rotta di collisione con quello politico, quanti pericoli corre il federalismo?

Ne corre uno, soprattutto. Quello di partorire, alla fine, una gigantesca soluzione pasticciata, buona per tutti i gusti, dove tutti si riconoscono per quota a seconda di ciò che sono riusciti ad ottenere. Il rischio è che si profili un modello confuso di federalismo in parte "competitivo" (sul terreno del rapporto tra pressione fiscale e qualità dei servizi offerti), in parte "solidale e cooperativo" per far fronte ai divari persistenti in termini di reddito, servizi e infrastrutture e garantire a tutti i territori uguali punti di partenza.

Ma un ibrido tra continuismo e rivoluzione, qualcosa a metà strada tra la spinta innovatrice del Nord e la resistenza al cambiamento del Sud, è cosa ben diversa da un accordo equilibrato nell'interesse di un Paese che ha necessità di razionalizzare e mettere sotto controllo una grande fetta della finanza pubblica.

Dove al controllo, come ha spiegato il ministro dell'Economia, Giulio Tremonti, si abbina l'aggettivo "democratico", quello cioè esercitato dai cittadini sui livelli di governo più vicini alla loro vita secondo la sequenza lineare "vedo-voto-pago".

Continua u pagina 3

S'intende: nulla è compromesso. Parliamo, per l'entrata a regime della riforma, di un orizzonte compreso tra il 2016 ed il 2019. Anche se la partita si sta già scaldando: la tempistica della legge delega approvata nel 2009 (con buono spirito bipartisan) prevede che i drecreti delegati attuativi siano varati entro maggio 2011. Potranno esserci poi i decreti correttivi ed è già previsto un periodo di transizione di cinque anni per consentire alle Regioni di adattarsi al criterio dei costi standard che sostituirà quello della spesa storica. Ma il rischio c'è, e va disinnescato.

Il quadro politico è improvvisamente mutato, e nella maggioranza che sostiene il governo Berlusconi la questione del federalismo, intrecciata al problema del sostegno al Sud (i tagli al Fondo aree sottosviluppate, ma anche il fatto che il Mezzogiorno non riesce a spendere e lascia le risorse disponibili in cassa), è diventata terreno di scontro strategico. Semplificando. La Lega vuole accelerare quanto più possibile la svolta federalista e, mettendo nel conto delle ipotesi credibili la possibilità di elezioni anticipate nella primavera 2011, punta ad anticipare il varo dei decreti attuativi. Sul fronte opposto, i finiani (sulla scia del discorso del presidente della Camera a Mirabello) giocano la carta del "solidarismo" attento al Sud (in sintonia con altre forze d'ispirazione centrista, a partire dall'Udc, critico col progetto federalista). In mezzo il premier Silvio Berlusconi, che punta ad allargare la maggioranza (con grande attenzione alle componenti meridionali del variegato mondo centrista) mantenendo salda l'alleanza con la Lega di Umberto Bossi.

È da questo mix di spinte e controspinte che può nascere l'ibrido rivoluzionar-continuista. Esemplare la battaglia sotterranea che si sta snodando sui costi standard per la sanità e sulla scelta delle regioni-benchmark, quelle indicate in regola con i conti di asl e ospedali. Costi standard, sì, ma fino a un certo punto, non bastando forse nemmeno il fondo perequativo: saranno più alti a Sud, magari facendo entrare nel piccolo lotto delle regioni-riferimento una regione del Mezzogiorno, per addolcire la manovra?

C'è il tempo per evitare di far scivolare la riforma federalista sul piano inclinato delle soluzioni pasticciate. Pensiamoci bene prima di infilarci nel tunnel dei negoziati opachi con un occhio rivolto a questa o quella esigenza particolare (e spesso clientelare). Da Nord a Sud. Il federalismo può, anzi deve essere "solidale" ma non per questo deve rinunciare a essere efficiente, competitivo, responsabile.

Competizione non è sinonimo di "balcanizzazione" ed esasperazione delle differenze. Può al contrario, se corretteamente impostata e regolata, essere la strada che porta a una svolta. Il Sud lamenta una mancanza di investimenti? Provino le regioni ad abolire l'odiata Irap, tassa che con l'Iva serve a coprire la spesa sanitaria. Possono farlo, potendo contare sul fondo perequativo per la sanità e potendo eventualmente tagliare la spesa. Basta scegliere, assumendosene in autonomia la piena responsabilità. Questo sarebbe federalismo vero.

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Perché il coro Tremonti-Bossi adesso stona

di Guido GentiliCronologia articolo14 settembre 2010

Questo articolo è stato pubblicato il 14 settembre 2010 alle ore 09:07.

L'ultima modifica è del 14 settembre 2010 alle ore 09:11.

Come sarà il federalismo? "Sarà equo, solidale, l'unico modo per tenere unito il paese". La riforma fiscale? "Non è il mito della magica riduzione". Il Mezzogiorno? "Prima ci vuole lo stato, poi il federalismo. Rifarei la Cassa per il Mezzogiorno".

Negli ultimi giorni, il ministro dell'Economia Giulio Tremonti ha (una volta di più) colpito in contropiede, spiazzando la facile lettura, a sinistra come a destra, del governo a trazione leghista, anzi ostaggio della Lega. E di Umberto Bossi che, archiviato con successo la partita federalista ("la va a ore"), è pronto a una nuova battaglia, quella del trasferimento di alcuni ministeri nelle città del Nord.

 

Ma, insomma, che succede? Il federalismo (la riforma entrerà a regime non prima del 2016) è comunque già cosa fatta, e per di più nella sua versione più "solidale" a tutela di un Mezzogiorno per il quale si rispolvera la Casmez nata giusto sessant'anni fa, il 10 agosto del 1950, riformata nel 1984 e chiusa (all'insegna del fallimento) nel 1992? Qualche conto sembrerebbe non tornare tra gli alleati di ferro Bossi e Tremonti, entrambi assistiti, per così dire, dalle abili mediazioni del collega ministro per la Semplificazione Roberto Calderoli.

Due le possibili spiegazioni. La prima. Non c'è in realtà alcuna distinzione di rilievo, ciascuno fa la sua parte. Tremonti, che tiene i cordoni della borsa e guarda all'Europa, ha fatto della prudenza la sua bussola, non promette rivoluzioni ma riforme (concertate, come nel caso del fisco) di lunga prospettiva. Bossi, per il quale la questione identitaria è decisiva, parla al "suo" popolo scalpitante delle valli. Ma tutt'e due sanno fin dove possono o non possono spingersi ed entrambi sanno perfettamente (come il premier Silvio Berlusconi) che al Sud, in termini di consensi elettorali, si gioca una partita decisiva, in competizione diretta, prima ancora che con la sinistra, con il costituendo polo centrista. Dunque, niente strappi e piuttosto, nei fatti, rinnovata attenzione (e comprensione) per il Sud tanto bisognoso d'investimenti quanto "sospettoso" di un impianto federalista troppo orientato a Nord. Seconda spiegazione: il federalismo italiano ha in realtà due anime e non è affatto detto che queste non finiscano per entrare in rotta di collisione. In un saggio (Né uniti né divisi) appena edito da Donzelli, il professor Marcello Fedele, sociologo che insegna all'Università La Sapienza di Roma, tratteggia questo possibile scenario. Per Tremonti, cui interessa soprattutto il rispetto dei vincoli internazionali, il federalismo - afferma Fedele - è solo una "metafora del cambiamento", necessario per ridurre la spesa pubblica, responsabilizzando le autonomie locali. Per Bossi, definito sul piano politico un "occasionalista", pronto a negoziare su tutto qualora se ne presenti la necessità, la devolution "ha senso perché consente il trasferimento al Nord di parte delle risorse finora spese nel Sud", senza mettere mano al taglio delle province e alla rete dei piccoli comuni, campo d'elezione della Lega.

C'è probabilmente del vero in tutt'e due le spiegazioni. E per capire quanto sarà "solidale" (e meno competitivo) il nuovo federalismo, ne sapremo di più solo quando avremo (come nel caso dei famosi costi standard che sostituiranno il criterio della spesa storica) i dati in mano.

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I quattro scenari del federalismo: il Sud taglia la sanità

Cronologia articolo16 settembre 2010

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Questo articolo è stato pubblicato il 16 settembre 2010 alle ore 08:05.

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L'attuazione del federalismo accelera. Oggi i ministri dell'Economia e della Semplificazione, Giulio Tremonti e Roberto Calderoli, illustreranno ai rappresentanti di regioni ed enti locali i contenuti dei due decreti in arrivo: uno che riscrive le regole del fisco regionale e provinciale; l'altro che individua le regioni con le migliori performance da usare come benchmark nella fissazione dei costi standard sanitari.

Intanto studiosi, politici e imprenditori si interrogano su quale Italia federalista verrà fuori dalla riforma. Sono possibili quattro scenari. Quello più rigoroso prevede che il Sud tagli posti di lavoro nella sanità e il Nord si doti di più infrastrutture.

Servizi u pagine 2 e 3

 

 

 

Napolitano: avanti con il federalismo realmente solidale

Dino PesoleCronologia articolo15 settembre 2010

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Questo articolo è stato pubblicato il 15 settembre 2010 alle ore 08:05.

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ROMA - Il convoglio del federalismo fiscale è in moto. Non si può tornare indietro, perchè lo prevede il nuovo titolo V della Costituzione, nè si può ipotizzare di "mettere i bastoni alle ruote" a questo processo o "giocare con le parole". L'unico federalismo possibile nel nostro paese "è solidale e cooperativo. Questi sono i caratteri che devono essere rispecchiati nei provvedimenti che il Parlamento dovrà di volta in volta adottare", prima di tutto nei decreti legislativi attuativi della delega approvata nel maggio dello scorso anno.

Il messaggio che il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano ha condensato ieri in una parte del suo discorso agli amministratori di Salerno appare chiaro: le risorse dirette al Mezzogiorno devono essere più coordinate e occorre una regìa al livello nazionale. E tuttavia il capo dello stato rifiuta nettamente rappresentazioni e immagini "fuorvianti e spesso caricaturali" che vengono offerte sulla situazione del sud d'Italia, "tutte in nero del Mezzogiorno e tutte in bianco, o bianco-oro, del centro-nord". Basta rileggere gli studi più recenti della Banca d'Italia, che all'argomento ha dedicato nel novembre dello scorso anno un convegno: gli spazi di crescita - osserva Napolitano citando proprio l'intervento del governatore Mario Draghi - "sono molto più ampi al sud che al nord".

L'imperativo è la crescita, pur nella consapevolezza che occorre perseguire con determinazione l'obiettivo del risanamento dei conti pubblici. Per il Mezzogiorno tornare a tassi di sviluppo sostenuti è vitale, proprio per colmare il persistente divario, in termini di ricchezza e occupazione, che divide l'Italia esattamente in due.

Se il tasso di disoccupazione a livello nazionale risulta "minore rispetto ad altri paesi europei", occorre altresì essere consapevoli che "questo tasso comprende un livello più elevato per i giovani dai 15 ai 29 anni. Troppi sono in condizioni di non avere un lavoro avendo concluso il ciclo della formazione educativa".

Napolitano si richiama direttamente a quanto il ministro dell'Economia, Giulio Tremonti ha sostenuto in due recenti interventi: la questione meridionale è "questione nazionale e non la sommatoria di interessi regionali", e lo stato "deve tornare a fare di più e molto di più per il Mezzogiorno". In primo luogo, è fondamentale inquadrare "conoscere, esaminare" lo stato di salute reale del sud attraverso gli studi e le analisi disponibili, sgombrando il campo da quelle che il capo dello stato definisce "polemiche e schermaglie spesso fantasiose sui dati". Finora è venuto meno un esame "attento nelle sedi istituzionali, a cominciare dal Parlamento, e anche nelle sedi politiche, delle elaborazioni provenienti da fonti tecniche e governative".

È la sorte toccata da ultimo al rapporto annuale 2009 sugli interventi nelle aree sottosviluppate che è stato presentato a metà luglio dal ministro degli Affari Regionali, Raffaele Fitto. "Che fine ha fatto", chiede Napolitano? Poi evidentemente si apre la vexata quaestio delle risorse, che chiama in causa direttamente la capacità di selezionare, progettare e attuare i singoli programmi. Responsabilità che spettano in primo luogo alle regioni", perchè le risorse devono essere non solo programmate "ma realmente disponibili".

Del resto - conclude il presidente- i veri meridionalisti "non sono mai indulgenti e non possono esserlo ora verso ciò che nel Mezzogiorno non va, dunque verso le insufficienze delle classi dirigenti, le rappresentanze istituzionali, le amministrazioni e in definitiva le forze politiche che vengono oggi al pettine nel processo di attuazione del federalismo".

 

 

 

 

Marcegaglia: "Confindustria dice sì al federalismo se taglia gli sprechi, la burocrazia e gli enti inutili"

Cronologia articolo20 settembre 2010

Questo articolo è stato pubblicato il 20 settembre 2010 alle ore 13:06.

"Abbiamo sempre detto che riteniamo il federalismo fiscale una grande riforma, purché porti a una riduzione della spesa pubblica improduttiva, degli sprechi e degli enti inutili". Così il presidente di Confindustria, Emma Marcegaglia, dall'assemblea generale di Bergamo. Secondo la leader degli industriali, la norma "di cui si parla e che prevede la ineleggibilità degli amministratori che non rispettano i conti, soprattutto quelli sanitari, ritengo che sia giusta e importante. La chiedevamo da tempo".

Il presidente di Confindustria ha ribadito che "se il federalismo diventa riduzione della spesa pubblica, maggiore responsabilità e penalizzazioni per gli amministratori locali che operano male, siamo d'accordo".

Per la ripresa, accanto al federalismo fiscale e al nucleare, servono però altri provvedimenti: "serve una scommessa seria su ricerca, innovazione, scuola, infrastrutture, il taglio della burocrazia. La crescita - ha concluso Emma Marcegaglia - viene da una serie di riforme che vanno portate avanti senza indugi".

Il numero uno di Viale dell'Astronomia ha parlato anche del "problema fondamentale" della pressione fiscale, " che va affrontato ridistribuendo il carico per ridurlo su imprese e lavoratori che tengono in piedi il paese". La Marcegaglia ha poi affrontato il nodo della lotta all'evasione fiscale, i cui proventi, "debbono essere destinati anche al taglio alle tasse su lavoratori e imprese e non solo a coprire i conti pubblici".

Tre tappe per arrivare al fisco federale. Ecco il calendario del percorso di avvicinamento

 

 

 

Tre tappe per arrivare al fisco federale. Ecco il calendario del percorso di avvicinamento

a cura di Marco Biscella, Cristiano Dell'Oste e Giovanni ParenteCronologia articolo20 settembre 2010

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Questo articolo è stato pubblicato il 20 settembre 2010 alle ore 08:06.

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Otto anni, quasi due legislature. La strada che porta al federalismo (guarda l'infografica con tutti i passaggi anno per anno) – tracciata dalla bozza di decreto legislativo definito dal governo – vedrà il traguardo solo all'inizio del 2019, quando andrà a regime il nuovo fisco di regioni, province e comuni. Prima bisognerà superare due fasi: quella preparatoria, che si chiuderà con la quantificazione dei costi standard; e quella sperimentale, in cui il nuovo meccanismo verrà gradualmente messo in rodaggio.

In pratica, si tratta di abbandonare definitivamente il modello storico dei finanziamenti a piè di lista. Addio, dunque, ai trasferimenti statali che coprono tutte le spese decise da sindaci e governatori. Sarà stabilito il costo "giusto" delle prestazioni essenziali – quali la sanità o la scuola – e in base a quel parametro sarà modulato l'intervento centrale. Quindi, se una regione spenderà più del dovuto (perché ha amministratori spreconi o vuole offrire più servizi), dovrà cavarsela da sola. Al contrario, le aree povere che non ricaveranno dai propri tributi le risorse sufficienti a finanziare i servizi di base, potranno contare sull'àncora di salvataggio del fondo perequativo.

Il sistema, una volta a regime, promette di innescare una selezione virtuosa delle classi dirigenti, perché renderà ancora più trasparente la governance a livello locale. E anche perché gli amministratori avranno la possibilità di manovrare la leva tributaria: per esempio, riducendo o eliminando l'Irap, oppure aumentando l'addizionale Irpef fino al 3% in più.

Nella fase di passaggio sarà decisiva la funzione della compartecipazione ai tributi nazionali. Oggi le regioni ricevono una grossa fetta dell'Iva (44,7%), ma questo importo viene suddiviso in modo tale da farlo funzionare come un "trasferimento mascherato".

A dimostrarlo ci sono i numeri riportati nelle tabelle, estrapolate dal "Cruscotto di indicatori socioeconomici", "uno strumento che conta 55 indicatori – spiega Federico Caner, capogruppo Lega Nord della Regione Veneto, che lo ha elaborato in collaborazione con Università Bocconi e Centro studi Sintesi – che verrà messo a disposizione, in via telematica, dei gruppi consiliari della Lega, presenti in nove regioni, per aiutarli nelle loro decisioni amministrative". Se si guarda il peso dei tributi propri sul totale delle entrate, si scopre che oggi la regione con il più elevato indice di autonomia territoriale è il Lazio, seguito da Lombardia, Veneto, Emilia Romagna e Piemonte. In queste zone, la maggiore ricchezza delle basi imponibili e le scelte di politica fiscale fanno sì che il prelievo locale copra almeno il 45% delle entrate complessive. In Basilicata, invece, l'incidenza dei tributi propri sul totale è appena superiore al 20 per cento. Se però si include anche la compartecipazione, la Basilicata raggiunge il Lazio. Detto diversamente, la regione lucana riceve 1.719 euro per ogni abitante, contro i 741 del Lazio e i 1.037 della Lombardia.

Tutte queste cifre saranno rimodulate, anche per effetto del diverso criterio che dal 2013 detterà la suddivisione del gettito Iva, tenendo conto del luogo in cui avviene il consumo. L'adeguamento, però, sarà graduale: dal 2014 dovrebbe entrare in funzione il fondo perequativo, ma per il primo anno le risorse saranno ancora assegnate a copertura dei costi storici, mentre per i quattro anni successivi si avvicineranno progressivamente al livello dei costi standard. Indicazioni, queste, che attendono conferme dall'incontro governo-regioni in calendario giovedì.

Dalla partita non sono esclusi i comuni, che anzi saranno i primi a testare l'effetto federalismo: lo schema di Dlgs varato prima delle ferie prevede per gennaio dell'anno prossimo il debutto della cedolare secca sugli affitti.

 

 

Ecco i numeri del federalismo

Cronologia articolo15 settembre 2010

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Questo articolo è stato pubblicato il 15 settembre 2010 alle ore 08:06.

Si delineano i numeri del federalismo fiscale e i costi standard della sanità. È destinata a crescere la leva fiscale in mano ai governatori: oltre alla possibilità di azzerare l'Irap i presidenti di regione potranno manovrare a loro piacimento l'addizionale Irpef, verso l'alto o verso il basso. Nei limiti di un "tetto" che dall'odierno 0,9% (elevabile all'1,4%) potrebbe passare al 3 per cento. A prevederlo è una bozza del decreto legislativo sull'autonomia di entrata degli enti territoriali elaborata dai tecnici della Semplificazione e su cui è cominciato il confronto informale con i rappresentanti delle autonomie. Anche sui costi standard nella sanità è pronta una prima bozza di decreto: sono quattro le regioni benchmark, Lombardia, Toscana, Marche e Umbria. Per quanto riguarda i tempi, l'obiettivo dichiarato del ministro Roberto Calderoli è quello di riuscire a portare i due testi in Consiglio dei ministri già la prossima settimana. Secondo questa tabella di marcia, la partita sull'attuazione della riforma dovrebbe chiudersi entro quattro mesi.

 

 

 

 

 

 

 

2010-09-19

Costi standard leggeri al Sud? No, grazie

Giorgio SantilliCronologia articolo19 settembre 2010

Questo articolo è stato pubblicato il 19 settembre 2010 alle ore 08:06.

"Stiamo entrando nella fase decisiva per l'attuazione del federalismo. La bozza del governo sul fisco regionale presenta l'impianto che ci aspettavamo su Iva, Irap e Irpef, ma ora dobbiamo confrontarci sui dati quantitativi perché nel testo ci sono molte X da riempire e abbiamo interpretato queste caselle da riempire come l'apprezzabile volontà di definirle insieme". Il governatore della Lombardia, Roberto Formigoni, dà un primo giudizio positivo sulla ripresa di confronto tra regioni e governo, anche se non manca di ribadire la necessità di "reperire nuove risorse" dopo i tagli imposti dall'ultima manovra, mai digerita dai governatori. "La manovra è alle spalle – dice – ma non possiamo pensare che quelle misure così pesanti si traducano in sacrifici così pesanti per i cittadini".

È la partita della sanità a preoccupare di più. "I presidenti delle regioni – dice Formigoni – hanno una posizione unanime che il federalismo va realizzato con l'applicazione piena e integrale della legge 42, ma è imprescindibile dal nostro giudizio avere le norme sui costi standard, conoscere le modalità in cui vengono calcolati, avere la garanzia che si applichino alla sanità ma anche agli altri settori fondamentali, essere certi dell'appropriatezza dei servizi forniti. Abbiamo visto una bozza ma adesso va completata e soprattutto deve intersecarsi con gli altri provvedimenti, compresi quelli che riguardano province e comuni".

Presidente Formigoni, a proposito di costi standard, c'è un'ipotesi che viaggia sotterranea di paletti più leggeri per il Sud: il governo la starebbe valutando su richiesta dei finiani. Che ne pensa?

Non ne ho sentito parlare.

Se glielo proponessero, quale sarebbe la sua valutazione?

Mi starebbe un po' strano, questo mi viene da dire in prima battuta. Dovrebbero spiegarmelo bene perché non lo capisco.

L'altro tema che agita i governatori è la scelta delle regioni benchmark? Da quattro regioni-modello si chiede di passare a cinque.

Premetto che la Lombardia è fuori da questa polemica perché i nostri parametri sono comunque di eccellenza. Detto questo, è evidente che più è ristretto il numero delle regioni prescelte come riferimento più lo scatto di virtuosità richiesto all'inizio agli altri è forte. Non mi scandalizzo se si decide di allargare quel numero. Bossi ha detto che, fatto il provvedimento per Roma Capitale, bisogna fare una capitale del Nord.

La capitale è a Roma e basta. Gli amici della Lega sono particolarmente bravi nella propaganda anche se devo dire che le nostre alleanze sono solide, al governo nazionale e nei territori. Competizione e alleanza alla prova dei fatti si bilanciano.

Calderoli dice che la Lega deve lasciare Roma, una volta fatto il federalismo fiscale, una parte della Lega insegue il modello bavarese.

Ogni partito fa la propria strategia, ma consiglierei agli amici della Lega di restare nel Parlamento nazionale. Sarebbe utile per il paese e anche per il nord. Con il federalismo entriamo in una fase nuova dell'unità d'Italia: dopo 150 anni di unità centralista e ingessata, passiamo a una unità federalista e articolata sul territorio, dove le regioni hanno il dovere di competere con modelli diversi.

È il solito slogan o vale anche per il Sud?

Le regioni del Sud possono garantire un salto nello sviluppo, il loro compito è avvicinarsi all'area del Mediterraneo, dove ci sono paesi che corrono come la Cina. Dobbiamo accrescere l'interscambio con loro.

Lei dice che non ci sono pericoli di rottura dell'unità.

Il Pdl è un partito nazionale ed è garanzia del mantenimento dell'unità, dell'attuazione della legge 42 come è scritta. È interesse anche del nord che ci sia l'unità del paese.

Per il paese che verrà, la sintesi "più infrastrutture al nord, tagli ai posti di lavoro nella sanità del sud" le sembra efficace?

Direi piuttosto che ci vuole più efficienza e più responsabilità nella spesa pubblica al nord come al sud. Dove ci sono eccessi di classe amministrativa bisogna intervenire, ma non solo al sud. Anche l'intervento dei privati e della società civile sarà fondamentale per guadagnare questa efficienza. Io dico che il federalismo è prodromico della realizzazione piena delle sussidiarietà. Vedo che viene riscoperto lo slogan "meno Stato, più società". Io l'ho usato per la campagna elettorale per il Parlamento del 1987.

Nella bozza di decreto sul fisco regionale si affaccia anche il quoziente familiare.

Lei dice? Lei lo vede? Se c'è questo sforzo, io non lo vedo ancora. Il tema delle famiglie è fondamentale.

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Federalismo, rotta Sud

Cronologia articolo19 settembre 2010

Questo articolo è stato pubblicato il 19 settembre 2010 alle ore 08:04.

L'attenzione della politica è sempre più rivolta al Mezzogiorno: nella bozza di decreto sul fisco regionale entra per la prima volta il fondo di perequazione che aiuterà le regioni meno ricche. Dal 2012 al 2014 opererà uno strumento sperimentale di riequilibrio regionale, poi a regime toccherà al fondo di perequazione.

Intanto il governatore della Lombardia, Roberto Formigoni, promuove la proposta del governo come base di discussione ma invita ad accelerare il confronto sui numeri. Formigoni dice no a costi standard alleggeriti per il sud. Per il piano delle infrastrutture arriveranno invece 1,5 miliardi da vecchi fondi e mutui non spesi.

Cristiana Coppola, vicepresidente di Confindustria con delega per il Mezzogiorno, al convegno sui confidi di Caserta lancia una proposta: "Con il Piano per il Sud – dice – governo e regioni destinino una quota significativa di risorse allo sviluppo e al sostegno dei consorzi di garanzia".

Servizi u pagina 3 e 4

 

 

 

Tremonti: base municipale per il federalismo

Isabella BufacchiCronologia articolo19 settembre 2010

Questo articolo è stato pubblicato il 19 settembre 2010 alle ore 08:04.

CORTINA D'AMPEZZO. Dal nostro inviato

Il federalismo fiscale "è in pista": la base, che è il federalismo municipale, è stata disegnata con l'accordo di tutti i sindaci, di destra e di sinistra. "Pensiamo che funzioni" perché il federalismo è una via "lenta, progressiva e prudente" che "porterà buoni risultati, nell'interesse di tutti". Così ieri il ministro dell'Economia Giulio Tremonti ha riaffermato che il federalismo fiscale, un processo "che va per fasi", sta andando avanti. Lo ha fatto intervenendo a un convegno del Pdl Veneto, seduto informalmente dietro a un tavolino, di fronte a una sala affollatissima e attenta a pochi passi dagli impianti di risalita della stazione sciistica di Cortina d'Ampezzo: mentre la pioggia scrosciava incessantemente e incalzava i ritmi del suo intervento.

Sul federalismo fiscale, Tremonti ha insistito proprio in Veneto – dopo i discorsi di venerdì a Venezia e Mestre – perché è uno degli otto punti proposti dal governo Berlusconi per rilanciare sviluppo e competitività. "L'Italia ha certamente un problema di crescita", ha evidenziato il ministro, che commentando l'ottimismo di Berlusconi ha sostenuto che "molte cose non dipendono dall'Italia", la crisi non è ancora finita ed è da "pirla" pensare che il rigore non porti voti. Però, "proprio perché siamo in terra incognita", è ora arrivato il momento di lavorare sulla crescita. "La massima sfida soprattutto per l'Italia è come crescere, competere ed evitare di andare indietro senza utilizzare la leva della spesa pubblica", mantenendo la stabilità di bilancio, quella che in Inghilterra viene chiamata "austerità" e in Germania "responsabilità".

La base del federalismo fiscale, ha detto, è il federalismo municipale. Dopotutto l'Italia è fatta di oltre 8mila comuni. E sono stati i sindaci di tutti i partiti a chiudere per primi un accordo, secondo Tremonti "un buon accordo". Si parte dunque dalla fiscalità sul territorio, quella demaniale: quando le norme entreranno in vigore con la nuova legge, ha spiegato, i cittadini che faranno operazioni immobiliari non pagheranno più l'imposta allo Stato ma al sindaco. E questo è l'avvio di quel meccanismo di "controllo e responsabilità" sul quale punta Tremonti per la grande svolta in Italia. Il federalismo regionale è invece ancora un cantiere aperto, molto aperto, e il ministro ieri non ne ha fatto cenno. Ha parlato invece e molto delle regioni del Sud, infervorando la platea che lo ha applaudito calorosamente: "Chi governa le regioni ha una logica che non coincide con la logica della nazione". Il ministro ha collegato il federalismo fiscale alla questione meridionale, che è una questione nazionale e che quindi richiede il ritorno dello Stato nel Sud per fare "opere pubbliche, istruzione pubblica e sicurezza pubblica". Non poteva mancare un riferimento alla sanità: con la battuta che in Calabria la contabilità è tramandata con tradizione omerica, a voce, ma anche con un riferimento ai tagli nel meridione. "Il federalismo fiscale è una via lenta, progressiva e prudente e porterà a buoni risultati per tutti", ha messo in chiaro Tremonti: poi ha subito esclamato "tagliamo i soldi ai ladri", riferendosi alla sanità. Non è giusto, ha detto, che in alcune zone d'Italia "la sanità vale la metà e costa il doppio". "Le famiglie disperate che vanno a curarsi al nord, questa non è solidarietà. È la negazione della giustizia civile", ha sostenuto strappando un altro scroscio di applausi. Il consenso della platea lo ha seguito lungo tutta la ricostruzione degli otto punti: il nucleare – con una stoccata all'eolico "uno degli affari di corruzione più grandi e la quota di maggioranza francamente non appartiene a noi" –, la crescita dimensionale delle imprese, la semplificazione delle regole e la libertà d'impresa, il fisco, il rapporto tra capitale e lavoro, l'istruzione.

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2010-09-17

 

Crescono i dubbi sulla sanità così il percorso si allunga

Roberto TurnoCronologia articolo17 settembre 2010

Questo articolo è stato pubblicato il 17 settembre 2010 alle ore 08:05.

ROMA

Una valanga di dubbi sui costi standard in sanità e sulla scelta delle regioni benchmark. Il fuoco che riprende ad ardere della manovra estiva e di quei tagli mai accettati da 4 miliardi nel 2011 e da 4,5 dal 2012. E una certezza da cui non si può prescindere: il federalismo fiscale dovrà finanziare senza ombra di dubbio i servizi fondamentali delle regioni. Si articola intorno a questi nodi principali lo stop – o la pausa di riflessione che dir si voglia – chiesta e incassata ieri dai governatori dopo il vertice con Tremonti, Bossi, Calderoli e Fitto. Un vertice svoltosi in un clima sereno, ammettono tutti. Dove i rappresentanti del Governo non hanno forzato la mano, sapendo che c'è tempo davanti per non mandare al macero il totem del federalismo, crisi politica permettendo.

I governatori discuteranno le loro osservazioni più nel dettaglio su autonomia fiscale e sanità giovedì prossimo, per poi rivedersi col Governo non prima di un'altra settimana. Il possibile timing per il primo sbarco in Consiglio dei ministri dei due decreti delegati, a questo punto, si può prevedere ai primi di ottobre.

Segnale della situazione di stallo e delle difficoltà politiche all'interno del governo, è che ieri non è stato consegnata ai governatori la bozza sui costi standard in sanità. Forse una nuova stesura arriverà lunedì, e già trapelano possibili novità: confermato che a fare da benchmark saranno le regioni con i conti a posto di asl e ospedali, si stanno cercando vie d'uscita per riservare un posto tra le "virtuose" anche a regioni come Emilia Romagna e Veneto. Tanto da ipotizzare, ad esempio, una scelta allargata a 5 regioni, una delle quali dovrebbe essere imprescindibilmente del Sud. Anche perché s'è capito – sembra anche sotto l'impulso dei finiani del Fli, ma non solo – che, poiché dal Lazio in giù i costi standard sarebbero impraticabili tanto più nel bel mezzo di piani di rientro da debiti plurimiliardari, si dovrebbe trovare un percorso più leggero di applicazione nel sud. Con tutte le certezze però di non tornare al meridionalismo assistenzialista, sprecone e incapace. L'avvio dei costi standard, in ogni caso, non avverrebbe prima del 2013, salvando intanto i finanziamenti già sul piatto per il 2011-2012. A spiegare i tre "punti irrinunciabili" delle regioni, è stato il rappresentante dei governatori Vasco Errani (Emilia Romagna). Con una premessa per la ripresa del dialogo col governo bruscamente spezzato al tempo della manovra estiva: "Vogliamo il tempo per discutere e capire cosa ci viene proposto. E serve la massima chiarezza". Una prima certezza, ha spiegato Errani, è il rapporto "indispensabile" che dovrà esserci nella bozza di decreto sulla autonomia impositiva tra il fabbisogno finanziario e i costi standard per le prestazioni in sanità (Lea) e per quelle sociali (Lep). Seconda condizione riguarda il decreto sui costi standard in sanità: il benchmark dovrà tener conto non solo dei bilanci ma anche della "appropriatezza" dei servizi resi dalla regioni, soprattutto per quelle che forniscono servizi oltre il livello nazionale fissato per legge (i Lea, appunto). Infine, ecco rispuntare il moloch della manovra estiva: il decreto sull'autonomia fiscale dovrà tenere conto della manovra. Come dire: il federalismo non può partire con una zavorra di tagli miliardari "C'è tempo fino al 31 dicembre", ha detto Errani. Come dire: ci aspettiamo un atto riparatore con la prossima legge di stabilità. Tremonti ne ha preso nota, senza dissentire ma senza annuire. Insomma, si tratta.

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NODI DA SCIOGLIERE

Il costo della manovra

Le regioni dovranno fare i conti nei prossimi due anni con un taglio ai trasferimenti statali pari a 4 miliardi nel 2011 e 4,5 miliardi nel 2012

I costi standard

Nella bozza consegnata ieri ai governatori si prevede che a fare da benchmark per il calcolo dei costi standard della sanità saranno le cinque regioni con i conti in regola di asl e ospedali

La preoccupazione

Tra le osservazioni critiche avanzate dai governatori c'è quella di considerare anche l'appropriatezza dei servizi di assistenza forniti ai cittadini quando si supera il livello essenziale fissato su base nazionale

 

 

 

La preoccupazione dei governatori sulle fonti di gettito

Roberto TurnoCronologia articolo16 settembre 2010

Questo articolo è statopubblicato il 16 settembre 2010 alle ore 08:05.

ROMA

I "risarcimenti" dopo i tagli della manovra estiva, i dubbi per l'applicazione dei costi standard di asl e ospedali, la necessità di fare chiarezza e di valutare punto per punto decreti che non si conoscono se non "per averli letti sui giornali". Spiazzati dall'accelerazione data dal governo ai decreti di attuazione del federalismo fiscale, i governatori si preparano all'incontro di oggi con Tremonti e Calderoli con un carico di problemi da risolvere. Per questo, il giorno prima dell'incontro usano molta cautela e calibrano le parole. Ben sapendo che il federalismo fiscale è una strada obbligata, ma che non per questo può essere percorsa a occhi chiusi. Anzi.

I dubbi riguardano il decreto sull'autonomia impositiva. E naturalmente quello sui costi standard in sanità e sulle "regioni benchmark" che, per la bozza di decreto, sarebbero solo le regioni con i bilanci sanitari in regola. Basterà? Il metodo può anche andare bene, sussurrano i tecnici. Ma c'è una grana politica grande come una casa da risolvere: se le stelle polari fossero le regioni con i bilanci a posto (per il 2009 Lombardia e Toscana, ma anche due piccole come Umbria e Marche), come escludere almeno una delle due regioni governate dalla Lega, il Veneto e il Piemonte, o l'Emilia Romagna, riconosciuta al top nel governo dell'assistenza sanitaria? Sul territorio, si porrebbero grossi problemi politici, anche di immagine. Insomma, la partita è tutta da giocare.

Vasco Errani (Pd, Emilia-Romagna, rappresentante dei governatori), si limita a sottolineare: "Non conosciamo i decreti. La materia è complicata e delicata, serve la massima attenzione. Ad esempio, nel valutare le regioni benchmark in sanità, va tenuto conto del fatto che ci sono regioni, come l'Emilia-Romagna, che offrono prestazioni oltre lo standard nazionale".

Anche Romano Colozzi (Pdl, assessore al bilancio della Lombardia e capofila degli assessori regionali di settore) puntualizza: "L'attesa principale dall'incontro con i ministri è di capire come si darà attuazione alla manovra estiva secondo cui nell'attuazione del federalismo fiscale non si terrà conto dei tagli previsti dalla manovra stessa. Per evitare di finire in rotta di collisione col federalismo fiscale, a questo punto è necessaria la massimacoerenza". La manovra estiva, ma non solo. Aggiunge Colozzi: "È rilevante capire la soluzione che verrà data al problema dei trasferimenti che passano dai bilanci regionali a quelli degli enti locali". Un esempio pratico è quello del bollo auto: "Lo scorporo del bollo auto – spiega Colozzi – potrebbe generare grossi problemi di gestione per chi lo amministra e costi molto alti per i cittadini". Cautela e ancora cautela, raccomanda anche Enrico Rossi (Pd, Toscana): "Parliamo da molto tempo di federalismo fiscale e di costi standard. È necessario, tanto più a questo punto, che il governo apra una discussione seria e approfondita. Non vorrei che si scaricasse sulle regioni la crisi finanziaria e fiscale dello Stato. Ricordo che con la manovra estiva abbiamo avuto tagli importanti". E i costi standard in sanità e il mitico benchmark? "Ci fa piacere che alla Toscana siano riconosciute ottime performance. Ma vogliamo parlare nel merito delle cose, non per "sentito dire" leggendolo sui giornali. Ricordo soltanto che entro l'anno dobbiamo fare i bilanci preventivi e che questa è la prima misura del buon governo che vuol essere il risultato del federalismo fiscale e dei costi standard".

Dalle regioni "in regola" a quelle del sud con i conti sanitari (e non solo) che sprofondano, il passo non è certo breve. Per loro il federalismo fiscale sarà la scommessa delle scommesse. Giuseppe Scopelliti (Pdl, Calabria) lo sa, ma si dice ottimista: "Certo, i decreti andranno valutati. Ma noi siamo pronti alla sfida. L'ipotesi della riduzione dell'Irap, ad esempio, non è da sottovalutare. E sulla sanità siamo pronti a mantenere gli impegni che abbiamo preso col governo, dimostreremo una grande discontinuità col passato".

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Il bilancio delle regioni

LE VIRTUOSE

pMinor costo giornaliero procapite per farmaci; alto tasso di vaccinazioni (prevenzione); maggiore adesione agli screening mammografici

pMigliore performance nei consumi farmaceutici territoriali e minore quota di ricoveri medici in chirurgia; alta quota di fratture di femore operate entro 2 giorni

pTasso più basso di ricoveri per acuti ogni 1.000 abitanti; maggior uso di farmaci equivalenti; più alto numero di interventi in laparoscopia (per colecisti)

pIndice di fuga dei pazienti in altre regioni molto basso; migliore estensione dello screening del colon retto; bassissima degenza media pre-operatoria

LE PEGGIORI

 

 

 

A sorpresa Umbria e Marche tra i benchmark sanitari

Roberto TurnoCronologia articolo15 settembre 2010

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Questo articolo è stato pubblicato il 15 settembre 2010 alle ore 08:07.

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ROMA - Potrebbero essere solo le regioni (o la regione) con i conti in regola di asl e ospedali a fare da benchmark per la determinazione di costi e fabbisogni standard sanitari. Come dire che se mai il federalismo fiscale in sanità si applicasse dal 2011 – come però è improbabile – le regioni capofila sarebbero Lombardia, Toscana, Marche e Umbria, le sole che hanno fatto registrare bilanci in equilibrio economico nel 2009, anno di riferimento di base in quanto secondo esercizio precedente quello di applicazione del nuovo metodo allo studio per il riparto dei fondi per la salute. Se il meccanismo fosse stato applicato già nel 2010, a fare da riferimento sarebbero state Lombardia, Umbria e Marche, le uniche in attivo nel 2008.

Mentre fervono i lavori della commissione per l'attuazione del federalismo fiscale (Copaff), ecco spuntare la prima bozza in progress del decreto che traccia i percorsi fondamentali per il capitolo, la spesa sanitaria, più atteso e delicato al test federalista. Un testo in progress, appunto, che non esclude la possibilità di nuovi aggiustamenti ma che, se confermato nella versione finale dopo il valzer di confronti attesi con i governatori forse non tutti d'accordo con questa soluzione, indica per la prima volta come stella polare del futuro benchmark in sanità solo le regioni con i conti in nero che hanno garantito i Lea, le prestazioni essenziali di assistenza sanitaria.

La partita del federalismo fiscale è apertissima e ancora incerta. Se la Lega spinge forte sull'acceleratore per varare in Consiglio dei ministri tutti i decreti delegati che mancano all'appello addirittura entro la prossima settimana, le resistenze delle regioni – e non solo del sud per la sanità – restano interamente sul tappeto. I vertici tecnici sono all'ordine del giorno e in questi giorni si cercherà di arrivare alla stretta decisiva. Con i governatori che d'altra parte, anche attraverso il decreto sull'autonomia fiscale regionale, cercano di trattare per "compensare" i tagli mai digeriti (4 miliardi nel 2011 e 4,5 dal 2012) arrivati con la manovra estiva dopo un duro (e perdente) testa a testa col governo. La bozza di decreto su costi e fabbisogni standard nel settore sanitario, intanto, ribadisce che il criterio della spesa storica del Ssn sarà superato gradualmente. E aggiunge che il fabbisogno nazionale standard 2011 e 2012 confermerà i livelli di finanziamento già fissati dalla Finanziaria 2010 e dal patto per la salute, e poi ridotti dalla manovra estiva: 108 miliardi nel 2011 e 111 nel 2012.

La determinazione di costi e fabbisogni standard regionali avverrà ogni anno sulla base di tre macro livelli: assistenza in ambienti di lavoro (5%), assistenza distrettuale (51%) e assistenza ospedaliera (44%). Il fabbisogno standard sarà determinato applicando a tutte le regioni i valori di costo rilevati nelle regioni benchmark: appunto quelle (o quella) che, secondo le verifiche del tavolo di monitoraggio col governo, hanno garantito i livelli essenziali di assistenza (Lea) "in condizione di equilibrio economico" e di efficienza e appropriatezza con le risorse assegnate, incluse le entrate proprie locali, nel secondo esercizio precedente a quello di riferimento. Se nessuna regione avrà i conti a posto, a fare da benchmark sarebbe quella col migliore (o meno peggiore) risultato economico sempre due anni prima, tolto il deficit. Capitolo decisivo sarà naturalmente il calcolo dei costi standard: saranno quantificati a livello aggregato per ciascuno dei tre macro livelli di assistenza e il loro valore sarà dato, per ciascuna delle tre voci, dalla media pro capite pesata del costo registrato nelle regioni benchmark. Ma a precise condizioni: il livello di spesa sarà ad esempio depurato della spesa locale oltre i Lea, non terrà conto delle quote di ammortamento dei mutui, sarà applicato alla "popolazione pesata" regionale. Una sfida che desterà non poche preoccupazioni, al sud, ma non solo.

 

 

 

Ecco i numeri del federalismo

Cronologia articolo15 settembre 2010

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Questo articolo è stato pubblicato il 15 settembre 2010 alle ore 08:06.

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Si delineano i numeri del federalismo fiscale e i costi standard della sanità. È destinata a crescere la leva fiscale in mano ai governatori: oltre alla possibilità di azzerare l'Irap i presidenti di regione potranno manovrare a loro piacimento l'addizionale Irpef, verso l'alto o verso il basso. Nei limiti di un "tetto" che dall'odierno 0,9% (elevabile all'1,4%) potrebbe passare al 3 per cento. A prevederlo è una bozza del decreto legislativo sull'autonomia di entrata degli enti territoriali elaborata dai tecnici della Semplificazione e su cui è cominciato il confronto informale con i rappresentanti delle autonomie. Anche sui costi standard nella sanità è pronta una prima bozza di decreto: sono quattro le regioni benchmark, Lombardia, Toscana, Marche e Umbria. Per quanto riguarda i tempi, l'obiettivo dichiarato del ministro Roberto Calderoli è quello di riuscire a portare i due testi in Consiglio dei ministri già la prossima settimana. Secondo questa tabella di marcia, la partita sull'attuazione della riforma dovrebbe chiudersi entro quattro mesi.

 

 

 

 

Le Regioni pongono tre paletti al federalismo fiscale. Stima Uil: a ogni lavoratore costerà 435 euro

di Nicoletta CottoneCronologia articolo16 settembre 2010Commenti (6)

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Questo articolo è stato pubblicato il 16 settembre 2010 alle ore 19:25.

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Nella bozza di decreto legislativo sul federalismo relativo al fisco regionale che il governo ha consegnato a regioni, province e comuni, l'addizionale regionale Irpef potrebbe essere aumentata fino a raggiungere il 3 per cento. Durante il breve incontro al ministero dell'Economia, durato circa mezz'ora, i ministri Tremonti, Calderoli, Fitto e Bossi hanno distribuito un testo di 13 articoli dal titolo "decreto legislativo in materia di autonomia delle entrate degli enti territoriali". Tre per cento ampiamento criticato da una simulazione della Uil : comporterebbe, secondo il segretario generale Guglielmo Loy, aumenti fino a 435 euro per i lavoratori dipendenti e a 375 euro per i pensionati.

Tra i punti la definizione della compartecipazione delle regioni all'Iva, che scenderebbedall'attuale 44.7% al 25 per cento. Sarebbe poi confermata la possibilità per le regioni di ridurre l'Irap fino alla sua totale cancellazione. La bozza sarà esaminata dalla conferenza delle regioni di giovedì prossimo e poi ci sarà un nuovo incontro con il Governo.

Giudizio sospeso da parte delle regioni. "Abbiamo anticipato - ha sottolineato il presidente della Conferenza delle Regioni, Vasco Errani - quelli che sono per noi i tre punti irrinunciabili". Primo elemento cardine è la definizione dei costi standard in relazione ai livelli essenziali di assistenza in sanità e prestazioni sociali. "Solo così è possibile determinare il fabbisogno, in mancanza di ciò sarebbe aleatorio". Per Errani "i cittadini devono sapere di quali servizi hanno diritto". Quanto ai costi standard, per le regioni è chiaro che "il decreto deve essere costruito sull'appropriatezza dei servizi e non solo sui risultati di bilancio". Infine, la relazione esistente tra questo decreto e la manovra varata a luglio dall'esecutivo. Una manovra su cui resta fermo il giudizio negativo delle regioni. "La nostra posizione è che la manovra è insostenibile. Siamo per un confronto serrato col governo, siamo per il dialogo, per affrontare alcune questioni c'è tempo fino al 31 dicembre".

Un incontro molto interlocutorio, dunque, dedicato soprattutto alle regioni. Anci ha chiesto di accelerare i tempi per il decreto su fabbisogno standard, ha riferito il presidente dell'Anci Sergio Chiamparino, al termine dell'incontro. "Il nostro obiettivo - ha chiarito - è riprendere il tavolo di lavoro e mi sembra che le condizioni ci siano. L'atteggiamento del governo è stato interlocutorio".

 

 

 

 

Martini: così si rischia di strappare il paese

Lina PalmeriniCronologia articolo17 settembre 2010

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Questo articolo è stato pubblicato il 17 settembre 2010 alle ore 08:05.

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ROMA

Non hanno intenzione di lasciare la partita del federalismo. Anzi. Claudio Martini, ex governatore della Toscana e ora presidente del Forum delle politiche locali del Pd, lo dice chiaro che a quel tavolo di trattativa non vogliono rinunciare. Quello che però oggi vede è un "rischio", ossia che tutto si risolva in una "trattativa one to one tra Tremonti e la Lega" mentre la base di riferimento dei fabbisogni diventerà la manovra di luglio. L'effetto sarà di "accentuare il divario Nord-Sud" ed esasperare la vocazione territoriale dei singoli partiti creando divisioni anche al loro interno.

Sul federalismo il Pd si era astenuto e ora che fate?

Vedo che c'è uno svuotamento della legge delega 42 e un'accentuazione della distanza tra gli annunci e i passi fatti fin qui. Perché non c'è nulla. Finora il federalismo è un guscio vuoto, una bandiera buona da sventolare nelle feste del Carroccio ma sul piano della concretezza siamo a zero. Anzi, direi che c'è stato un tradimento dell'impianto di quel decreto a cui oggi mancano un'infinità di cose.

Ma allora perché non avete votato contro?

Perché noi vogliamo essere della partita e vogliamo restare nel campo di gioco. E quel decreto contiene delle cose innovative che vanno attuate. Con i nostri gruppi parlamentari stiamo preparando veri e propri blocchi di controproposte su tutto ciò che manca. Non c'è nulla a proposito del coordinamento delle discipline fiscali, né dei fondi perequativi, né della definizione di costi standard, dei livelli essenziali o delle aree metropolitane.

Crede che del federalismo non se ne farà nulla?

La nostra speranza non è questa. Vediamo però il rischio di un esito imprevedibile che può portare a una secessione di fatto a uso e consumo della propaganda di cui ha bisogno la Lega. E che porterà a un approdo davvero sperequativo tra aree del paese.

Si arriverà al redde rationem tra Nord e Sud?

Guardo a quello che c'è sul tavolo. E, a oggi, la reale valutazione sui fabbisogni e le risorse non è agganciata a nulla. Ho un sospetto, però. Che il ministro Tremonti prenda come base di riferimento l'unica che c'è al momento: la manovra di luglio. Cioè che assuma quella come parametro di riferimento con un effetto che è ampiamente prevedibile visto che tutti i livelli locali l'hanno giudicata insostenibile. E gli effetti saranno distruttivi.

Ma l'esigenza di contenere la spesa soprattutto al Sud è incontestabile.

Certo ma non deve essere dirompente. Aggiungo che di federalista fin qui c'è ben poco. E parlo anche del Sud perché c'è stata una ri-centralizzazione dei fondi Fas, quelli sì davvero federalisti. E guardi come è andata a finire sul federalismo demaniale: si è risolto in un'inezia, in 3 miliardi. Agli enti locali è passato quasi niente, o meglio solo grane, mentre la polpa se l'è tenuta il governo. E così finirà sul federalismo, in una trattativa one to one.

Cioè, uno scambio a due, Tremonti-Lega?

È la preoccupazione che abbiamo. Che dietro tanti annunci, il federalismo finisca per risolversi in una trattativa che favorisce gli amici del governo con l'effetto gravissimo che sparirà una qualsiasi politica generale – chiara e onesta – per il paese. Le ripeto, lo dico sulla base di quello che vedo. Perché in nessuna parte è scritto come si recuperano i tagli mentre si va a una sostituzione dei finanziamenti sulla base attuale. L'impatto sulle politiche sociali sarà fortissimo e accentuerà il divario Nord-Sud.

Il divario accentuerà il carattere già territoriale dei partiti?

È chiaro che senza una vera impostazione federalista, come quella che prometteva la legge 42, salta tutto un equilibrio. A quel punto ciascun partito difenderà i suoi. Questo varrà nella maggioranza e nell'opposizione. È chiaro che ogni partito ha le sue basi territoriali più forti e da lì ci si darà battaglia. Ma questa sarà soprattutto una grande occasione persa per dare al paese una riforma di cui c'è bisogno.

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Intervista a Calderoli: "Via da Roma dopo il federalismo"

Eugenio BrunoCronologia articolo14 settembre 2010

Questo articolo è stato pubblicato il 14 settembre 2010 alle ore 08:04.

Il federalismo è stato, è e sarà la bussola della Lega. Ieri per individuare gli alleati; oggi per proseguire o meno la legislatura; domani per coltivare la suggestione di abbandonare il parlamento nazionale e concentrarsi sulle assemblee regionali. A confermarlo è il ministro della Semplificazione Roberto Calderoli che vuole chiudere "entro quattro mesi" la partita sull'attuazione delle riforma e si dice "soddisfatto per il boom di interventi edilizi realizzati grazie alle semplificazioni".

Le acque nella maggioranza sembrano più calme. Il governo andrà avanti con 316 voti alla Camera. Finiani inclusi?

A noi interessano soprattutto i fatti e non i voti su una risoluzione. Anche perché per noi conta la qualità dei voti e non la quantità. L'importante è che ci sia la volontà di procedere sulle riforme, a cominciare dal federalismo in commissione bicamerale. Che doveva essere a maggioranza e invece l'abbiamo fatta paritetica.

Ma non c'è il rischio che il finiano Baldassarri voti con l'opposizione e dunque diventi a minoranza?

Non credo. Con Baldassarri ho parlato spesso. L'ultima volta martedì scorso e ci siamo sempre trovati d'accordo. Se vengono messe da parti le pregiudiziali politiche sono convinto che la quadra si troverà anche con l'opposizione. Se trovo un atteggiamento costruttivo io un provvedimento sono pronto anche a rivoltarlo come un calzino.

Per Bossi il federalismo è questione di ore. A che punto siete?

Quanto prima vedrò i rappresentanti di regioni ed autonomie locali per discutere un provvedimento unico sull'autonomia tributaria di regioni e province e sulla cancellazione dei trasferimenti regionali agli enti locali. Visto il tema li devo per forza incontrare tutti insieme. Se il confronto sarà positivo potrei portare il testo in Consiglio dei ministri la prossima settimana insieme a quello sui costi standard per la sanità.

Partiamo dalle regioni: che cosa avranno?

Un mix di Iva e Irpef. Oggi la maggior parte delle risorse viene dalla compartecipazione Iva al 44,7 per cento. Penso che si può passare al 25-30 per cento. È un tributo su cui non c'è margine di manovra sia perché discende dall'Europa sia perché il cittadino non ha la percezione che una parte di ciò che spende va alle regioni. Se invece utilizzo una tassa sulle persone fisiche come l'Irpef questo raccordo diretto c'è così come un collegamento con i servizi erogati. Irpef sotto quale forma?

Con una compartecipazione sui gettiti prodotti dai vari scaglioni, in modo da garantire la progressività dell'imposta, e con un'addizionale più ampia di quella attuale. Che i governatori potranno manovrare nel rispetto degli scaglioni nazionali. La potranno anche abbattere totalmente oppure introdurre detrazioni per agevolare le famiglie con bambini o anziani a carico, arrivando a qualcosa di simile al quoziente familiare.

Le regioni manterranno anche l'Irap. La ridurrete?

Saranno i governatori a decidere. Io gli do una flessibilità totale per arrivare anche a zero. Saranno loro a decidere se vogliono fare una vera politica di promozione dell'impresa.

Province e comuni che cosa devono aspettarsi?

Nel decreto sul fisco municipale si è affrontato il nodo dei trasferimenti dello Stato. Ora puntiamo a risolvere quello dei trasferimenti regionali. Ho trovato una soluzione di garanzia: cancellarli e dare a comuni e province la compartecipazione a un tributo regionale con un livello stabilito tra le parti. Per le province penso al bollo auto e per i comuni sarei orientato all'addizionale Irpef.

Passiamo al Sud. Il ministro Tremonti ha detto che in alcune regioni bisognerebbe prima fare arrivare lo Stato. Sarà un federalismo a due velocità?

Sono sempre stato di questa idea per le evidenti difficoltà in cui si trovano alcune aree territoriali ma ormai si è deciso di far partire tutti insieme e così sarà. Il federalismo lo vedo come un armistizio tra Nord e Sud in materia fiscale. Basato su alcuni principi: assicurare le risorse a tutti in modo che possano garantire i livelli essenziali delle prestazioni nelle loro funzioni fondamentali, con dei coefficienti correttivi per chi si trova ad esempio su un'isola o in cima a un monte. Chi ha speso di più o si adegua oppure cambia la propria classe dirigente. In quelle zone in cui la classe dirigente ha fatto disastri e non ha neanche creato le strutture io devo mettere gli amministratori in condizioni di farle.

In che modo?

Destinando alla perequazione infrastrutturale che è prevista dalla legge delega le risorse non utilizzate o destinate a interventi a pioggia, che verranno fuori dal monitoraggio del ministro Fitto. Ad esempio non posso chiudere dalla sera alla mattina un ospedale con 12 posti letto che fa danni ai pazienti e costa un'ira di Dio. Prima devo costruire degli ospedali per acuti e di alta specializzazione oppure delle strutture territoriali che oggi non esistono.

La Lega sosterrà il piano Fitto sul Sud?

Dinanzi a un programma di interventi seri la Lega non avrà problemi a concedere il suo appoggio.

Che sia tra tre mesi o tra tre anni, prima o poi si tornerà al voto. Non avete mai pensato di sfruttare i consensi in ascesa e correre da soli?

Come ha detto Bossi, Berlusconi è leale sulle riforme e noi dobbiamo esserlo con lui. Se le cose vanno avanti così non c'è motivo di andare da soli. Nell'attuale sistema bipolare puoi incidere solo se sei presente anche a livello nazionale. Chissà che un domani, dopo aver realizzato il federalismo, non si possa decidere di essere presenti solo nelle assemblee regionali. Alleandosi con una forza nazionale sull'esempio di quanto avviene in Baviera.

 

 

2010-09-15

Calderoli ipotizza il ministero dell'Interno a Palermo, l'Ambiente a Napoli e le Finanze a Milano

Cronologia articolo15 settembre 2010

Questo articolo è stato pubblicato il 15 settembre 2010 alle ore 18:05.

La legge che stabilisce a Roma la sede del governo è del 1871 e, in quanto legge ordinaria, nulla vieta che per la stessa via possa essere "aggiornata". Ha risposto così il ministro per la Semplificazione normativa, Roberto Calderoli, nel corso del question time in risposta a un'interrogazione Udc sulla provocazione lanciata da Bossi e dallo stesso Calderoli a proposito dei ministeri da decentrare spostandoli da Roma. Ha anche abbozzato una ipotetica dislocazione.

Un'idea che Calderoli ha derubricato all'ambito del dibattito politico ma per la quale ha anche abbozzato una road map. "Io metterei il ministero dell'Interno a Palermo piuttosto che a Reggio Calabria, quello dell'Ambiente a Napoli, le Finanze a Milano e lo Sviluppo economico a Torino".

"La legge che ha stabilito il governo a livello della Capitale, la 33, è del 1871 e parla di "governo centrale" senza precisare, quindi, quali dicasteri dovrebbero essere a livello della Capitale. Ma dato pure per scontato che così sia credo che qualunque legge successiva possa modificare quella legge ordinaria, perchè nulla si dice nella Costituzione". Dunque, "se con il gruppo parlamentare della Lega Nord, attraverso un'iniziativa parlamentare, o una proposta di legge di iniziativa popolare, dovesse arrivare in questa sede, sarà esaminata dal Parlamento e in quella sede ci sarà un parere formale e collgiale da parte del governo".

Poi il ministro Calderoli ha precisato che si tratta di una proposta politica della Lega Nord e ha precisato di parlare non da ministro ma da coordinatore delle segreterie del Carroccio spiegando che quando la proposta sarà ultimata ci sarà anche un confronto con il Pdl. (N.Co.)

 

 

 

2010-07-04

Lei pensa che le regioni ci stiano? Il clima non è dei migliori.

Ho trovato finora interesse dai presidenti Caldoro e Scopelliti. Positivo, forse anche oltre la previsione, anche l'atteggiamento del governatore Lombardo. Qualche rigidità in più l'ho trovata dal presidente De Filippo perché la Basilicata vanta standard di spesa migliori. Però non c'è una chiusura. La prossima settimana mi incontrerò con gli altri presidenti.

Lei dice che bisogna concentrare le risorse su Anas e Fs, ma le grandi aziende di Stato sono le prime ad avere performance non certo brillanti in termini di capacità di spesa al Sud. Lo dimostrano anche relazioni recenti sulle grandi opere.

Sono assolutamente consapevole che il problema della capacità di spesa dei fondi strutturali nazionali e comunitari è generale e non si limita alle regioni del Sud. Ne è lucidamente consapevole anche il ministro Tremonti che semplicemente ha denunciato la follia di tenere impegnate risorse ingenti in un meccanismo che chiaramente non funziona. Proprio per questo dico mettiamoci al tavolo e accordiamoci sulle cose da fare per rilanciare questi investimenti.

È curioso questo spiraglio di dialogo in un momento di tensione così forte con le regioni.

Rilanciare questi investimenti, accelerare la spesa, fare cose davvero strategiche è nell'interesse di tutti.

Sempre che la manovra non si metta di mezzo chiudendo qualunque canale di comunicazione istituzionale. Vede qualche via di uscita al muro contro muro?

Sulla manovra non ci sono margini per discutere dei saldi né della ripartizione dei sacrifici fra i vari livelli istituzionali. Possiamo solo ragionare sulle modalità di ripartizione dei tagli. A questo tipo di confronto il governo è sempre disponibile.

L'emendamento sul premio alle regioni virtuose non ha avuto molto successo.

Alcuni governatori, come Polverini, Caldoro, Scopelliti, hanno obiettato che non si possono addossare loro responsabilità dei loro predecessori. Mi pare un'osservazione sensata. Credo che i parametri di virtuosità debbano essere applicati con una certa gradualità, diciamo dal 2012, in modo da dare a tutti la possibilità di mettere in moto azioni virtuose.

Il piano sui fondi strutturali che lei sta preparando è un modo per gettare un ponte alle regioni dopo la manovra?

Il percorso io l'ho già iniziato e con la manovra non c'entra. Qui l'obiettivo è rafforzare la programmazione e integrare i diversi livelli, riducendo la parcellizzazione. Oltre a questo tema dovremo confrontarci sul federalismo.

C'è un nesso fra questo piano dei fondi per il sud e il federalismo?

Dobbiamo sbloccare la spesa dei fondi strutturali nazionali ed europei, vecchi e nuovi, perché questa dovrà risultare una componente fondamentale delle politiche perequative nord-sud all'interno del riassetto federalista. È fondamentale oggi e lo sarà in prospettiva, considerando il dibattito in sede comunitaria sulla necessità di proseguire la politica regionale di coesione oltre la scadenza del 2013. Noi siamo su questa posizione, che oggi sembra prevalere e che abbiamo rappresentato al commissario Hahn giovedì scorso sia io che Tremonti.

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Tremonti allenti i vincoli sull'Expo

Paolo Bricco e Marco MorinoCronologia articolo03 luglio 2010

Questo articolo è stato pubblicato il 03 luglio 2010 alle ore 08:03.

"Giulio Tremonti? L'ho incontrato a Milano lunedì. Mi ha detto: "ci vedremo di nuovo non appena avrete un progetto ben definito". So bene che il ministero dell'Economia ha il 40% della società di gestione. So bene anche che Tremonti è un uomo pratico. Non abbiamo fissato una data per il nostro prossimo faccia a faccia. Ora dobbiamo lavorare. Non possiamo pensare sul lungo termine. Il nostro orizzonte non sono i tre anni, ma i prossimi sei mesi. Soltanto così convinceremo tutti. Solo così faremo dell'Expo un caso di successo".

 

Il neodirettore generale dell'Expo Giuseppe Sala, 52 anni, è l'uomo del giorno. Alla Pizzeria Ciardi, dove il proprietario Gennaro è l'icona vivente del pragmatismo di questa città che dà una occasione a tutti ("dottore, sono di Pozzuoli, nel 1952 sono arrivato qui con niente in tasca, Milano è un posto meraviglioso"), Sala spiega al Sole 24 Ore come l'Expo abbia ancora una chance. E, mentre si prepara a lasciare la posizione di city manager del Comune di Milano ("vado a fare gli scatoloni subito dopo pranzo"), indica nella razionalità manageriale la ricetta giusta.

Direttore, lei ha citato il ministro Tremonti, alias il principale finanziatore dell'Expo. Questo Expo ha avuto finora molti problemi. Iniziamo dalla "pecunia": i soldi ci sono?

Sì, i soldi ci sono. E la quota pubblica non è stata ridotta da una manovra del governo impostata su un rigore essenziale per preservare i conti pubblici. Serve, mal contato, un miliardo e mezzo. Ma non abbiamo bisogno di averlo tutto e subito su un nostro conto corrente. Arriveranno mano a mano che procederemo. Piuttosto, la nostra ingegnerizzazione finanziaria ha in prospettiva un problema: l'articolo 54 della manovra fissa nel 4% il tetto delle spese di gestione rispetto al budget complessivo. È troppo poco. Chiederemo di cambiarlo.

L'articolo 54 assegna le assunzioni e le consulenze al consiglio di amministrazione e non all'ammistratore delegato. Anche questo è un problema?

Per ora io sono direttore generale. Martedì il Comune di Milano, che aveva espresso Lucio Stanca nel board, ha aperto il bando per sostituirlo e io ho presentato il mio curriculum. Il bando dura in tutto due settimane. Se gli altri soci saranno d'accordo, diventerò consigliere e quindi amministratore delegato. Ma, anche con questo specifico incarico, non avrò problemi con la norma che fa passare le assunzioni dal board: penso di portarmi pochissime persone. Ora siamo in meno di 100 persone, in tre sedi. Puntiamo su una struttura snella. Come ho già detto, lasciamo il lussuoso quartier generale di Palazzo Reale, che dunque tornerà nella disponibilità del Comune di Milano, e ci concentreremo alla Bovisa. Cosa che, peraltro, ci avvicinerà ai prossimi cantieri dell'Expo. Bisogna anche aggiungere un fatto importante: la Bovisa è di proprietà di Euromilano, il cui principale azionista è Intesa Sanpaolo. Il canone che ci viene richiesto è assai basso e loro si accolleranno i costi di ristrutturazione: si tratta del primo tangibile supporto che una società immobiliare e una grande banca garantiscono a un progetto strategico quale è l'Expo. Scusi la domanda, ma quanto prenderà di stipendio?

Non lo posso ancora dire, perché sarà tema di discussione e di approvazione del prossimo consiglio di amministrazione. Guadagnerò meno di Lucio Stanca. Una parte del mio compenso sarà fissa e una parte variabile. Naturalmente non potrò stare sotto la soglia del buon senso, perché a catena obbligherei i miei collaboratori a ricevere stipendi non coerenti con il tipo di impegno che dovranno affrontare. Un impegno che sarà molto duro.

L'impressione generale è che, per scongiurare qualunque tipo di problema in sede di approvazione definitiva al Bie di novembre, voi non dobbiate più perdere neanche un minuto. Andrà in vacanza?

Sì, qualche giorno in barca a vela in Sardegna lo farò. Ho lavorato ad alti livelli in grandi gruppi: da Pirelli a Telecom. Ho lavorato per il Comune di Milano e continuo a sentirmi anche adesso, nella nuova posizione, un civil servant. Non credo che lo stakanovismo gratuito sia funzionale al raggiungimento degli obiettivi. Soprattutto quando sono tanto urgenti e importanti. Abbiamo deciso, tutti insieme, di andare in ferie nelle due settimane centrali di agosto. In questa maniera, possiamo procedere compatti. Oggi, all'Expo, c'è da lavorare soprattutto sul software.

Cosa intende per software?

Intendo che, oggi, si ha una idea abbastanza precisa dell'aspetto fisico e dei luoghi dell'Expo. C'è una consulta degli architetti, composta fra gli altri da Herzog & de Meuron e da Stefano Boeri, che ha prodotto idee e studi. Dunque, l'hardware c'è. E su questo, come sulla presentazione del dossier di registrazione al Bie di Parigi, va dato atto a Lucio Stanca di avere fatto la sua parte. Invece, siamo messi meno bene per il software: che cosa andrò a vedere? La mia idea è che l'autosufficienza e la sicurezza alimentare siano una ottima idea di base, da cui partire. L'Expo dovrà essere vissuto anche come una esperienza digitale e tecnologica. Anche se il problema è che dobbiamo pensare ora a qualcosa che accadrà fra cinque anni, dunque con un contesto tecnologico che sarà diversissimo rispetto a quello di oggi. È questa la nostra sfida: cavalcare l'onda delle tecnologie, senza cadere.

Dunque, lei prospetta un Expo con un un profilo soprattutto tecnologico-scientifico. Perdoni la banalità, ma la gente non rischia di annoiarsi?

Avete centrato il problema. L'Expo non dovrà essere soltanto una manifestazione da professori e da supertecnici. La gente dovrà anche divertirsi. Per questa ragione, sto pensando all'Expo come a un parco a tema, ovviamente avendo sempre come riferimento la grande questione alimentare. In ogni caso, le prossime settimane saranno fondamentali per iniziare a riempirlo di contenuti. Non con il metodo un po' assembleare dei comitati di esperti. Piuttosto con incontri uno a uno. Anche con gli imprenditori e i manager. Con le aziende vorrei infatti una collaborazione più intensa, passando dalla semplice sponsorizzazione al coinvolgimento diretto.

Senz'altro l'Expo deve ancora affrontare con precisione la questione dei contenuti. In queste ore è in corso il dibattito sulle modalità di cessione dei terreni dai Cabassi e dalla Fondazione Fiera alla Regione, alla Provincia e al Comune. Fra le due opzioni (acquisto e comodato d'uso con diritto di superficie), in qualità di direttore generale ha una preferenza?

No, non ce l'ho. Per me, e credo anche per i proprietari, l'importante è che si faccia in fretta. Al di là delle opzioni vagliate dagli avvocati e dai tecnici, auspico che lunedì si arrivi a una decisione finale. La tecnicalità è una scelta che spetta alla politica: se come ente pubblico compri un terreno devi sapere che lì farai investimenti a sfondo sociale, per esempio l'housing sociale; se invece passa l'altra versione, devi chiedere ai proprietari attuali a cui i terreni torneranno in futuro di realizzare investimenti residenziali di un certo tipo, per esempio evitando i grattacieli. Di certo le strutture dell'Expo rimarranno: l'importante è costruire una soluzione che eviti, un minuto dopo la fine della manifestazione, che queste strutture si trasformino in tristi cattedrali nel deserto.

L'Expo finora è rimasto incartato anche per i conflitti di potere. Lei teme, qualora passasse la soluzione dell'acquisto diretto dei terreni e dunque diventasse operativa la newco di fatto a controllo della Regione, che la Soge si trovi a dovere "cogestire" l'Expo con un politico influente e scaltro come Roberto Formigoni?

Credo che ognuno debba fare il proprio mestiere: i manager facciano i manager; gli "azionisti" si occupino di fare gli "azionisti". Sono sicuro che tutti i protagonisti di questa vicenda amino Milano e sappiano quanto, questa città, si giochi un pezzo di futuro grazie all'Expo. Detto questo, anche se fosse accolta la proposta di acquisto tramite newco, in capo ad essa resterebbero soltanto i diritti di proprietà dei terreni. Il diritto di superficie di questi ultimi verrebbe ceduto alla società di gestione. Dunque, non ci sarebbe davvero nessun problema. Abbiamo bisogno di un salto di qualità. Che ci sarà. Mi auguro di potere annunciare ai milanesi e agli italiani l'ingresso, fra un anno, della prima macchina da lavoro nel cantiere dell'Expo.

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Il Pdl teme la questione meridionale

Lina PalmeriniCronologia articolo04 luglio 2010

Questo articolo è stato pubblicato il 04 luglio 2010 alle ore 08:06.

Il nuovo fronte per Silvio Berlusconi, ammesso che si superi quello con Gianfranco Fini, è tutto geo-politico. Ed è la resa dei conti tra Nord e Sud che ha già avuto una discreta anteprima con la manovra 2009 quando tolse al Mezzogiorno i soldi dei fondi Fas; che si esaspera adesso con la nuova manovra e il braccio di ferro con le regioni del Sud; che si ripropone con il federalismo, sempre che si faccia. Insomma, se prima erano i simboli e la propaganda a relegare il Sud a un ruolo secondario – quelle cene ad Arcore tra Berlusconi e Bossi, quel sodalizio Tremonti-Lega – ora si è passati ai fatti. E a raccontare di un asse spostato a Nord non sono più le immagini ma le risorse. E lo stress finanziario a cui sono sottoposte le regioni meridionali ultimamente additate di "cialtroneria" dal ministro dell'Economia.

Eppure se il centro-destra governa è grazie al Sud, grazie a quei 10 punti percentuali circa che si sono spostati sul Pdl regalando a Silvio Berlusconi la vittoria del 2008 (come ricostruito sul Sole 24 Ore dell'aprile di due anni fa da Roberto D'Alimonte). Invece. "Invece", racconta il ministro Gianfranco Rotondi, con il suo solito garbo "c'è un ritardo grave. E la responsabilità sta nella mancata gestione che il Pdl ha di se stesso. Il partito è stato creato come un consiglio di amministrazione, con l'assegnazione di quote ma poi si è perso sul territorio. Ora, è vero che il premier ha quella consapevolezza gramsciana dei rapporti di forza e dunque va a cena con Bossi perché senza di lui non c'è il governo, ma è vero pure che i voti il Pdl li prende dal Sud. Berlusconi metta la testa nel partito, subito".

C'è un altro paradosso. Proprio i governatori del Sud che hanno regalato l'ultima vittoria al premier – altrimenti le regionali sarebbero state solo il trionfo di Bossi – diventano il focolaio di nuove fibrillazioni nella maggioranza. "Le tensioni ci sono e potranno aumentare. L'effetto politico è scontato ma a preoccupare è l'effetto economico", spiega Stefano Caldoro, presidente della Campania. "Perché se salta il Sud – aggiunge – l'Italia diventa la Grecia. La Campania, come ha scritto l'Economist, ha già gli stessi indici economici e di allarme sociale di Atene. Attenzione. Tremonti non ci può chiedere di affiancarci agli standard storici delle regioni del Nord, ci deve garantire invece di essere valutati sulle performance e sugli indici di miglioramento". È questa la linea del Piave, spiega il governatore: "Chiediamo tutte la stessa cosa: 5 regioni, tutte con lo stesso colore. Le garanzie le dobbiamo avere". Anche perché adesso i neo-presidenti del Pdl possono parlare di eredità "disastrosa" lasciata dalle amministrazioni di centro-sinistra ma tra un po' quelle addizionali Irpef e Irap portate ai massimi, quel blocco totale del turn over, quell'impossibilità di investire un solo euro, diventeranno politicamente ingestibili. "È urgente uno spostamento di visione sul Sud", continua Caldoro che a Tremonti dà ragione sia sul rigore che sulla "cialtroneria" per il mancato uso dei fondi Ue. "Ma ora serve cambiare le priorità e varare il piano Sud".

Non tutti concordano con Tremonti. "Il ministro dice cialtroni. E posso essere d'accordo. Ma come lo definisce Brancher?". Bella domanda quella di Francesco Nucara, deputato molto vicino a Berlusconi, alleato del centro-destra anche se iscritto al gruppo misto tra i repubblicani popolari. In effetti il caso Brancher è stato scatenato da una "cialtroneria" tutta nordica. "E quale fa più danni?", continua a chiedersi Nucara, eletto in Calabria. "Questa contrapposizione Nord-Sud sta danneggiando il Pdl e Berlusconi. Io sono amico di Tremonti – precisa Nucara – ma non può puntare sull'asse di penetrazione della Valtellina, su Mestre, il Mose e tutta la politica al Sud si risolve nel Ponte sullo Stretto". È noto che al di là dello stretto c'è una rete ferroviaria inservibile e che al di qua c'è una Salerno-Reggio Calabria al palo. "Berlusconi – ammette Nucara – sul Sud mi ha deluso. Io lo giro a piedi, non lo vedo in tv. E come me molta gente potrebbe stancarsi. Le prime sberle potrebbero arrivare già con le prossime comunali".

Non è così pessimista Rotondi. E Caldoro non ancora. Ma è vero che il Sud è un "granaio" di voti, soprattutto per la sua mobilità di consensi. Nel 2008 si spostarono verso il Pdl ma già alle europee del 2009 il Pdl perse in totale 2,85 milioni di voti, un quarto di questi concentrati in Sicilia. E l'isola oggi è l'epicentro della crisi del Pdl. Non solo la giunta Lombardo: ora è esploso anche il caso del comune di Palermo dove il sindaco Diego Cammarata è messo sotto attacco dalla sua stessa maggioranza di centro-destra. Proprio ieri la mozione di sfiducia – che non è passata – è stata però votata da consiglieri del Pdl vicini a Gianfranco Miccichè.

È solo un assaggio? Il laboratorio Sicilia suggerisce qualcosa? "Attenzione, perché se Berlusconi lascia vuoto uno spazio politico questo verrà riempito. Il premier deve temere l'insidia di Fini che potrebbe farsi paladino della causa meridionale e dell'unità nazionale, con questo ricevendo anche l'appoggio del Quirinale", pronosticava Nucara che faceva notare come stanno già nascendo sigle e siglette "come quella di Mastella, di Scotti". Innocue, secondo il ministro Rotondi. "Un male e non la cura", per il governatore Caldoro. Eppure segnalano l'apertura di uno spazio politico. Che c'è anche nello stesso governo dove manca una leadership "meridionalista". "Doveva essere di Berlusconi", dice Nucara che lo sta ancora aspettando.

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LE OPINIONI

Stefano Caldoro Presidente regione Campania "Mi preoccupa l'effetto economico più di quello politico: se salta il Sud saremo la nuova Grecia Il premier sposti la visione dell'esecutivo sul meridione

Gianfranco Rotondi Ministro Attuazione del programma "La responsabilità è di un Pdl che non sa gestire se stesso: nato come un cda con assegnazione di quote si è perso nel territorio"

Francesco Nucara Deputato "Se il cavaliere lascia lo spazio vuoto, ci sarà la corsa a riempirlo: Fini potrebbe insidiarlo e diventare il paladino dell'unità del Paese e del Mezzogiorno"

 

 

 

2010-07-01

Tremonti spiega perché il federalismo fiscale conviene, Bossi promette quello municipale

di Nicoletta CottoneCronologia articolo30 giugno 2010

Questo articolo è stato pubblicato il 30 giugno 2010 alle ore 19:35.

"L'evoluzione del sistema di finanza pubblica italiana si presenta come un albero storto". Lo ha detto il ministro dell'Economia Giulio Tremonti, illustrando in una conferenza stampa al termine del Consiglio dei ministri la relazione sul federalismo fiscale, approvata dal governo. Tremonti cita "due passaggi fondamentali: la quasi totale centralizzazione della finanza pubblica, fatta al principio degli anni '70 e il decentramento-federalismo introdotto tra il 1997 e il 2001". Poi rileva che "è così che l'albero è cresciuto storto".

"La finanza derivata - ha detto Tremonti - non sta in piedi. È basata sull'idea che l'Iva sia un bancomat. Non crediamo che corrisponda più a quello che serve al paese". Tremonti ha detto che è "fondamentale passare dal sistema dei costi standard che premiano gli inefficienti a un sistema di fabbisogni definiti in termini oggettivi senza penalizzare nessuno. Lo standard deve essere ricostruito in base alle pratiche migliori".

Non è il federalismo fiscale a costare ma, al contrario, costerebbe non farlo, si legge nella relazione sul federalismo fiscale. "Un errore piuttosto diffuso consiste nell'assumere che il federalismo fiscale abbia un costo", si spiega, "in realtà è l'opposto. Il costo ci sarebbe infatti non riformando con il federalismo fiscale, ma all'opposto conservando l'assetto attuale".

"Sulle regioni non siamo ancora pronti per dire cosa diamo loro" in termini di finanza locale", ha detto Tremonti. "A luglio lo sapremo e quindi faremo molto presto anche il federalismo regionale- aggiunge- siamo invece molto avanzati a livello municipale". Tremonti ha spiegato che il federalismo dà "poteri fiscali statali ai territori. Pensiamo di ritirare i 15 miliardi che i comuni richiedono come finanziamenti, ma di dare loro 15 miliardi di titoli di finanziamento proprio".

Il Senatur ha spiegato che dopo il federalismo demaniale il prossimo passo sarà il "federalismo municipale", che assegna ai Comuni le tasse sugli immobili, introducento il principio di responsabilità. Il debito pubblico, dice il leader del Carroccio, è causato dal fatto che "chi spende non ha la responsabilità di trovare i soldi che in qualche caso butta via". Il federalismo fiscale dunque "serve per cambiare dalla finanza derivata dove lo Stato incassa tutte le tasse e paga a piè di lista i livelli istituzionali che spendono. Manca la responsabilità: chi spende, no deve procurarsi i soldi che spende, che in qualche caso butta via".

"Il federalismo municipale è passo importante, si tratta di dare ai Comuni, per adesso perché poi toccherà anche a Regioni e Province, un processo di finanza propria che si basa sul fatto che i Comuni avranno tutte le tasse che riguardano gli immobili: sono tante tasse che però i Comuni potrebbero anche semplificare per favorire i contribuenti in un'unica tassa. Ma sarà una decisione loro. Noi ci limitiamo per adesso a indirizzare i Comuni". Bossi ha presieduto una parte del cdm, dopo una breve presidenza da parte del ministro Altero Matteoli. Accanto a lui i ministri Giulio Tremonti e Roberto Calderoli.

Tremonti dice sì alla finanza muncipale ma "ci spiace deludere, la prima casa resterà esente da ogni imposta. Mentre c'é la base per fare la cedolare secca sugli affitti che é nel nostro programma elettorale e qui finalmente c'é lo spazio per metterla dentro".

"Il federalismo fiscale è in grado di unire e di dare garanzia di diritti civili e sociali pari su tutto il territorio", ha detto Roberto Calderoli, ministro della Semplificazione. Pa rlando del federalismo fiscale ha sottolineato che si tratta di una riforma che "fa risparmiare".

E l'assenza del ministro Brancher? "Il ministro del federalismo è Umberto Bossi", ha risposto il titolare dell'Economia a un cronista che chiedeva come mai nel giorno del federalismo, a presentarlo non ci sia il neo nominato ministro Aldo Brancher.

 

 

 

 

 

 

 

2010-06-29

Bossi rilancia dopo Pontida: ora date i ministeri al Nord

di Mariolina SestoCronologia articolo29 giugno 2010

Questo articolo è stato pubblicato il 29 giugno 2010 alle ore 08:08.

ROMA- "Non possiamo solo pagare e non avere niente, dobbiamo anche contare e il fine ultimo è portare un ministero a Milano, quello delle Finanze. E poi quello dell'Industria a Torino e per esempio quello del Turismo a Venezia". Dopo Pontida, Umberto Bossi torna a puntellare il suo nuovo obiettivo: si chiama, in gergo tecnico, "capitale reticolare", ma per il Senatur il trasferimento dei centri di potere deve andare in una sola direzione, verso il Nord.

Ancora in mezzo alla bufera del caso Brancher, che tanto ha indignato su siti e media, il popolo leghista, il leader del Carroccio cerca di deviare l'attenzione e di riportarla su temi più in sintonia con gli umori della sua base. Così torna a issare la bandiera della Padania e di un'eventuale secessione con la "forza": "Noi siamo destinati a veder nascere la Padania – arringa nel corso di un'intervista ad affaritaliani.it –, non c'è santo che tenga. La Padania sta a noi se farla in maniera pacifica o violenta: io preferisco la via pacifica, perché per l'altra via c'è sempre tempo a utilizzarla. Noi vogliamo che la gente capisca che bisogna cambiare per dare ai nostri figli un sistema migliore di quello romanocentrico".

 

Intanto il neoministro Aldo Brancher – sotto il tiro delle opposizioni, che ne chiedono in coro le dimissioni – fa sapere di non avere alcuna intenzione di lasciare l'incarico. "Ribadisco il mio parere assolutamente fermo contro la richiesta di dimissioni", ha ripetuto ieri tornando a difendere il proprio operato: "La vicenda è stata strumentalizzata - ha argomentato -. Non so chi ha sbagliato, ma chi ci ha marciato mi sembra evidente. Avevo chiesto già tre volte un rinvio dell'udienza per i miei impegni da sottosegretario e questa era un'ulteriore richiesta. Non ho preso in giro nessuno". I suoi legali fanno inoltre sapere che lunedì prossimo presenteranno ai giudici la formale rinuncia al legittimo impedimento. Non è invece ancora chiaro se il ministro si presenterà lo stesso giorno nell'aula del tribunale.

A complicare la storia, già controversa, di questa nomina è poi la ricostruzione della sua genesi. È lo stesso Brancher a rimandare i giornalisti a un'intervista concessa ieri dal ministro Calderoli al Corriere della sera. In sintesi, il ministro leghista racconta che "per Bossi l'opzione principale" era Brancher alle Politiche agricole e Galan allo Sviluppo economico. "Ma questa ipotesi non si è realizzata per problemi di equilibri interni al Pdl – spiega Calderoli –. A quel punto si è parlato di ministro senza portafoglio". Tanto basta per far esplodere gli esponenti di opposizione: "È la dimostrazione che la nomina di Brancher prescinde dalle reali necessità del governo". "È una truffa istituzionale, da questa situazione si può uscire solo con le dimissioni di Brancher da ministro" tira le conclusioni il vicesegretario del Pd Enrico Letta. Mentre il capogruppo di Idv, Massimo Donadi, rilancia la proposta di una mozione di sfiducia unitaria delle opposizioni. Con la postilla che Idv ne presenterà comunque una in caso di mancato accordo. È però qui che il coro delle opposizioni diventa un insieme di voci discordanti. L'Udc Michele Vietti non scioglie le riserve: i centristi sono infatti restii a un'iniziativa parlamentare assieme a Di Pietro. E lo stesso Pd, nonostante Franceschini e Donadi si siano trovati d'accordo sull'idea di presentare un documento comune, esita: "Dobbiamo evitare - osserva il vicecapogruppo Alessandro Maran - che la vicenda Brancher finisca per rafforzare il centro-destra e per indebolire il centro-sinistra, con una sua divisione". Oggi si riuniranno i gruppi di opposizione per la decisione. Quanto a incarico e deleghe ancora mancanti, Brancher scarica la colpa su Palazzo Chigi: fa parte delle competenze della presidenza del Consiglio - spiega -. Le deleghe diventano ufficiali e definitive quando vengono pubblicate sulla Gazzetta ufficiale: non sono certo io che devo pubblicare questa cosa".

 

2010-06-27

Dolomiti agli enti locali con il federalismo, dalle Tofane al Sorapis

di Enrico BronzoCronologia articolo27 giugno 2010

Questo articolo è stato pubblicato il 27 giugno 2010 alle ore 14:56.

Ci sono anche una serie di pezzi di Dolomiti nell'elenco dell'agenzia del Demanio tra i beni trasferibili agli enti locali con il federalismo demaniale. Si va dalle Tofane al Sorapis, dalla montagna dei 'Set Sass' Val Parola nel Col di Lana alla Croda del Becco a Cortina, dall'Alpe Faloria alla Croda Rossa-Monte Cristallo sempre in zona.

A seguito del boom turistico cortinese, le Tofane sono diventate una delle maggiori attrazioni di tutte le Dolomiti, nonché uno dei più conosciuti simboli delle Alpi italiane. Per questo motivo a partire dalla fine dell'Ottocento, sul massiccio sono stati costruiti numerosi rifugi alpini e sono stati aperti altrettanti sentieri, vie ferrate e piste da sci.

Sul versante storico, come gran parte delle cime cadorine e altoatesine, le Tofane furono teatro di cruenti scontri armati tra truppe italiane e austro-ungariche durante il corso della Prima Guerra Mondiale. Nel 1915, all'entrata in guerra dell'Italia, il fronte meridionale austriaco si trovava completamente sguarnito, e per questo i comandi militari asburgici decisero di abbandonare l'Ampezzo per trincerarsi in posizioni strategiche meglio difendibili. Lo Stato maggiore austro-ungarico, conscio dell'insufficienza di uomini e difese, si era già rassegnato alla perdita del Sud Tirolo. L'ala sinistra della 4a armata italiana, risalito il Cadore e occupata Cortina d'Ampezzo (29 maggio 1915), cominciò ad assediare le roccaforti nemiche sui versanti meridionale e orientale delle Tofane, fino ad impadronirsi, il 7 luglio, di Cima Bois e Forcella Bois.

Tornando ai giorni nostri, domenica 4 luglio 2010 partirà la ventiquattresima edizione della Maratona dles Dolomites, la gara in bicicletta più spettacolare del mondo con il superamento del Passo Sella, del Passo Giau, del Passo Campolongo, Passo Falzarego e Passo Gardena/Colle S. Lucia. "Per i circa 9mila posti disponibili abbiamo ricevuto 25mila richieste - spiega Michil Costa, artefice della manifestazione -. C'è anche chi ha comprato il biglietto online pagandolo 1.500 euro. I posti disponibili sul web sono stati venduti in sette minuti". Per consentire a tutti i partecipanti di prendere il via la competizione partirà dalla Villa, in Alta Badia (Bolzano) dalle ore 5,30. Previsti tre percorsi differenziati. Ogni concorrente avrà la facoltà di scegliere il percorso a lui più confacente e tale scelta può essere presa nel corso di svolgimento della prova a giudizio insindacabile del partecipante. Saranno presenti tanti italiani quanti stranieri. Il sabato successivo si svolgerà la venticinquesima edizione.

 

 

 

 

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